Recensioni di Silvar tales

Queste sono le ultime cinque recensioni che l'utente ha lasciato nella sezione nell'ambito del programma recensioni.


Recensione alla storia Sospiri d'Estate - 07/09/16, ore 01:06
Capitolo 4: #3 - Sinfonia Estiva
Non riesco a pensare a un titolo più efficace per questa drabble di quello che le hai dato tu. Sinfonia d'Estate.
Ebbene, hai creato un mix di sensazioni e colori che di certo ben rappresentano questo periodo dell'anno.
L'oro dei campi di grano, il verde dell'erba, l'azzurro del cielo.
Colori semplici, come gli elementi a cui si riferiscono. Semplici e piuttosto canonici, ma assemblati in una sintesi che rasenta la poesia.
Molto bello anche il modo in cui hai messo in accordo i due elementi, Aria e Terra: il vento e il cielo assieme ai piedi che corrono sulle spighe e l'orecchio che ascolta la terra.
E il finale è vibrante di beatitudine.

Complimenti, non potevi omaggiare in modo migliore una stagione che, ormai, è giunta al termine.

Silvar
Recensione alla storia Memento - 02/05/16, ore 14:13
Capitolo 1: Memento
[Recensione premio per il contest "The Witcher"]

Mi è piaciuta davvero molto questa breve storia, più della precedente. Ho trovato la narrazione più lucida e pulita, ma, al di là del modo in cui ti sei espressa, sono stati i tanti particolari con cui hai decorato il racconto ad impreziosirlo.
Anche se, di nuovo, ci ritroviamo catapultati nel frammento di un mondo più vasto, questa volta il contesto è stato riccamente elaborato, ad esempio hai descritto molto bene il Tempio e le sue dinamiche, e inoltre quel breve tratteggio della città cavernicola, con i silenziatori, i pipistrelli, le luci magiche, il corno che suona, è a dir poco affascinante. Ho amato lasciarmi distrarre da questi bellissimi particolari e immergermi in questo mondo fantastico, che hai saputo rendere in modo così nitido. Sommario, eppure sapiente: hai effettuato un'intelligente scrematura di cosa dire e cosa invece tralasciare, con il risultato di stampare nella mente del lettore un chiaro quadro ambientale.

Ci sono altri particolari molto interessanti nella storia che hanno attirato la mia attenzione, in primis le serpi sacre. Il serpente è l'ultimo animale da cui comunemente ci si aspetterebbe protezione, invece le serpi in questo caso proteggono Elmara Kestal, avvolgendo la bambina nelle loro spire: un gesto che parrebbe minaccioso piuttosto che protettivo.
Le serpi sacre sono una componente interessante della storia: è come se fossero un'estensione percettiva di Nurlana. Sono inoltre un elemento atipico: ci hai presentato un animale che si porta con sé una miriade di accezioni negative sotto una luce positiva (anche se a tratti leggermente ambigua), a ribadire ancora una volta (assieme all'anomalo rapporto madre/figlia, e assieme all'ambientazione sotterranea) il carattere alieno e fantastico del mondo nel quale siamo immersi fino al collo.
A proposito di questo, vorrei dire che il livello di immedesimazione è stato molto più alto rispetto alla storia precedente (anche se questa è un'osservazione puramente personale e soggettiva, che ti faccio da lettrice amante del contesto e delle descrizioni).

Un altro dettaglio (e chiamarlo dettaglio è riduttivo perché è l'anima della storia!) che mi ha follemente affascinata è stata la spada, la spada con ego. È una delle cose più affascinanti che abbia mai letto, e non sai quanta voglia mi hai lasciato dentro di saperne di più, di vedere la questione approfondita. Mi è piaciuto il fatto che tu abbia posto un distinguo tra un'arma incantata e un'arma con una personalità, e addirittura il fatto che tale personalità sia caratterizzata da un genere, in questo caso femminile. E che non sia quindi neutra, come invece saremmo portati a pensare in relazione a un oggetto.
È una cosa che mi ha sempre affascinato, un'anima intrappolata o connaturata a un oggetto. Mi vengono in realtà in mente dei precedenti, nella mia scarsa “cultura fantasy”: ad esempio, le armi incantate con le gemme dell'anima nella saga di The Elder Scrolls, le quali contengono quindi residui di un'anima che in passato fu una persona o un animale.
Ma, nel tuo caso, mi è piaciuto davvero moltissimo come tu abbia – lo dico nuovamente – posto un distinguo tra le armi semplicemente incantate, e le armi che posseggono un'anima. E forse, chissà, anche una sorta di preveggenza, poiché la spada comunica alla bambina un arrivederci, forse sapendo che, un domani, sarebbe tornata nelle sue mani.

