Recensioni di rhys89

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Recensione alla storia Alone – with you - 22/05/20, ore 09:02
Capitolo 1: Alone – with you
[Valutazione del contest "La danza dei sette veli" - prima parte]

Titolo:
I titoli inglesi non mi entusiasmano (a meno che non siano citazioni o simili), ma a prescindere dalla lingua il significato è molto bello.
È un titolo poetico e criptico, che racchiude in così poche parole il cuore battente di tutta la storia: Sasha e Connie sono rimasti soli per colpa di quel mondo crudele che ha strappato loro le persone che amano, eppure allo stesso tempo soli non lo sono davvero perché si sono trovati, e possono contare l’uno sull’appoggio dell’altra.
Il fatto che poi venga citato esplicitamente proprio alla fine della storia è un’ulteriore chicca che me l’ha fatto apprezzare ancora di più.
EDIT: non avevo mai pensato all'inglese come mezzo per il genderless, ma in quest'ottica concordo con te sul fatto che non specificare se fosse solO o solA rende la storia ancora più intrigante, quindi l'utilizzo dell'inglese è pienamente giustificato


Un ultimo piccolo appunto per i titoli dei singoli veli: li ho trovati tutti ben calzanti con il paragrafo a cui si riferiscono, facendo riferimento a quella che è la particolarità più importante di ciò che raccontano senza tuttavia svelare nulla più di quanto basta ad intrigare il lettore e spingerlo a continuare per saperne di più.




Sviluppo dei “veli”:
Ho trovato molto interessante come hai gestito questi veli, talvolta facendo susseguire i paragrafi direttamente e talvolta utilizzando invece dei piccoli salti temporali, non solo perché ha contribuito a creare un bel ritmo narrativo ma soprattutto perché rispecchia quello che comunemente avviene in una relazione di qualsiasi tipo: a volte ci sono piccoli e costanti passi avanti seguiti invece da lunghi periodi di stasi dopo i quali c’è un ulteriore approfondimento del rapporto.

Ho apprezzato molto anche la scelta di rendere il rapporto di Connie e Sasha sempre paritario – in cui non ci sono “preda e cacciatore” ma sono entrambi due personaggi che talvolta ricevono attenzioni e talvolta invece le elargiscono – perché credo che sia il perfetto specchio della relazione che hanno anche nel canon.

Un’altra cosa che mi ha colpito è che non hai mai parlato nella storia di seduzione, né ne hai fatto cenno tra le righe. È stato un dettaglio che si è fatto notare per la sua assenza, ma non in negativo: il rapporto tra Connie e Sasha evolve dal primo incontro al primo bacio rispettando pienamente le regole del contest, e questa mancanza di seduzione nel senso stretto del termine non impedisce a ciascun velo di contenere un piccolo o grande salto in avanti in questo loro rapporto che, tuttavia, rimane puramente platonico fin quasi alla fine.




Caratterizzazione dei personaggi:
La storia si apre con Connie, e fin dalle primissime battute possiamo già conoscere due dei suoi aspetti più caratteristici: la sua pigrizia (odiava fare il turno di notte) e il suo buon cuore (non voleva lasciare il compito alla madre malata).

Mi è piaciuto anche il suo riflettere che sarebbe stato meglio mettere uno steccato più alto: ben lungi dall’essere uno sciocco – anche se spesso ci si comporta – Connie è invece molto intelligente, e non è affatto strano che analizzi con cura l’ambiente che lo circonda, ipotizzando migliorie per poter essere più al sicuro.

Allo stesso modo, trovo verosimile anche che la gente del villaggio non abbia mai approvato questi cambiamenti perché dopotutto “squadra che vince non si cambia”, e se quella recinzione ha funzionato bene fino ad ora è inutile – dal loro semplicistico punto di vista – perdere tempo e risorse per migliorarla.

Il furto, soprattutto il furto di generi alimentari, in una zombie!AU è forse più deprecabile persino dell’omicidio, ma tuttavia la reazione tranquilla di Connie non risulta affatto forzata. Il ragazzo sottolinea la gravità del furto e ne è quindi ben consapevole, ma è abbastanza intuitivo da essere altrettanto consapevole che “quell’estranea doveva essere molto affamata per rischiare così tanto”.

In tutto questo Sasha è poco più di un’ombra nella notte. Anzi, meglio: una creatura della foresta, che dimostra tutta la sua abilità di cacciatrice per muoversi con sicurezza e agilità anche nelle tenebre prima di allontanarsi in tutta fretta per tornare da dov’era venuta.

L’intuitività di Connie si dimostra anche nella semplicità con cui associa l’aver preso poco cibo col fatto che probabilmente Sasha fosse da sola. E qui, di nuovo, viene fuori la sua bontà d’animo nel realizzare che “non poteva lasciare le cose così”.


Subito dopo scopriamo che Sasha rubacchia del cibo dalle scorte di Ragako solo in caso di assoluta necessità, quando non riesce a procurarselo da sola. È questo un atteggiamento cauto e maturo che si discosta dalla Sasha degli inizi, ma è invece conforme – come hai detto nelle note – con la ragazza che è diventata più avanti. Perché ormai Sasha è ben consapevole dei pericoli in cui può incorrere con le sue azioni e quindi cerca il più possibile di tenersene alla larga, anche a costo di patire un po’ la fame.

La lettera che le lascia Connie insieme a parte della propria razione potrebbe sembrare un piccolo gesto, ma in un mondo dove il cibo vale più dell’oro è qualcosa di immensamente importante. Soprattutto perché, oltre al cibo, c’è anche l’espresso invito ad entrare in casa, se lo desidera. A palesarsi, ad entrare in contatto con qualcuno che potrebbe tanto aiutarla quanto farle del male.


Forse è proprio per quel gesto così palese di generosità che Sasha non si presenta più, perché sottrarre cibo a qualcuno senza nome è un conto, ma derubare una persona così gentile la mette a disagio; forse invece è perché sentendosi scoperta si è sentita vulnerabile, e il proprio istinto di sopravvivenza l’ha spinta ad abbandonare quel luogo in cui avrebbero potuto catturarla.
Alla fine, credo che sia un misto di queste due spiegazioni – vergogna e diffidenza – ad averla tenuta lontana dalla sua “dispensa di emergenza” da quel momento in poi.
(Oltre alla scelta di studiare con cura le persone del villaggio per decidere se accettare o meno l’invito di Connie, ovviamente.)



Trovo naturale che nonostante Sasha non si faccia più vedere, Connie nei giorni successivi continui a pensare a lei. Mi sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più a riguardo, come se si chiedesse cosa le era successo o si interrogasse se la sua lettera era stata o meno il motivo di quell’assenza, ma rispetto la scelta stilistica di lasciare il lettore con il dubbio.

Fa quasi sorridere la preoccupazione che ha Connie del proprio ritardo: pensare che sua madre si sarebbe arrabbiata perché la cena ormai sarà fredda sembra una stupidaggine, e invece è il chiaro specchio della vita tranquilla che Connie ha vissuto fino a quel momento.
Certo, ci sono gli zombie, ma fino a quel momento erano stati una minaccia così blanda da non essere presa troppo sul serio (leggerezza che, alla fine, è stata fatale al villaggio).

Nei momenti di caos successivi, ho trovato la sua caratterizzazione perfettamente delineata: Connie ha paura, una paura folle che di primo acchito lo congela sul posto impedendogli di muoversi… eppure, una volta riacquistato il controllo del proprio corpo, non se ne va. Anzi, la sua preoccupazione principale non è per se stesso ma per la sua famiglia, ed è da lei che corre rischiando la propria vita.

Sasha appare all’improvviso dal nulla – o così sembra a Connie – e lo salva da morte certa. Non conosciamo le sue motivazioni, o almeno non ancora, ma tanto basta secondo me a giustificare la cieca fiducia che Connie istintivamente le concede, lasciandosi coprire le spalle da lei mentre va in cerca dei suoi cari.

Il fatto che Sasha non insista subito per andarsene dal villaggio ma anzi si offra di accompagnarlo nella sua ricerca fa riflettere: una persona così cauta come sappiamo essere lei non solo salva la vita a qualcuno – e questo potrebbe essere da imputare al debito di riconoscenza che sente di avere nei suoi confronti – ma addirittura accetta di attardarsi più del dovuto in quell’inferno.
Perché?
Beh, qui entra in gioco ciò che supponeva Connie, ovvero che Sasha doveva essere da sola: da questo suo atteggiamento si intravede una sensibilità tale da non negare a qualcuno di correre in soccorso della propria famiglia dal momento che, con tutta probabilità, lei ha perso la sua.

La reazione di Conni alla vista dei corpi martoriati dei suoi familiari è realistica e straziante, e nonostante fino all’ultimo istante si fosse quasi costretto a tenere viva in sé la speranza che stessero bene adesso deve fare brutalmente i conti con la realtà.
Altrettanto verosimile è l’atteggiamento di sua madre, che – consapevole di essere spacciata – raccoglie le ultime forze non per implorare un aiuto che sapeva comunque essere inutile, ma per spingerlo a mettersi in salvo.

L’orrore ha di nuovo bloccato Connie, e di nuovo ci pensa Sasha a riscuoterlo. Pur senza chiedere nulla ha capito da sola, e quindi – a questo punto – la sua unica preoccupazione è di portare entrambi in salvo.

È soltanto fuori dal villaggio, quando ormai sono fuori pericolo, che la mente di Connie riesce ad elaborare un pensiero che fino a quel momento era stato così insignificante rispetto a tutto il resto da essere passato inosservato: ancora non sapeva il nome di Sasha.

Mi stupisce un po’ che, a questo punto, non si chieda anche come lei faccia invece a sapere il suo; è vero che sicuramente ancora la sua testa è ancora alla distruzione che ha appena lasciato e che oltretutto sta risparmiando il fiato per correre, ma mi sarei aspettata che un piccolo accenno almeno nei pensieri ci fosse, magari solo di sfuggita ed eventualmente seguito dall’appunto mentale di rimandare la conversazione a tempi più opportuni.
Ovviamente, però, è solo un parere personale, e comunque mi piace che questo venga fuori nel prossimo paragrafo, sottolineando che solo in quel momento Connie l’aveva notato.



Come prevedibile, i due continuano a correre fino ad essere al riparo nel bosco, e – altrettanto prevedibilmente – continuano a camminare senza fermarsi. Sarebbe strano il contrario, considerato l’immenso pericolo cui sono appena scampati per un soffio, ed è altresì normale che sia Sasha a fare da guida dal momento che conosce quei boschi molto meglio di Connie.

Connie che continua ad essere scosso, singhiozzante addirittura, e tira talvolta su col naso. Sembra anche più sconvolto della fine del paragrafo precedente, e questo credo sia da imputare proprio al rallentamento della loro andatura: a mano a mano che si allontanano dal pericolo l’istinto di sopravvivenza cessa di occupare tutta la sua mente, che quindi suo malgrado torna a concentrarsi sulle immagini spaventose dell’attacco degli zombie.
Per dire, non credo sia un atteggiamento contraddittorio, il suo, quanto piuttosto la naturale evoluzione di un ragazzo traumatizzato.

E lo capisce anche Sasha, dimostrando tutta la sua sensibilità nel fingere di non sentirlo, rispettando il suo dolore con il silenzio.


Sasha si rivela essere anche una persona paziente e rassicurante nel momento del bisogno, quando incoraggia Connie durante l’arrampicata e poi lo rassicura nell’ultimo tratto, prendendolo per mano fino alla stabilità della sua casetta.

Raggiungere il rifugio è stato piuttosto arduo, ma questo ha avuto – o almeno così pare – il pregio di distrarre di nuovo Connie che, una volta entrati, sembra di nuovo padrone di sé.

Tuttavia mi stona un po’ il suo atteggiamento addirittura speranzoso, quando Sasha gli dice di voler tornare al villaggio l’indomani: ok che vuole riprendere le proprie cose, ma in questo modo sembra che lui non veda l’ora di rimettere piede in casa sua… il che è piuttosto strano, considerato quanto è successo.
Edit: soprattutto perché nel velo successivo vediamo che, giustamente, non è affatto così.

Invece trovo assolutamente plausibile il resto del discorso, quando afferma di non voler restare nel villaggio sia perché non riuscirebbe a difenderlo che perché non riuscirebbe proprio a viverci.
È interessante che dica semplicemente di voler “andare via” perché rende chiaro di non aspettarsi da Sasha un invito a restare con lui, cosa che invece una persona più egoista e/o arrogante avrebbe già preso in considerazione dal momento che lui l’aveva invitata a stare al suo villaggio in tempi non sospetti, quindi lei avrebbe potuto/dovuto ricambiare il favore adesso.
Connie, no. Lui è grato a Sasha per averlo salvato e non fa cenno neppure nei suoi pensieri che il gesto in qualche modo gli fosse dovuto; inoltre, si preoccupa anche di non dare eccessivo disturbo, assicurandole appunto che l’indomani se ne andrà – anche se neppure lui sa dove

Non ci è dato sapere cosa ne pensi Sasha, in quel momento, perché è ben attenta a tenere per sé i propri pensieri preferendo concentrarsi su qualcosa di concreto come il cibo.
Il fatto stesso che riesca a mangiare dopo tutto quello che è successo è strano ad un primo sguardo, ma acquista significato con le sue stesse parole quando Sasha chiarisce a Connie che ormai “mi sono abituata”.
Queste tre parole così apparentemente semplici già da sole basterebbero a dire tantissime cose di Sasha, anche senza il racconto della sua storia: direbbero che è una ragazza che ne ha passate davvero tante, che ha visto la morte in faccia tante e tante volte che ormai non le fa quasi più effetto, e il suo istinto di conservazione si è ispessito tanto da non permettere a niente e nessuno di impedirle di nutrirsi.

La storia di Sasha è interessante, soprattutto perché ci racconta quello che finora avevamo solo potuto immaginare.
Mi è piaciuta molto l’evoluzione, sia pur brevemente accennata, che ha avuto: non solo rispecchia quella del canon, ma giustifica ogni sfaccettatura della personalità che ha costruito fino al momento in cui noi l’abbiamo incontrata tramite Connie.
Ho apprezzato in particolare che da ragazzina impaurita si sia fatta coraggio e si sia data da fare per trovare il suo posto in quel mondo impazzito, e il cambiamento è stato così radicale che è passata dall’essere paralizzata dalla paura alla vista di uno zombie all’affrontarne uno – e probabilmente anche di più – per salvare una ragazzina che neppure conosceva.
La paura ovviamente c’era sempre, sarebbe assurdo il contrario, ma Sasha ha imparato a dominarla senza lasciarsi dominare da essa.

Attraverso i pensieri di Sasha conosciamo quindi parte delle vicissitudini che l’hanno resa la persona che è. Tuttavia Sasha non le condivide con Connie e questa scelta mi piace, perché dopotutto si conoscono appena e non è strano che Sasha ancora non se la senta di confidarsi con lui.

E mentre lei era immersa nei suoi pensieri, Connie si è concesso di riflettere su tutti quei dubbi che gli erano sorti ma che non aveva ancora analizzato per, diciamo, “cause di forza maggiore”.
Primo tra tutti, ovviamente, il perché Sasha si trovasse a Ragako proprio in tempo per salvarlo quando ormai erano giorni che non si faceva vedere.

Veniamo quindi a sapere che Sasha non era “sparita” come pensava Connie ma al contrario era rimasta nei paraggi, abbastanza lontana da non essere vista ma abbastanza vicina da poter studiare il villaggio e i suoi abitanti.
Questo suo “atteggiamento da stalker” è del tutto comprensibile, secondo me: dal momento che aveva ricevuto l’invito di Connie di unirsi a loro, è normale che volesse prima farsi un’idea di che tipi fossero le persone con cui si sarebbe trovata a vivere prima di prendere una decisione, soprattutto perché sappiamo che ormai è abituata a vivere da sola.

Mi ha fatto sorridere la semplicità tipicamente sashiana (?) con cui parla a Connie del fatto che l’aveva invitata a stare da lui: è consapevole che quella di Connie è stata una mossa avventata e glielo fa notare senza mezzi termini, ma al tempo stesso lo ringrazia della sua gentilezza.
Salvo poi alterarsi quando lui le rende pan per focaccia perché, di fatto, adesso è lei ad aver invitato un estraneo in casa sua.

La risposta di Sasha a questa “accusa” è strana, ma strana in un senso positivo: risulta così perché la osserviamo dal punto di vista di Connie, ma se ci mettiamo invece nei panni di Sasha lei è assolutamente convinta di quanto ha detto; per quanto possa essere difficile da credere, è stata un’osservatrice così attenta, in quel periodo di “studio”, da poter affermare senza dubbio alcuno di conoscere la gente del villaggio – e Connie stesso – pur senza aver mai interagito con loro.

Tanto attenta da aver riconosciuto tra tutti il ragazzo che era stato così gentile con lei, tanto da essere preoccupata per lui e da correre quindi in suo soccorso non appena si è resa conto che era in pericolo.

Paradossalmente, quando Sasha si toglie la scarpa rivelando la caviglia ferita è Connie quello preoccupato, mentre lei non fa una piega o quasi. Mi pento e mi dolgo della mia ignoranza, ma non ricordo se nel canon Sasha avesse un’alta resistenza al dolore e quindi, in caso, se questa fosse una citazione.
Comunque sia, nonostante mi abbia lasciato un po’ perplessa all’inizio (anche se è “solo una storta” una caviglia gonfia a quel modo fa un male cane), ho riflettuto che vivendo da sola sicuramente Sasha si è trovata più volte a dover stringere i denti e sopportare il dolore perché non poteva fare affidamento su nessun altro che se stessa, ed è realistico pensare che alla fine il suo livello di sopportazione sia diventato decisamente al di sopra della media.

Il velo si chiude con un Connie solo apparentemente più tranquillo che comunque si rifiuta di mangiare… e che, nell’oscuro silenzio della notte, è costretto dalla propria mente traumatizzata a rivivere uno per uno gli orrori a cui aveva assistito in quel maledetto giorno.



All’inizio di questo quarto velo troviamo Sasha che vorrebbe andare a prendere le provviste a Ragako in fretta, sia per evitare il deterioramento che per evitare che qualcun altro arrivi prima di loro e gliele sottragga.
È questo un pensiero logico e razionale che Connie non potrebbe mai fare, troppo coinvolto com’è, mentre invece è naturale che sia stato la prima preoccupazione di Sasha. Soprattutto data la difficoltà di trovare del cibo e il pericolo presentato dagli altri uomini, ancor più che dagli zombie.

Connie invece, come dicevo, non riesce ad avvicinarsi al suo villaggio non tanto per paura degli zombie – quella in qualche modo saprebbe gestirla, forse – ma perché è terrorizzato all’idea di trovarsi di fronte ai propri cari trasformati… e di conseguenza alla necessità di ucciderli o vederli uccidere da Sasha (se di morte si può parlare) per non essere ucciso da loro.
È questo a mio parere un atteggiamento del tutto comprensibile, e trovo naturale che questa paura sia più forte del desiderio di entrare a prendere le provviste e le sue cose – come invece aveva desiderato fare in principio.
D’altra parte, mi è piaciuto moltissimo che tu abbia sottolineato come Connie impedisce a Sasha di andare da sola: sarebbe la scelta più facile, tanto più che è lei stessa a proporsi volontaria, ma Connie ha paura che possa succederle qualcosa dal momento che è ferita e piuttosto che rischiare preferisce rimandare ancora e ancora, aspettando il momento in cui si sentirà pronto ad andare con lei per darle man forte.

Nel frattempo si dà da fare ad aiutare Sasha con le provviste, e qui scopriamo che lei – come c’era da aspettarsi, visto che è riuscita a sopravvivere da sola così a lungo – è, per citare Connie, “molto brava quando si tratta di sopravvivenza”.

Questo misto di invidia e ammirazione che Connie nutre nei confronti di Sasha e del suo carattere forte e solare è assolutamente realistico e comprensibile, visto il tragico momento che sta attraversando e la difficoltà che ancora ha nel dormire a causa degli incubi (a occhi aperti o chiusi che siano).
Ma, tra le altre cose, soprattutto fa capolino la riconoscenza, e la consapevolezza che è soltanto grazie a lei che è riuscito non solo a non crollare, ma sta pian piano riprendendosi. Per dire, ricominciare a mangiare è già un traguardo non indifferente.

Sasha ovviamente si accorge delle borse sotto gli occhi di Connie – sono piuttosto evidenti e sarebbe strano il contrario dal momento che è un’ottima osservatrice – ma dimostra ancora una volta il suo tatto non facendone parola.
Non solo, ma organizza – senza ovviamente mettere Connie al corrente – un piano per riuscire ad aiutarlo.