Ma, mettendo da parte la questione della spada, c'è un altro dettaglio che ha rapito la mia attenzione: l'anello del padrone e dello schiavo. È un altro oggetto magico che mi ha davvero incuriosita, e mi sarebbe piaciuto saperne di più su questo legame, e sull'identità dell'uomo (o della donna?) che Nurlana ha legato a sé.
Tu sai bene come instillare curiosità nel lettore, lasci nella trama, qua e là, tanti nodi interessanti che non vengono sbrogliati, e il dettaglio dell'anello di Nurlana è uno di questi.

Insomma, questo racconto nel suo complesso mi è piaciuto moltissimo. I tuoi personaggi femminili sono davvero accattivanti (ma questo già lo sapevo, giusto?), e soprattutto sono rimasta sorpresa nel ritrovare, in queste ultime storie che ti ho recensito, toni, tenori e ambientazioni piuttosto differenti (a mio avviso) dalle due storie che ho avuto il piacere di leggere nei miei concorsi. È stata davvero una sorpresa: quasi non ti avevo riconosciuto, in queste righe, in questo fantasy più combattivo, forse un tantino più assimilabile ai canoni del gdr fantasy. Però questi tuoi racconti più vecchi hanno la particolarità del “mondo raccontato per frammenti”, un modo frammentario (appunto) ma sicuramente accattivante di costruire universi fantastici, come se offrissi al lettore un puzzle da comporre. E l'enigmatico personaggio di Nurlana, l'altra faccia di Ta'Mit, è sicuramente un pezzo molto importante del puzzle.

Forse per la prossima recensione (e mi scuso ancora una volta per l'enorme ritardo!) cambierò di tono con “La notte più lunga eterna non è” (sempre se non hai un'altra storia in particolare da segnalarmi per la lettura, in tal caso, non esitare!), ma intanto sono davvero felice di aver collezionato le storie di Ta'Mit ed Elmara Kestal, e di aver visto un'altra faccia della tua produzione fantasy.
A presto,

Silvar
Recensione alla storia Chi non muore si rivede - 21/04/16, ore 20:03
Capitolo 1: Chi non muore si rivede
[Recensione premio per il contest "The Witcher"]

Interessante racconto. Forse narrato, a volte, in modo un po' confusionario (ma devo anche tener conto del fatto che questa non è una storia recentissima, e facendo il confronto con i tuoi ultimi lavori mi sembra che tu sia migliorata tantissimo!), ma molto, molto interessante. Hai scritto una storia che tiene alta l'attenzione del lettore dall'inizio alla fine, soprattutto verso la fine.

Dapprima ho storto un po' il naso per gli occasionali interventi del narratore (non amo molto questo espediente), ma poi, sulle battute finali, mi sono del tutto ricreduta. L'intervento finale del narratore, che “strizza l'occhio” a chi sta dall'altra parte del foglio, inserisce questa storia in un contesto più ampio. È come se avessimo appena ascoltato il racconto di un bardo (l'atteggiamento del narratore, ammiccante, fintamente modesto, stuzzicante e allusivo fa proprio venire in mente tutti i canoni legati a questa figura), forse quello stesso bardo che strimpella pigramente, relegato in un angolo della stanza e della vicenda. Inoltre questo espediente giustifica anche (in una qualche misura) la carenza di contesto. Peccato che, giustificata o no, questa carenza danneggi a volte un po' troppo la godibilità della storia. Ma forse sono io ad essere una fanatica della contestualizzazione, e capisco d'altra parte che questo raccontino sia stato pensato volutamente “in medias res”, e che inoltre si concentri soprattutto sul personaggio di Ta'Mit, piuttosto che sul contesto in cui questo personaggio si inserisce. Cosa più importante: gli elementi per capire (e per apprezzare) la trama ci sono tutti! È lodevole anche come tu, pur concedendoti uno spazio esiguo, sia riuscita ad incastrare all'interno di questo spazio una trama con i suoi misteri e i suoi colpi di scena.