Quel suo pungolare Connie sulla questione “non abbiamo provviste perché tu non vuoi tornare al villaggio” è piuttosto insensibile (nonostante abbia una finalità nascosta), ma trovo che sia un’ottima strategia perché Connie si sente in colpa per quella sua debolezza e ricordarglielo serve a farlo impegnare ancora di più per essere di aiuto. Inoltre, dal punto di vista di Sasha, questa è la pura verità – sia pure spiacevole – e non una cattiveria gratuita, e se può servire per raggiungere uno scopo importante come quello che si è prefissa allora ben venga.

Il momento in cui trovano le uova di anatra è emblematico per portare a galla quello che forse è il più grande problema di Connie in questo mondo spietato: la compassione.
Connie ha sempre vissuto di agricoltura e frutti raccolti nel bosco e non è abituato alla crudeltà della caccia, quindi non è strano che una persona sensibile come lui ha dimostrato di essere sconvolta di fronte ad azioni che Sasha invece compie con naturalezza.
Altrettanto verosimilmente, però, lei lo rimprovera: avere compassione per il cibo non è un pregio, è soltanto stupido… uno stupido errore che può portare alla morte.
Sasha sappiamo bene che non è spietata, tutt’altro, ma lei è ormai abituata a cacciare e quindi ha già imparato quell’importante lezione che sta impartendo a Connie.


Non sappiamo se questo piano di Sasha di aiutare Connie facendolo stancare fino allo stremo sia nato da un’idea dettata dall’esperienza personale o se fosse invece puro intuito, ma nella sua semplicità è stato molto astuto, e alla fine si è rivelato anche vincente.

A questo punto, agli occhi del lettore diventa chiaro anche il motivo del suo rimarcare che dovevano lavorare tanto per colpa di Connie e del suo non voler andare al villaggio: nel mentre sembrava qualcosa di troppo brusco e anche insensibile per la Sasha che abbiamo imparato a conoscere, ma finalmente tutto acquista un senso.

Il modo in cui prende la mano di Connie nella propria – una volta che si è addormentato – è molto tenero, ma di una tenerezza totalmente disinteressata, dettata dalla sincera preoccupazione che ha per il suo nuovo amico.
Tuttavia, tra i suoi pensieri comincia a far capolino inconsciamente anche qualche sfumatura che – col senno di poi – sappiamo essere il preludio a qualcosa di più: mi riferisco al modo in cui passa dal banale confronto delle loro mani – così simili sia pur per motivi così diversi – al riflettere che “a Connie non sarebbero mai piaciute”.
Subito dopo torniamo al presente, e alla premura disinteressata con cui continua a tenere stretta la mano di Connie nella propria “sperando che gli potesse dare un po’ di conforto”.


L’incubo che tormenta Connie è ovviamente la rappresentazione insieme degli orrori a cui ha assistito e delle sue paure più profonde. Molto interessante, a quest’ultimo proposito, che a quanto pare ha iniziato a nutrire la forte paura che Sasha, cercando di aiutarlo, finisca per rimetterci la vita.
È un dubbio che Connie non ha mai espresso ad alta voce e su cui probabilmente non si è neanche soffermato a riflettere, ma non è affatto strano che il suo inconscio lo abbia invece elaborato: dopotutto Sasha si è già ferita per aiutarlo, prendendosi una storta, e inoltre il fatto stesso che non abbia ancora preso le provviste per colpa sua può essere indice di un ulteriore senso di colpa nella sua testa. Se ci uniamo la consapevolezza di non saper cacciare né pescare né altre cose necessarie per la sopravvivenza e di cui Sasha sembra essere già esperta, possiamo facilmente intuire come Connie abbia paura di essere un “peso morto” per Sasha, a prescindere da quanto possa cercare di rendersi utile.

Eppure, nonostante questo, quando svegliandosi si rende conto che Sasha gli sta stringendo la mano non può fare a meno di sorridere: il mondo fa ancora schifo, ma lui non è solo… e, con questa consapevolezza, anche gli incubi fanno un po’ meno paura.



Quando Connie, svegliandosi, si ritrova solo, mi è piaciuto che per prima cosa abbia controllato se erano state prese anche le cose di Sasha: da questo semplice gesto è chiaro che il fatto che Sasha non ci sia non lo lascia indifferente, ma è altrettanto chiaro che non è uno sciocco e che si fida di lei e delle sue capacità; quindi, dal momento che sa per certo che se ci fosse stato un pericolo lei lo avrebbe svegliato, l’assenza delle sue cose significa soltanto che si è allontanata spontaneamente e spontaneamente farà ritorno quando avrà finito quel che sta facendo.

Mi ha fatto sorridere come Connie decida di preparare da mangiare per sé e per Sasha, dando per scontato che avrebbe aspettato lei per consumare il pasto… e poi, nella sua testa, sottolinei che lo sta facendo perché “certe volte aveva paura che si mangiasse pure lui”!
Sul serio, sembra quasi che voglia giustificare con sé stesso il gesto carino che ha deciso di compiere, e questo è così dannatamente da Connie che mi sembra quasi di vederlo.


Nella sicurezza con cui impugna la pistola, quando sente dei rumori avvicinandosi, vediamo che in quel breve periodo di tempo ormai anche la sua corazza si è ispessita abbastanza da rendergli naturale un gesto che, probabilmente, fino a una settimana prima naturale non lo era affatto.

La sua felicità nel rivedere Sasha viene subito sostituita dal terrore quando si accorge che è ricoperta di sangue.
Qualcuno potrebbe biasimarlo? Io no di certo.
Insomma, poverino, ha appena perso tutti quelli che amava e adesso ha la maledetta paura che anche la persona che ha imparato a conoscere e apprezzare – l’unica persona cara che ormai ha al mondo – possa abbandonarlo… non stupisce che si lasci prendere dal panico e che, per verificare l’entità della ferita, si spinga oltre confini che in casi normali il pudore gli avrebbe impedito di varcare.
Per lo stesso motivo è ovvio che non si sia dato la pena di sbottonare la camicia ma l’abbia aperta con foga facendone saltare i bottoni… ed è altrettanto ovvio che Sasha – che ferita non era – a quel punto si sia ripresa dalla sorpresa abbastanza da mollargli un ceffone in pieno viso.

Tuttavia, tutta la rabbia di lei scompare nel momento in cui si rende davvero conto di quanto Connie si fosse preoccupato: dato che stava bene dal suo punto di vista la reazione di Connie era decisamente esagerata – da qui lo schiaffo – ma non appena lui l’abbraccia e inizia addirittura a piangere tutto si fa chiaro.

Sul fatto che Sasha sia tornata da sola al villaggio, senza dir niente a Connie, ho opinioni discordanti.
Da un lato, capisco che fosse stufa di aspettare e che la paura per il deterioramento e/o il furto delle provviste fosse sempre più pressante… dall’altro non capisco perché si sia risolta proprio ora: non c’è stato nessun segno di peggioramento da parte di Connie che potesse farle credere che non sarebbe mai riuscito a tornare al villaggio; anzi, c’era stato un sensibile miglioramento perché finalmente era riuscito a riposare – nonostante gli incubi.
Di contro, mi viene da pensare che magari proprio per il fatto che finalmente Connie sembra migliorare forse non vuole rischiare che abbia una ricaduta trovandosi davanti le persone a cui aveva voluto bene trasformate in zombie.

Ho qualche riserva anche sulla reazione di Connie: finora ha sempre impedito a Sasha di andare al villaggio da sola, eppure quando si rende conto che l’ha fatto senza neppure avvisarlo non fa una piega. Ho pensato che fosse in parte da imputare al sollievo del vedere che stava bene, dopo lo spavento che si era preso, ma dal momento che viene a conoscenza della sua destinazione quando ormai si è tranquillizzato non penso sia realistico che non ne faccia neppure il minimo accenno, anche soltanto tra i suoi pensieri.
Non dico che avrebbe dovuto recriminare, ci mancherebbe: anche se forse se ne vergogna Connie è ovviamente sollevato che Sasha si sia fatta carico di questa missione da sola e giustamente la ringrazia; tuttavia mi suona strano che la questione non venga neppure sollevata.

Non penso che la caratterizzazione dei personaggi sia errata, ma probabilmente mi è mancato un maggiore approfondimento degli stessi, soprattutto in questo particolare momento che mi è sembrato molto importante e che invece viene appena accennato.
D’altronde mi rendo conto che il limite di parole deve aver giocato un ruolo fondamentale in questa scelta: la storia che hai raccontato è molto articolata, e dovendo parlare di così tante cose alcune purtroppo non possono venir approfondite come meriterebbero.

Ho invece apprezzato moltissimo quando Sasha, alla proposta di Connie di lasciare le salsicce per un’occasione speciale, gli dica “Siamo vivi. Mi pare un’ottima occasione per festeggiare”: è un discorso solo apparentemente semplicistico che invece rivela una mentalità davvero interessante; la mentalità di una ragazza molto giovane che però ha già imparato sulla propria pelle che in questo mondo dove sono costretti a vivere nulla è scontato, neppure la vita stessa, ed affronta ogni singolo giorno con gratitudine e consapevolezza della precarietà delle cose.
È un ragionamento così profondo che mette i brividi, eppure viene espresso in modo talmente schietto che risulta quasi ovvio.
Connie, a differenza sua, fino a una manciata di giorni prima aveva vissuto una vita del tutto diversa, dove nessuno si sarebbe sognato di mettere in dubbio l’arrivo di un nuovo giorno, esattamente uguale a quello precedente.
Eppure, ormai, anche lui ha iniziato a fare i conti con quella nuova realtà, quindi non trovo affatto strano che non abbia nulla da ribattere.

Altra cosa che mi è piaciuta è stata la scena in cui parlano dei genitori di Connie: l’ho apprezzata sia ovviamente per il fatto stesso che Connie tiri fuori l’argomento – come è naturale che sia – sia perché Sasha cerca di nuovo di proteggerlo con una bugia bianca.
Ma Sasha è una pessima bugiarda, lo sappiamo, e Connie scopre subito il suo bluff… e la ringrazia anche – e forse soprattutto – per questo.



Col sesto velo abbiamo il time-skip più consistente dell’intera storia.
Ovviamente non è stato possibile raccontare tutto quello che è successo nel frattempo, ma mi piace che ti sia soffermata a sottolineare come il rapporto tra i ragazzi si sia rafforzato grazie a quella convivenza e al fare affidamento quotidianamente l’uno sull’altra.
Soprattutto, ho apprezzato l’aver fatto cenno ai momenti di discussione: sarebbe assurdo pensare di vivere con una persona senza avere mai nessun tipo di attrito con essa, quindi ho trovato molto realistico che anche Connie e Sasha bisticciassero di tanto in tanto.
Se poi aggiungiamo che uno dei motivi è dato dalla spiacevole tendenza di Sasha a divorare pressappoco qualunque cosa, la storia guadagna diversi altri punti in fatto di realismo.

La scelta dei ragazzi di continuare a vivere sulla capanna sull’albero è logica e razionale per i motivi che spieghi nella storia, ma ho apprezzato che comunque utilizzino il villaggio – dove ormai Connie non ha paura di entrare – come punto di appoggio. In particolare, è stata una buona mossa quella di sbarrare le finestre della dispensa e chiuderla a chiave: i due ragazzi sono sì giovani, ma non sprovveduti, e hanno ben pensato di salvaguardare le loro provviste sia dagli zombie che da eventuali ladri umani.

L’idea di Connie di festeggiare il “mesiversario” del suo re-incontro con Sasha non solo è molto tenera, ma non risulta niente affatto forzata. Sì, ovviamente Connie è felice di aver conosciuto Sasha, ma quella che senza altre spiegazioni sembrerebbe come una mossa un po’ esagerata – dal momento che tra i due ancora c’è soltanto un “sentimento senza nome” – assume tutt’altra valenza quando si scopre il vero motivo che c’è dietro: scacciare la tristezza del ricordo del massacro del proprio villaggio con un pensiero positivo, il più positivo che riesce a trovare… appunto, il suo incontro “ufficiale” con Sasha.

Connie vuole quindi farle una sorpresa, ma l’intuito e la capacità di osservazione di Sasha sono troppo sviluppati per non notare il suo strano comportamento.
Non trovo affatto incoerente tuttavia che non gli abbia fatto domande quando si è allontanato da solo, perché ormai è chiaro che sono entrambi capaci di badare a se stessi; allo stesso modo è invece normale che, nel vederlo – al suo ritorno – muoversi “in maniera circospetta”, sia stata spinta ad indagare.
Il modo in cui ha indagato è totalmente sguaiato e totalmente da Sasha, e la scena di lei che rincorre Connie a quattro zampe è assurda ma allo stesso tempo perfettamente in linea col suo personaggio (mi ha ricordato proprio un paio di scenette comiche nel canon in cui Sasha si comporta pressoché allo stesso modo)… oltre che dannatamente divertente, ma questa è un’altra storia.

Messo alle strette, Connie si lascia sfuggire che, sì, in effetti ha del cibo con sé… ma in qualche modo riesce a frenare Sasha abbastanza a lungo da convincerla ad aspettare la cena.

In casi normali Sasha – come ha fatto per le salsicce – non avrebbe accettato, tuttavia trovo verosimile che sia stata abbastanza incuriosita dal sapere che era “un giorno speciale” da accettare con riluttanza di attendere qualche ora per poterne sapere di più.
(Anche se, ovviamente, prima fa un paio di tentativi per scoprirlo subito.)


Sasha ovviamente continua a protestare per il lunghiiiisimo tempo di attesa – e perché lei probabilmente la carne se la sarebbe mangiata anche cruda – ma Connie riesce a tenerle testa.
È questa una scenetta che ha il sapore della quotidianità in cui entrambi i personaggi sono infatti genuini e naturali, e il modo in cui Connie si occupa di preparare la cena affidando a Sasha il compito di apparecchiare è forse l’immagine più emblematica di tutta la storia: uno spicchio di serenità in cui neppure il pensiero dell’inferno in cui è piombato il mondo può avere accesso.

Connie si rivela essere un bravo cuoco, e anche se non ci è dato sapere se avesse mai cucinato ho immaginato che in ogni caso dovesse aver imparato qualcosa osservando sua madre, e che per questo si trovi così a suo agio in quella veste.
Al contrario, Sasha non è il tipo da attardarsi in cotture prolungate, quindi sarebbe stato assurdo affidare il compito a lei.

Una cosa che mi è piaciuta particolarmente è stato il sottolineare come Sasha, una volta portata la maggior parte del cibo nella capanna, anziché iniziare ad abbuffarsi aspetta invece l’arrivo di Connie: è un gesto semplice che però rivela quanto abbia apprezzato tutto l’impegno che lui ha messo nell’organizzare questa cena, anche se ancora non sa quale occasione stiano festeggiando.


Il momento della cena è tranquillo e spontaneo, ed è giusto e naturale che sia così: ovviamente non si sono dimenticati di essere in mezzo a un’apocalisse zombie – come sottolineano i pensieri di Sasha – ma trovo realistico che lì, isolati praticamente da tutto e da tutti, possano almeno far finta che vada tutto bene.
È soltanto un’illusione, certo, ma credo che in occasioni del genere sia indispensabile illudersi un po’ di tanto in tanto, altrimenti si rischia di impazzire.

Scopriamo anche che Connie finalmente riesce a dormire anche senza bisogno di essere fisicamente stremato, ma ovviamente gli incubi non se ne sono andati del tutto. Sarebbe inverosimile una cosa del genere, dopo tutto quel che ha passato, ma invece ci sta che adesso, grazie alla presenza di Sasha, non lo spaventino più come prima.

È solo al termine della cena che Sasha intavola il discorso del motivo del loro festeggiamento, e anche se mi sarei aspettata che lo facesse prima – dal momento che stava aspettando da diverse ore di soddisfare la propria curiosità – tutto sommato credo che sia perfettamente plausibile che di fronte a tutto quel ben di Dio che Connie aveva preparato la sua mente sia stata totalmente assorbita dal cibo.

Un piccolo appunto per quanto riguarda il discorso di Connie:
[…] ho immaginato che sarebbe stato bello rimembrare tutti i miei compaesani morti […] --> trattandosi di un discorso diretto, sarebbe meglio sostituire il verbo “rimembrare” (piuttosto insolito se pronunciato da un ragazzo in un contesto informale) con un più semplice “ricordare”.

Minuzie a parte, trovo naturali e calzanti con le caratterizzazioni originali sia Sasha che Connie: la prima che sbuffa di impazienza e vuole che Connie arrivi subito al punto, e il secondo che invece, probabilmente non trovandosi del tutto a suo agio nell’esprimersi così a cuore aperto, prende il discorso alla larga.
Discorso che potrebbe sembrare un po’ troppo serioso, a prima vista, ma invece questa poca naturalezza mi è piaciuta perché mi ha dato l’impressione che Connie l’avesse provato e riprovato durante il giorno, magari cercando con cura le parole più adatte e immaginando quale potesse mai essere la reazione di Sasha… e invece lei non ne ascolta neppure mezzo perché si addormenta!

Onore al merito, però, Connie nonostante la delusione non se la prende con Sasha; semplicemente la copre per non farle prendere freddo e si ripromette di ripetere il discorso l’indomani anche se “magari in maniera più stringata” – a conferma che quanto ha detto non è solo una chiacchierata qualsiasi ma un qualcosa per lui molto importante che ci tiene a far sapere a Sasha.

Scendere dal rifugio senza armi né torcia e senza essersi minimamente soffermato ad analizzare l’ambiente in cerca di eventuali pericoli è stato un errore decisamente stupido, e fin qui siamo tutti d’accordo. Tuttavia non per questo mi è parso inverosimile, al contrario rende l’idea di come Connie sia talmente preso da quanto è appena successo da svolgere azioni che ormai sono meccaniche – come lo scendere dall’albero – senza pensare.
Stupido, considerati tutti i pericoli che possono essere in agguato, ma allo stesso tempo perfettamente comprensibile.

Nel sentire un rumore nel buio ritorna subito in sé, e come è naturale che sia sentendosi in pericolo segue l’istinto e cerca di tornare al sicuro sull’albero… solo che non ci riesce.

E così Sasha, che svegliandosi di soprassalto per prima cosa si chiede dove il suo compagno sia finito, è costretta a piombare nel peggiore dei suoi incubi nel vederlo circondato da cinque zombie.



Il terrore di quello spettacolo tuttavia non paralizza Sasha, e questo è secondo me indice della sua enorme forza d’animo: lei ovviamente si chiede come diamine sia possibile che lì ci siano degli zombie e perché mai Connie sia tra loro, ma lo fa mentre agisce.

E, nel mentre, ha anche la presenza di spirito di riflettere che l’arco sarebbe stato troppo lento e difficile da usare in quella situazione, quindi preferisce correre subito da Connie per aiutarlo a mettersi in salvo.

Connie corre sollevato verso di lei, ma all’improvviso – nel momento meno opportuno – gli tornano in mente le immagini dell’incubo che anche noi conosciamo, e che riflettono la sua paura atavica di essere la causa della morte di Sasha… della ragazza di cui si è innamorato.
Per questo non sorprende il suo cambio di rotta e il rifiuto di aggrapparsi a lei per arrampicarsi, nonostante invece Sasha ovviamente non riesca a capirlo.

Non capisce ma comunque non si ferma a rifletterci, continua a muoversi e a pensare e a fare tutto il possibile per aiutare Connie, e di nuovo – nel suo scegliere l’arco e l’accetta piuttosto che la pistola – vediamo che le basilari norme per la sopravvivenza le sono ormai penetrate così sottopelle da essere istintive come il respiro stesso.

Nel frattempo, Connie non ha compiuto un sacrificio da tragico eroe romantico (cosa che sarebbe risultata innaturale per il personaggio), e nonostante abbia rifiutato la mano di Sasha non ha certo rinunciato a combattere per cercare di salvarsi la pelle.

I momenti successivi sono terribili e frenetici, e mentre Connie si fa guidare più che altro dall’istinto Sasha dalla sua ha l’esperienza che la aiuta a continuare a ragionare lucidamente, scegliendo ad esempio di finire di uccidere gli zombie dopo che Connie è stato morso anziché correre subito da lui come avrebbe voluto.

Probabilmente è la stessa esperienza – oppure il suo innato istinto – che la spinge a chiudere la cintura attorno alla gamba di Connie come un laccio emostatico.
O, forse, è la ferrea volontà di credere di poter fare qualcosa per lui… di poterlo salvare.
È quello che dice anche a lui, e nella sua promessa di portarlo dal medico e in quel “Vedrai che avranno una cura” c’è la disperata ricerca di una consolazione non tanto per Connie, quanto invece per se stessa.

Connie, invece, ha già accettato la sua sorte. Un po’ stupisce che non mostri il minimo accenno di paura, ma in una situazione del genere – col sollievo di vedere che almeno Sasha è sana e salva – non è neppure così inverosimile. Dopotutto di fronte all’idea della morte ognuno reagisce a modo suo, e non esiste un modo giusto o sbagliato.