A questo proposito, potrei citare almeno due nodi narrativi che vengono sbrogliati “in corso d'opera”: il fatto che la Signora e Ta'Mit siano in realtà la stessa persona, e infine il colpo di scena più eclatante: quel particolare che il narratore aveva accantonato in un angolo con noncuranza, e che invece si rivela essere il punto focale della storia, ovvero lo sconosciuto che manda “messaggi minatori” al bordello si rivela essere il presunto defunto marito mago della protagonista. Anche se faccio un po' fatica ad inquadrare questo personaggio, ma ciò è presumibile dato che lo vediamo in scena per così poco. Soprattutto il lettore si pone molte domande: cosa ha spinto Ta'Mit a legarsi a un tale individuo? O forse il mago ha nascosto inizialmente la sua natura oscura?
Non che un rapporto tra Ta'Mit e una tale figura malvagia sia implausibile, tenendo anche conto che Ta'Mit non si può definire a cuor leggero un personaggio positivo, sicuramente un personaggio che sa il fatto suo (ed è questo che mi intriga di lei). Ma sicuramente, stando a questa breve storia, si fa davvero fatica ad inquadrare quale tipo di rapporto legava la nostra protagonista ad un marito così... nero. Peccato perché è un tipo di legame che, se fosse stato sviluppato, ne sono sicura, ne sarebbe risultato qualcosa di molto originale e sicuramente poco frequente.

Vorrei citarti un altro dettaglio della storia che mi ha incuriosita: l'atteggiamento double-face che Ta'Mit ha verso i maghi e la magia: da una parte li disprezza, ma dall'altra ne ha sposato uno e non indossa uno spillo che non sia intriso di magia. (Qui mi hai particolarmente incuriosita, avrei voluto sapere nel dettaglio quali manufatti magici indossa Ta'Mit, e quali vantaggi le conferiscono).
Inoltre, sempre a questo proposito, mi è piaciuta moltissimo quest'altra constatazione di Ta'Mit:
C’era un motivo se odiava i maghi [...] le sembrava si divertissero a costruire cose del genere: luccicanti, costose e poco utili.
La trovo geniale. E non è certo l'unica espressione sagace in tutto il racconto. La sagacia, combinata con la padronanza di sé, è sicuramente una caratteristica che ben dipinge la protagonista stessa.

E così, sul finale, il narratore smette di narrare calando il sipario su una Ta'Mit che si affretta in salvo del figlio, cercando di sottrarlo dalle sinistre brame del suo non più molto compianto primo marito. Viene davvero da implorarlo che continui.

Silvar
(Recensione modificata il 21/04/2016 - 08:09 pm)
Recensione alla storia Lo Sterminatore di Incanti - 30/03/16, ore 11:10
Capitolo 1: Lo Sterminatore di Incanti
[5° classificata al concorso "The Witcher"]