La sua richiesta a Sasha di ucciderlo è terribilmente crudele ed egoista, ma Connie pare non rendersene neppure conto. Dopotutto sta morendo, e dal suo punto di vista ha il sacrosanto diritto di chiedere ciò che vuole come ultimo desiderio… e lui vuole morire da essere umano.
Insensibile? Certo, ma non per questo meno umano. Anzi, è proprio questo secondo me a rendere questa scena tanto realistica.

E Sasha… Sasha è sconvolta, ovviamente. Così tanto che ancora non è riuscita del tutto a elaborare quanto è successo negli ultimi minuti, così tanto da iniziare ad agire meccanicamente – come fa nei momenti di pericolo – quando Connie insiste con la sua preghiera e addirittura le mette perfino una freccia in mano.

Come aveva fatto suo padre.

Veniamo quindi, finalmente, a conoscere l’ultima parte della storia di Sasha e il vero motivo che l’ha spinta a lasciare la propria gente, e di fronte a questa rivelazione il suo atteggiamento – il voler vivere da sola, la fermezza nell’uccidere per non essere uccisa, la sua ritrosia nell’accettare l’invito di Connie al villaggio nonostante l’idea evidentemente la attraesse – assume tutt’altro significato.

E allora, finalmente, Sasha smette di essere quello che gli altri si aspettano da lei e inizia ad essere se stessa… inizia a pensare a se stessa; perché se pure ha accettato di perdere il proprio padre si rende conto che adesso, dopo aver assaporato una vita in compagnia di Connie, non riuscirebbe a tornare alla solitudine senza sentirsi bruciare ogni istante dal rimpianto per quel che aveva perso.
Così, per una volta, è lei a compiere un’azione egoistica, senza neppure chiedere il parere di Connie – come del resto né lui né suo padre avevano chiesto il suo quando l’avevano implorata di ucciderli.

La sicurezza nei suoi gesti, una volta presa la decisione di provare a salvare Connie, potrebbe sembrare strana solo ad un occhio superficiale, perché se è vero che nessuno è a conoscenza di una cura per il morso di uno zombie e che non si è mai sentito dire di nessuno che in qualche modo è riuscito a sopravvivere senza trasformarsi, è anche vero che Sasha è avvezza a vivere tra i boschi ed è realistico pensare che abbia istintivamente associato il morso dello zombie a quello di qualche serpente velenoso, e che di conseguenza lo tratti come tale: in assenza dell’antidoto, è necessario rimuovere l’arto leso sperando che il veleno non si sia già propagato al resto del corpo.

Questa apparente sicurezza è però tradita dagli “occhi bui” che compaiono non appena si appresta ad amputare la gamba di Connie, e credo sia un dettaglio non da poco: è ovvio che quella è una situazione di emergenza da trattare con misure drastiche di emergenza e quindi non sta esitando, tuttavia è anche ovvio che Sasha non è certo abituata a operazioni del genere e, per quanto sappia che è il male minore, resta comunque qualcosa di estremamente difficile e pesante da sopportare.
In quegli occhi bui, dunque, ho visto lo sforzo di Sasha di estraniarsi il più possibile dalla realtà per poter conservare le forza e – soprattutto – la risoluzione necessarie a fare quanto andava fatto.

E Connie… beh, di lui qui non c’è da dire molto: si è reso conto ovviamente che Sasha ha rifiutato la sua richiesta, ma altrettanto ovviamente non capisce cosa intenda fare – non solo perché non è nella sua testa, ma anche probabilmente perché la ferita e tutta quella situazione gli hanno provocato una comprensibile confusione.
Esegue la sua richiesta di bere il vino sempre senza capire, un po’ perché si fida di lei e un po’ probabilmente perché Sasha, in quel momento, ha un’espressione che non ha mai visto e cui neppure si sogna di dire di no.
Poi, per sua fortuna, sviene.

Sasha riesce a controllarsi abbastanza a lungo da terminare l’operazione e cauterizzare la ferita, poi, come comprensibile, crolla.
Tutte le paure e i dubbi che aveva allontanato fino a quel momento la travolgono insieme, ed è emblematico vedere come la sua paura più grande – subito dopo il rischio che Connie muoia comunque – è che lui la odi: lei ha fatto quel che ha fatto per salvarlo, vero, ma si rende conto di averlo salvato per se stessa e ha una folle paura che quel suo gesto egoista possa portare il ragazzo che ha scoperto di amare ad odiarla.

La cosa straordinaria di Sasha, però, è che si concede di abbandonarsi al terrore solo per pochi minuti, solo per sfogarsi e non esplodere, poi si costringe a tornare padrona di sé e inizia a pensare a Connie, al modo in cui curarlo, alla successiva degenza, al luogo in cui trasferirsi in seguito perché ovviamente lui non sarebbe più riuscito ad arrampicarsi… tutto quanto.
Tutto per Connie, per non vanificare i suoi sforzi e riuscire a tenerselo stretto… e per se stessa, per riuscire ad andare avanti.


Sasha continua a prendersi cura di Connie, preoccupata perché ancora non si è risvegliato. La confessione sussurrata sulle sue labbra è tenera e genuina, e più ancora di quel “ti amo” la forza della parte successiva lascia senza fiato: “odiami quanto vuoi, ma non mi lasciare sola”.
Si sente insieme tutta la potenza di quel sentimento che solo adesso ha avuto un nome e la paura di Sasha di rimanere da sola, di scoprire cosa vuol dire stare senza di Connie proprio adesso che ha capito di amarlo.

Fortuna che Connie, come dice lui stesso, non andrà da nessuna parte senza di lei. E il suo aggiungere quella battuta stupida subito dopo per tentare di stemperare l’atmosfera è esattamente qualcosa che ci si aspetterebbe da lui, e l’ho sinceramente adorata.

All’arrivo di quei visitatori inaspettati Sasha si rimette immediatamente sull’attenti, pronta a difendere Connie da quelli che – lo capisce dal suono dei passi – non sono dei banali zombie… anche se probabilmente lo avrebbe preferito: è abituata ormai ad affrontare i non morti, ma i vivi possono rappresentare pericoli oltre ogni immaginazione.
Tuttavia, essendo giustappunto esseri umani, Sasha non scocca la freccia per colpire ma solo per spaventarli. Mi è piaciuto questo particolare, perché rivela come nonostante Sasha sia in grado di combattere per proteggere se stessa e chi ama non per questo ha smesso di avere una coscienza: uccide animali e zombie senza remore, ma prima di colpire un altro essere umano tenta ogni altro approccio possibile.

E così entra in scena Hanji.
Lei è il mio personaggio femminile preferito di tutto SnK, e sono stata davvero felice nel trovarla così ben caratterizzata in questa storia nonostante la brevissima apparizione: la noncuranza con cui reagisce al colpo di avvertimento di Sasha, il modo rapido in cui studia l’ambiente e ne trae le debite conclusioni e la sicurezza che traspare dal suo atteggiamento, niente affatto intimorita da quello di Sasha.
E, soprattutto, quello “strano sorriso” che le si apre in viso nel sapere che Sasha, per tentare di bloccare l’infezione, ha amputato il piede di Connie.
Non ci è dato modo di sapere le reali implicazioni di quel sorriso, ma possiamo facilmente presupporre che Hanji è soddisfatta di essere riuscita a imbattersi in qualcuno morso da uno zombie che però è stato trattato tempestivamente, e che quindi è stato probabilmente salvato dal contagio.

Infine, ho trovato molto adeguato sottolineare come la proposta di Hanji di aiuto e cure mediche sia vista con sospetto da Sasha: lei si rende conto che sembra quasi troppo bello per essere velo e che probabilmente ci sarà un prezzo da pagare, e tuttavia non esita neppure per un istante perché qualunque sia questo prezzo sarebbe ben disposta a pagarlo, pur di poter avere le cure necessarie per Connie.

Pur di restare con lui, insieme contro tutto e tutti.




[Fine prima parte - Valutazione completa nel topic del contest]
(Recensione modificata il 24/05/2020 - 09:03 am)
(Recensione modificata il 24/05/2020 - 09:07 am)
Recensione alla storia Der Hölle Rache - 08/09/19, ore 12:52
Capitolo 4: Hört, hört der Schwur!
[Valutazione del contest "Un fiume di soulmate!AU]

Titolo:
Questo titolo mi fa sorridere ogni volta che lo leggo, perché ha un’aria austera e ufficiale che in realtà nasconde una dolcezza genuina e quasi ingenua, con quel “giuramento” sbandierato ai quattro venti che soltanto alla fine rivela la sua vera natura.



Caratterizzazione dei personaggi:
In quest’ultima storia vediamo tutto quanto attraverso gli occhi di Eren. Un Eren convalescente, che non si cura minimamente di essere letteralmente senza braccia e preferisce passare il suo tempo ad ammirare un Levi in versione massaia.

Ho trovato questo suo atteggiamento molto verosimile, perché in fondo Eren non si è mai preoccupato delle proprie ferite. Insomma, non viene chiamato “idiota suicida” a caso, no?
Inoltre, ho apprezzato moltissimo il sottolineare come la sua preoccupazione principale per quelle menomazioni sia stata inizialmente verificare che la “L” riaffiorasse. Come a dire: non mi importa del dolore né del mio corpo dilaniato, basta che mi lasciate Levi.
Davvero molto tenero nella sua genuina ingenuità, perché dopotutto Eren è soltanto un ragazzino innamorato ed è giusto che faccia ragionamenti del genere.

Mi ha fatto sorridere anche quella sua gioia infantile nel constatare che – probabilmente – Levi tiene lontana Mikasa per gelosia, perché lo trovo un dettaglio estremamente in linea col personaggio che siamo abituati a conoscere.

Invece, quelle frecciatine più o meno arroganti con cui cerca di provocare Levi sono qualcosa di assolutamente nuovo, che però ben si accordano sia al tipo di rapporto che si è instaurato tra loro sia – soprattutto – all’evoluzione che lo stesso Eren ha avuto nel corso della tua raccolta. Quindi, nonostante nel contesto originale sarebbero sembrate assolutamente fuori luogo perché Eren mai e poi mai si sarebbe sognato di mancare così tanto di rispetto al “suo” capitano, qui risultano tranquillamente IC.
Dopotutto, come dicevo, è pur sempre un adolescente… e in quanto adolescente il sesso è un pensiero fisso – soprattutto se si trova sdraiato a letto, solo nella stanza con il suo compagno.


E Levi… lui è perfettamente se stesso sempre e comunque. Anzi, forse lo sembra addirittura più in questa storia che nelle altre, probabilmente perché lo vediamo di nuovo dall’esterno e dobbiamo leggere i suoi pensieri e sentimenti solo attraverso le sue azioni – esattamente come nell’anime e nel manga – senza avere un “accesso diretto” alla sua mente.

Di lui mi è piaciuto tutto, dal modo in cui fa la “massaia” con lo stesso impegno con cui combatte o tortura alla velocità con cui si infiamma alle provocazioni di Eren.
Soprattutto, però, ho apprezzato moltissimo la delicatezza che trapela dietro alle sue frasi sboccate e ai suoi modi bruschi… e quella premura con cui infine concede ad Eren ciò che desidera stando però attento a non fargli male.
O meglio, a non fargliene più di quanto sia necessario per il suo piacere.

Una piccola nota di merito per quel “Apri la camicia, Eren. Già, non puoi. Fastidioso”, perché è una battuta così tremendamente da Levi che farebbe quasi venire i brividi se non mi avesse fatto ridere come una pazza immaginando la sua espressione scocciata!


Tornando ad Eren, ho molto apprezzato che in questa storia sia tornato a riflettere sulla sua decisione di procurarsi da solo quella ferita quasi fatale. Inoltre, mi è piaciuto che lui stesso si sia reso conto – a posteriori, ma meglio di niente – che è stata una gran cavolata e che ammetta con se stesso di aver sbagliato perché, a differenza di Levi, è troppo impulsivo e non riesce a ragionare con lucidità.

E poi, nel finale, troviamo ancora quell’irruenza che gli è così tipica sia nelle tue storie che nel canon. Un’irruenza che da un lato lo porta a lasciarsi andare completamente e senza alcuna vergogna alle attenzioni di Levi, dall’altro lo spinge a snocciolare quel giuramento romantico e un po’ teatrale, che tuttavia non stona affatto nel contesto.

Dopotutto, Eren e Levi quando sono soli si rinchiudono in un mondo tutto loro dove non devono rendere conto di niente a nessuno, e possono ben concedersi – per una volta – di abbassare le difese e abbandonarsi a un momento di dolcezza.



Stile e trama:
Lo stile di questa storia è nettamente in contrasto con il finale della precedente, e non soltanto per il cambio di punto di vista – che comunque si avverte moltissimo – ma per una commistione di ritmo e atmosfera che non potrebbero essere più diverse di così. In primo luogo, troviamo di nuovo un connubio quasi alla pari tra introspezione e azione che rende la lettura scorrevole ma tranquilla, pacata, senza nessuna accelerazione o rallentamento improvvisi che rendono perfettamente l’idea di questo momento intimo e tranquillo.

La pace dopo la tempesta, oserei dire, dato che ci troviamo in un punto della storia dove ormai il peggio è passato, i guai – o almeno quelli più imminenti – sono risolti e ai nostri due protagonisti non resta altro da fare che godersi questo inaspettato ed effimero angolo di paradiso.

Il punto di vista di Eren si avverte moltissimo, ovviamente, e mi piace come tutta la storia sia narrata attraverso la sua lente soggettiva e un po’ infantile.
La giovane età di Eren, infatti, è uno degli altri elementi che più concorrono a creare un contrasto di stile con le storie precedenti, dove la maturità e l’esperienza – spesso negativa – di Levi gli impedivano di abbandonarsi a pensieri completamente romantici e lasciavano sempre una vena cinica o malinconica di sottofondo.

Eren, no. Lui quando pensa a Levi lo fa come se fosse circondato da cuori e fiorellini; lo ama e lo ammira ai limiti dell’adorazione, ed è una cosa così dannatamente tenera che mi fa venire voglia di strapazzarlo di coccole (salvo poi ricordarmi che Levi non apprezzerebbe).

Sul serio, mi piace questo suo modo di abbandonarsi a pensieri anche sdolcinati che però sono perfettamente in linea con la fase che sta vivendo: in fondo Eren è pur sempre un adolescente, anche se un adolescente soldato e mutaforma, quindi è giusto che nei momenti di tranquillità si conceda di comportarsi secondo la sua vera età e non come il mondo si aspetta da lui.

La scena di Levi che pulisce e rassetta la camera è assolutamente perfetta sia per il suo personaggio che per la situazione, così come – te ne ho già parlato – mi piacciono i tentativi di Eren di provocarlo abbastanza da convincerlo a “punirlo”.

L’unica cosa che mi stona è una frase di Levi: “Sta zitto, bastardo, lo sto facendo per te, la pulizia è essenziale, perché vi piacesse vivere come dei maiali non lo capirò mai, per fortuna ci sono io a farvi lavorare”.
Anche in questo caso, ciò che non mi convince non è il contenuto – che al contrario mi sembra assolutamente coerente con il personaggio e la situazione – ma la punteggiatura. So di essere ripetitiva e mi dispiace, ma tutte queste virgole consecutive rendono piatta una frase che invece avrebbe molte potenzialità.

Oh, e confesso di avere qualche dubbio anche con lo scambio di battute successivo. Un’inezia, in realtà, ma te la chiedo lo stesso per essere sicura di aver capito bene: quando Eren dice “Fino a prova contraria quello che aveva una madre che faceva…” si riferisce al “bastardo” che aveva detto Levi prima? O sono io che ho preso fischi per fiaschi e in realtà intendeva tutta un’altra cosa?

Comunque sia, questo gioco di provocazioni è delizioso, e mi fa morire dal ridere la considerazione di Eren sul fatto che Levi non si sa mai quando scherza o quando è incazzato sul serio e conclude che dipende “da quanto trova tollerabile chi ha davanti”. Un genio, quel ragazzo!

Mi piace anche l’accenno al Legame che si ha subito dopo: Eren riflette sulla sua ferita fisica e su quella metaforica che ha inferto di conseguenza anche a Levi e sottolinea che loro “si sentono”.
È un’informazione sul funzionamento del Legame di cui finora il lettore non era a conoscenza, e ho apprezzato che sia stata fornita così tra le righe anziché con una spiegazione enciclopedica perché in questo modo risulta naturale e perfettamente inserita nel contesto.

E poi… e poi c’è Levi che finalmente cede alle provocazioni del suo compagno e si dedica a lui perché “in fondo te lo devo”, ed è una cosa tenerissima ma non stucchevole che fa sorridere senza però snaturare il personaggio di Levi.

Dulcis in fundo, ho trovato perfetto quel “ti amo anche io” bisbigliato in risposta all’accorata dichiarazione di Eren, così piano che nessuno può dire con certezza se sia uscito dalle labbra di Levi o dalla fantasia di Eren… ma, in ogni caso, va benissimo così.



Gradimento personale:
Quest’ultima storia è dolce e romantica, fluffosa quanto basta per farmi sorridere dalla prima all’ultima parola ma non tanto da risultare esagerata o inverosimile. Mi è piaciuta davvero tanto, anche perché nel loro mondo è raro che Eren e Levi abbiano momenti così sereni, ed è stato bello leggere per una volta qualcosa – quasi – completamente privo di angst.









Valutazione generale della raccolta: Der Hölle Rache

Titolo raccolta:
Innanzitutto devo dire che, nonostante solitamente prediliga i titoli in italiano, ho molto apprezzato la tua scelta di utilizzare invece il tedesco: come hai detto tu stessa nelle note, è molto adatto a questo fandom per una lunga serie di particolari, e aiuta – secondo me – ad entrare ancora di più nell’atmosfera della raccolta.

Anche la scelta del titolo vero e proprio della raccolta mi è piaciuta: ho visto e ascoltato “La furia infernale” e l’ho letteralmente adorata. Inoltre, anche il significato generale – e il messaggio finale che ne deriva – è particolarmente adatto alle storie che hai scelto di raccontare.



Sviluppo del soulmate!AU
L’elemento soulmate è fondamentale in questa raccolta, sia per la trama che per la caratterizzazione dei personaggi, e trovo che sia stato gestito molto bene: non solo spieghi al lettore in cosa consiste, ma analizzi anche sfumature più controverse quali l’invidia delle altre persone – perché in un mondo come quello di SNK è estremamente difficile riuscire a trovare il proprio soulmate – e i sentimenti contrastanti di paura ed emozione che prova Levi al momento della scoperta.

L’unica nota dolente – diciamo così – sta nel fatto che la tipologia di soulmate!AU da te scelta come principale in realtà risulta solo in secondo piano, e nell’intera raccolta è la lettera che Levi ed Eren hanno sui polsi ad avere l’importanza maggiore: è quella lettera che Levi maledice nella prima drabble, è quella che nella seconda storia gli permette di capire che Eren è il suo soulmate, è quella che Eren gli accarezza nella terza storia ed è sempre quella che nella quarta Eren si premura di verificare che ricompaia nonostante le amputazioni delle braccia.

Invece il discorso del “solo il tuo soulmate umano ti può uccidere volontariamente” viene citato esplicitamente soltanto nella terza drabble – prima con quel breve cenno a Mikasa e alle sue possibili ritorsioni e poi con il colpo di scena finale – e viene velatamente accennato nella quarta citando la ferita che Eren si è fatto infliggere da Levi.

Onestamente, credo che in un mondo del genere – dove le persone muoiono come mosche per colpa dei Giganti – questo soulmate!AU non abbia avuto la possibilità di esprimersi al pieno delle sue potenzialità. Probabilmente – ma questa è solo la mia opinione – sarebbe stato meglio scegliere come soulmate!AU principale la lettera sul polso, e aggiungere comunque la ferita autoinflittasi da Eren tramite Levi con un altro espediente.

Di contro, ho molto apprezzato che la lettera che compare sulla pelle di entrambi non solo abbia un’importanza notevole in tutta la raccolta, ma venga arricchita da numerosi particolari quali il modo in cui riemerge dopo essere stata graffiata via o come è diventata incandescente nel momento in cui Levi ed Eren si sono finalmente trovati.



A presto!
rhys89

Recensione alla storia Der Hölle Rache - 08/09/19, ore 12:48
Capitolo 3: Alle Bande der Natur
[Valutazione del contest "Un fiume di soulmate!AU"]

Titolo:
Un titolo tanto poetico quanto criptico, seppure molto bello. Il collegamento con la storia c’è, ma non è così immediato come nelle altre: occorre leggere bene tra le righe e cogliere ogni sfumatura, e solo a quel punto riesci a dire “ma certo, ecco di cosa parlava!”.