Questa breve storia mi è piaciuta molto. Ho apprezzato come in pochissimo spazio, nemmeno 700 parole, tu riesca a condensare un po' tutto. È una storia che sicuramente meritava di essere allargata, ma non è incompleta. È come se aprissi uno spiraglio su un mondo per poi chiuderlo repentinamente, ma nell'attimo in cui gettiamo un fugace sguardo su questo mondo ne apprezziamo in realtà molti elementi. In così poco spazio sei riuscita a condensare una trama e un abbozzo di ambientazione, anche se purtroppo manca all'appello l'approfondimento caratteriale del protagonista, ma di questo parlerò dopo. Solitamente nelle storie brevi la tendenza è quella di gettarsi a rotta di collo a spiegare solamente l'idea che si ha in mente, che può essere ben conclusa ma spesso rimane priva di contorni. Invece ho apprezzato da parte tua lo sforzo di ambientare, di sprecare parole preziose per descrivere. I particolari contestuali/ambientali che ci fornisci sono pochi in realtà, ma diventano molti se li rapportiamo alla mole del racconto. Inoltre modelli in modo originale questo breve scorcio di mondo che ci concedi, ad esempio quando descrivi il santuario, costruito con le pietre di una frana che distrusse il villaggio. Sei riuscita insomma a conferire profondità al contesto, lo stesso focalizzandoti sui piccoli particolari e lasciando perdere le inquadrature generali. 
Ricapitolando, quindi, ho apprezzato il modo sapiente in cui hai saputo utilizzare questo piccolo spazio, perché – lo ripeto - c'è un ottimo equilibrio tra la trama (l'idea, i fatti che volevi raccontare) e la contestualizzazione. 

Anche l'idea che avevi in mente ha dei passaggi, degli scalini: riesci a conferire movimento alla trama. Seppure la storia sia molto breve, dalle prime battute non intuiamo affatto a quali esiti andremo incontro nel finale, sebbene sia così vicino. Ciò che capiamo in modo lampante è quello che Henning fa ed è, ma non capiamo ad esempio che cosa lo abbia condotto allo scontro con la strega, a cosa serva il lembo di pelle che le “ruba”: dobbiamo continuare a leggere perché questi elementi acquisiscano un senso. E, seppure nel finale non abbiamo un colpo di scena così eclatante, la conclusione rimane ben fatta. In qualche misura ci sorprende, anche se non la definirei propriamente un finale a sorpresa. Per un momento, anche noi ci siamo illusi che Vinn potesse veramente guarire, ma poi la brutalità della conclusione ci piomba addosso come una mannaia, così come piomba addosso alla madre. Ciononostante, qualche dubbio premonitore lo abbiamo quando Henning, alla domanda può guarirlo? risponde posso salvarlo, una differenza che può sembrare minima, una differenza che forse una madre disperata non può cogliere, ma che invece è fondamentale, ed anticipa ciò che accadrà. 

Quando parlo di movimento di trama mi riferisco soprattutto alla vicenda che ha coinvolto Vinn il quale, da giovanotto inesperto quale è, è caduto nella suadente rete della strega. Se all'inizio pensiamo che il diretto interessato sia Henning, successivamente invece ci rendiamo conto che la vera vittima della strega è questo ragazzo sedicenne. L'idea di trasformare un'ingenuità, una debolezza di un ragazzo molto giovane nella sua rovina, conferisce pathos alla storia. Inoltre ho apprezzato e trovato particolare sia il modo in cui la strega abbindola Vinn, sia come successivamente si manifesta la corruzione in lui, la sua lenta morte, descritta come un prosciugamento vitale, un avvizzimento: la pelle grigia e le labbra secche sono dettagli che ben realizzano l'idea dello svuotamento. 
Da notare anche il modo in cui hai deciso di chiamare le streghe, definendole Incanti, quasi metonimicamente riassumendo il loro essere con ciò che in realtà fanno, cioè incantare e ammaliare gli uomini. 

Per quanto riguarda la caratterizzazione, purtroppo hai ottenuto un punteggio molto basso, e questa volta sei stata penalizzata dalla penuria di parole. Henning è un personaggio che sicuramente poteva avere delle potenzialità, ma risolto in questo esiguo spazio non risulta descritto a sufficienza. Non hai avuto lo spazio materiale per sbozzarlo meglio, Henning rimane un personaggio del tutto anonimo, impietoso, sicuramente con i suoi spettri alle spalle, ma tutto quello che è lo intuiamo soltanto. 