Caratterizzazione dei personaggi:
In questa storia, vediamo un Levi finalmente consapevole che si ritrova suo malgrado a riflettere su Eren e sul loro Legame. La cosa che mi è piaciuta di più, è che nonostante la vena romantica che pervade tutta la storia – ora più in superficie, ora nascosta dietro una maschera di cinismo – il nostro Levi non risulta mai snaturato, ma rimane sempre fedele a se stesso.
Lo vediamo in quella prima riflessione iniziale, quando ammette di aver nascosto tutto ciò che potrebbe indebolirlo – come il ricordo di sua madre e del suo passato – in un angolo nascosto della sua anima, oppure quando si rivela orgoglioso dei “suoi” ragazzi… orgoglio che, ovviamente, non paleserà mai. Anche questo è estremamente da Levi, così come la considerazione del “devono credere di non essere mai abbastanza” così da migliorarsi sempre di più, perché in definitiva il suo scopo è quello di mantenerli vivi, non di coccolarli.

E, tra una considerazione e l’altra di Levi, troviamo una piccola e deliziosa chicca con Hanji (ma quanto la adoro!), che con un’unica occhiata capisce che “voi maschi vi fate male anche per giocare”. Che dire, l’ho trovata assolutamente perfetta e fedele a se stessa, soprattutto con quel sorrisetto sadico che fa capolino sul suo viso quando li lascia soli per… “andare a raccogliere dati”. (Certo, come no…)

Ho apprezzato molto anche il contrasto tra Eren e Levi… o meglio, il contrasto del modo in cui vivono questo loro Legame: lo avvertono entrambi in modo assoluto e inevitabile, ma mentre Levi cerca in ogni modo di tenerlo a bada ed evitare di abbandonarvisi perché sarebbe una distrazione e le distrazioni nel loro mondo sono fatali, Eren sviluppa subito una devozione totale per Levi, si concede completamente e senza riserve. In fondo è solo un ragazzino, nonostante la guerra l’abbia fatto crescere in fretta, e la sua giovanissima età più l’affetto ricevuto durante l’infanzia rendono estremamente verosimile questi suoi comportamenti da adolescente innamorato qual è.

Molto tenero il modo in cui però Eren cerca un po’ di limitarsi con le “sdolcinatezze”, concedendosi di accarezzare la “E” sul polso di Levi solo quando dorme e mordendosi le labbra per non lasciarsi sfuggire quel “ti amo” che Levi, comunque, avverte lo stesso.

Levi che non può negare a se stesso la forza di ciò che lo lega ad Eren e questo lo spaventa da morire, perché è consapevole che in questo modo sono diventati l’uno la debolezza dell’altro… eppure nemmeno lui può fare a meno di concedersi di cullarsi – di tanto in tanto – nell’agrodolce consapevolezza di essere stato dannatamente fortunato a trovare il suo soulmate, perché sa bene che ben pochi nel loro mondo possono permettersi di dire lo stesso.

Fa capolino anche Mikasa, in questa storia, e ovviamente lo fa per proteggere Eren. Trovo assolutamente perfetta questa sua piccola comparsata che dura giusto il tempo di “promettere le più atroci torture” a Levi se farà soffrire Eren, perché in fondo proteggere il suo “fratellino” è il principale scopo della sua esistenza, e onestamente sarebbe stato strano il contrario: non importa che Levi sia tecnicamente il suo superiore e probabilmente anche un uomo ben più forte di lei, quando si tratta di Eren queste bazzecole passano in secondo piano.

Mi è anche piaciuto quella che sembra l’ombra di un profondo rispetto che Levi prova per Mikasa, che trapela dalla sua considerazione sul fatto che – nonostante tutto – non sarebbe il tipo da manomettere la sua attrezzatura per farlo uccidere dai Giganti.

Nel flash-back sul ricordo della loro prima notte insieme – subito dopo il processo di Eren – vediamo distintamente quanto sia combattuto Levi, riguardo a quel Legame appena scoperto.
Anche qui, è molto bello il contrasto tra l’approccio di Eren – sicuro al limite dell’arroganza – e quello di Levi, che invece si sente quasi in colpa per qualcosa su cui non ha neppure il controllo.

Mi è piaciuto l’accenno al fatto che – oltre a tutto il resto – una piccola parte di Levi registra con una fitta al cuore anche la verginità di Eren. Può sembrare una cosa da niente, ma per lui è l’ennesima conferma del trovarsi davanti un ragazzo giovanissimo, con alle spalle un passato che non potrebbe essere più diverso dal suo… e che adesso e per sempre sarà destinato a lui e lui soltanto.
E mi è piaciuto ancora di più quando, in seguito alla tenera e innocente richiesta di Eren di un bacio – di nuovo nettamente in contrasto con il brusco ordine di Levi di calarsi i pantaloni e piegarsi sulla scrivania – lui non possa fare a meno di sciogliersi e concedergli anche più di ciò che Eren gli chiede (e più di quanto lui stesso pensi di meritare).


Ho trovato molto interessante, nel paragrafo finale, questa tua interpretazione sull’incapacità di Eren di trasformarsi: in questo universo che hai creato è assolutamente verosimile che Eren rifiuti inconsciamente la sua natura di Gigante perché teme che lo allontani da Levi.

Altrettanto verosimile è la sua scelta avventata di pugnalarsi tramite Levi, perché seppure non funzionasse lui certamente preferirebbe morire insieme a Levi e ai suoi compagni, piuttosto che sopravvivere sapendo di essere stato inutile.

E, da brava testa calda, nella foga della battaglia non si rende conto che – così facendo – è come se oltre a se stesso avesse pugnalato anche Levi. Dritto al cuore.



Stile e trama:
Il ritmo della storia è lento e costante per quasi tutta la sua durata, con una netta prevalenza di parti introspettive che ricordano molto da vicino un lungo flusso di coscienza, interrotto solamente dal breve racconto dell’incontro con Hanji.
Tuttavia, anche in questa storia, nonostante la forte componente introspettiva la narrazione non risulta mai appesantita, e la lettura procede spedita da un pensiero all’altro e da una considerazione all’altra senza intoppi e senza mai perdere il filo del discorso.


La descrizione del rapporto di Levi ed Eren è il vero fulcro attorno a cui ruota tutta la storia, – come è giusto che sia – ma ho apprezzato che tu abbia anche dato spazio ad argomenti diversi, seppur ovviamente in modo ridotto.

In particolare, ho apprezzato l’accenno iniziale all’orgoglio nascosto che Levi prova per le sue reclute, ma anche il rispetto per Mikasa e la cinica considerazione sul ruolo del sesso nella Città Sotterranea – così diverso da quello che ha per Eren.

Riguardo proprio Eren, mi è piaciuto come viene delineato il loro rapporto in relazione anche a quelle tendenze sadomasochistiche che hai introdotto nella scorsa storia. Mi è piaciuto perché, pur continuando su questa linea e non facendo mistero del fatto che Levi apprezzi comunque questo genere di attività, ti sei premurata di sottolineare che lo stesso Levi agisce così perché è ben consapevole che a Eren tutto questo piace, e parecchio.

Perché il Levi che conosciamo può fingere quanto vuole di essere un sadico bastardo, ma noi sappiamo bene che non è così. Che dietro quella maschera di menefreghismo è una persona fondamentalmente buona e che, se non fosse sicuro al cento per cento che il suo compagno non solo “sopporti” ma proprio abbia bisogno di queste “punizioni” perché senza dolore non sente di meritare nulla, non si permetterebbe mai di trattarlo così.


Con il cambio del paragrafo c’è un netto cambiamento anche di stile: ci ritroviamo catapultati in un flash-back sul primo confronto di Eren e Levi dopo il processo, e qui abbiamo una notevole componente di azione diretta e dialoghi, che tuttavia viene comunque alternata a una buona dose di introspezione per permetterci di continuare ad osservare Levi da vicino e conoscere i suoi pensieri e le sue emozioni in un frangente così delicato.
E, proprio per questo, abbiamo la possibilità di apprezzare appieno il netto contrasto tra le sue parole secche e i suoi ordini bruschi con quelli che invece sono i suoi dubbi e le sue paure più intime… oltre ai suoi desideri, ovviamente.


Nell’ultimo paragrafo si cambia di nuovo, sia stile che scena che posizione temporale.

Riguardo a quest’ultima, c’è una cosa che non mi torna: nella seconda frase dici che “domani ci attende uno scontro decisivo”… e subito dopo lo scontro è già cominciato.
Non guardo questa serie da un po’ e quindi magari mi sono persa qualcosa per strada io, ma non capisco se lo scontro di cui parli è effettivamente lo stesso che poi troviamo già in atto nella frase successiva oppure sono due cose diverse…

Ma torniamo alla storia.
A inizio valutazione ti ho detto che il ritmo prosegue lento e costante fin quasi alla fine… ecco, siamo arrivati a quel “quasi”.
Perché se all’inizio abbiamo una quasi totalità di introspezione e col flash-back troviamo una commistione quasi alla pari tra introspezione e azione diretta, qui l’azione prende totalmente il sopravvento e le cose succedono così in fretta che il lettore rimane spiazzato, ritrovandosi alla fine ad osservare orripilato il sangue che da Eren cola su Levi senza quasi essersi reso conto di come diamine sia potuto succedere.
E questo… questo è assolutamente perfetto, perché è esattamente quello che ha provato Levi in quei folli attimi prima di un gesto che oltre che disperato è stato anche molto stupido per tutte le milioni di cose che sarebbero potute andare storte.

E la storia finisce così, con quelle gocce salate che non possono essere lacrime che si accumulano negli occhi di Levi, mentre si rende finalmente conto di quanto è successo quando ormai non può più fare niente per evitarlo. Proprio come noi.



Gradimento personale:
Sicuramente, la cosa che più mi è piaciuta di questa storia è come hai sviluppato il rapporto tra Levi ed Eren, contrasto tra i pensieri e le emozioni di Levi e i suoi modi bruschi… che però non turbano minimamente Eren, anzi. Perché in fondo lui non ha bisogno che qualcuno gli dica come è fatto Levi: lo sa già, lo sente dentro. E lo ama anche per questo.



A presto!
rhys89

Recensione alla storia Der Hölle Rache - 08/09/19, ore 12:47
Capitolo 2: Du wird erblassen
[Valutazione del contest "Un fiume di soulmate!AU"]

Titolo:
Un titolo semplice eppure molto interessante per la sua ambivalenza: è ripreso nella storia sia nel suo senso letterale “perdere sangue” con Eren che viene picchiato ancora e ancora, sia nel senso più metaforico con Levi che impallidisce nel momento in cui scopre che Eren è il suo soulmate.