Parlando brevemente dell'attinenza, non trovo che sia eccelsa (anche qui, forse a causa della brevità della storia, la strega in questione non è particolarmente approfondita), però voglio comunque darti un buon voto, soprattutto perché hai inserito una caratteristica su cui in realtà pochi si sono soffermati, ovvero questa malia libidinosa che il personaggio della strega esercita sulle sue vittime. Mi è piaciuto inoltre il particolare della decomposizione e dell'orrido nascosto dietro a un aspetto fascinoso e incantevole, e per ultimo ma non meno importante, il fatto che gli Incanti si nutrano del desiderio degli uomini. Inoltre, inutile dire che ho apprezzato, in testa al racconto, la ripresa del momento finale del videoclip. 

Questa storia ha i tratti di un'occhiata fugace su un mondo cupo e misero, e questo carattere di fugacità si manifesta soprattutto nel finale, un finale che lascia intendere che dopo ci sarà dell'altro. Così come l'inizio: non è un inizio che parte dal principio, ma parte a mezz'aria, dopo che tutto quanto è già successo. 
Anche per quanto riguarda la realizzazione della trama ho deciso di darti un buon voto, poiché anche se, ripeto, il finale non è IL finale, la storia non è mai finita come non è mai iniziata, galleggia a mezz'aria, è un momento, uno spaccato, un episodio nella vita del protagonista. E sono proprio le ultimissime battute a ribadire il carattere passeggero della storia che ci hai appena raccontato. Non c'è una morale, non c'è un cambiamento significativo: Henning continuerà ad andare avanti allo stesso modo, forse solo, ogni volta, un po' più logorato di prima. 

Silvar
Recensione alla storia Stirpe di strega - 30/03/16, ore 10:45
Capitolo 1: Stirpe di strega
[1° classificata al concorso "The Witcher"]

Ragionando riguardo l'economicità della tua trama, c'è un surplus di sadismo da parte del Domnitorul, un surplus in effetti giustificato dal suo odio verso le streghe. L'idea di fondo poteva quindi essere strutturata più “economicamente”, poiché non ha senso rapire i figli delle streghe per poi addestrarli allo scopo di andare a caccia delle streghe stesse. Questo è un'inutile complicazione ideata a bella posta da questo sovrano pieno di rancore represso, un vero e proprio sadismo gratuito: mandare i figli a caccia delle madri. Infatti, anche la stessa Adaria mette in evidenza questo circolo vizioso: Se le odiate tanto, se il vostro signore salva i bambini che le Donne rendono orfani… non sarebbe meglio cacciarle tutte […] ? 
Anche se in questo caso il contesto è diverso (Adaria sta solo spingendo il figlio verso il compimento della profezia), lo stesso, in questo dialogo sembra quasi che la donna si arrenda all'evidenza dell'assurdità di questo meccanismo. 
Sembra infatti assurdo: giunge l'emissario del Domnitorul, quest'uomo dallo sguardo impassibile, ed egli sottrae i figli maschi alle madri e alle sorelle. Quindi si sa chi sono le streghe, si sa chi sono e si sa dove sono. Che senso ha, quindi, fare questo passaggio in più? Perché non limitarsi a sterminare le streghe, perché non eliminare il problema alla radice? 
Ma non fraintendermi, sto ragionando sull'economicità della trama con criteri interni. Infatti questo surplus, questo eccesso di perversa crudeltà del tutto gratuita, è ciò che rende affascinante ed originale la storia: si innesta una sorta di perpetuo circolo edipico, messo in moto dalla sete di vendetta e dal dolore di Tudorel Suveran. 