Caratterizzazione dei personaggi:
Il protagonista indiscusso è di nuovo Levi. Un Levi più adulto, stavolta, presentato in un momento ben noto a noi fan. Mi è molto piaciuta l’introspezione che gli hai dato in questo frangente così particolare, immergendoti nella sua testa per tentare di spiegare quali siano stati i suoi pensieri dietro la sua espressione – quasi – sempre impassibile.
Levi mostra alla corte così come al mondo intero una maschera di freddezza dietro cui però si nasconde una certa vena di sadismo di cui Levi stesso è a stento consapevole, ma che non lo disturba più di tanto… al contrario di quella “E” che brucia sul suo polso.
Il fatto che Levi non accolga questa rivelazione con gioia – o stupore o meraviglia – ma quasi con rabbia è tremendamente IC, soprattutto per il background che gli hai creato con la prima drabble: sarebbe stato innaturale per uno come lui dimenticare i propositi di vendetta a lungo covati nel suo cuore, a prescindere da quanto forte fosse già quella strana attrazione per Eren; tuttavia, da persona estremamente razionale qual è, nonostante la rabbia iniziale Levi si rende subito conto che tutto il rancore provato per il suo soulmate finora sconosciuto non ha più ragione di esistere, perché – come dice lui stesso – come mai avrebbe potuto aiutarlo, se all’epoca non era ancora nato?

E poi veniamo a Eren. In effetti di lui non sappiamo molto più di quanto già rivelato nel canon, ma intanto mi è piaciuto come con poche frasi gettate quasi casualmente qua e là hai dipinto accuratamente il suo ritratto da “idiota suicida”. E poi… e poi ammettiamolo: durante quella famosa scena del tribunale tutti hanno pensato che in realtà Eren non fosse poi così tanto dispiaciuto nel farsi malmenare da Levi… o almeno, io l’ho pensato di sicuro, visto come lo guarda subito dopo!
Ad essere sinceri fino in fondo, devo dire che questo suo manifestare così apertamente il suo desiderio di sottomissione all’inizio mi ha un po’ stonato perché non collima perfettamente con la caratterizzazione originale. Tuttavia, dopo averci pensato su, ho capito che il fattore soulmate!AU qui gioca un ruolo chiave anche per la caratterizzazione. Perché se nell’opera originale l’orgoglio di Eren probabilmente gli impedirebbe di comportarsi così con uno sconosciuto, qui Eren sa (grazie alla L che gli brucia sul polso) che Levi non è uno sconosciuto qualsiasi, bensì l’altra metà di sé, colui che è destinato a rendere finalmente completa la sua vita. In quest’ottica, la sua arrendevolezza è decisamente giustificata e – almeno secondo me – anche in linea con il suo personaggio.



Stile e trama:
Nonostante la quasi totale assenza di discorsi diretti e la grande quantità di introspezione la flash non risulta niente affatto pesante, anzi: grazie soprattutto ad una sintassi pulita e costituita prevalentemente da coordinate per asindeto il lettore non perde mai il filo del discorso e ogni frase risulta di immediata comprensione.

Il ritmo della narrazione è piuttosto incalzante, tuttavia la lettura viene talvolta rallentata da un uso eccessivo delle virgole. A volte non è nemmeno un problema di pause, quanto piuttosto della “monotonia” delle pause stesse, date quasi sempre da virgole.
Sicuramente non mi sono spiegata bene, quindi ti faccio un esempio: “Mi dico che è un’ordalia necessaria, ma la verità è che ci sto provando gusto, sento un’eccitazione sconosciuta che mi vibra dentro, non mi sono mai sentito così vivo.”
Potrebbe diventare: “Mi dico che è un’ordalia necessaria, ma la verità è che ci sto provando gusto: sento un’eccitazione sconosciuta che mi vibra dentro… non mi sono mai sentito così vivo.”
Ovviamente solo un esempio spicciolo per spiegarti cosa intendevo, nulla di più.

Tornando a noi, c’è veramente molto Levi, in questa storia. Tanto, così tanto che nel leggerla mi sembra di sentire al sua voce raccontarmi sia i fatti concreti che i suoi pensieri più intimi… e questo è assolutamente perfetto per una narrazione in prima persona.

Mi è piaciuto molto anche l’accenno iniziale a quella che è la più importante filosofia di Levi: “fidarsi è il peggior errore”.
Viene citato quasi di sfuggita, tanto che potrebbe passare inosservato, ma nasconde una profonda e amara consapevolezza maturata negli anni probabilmente a un prezzo troppo alto per poter essere descritto. Tanto più che Levi non è tipo da guardare al passato: impara dai suoi errori o da quelli degli altri e si lascia il resto alle spalle… o almeno ci prova.

Altro particolare che ho trovato interessante è il passaggio dal masochismo descritto nella prima drabble a questo sadismo latente che, tuttavia, ha una natura completamente diversa: se nella prima drabble c’era il bisogno di farsi del male fisico per sopportare quello psicologico, qui la voglia di far del male ad Eren nasconde un desiderio e un bisogno inizialmente sconosciuti, che però vengono subito a galla nel momento in cui si ritrova a vederli riflessi con chiarezza negli occhi vogliosi di Eren.

Voglia a cui il suo corpo risponde con un brivido… e con quella “E” sul polso che “brucia come l’inferno”.
E così Levi si rende conto in un istante che quella lettera non appartiene a Erwin, che il suo rancore non ha ragione di esistere… e che è destinato ad amare un pazzo – anzi, un idiota suicida.

Sono un gran mucchio di scoperte in un lasso di tempo così breve, e ho trovato la reazione di Levi molto realistica: si passa dall’incredulità alla rabbia e alla consapevolezza in un lampo, e altrettanto velocemente si ritorna alla rabbia e di nuovo all’accettazione.

Inoltre, mi è piaciuto anche come hai alterato la scena canonica inserendoci pochi particolari chiave che ne ripropongono una lettura completamente diversa; soprattutto perché sono attimi che potrebbero essere facilmente passati inosservati a chiunque non fosse nelle immediate vicinanze e quindi non vanno ad intaccare la verosimiglianza della narrazione.



Gradimento personale:
Adoro quando una storia ripropone scene già note del fandom aggiungendo l’introspezione del protagonista, e qui hai gestito questo espediente in modo davvero eccezionale. Inoltre, quelle piccole e sostanziali aggiunte sono state quel che si dice “la ciliegina sulla torta”.



A presto!
rhys89

 
Recensione alla storia Der Hölle Rache - 08/09/19, ore 12:46
Capitolo 1: Tod und Verzweiflung
[Valutazione del contest "Un fiume di soulmate!AU"]

Titolo:
Titolo molto crudo e di forte impatto emotivo, perfetto per una drabble in cui si respira un’atmosfera opprimente priva di qualsivoglia spiraglio di luce.



Caratterizzazione dei personaggi:
In questa prima storia abbiamo soltanto Levi. Un Levi ragazzino, tra l’altro, che è da poco rimasto solo al mondo.
Tutta la drabble è permeata da quel cinismo che lo accompagnerà anche nella sua vita adulta e che è diventato un po’ la sua firma… ma attraverso quelle parole fintamente menefreghiste si intravede tutto il dolore che gli ha provocato la morte di sua madre.
Un po’ come, tra le cicatrici che si è autoinflitto, si intravede quella E che lo fa arrabbiare tanto da meditare vendetta contro quell’anima gemella che, proprio nel momento del bisogno, rifiuta di farsi vedere.
Una rabbia, questa, che oltre che essere conforme con la sua caratterizzazione originale è anche perfettamente compatibile con il periodo che sta vivendo. Insomma, Levi qui è molto giovane e sta passando quello che è probabilmente il momento peggiore della sua già difficile vita… e quella E che compare proprio adesso sembra farsi beffe di lui. Quasi a dirgli “sì, c’è qualcuno destinato a te, ma neppure lui può salvarti… sei da solo e lo sarai sempre”.
Qualcuno può biasimarlo per quel giuramento di vendetta con cui si chiude la storia? Io no di certo.



Stile e trama:
Lo stile di questa drabble è crudo e secco, nonostante la sintassi articolata da proposizioni non troppo brevi; è interessante proprio questo contrasto, tra l’armonia data dalle proposizioni perlopiù costituite da coordinate per asindeto e il lessico aspro che invece trasuda tutta l’amarezza e il risentimento che prova lo stesso Levi in quel momento.

Riguardo allo stile, ho solo due minuscoli appunti da farti.

Il primo, si riferisce alla frase “Non puzzerebbe di meno, ma non importa”. Si tratta giusto di un’inezia, ma secondo me questo punto ha leggermente interrotto la fluidità del racconto: quel “non puzzerebbe di meno” si rifà logicamente alla frase precedente, ma sembra completamente slegato dalla successiva nonostante quel “ma non importa” che li lega insieme.
Forse, ai fini della logica narrativa, sarebbe stato meglio slegare le due parti della frase e legarle invece a quelle che la seguono e precedono con qualcosa del tipo: “… come si chiamava? Non puzzerebbe di meno. / Non importa, comunque: nello stomaco…”
Ovviamente è solo la mia personalissima opinione, sei libera di ascoltarla o anche di ignorarla, come preferisci.

Seconda cosa, ho notato nella seconda metà della drabble un uso forse eccessivo della virgola, che rallenta un po’ il ritmo della lettura.
Es: “Non farti mai trovare, allora, perché il mio nome, per te, sarebbe Vendetta” --> eliminando anche soltanto la virgola prima di allora il senso della frase resta inalterato, ma la lettura è più fluida: “Non farti mai trovare allora, perché il mio nome, per te, sarebbe Vendetta.”

Detto questo, mi è piaciuto moltissimo questo breve excursus sul passato di Levi, soprattutto perché la scena è estremamente verosimile: sappiamo bene dal canon come fosse difficile la vita nei bassifondi, e questo Levi che quasi impazzisce per la fame e il dolore è assolutamente realistico.

L’immagine di lui che cerca di grattare via quella lettera maledetta che è apparsa all’improvviso è di fortissimo impatto, e si lega perfettamente al proposito di vendetta con cui si conclude la drabble.



Gradimento personale:
Mi è piaciuto moltissimo questo Levi così diverso da come siamo abituati a vederlo, ma al tempo stesso così realistico da poterlo immaginare senza il benché minimo sforzo.



A presto!
rhys89