Non ti smentisci mai con l'ambientazione. Mentre la contestualizzazione è presente il necessario (di Beclou, per esempio, sappiamo poco), di contro l'ambientazione è davvero uno dei pilastri portanti di questo racconto. In realtà non ci sono lunghe digressioni descrittive immobili, fini a loro stesse: quello che ho adorato del tuo modo di scrivere (e descrivere) è stata la tua costanza di scendere nei particolari, nei meccanismi quasi filologici dell'antichità. E, neanche a dirlo, l'atmosfera medievale pregna ogni frase. Mi piace il modo in cui hai descritto la praticità di una vita di questo tipo, una vita a diretto contatto con le cose, una vita che ci è lontana. In realtà sono tutti particolari su cui spesso si sorvola scrivendo una medieval-fantasy, perché si crede che siano noiosi, inutili, accessori. Non ci si vuole attardare a spiegare come, ad esempio, si prepari un semplice pranzo, o come si allestisca un bagno. Invece, dal mio personalissimo punto di vista, ho amato proprio il tuo descrivere con dovizia di particolari questi gesti pratici, comuni, appartenenti alla ciclicità pacifica della vita casalinga. Sono spezzoni deliziosi e piacevolissimi da leggere, poiché ti fanno immergere in un mondo vecchio, ti fanno toccare con mano la concretezza delle dinamiche quotidiane di un mondo antico e remoto. Cosicché le tue digressioni descrittive diventano anch'esse narrative, tutt'altro che accessorie. È sbagliato sorvolare sempre su questi passaggi. Digressioni di questo tipo possono diventare narrative eccome, soprattutto se le si narra a tuo modo, cioè non sommariamente (es. pescò due carpe e preparò la cena), perché sì, spesso si trovano indicazioni “a tempo perso” di questo tipo, però liquidate in modo così sommario diventano (in questo caso sì) noiose, diventano delle mere indicazioni. Invece, se tu ti prendi del tempo per spiegare con precisione, con l'amore per il dettaglio, come e perché, allora in questo caso sì che questi spezzoni non sono “a tempo perso”, ma diventano parte integrante della narrazione. Non è assolutamente uno spreco di spazio, è ciò che, esulando dalla trama, dà colore e personalità alla tua storia. 

Una cosa originale che ho apprezzato veramente molto è stato il modo in cui hai descritto in che cosa sono diverse le streghe, il modo discreto in cui i loro poteri si manifestano, ad esempio il mite gesto di sfregare un legnetto tra le mani per accendere il fuoco: non è molto diverso dall'atto primitivo che ci aspetteremmo, ma c'è una differenza minuscola e fondamentale: le mani diventano incandescenti. Il tuo è un modo molto dimesso di rappresentare la magia, non ci sono bacchette magiche, bastoni, amuleti... in realtà non ci sono proprio oggetti magici di nessun tipo, ciò che la strega ha di magico è tutto in sé. Infatti non a caso è il cuore della strega l'unico potenziale oggetto magico che compare nel racconto, e questo ribadisce quanto questi “poteri”, questi sensi acuminati siano legati essenzialmente alla natura della strega. È pienamente nella sua natura, tanto che non ha bisogno di supporti esterni, di supporti materiali per esercitare i suoi poteri. In realtà non ha nemmeno bisogno di esercitare i suoi poteri, è fatta così, è una creatura che vive su un piano sensibile differente, sfasato rispetto a quello dell'essere umano. Per fare un paragone stupido, è come se la strega vedesse il mondo in HD, e gli altri essere umani lo visualizzassero a 480p, quasi che quando la strega Osserva, avesse una ghiera di ingrandimento davanti agli occhi che mette a fuoco i dettagli, quasi che il tempo rallentasse sotto il suo sguardo. 
Per comodità chiamo queste doti “poteri magici”, consapevole di usare una denominazione inappropriata: perché in realtà non ci mostri dei “poteri magici”, ci mostri un occhio differente, un modo diverso di vedere le cose, ci mostri come la strega sia semplicemente una declinazione umana che Vede e non semplicemente guarda, che riesce a far parte in modo armonico del mondo naturale. 
Infine, un'altra caratteristica che ho trovato originale, è la non-belligeranza delle streghe: le tue non sono streghe guerrigliere: non combattono, al massimo si difendono quando vengono attaccate, analogamente agli animali. 

Cambiando argomento, l'attinenza al videoclip è stata realizzata in modo eccellente. Mai avrei pensato che qualcuno riprendesse quella scena di incontro/scontro tra il cacciatore e la preda in modo da designare il cacciatore come il figlio della preda. Questa singolare, edipica impostazione madre-figlio ti ha fatto guadagnare ulteriori punti in originalità. Mi piace anche come la strega sia rassegnata a ciò che ha visto essere il futuro, mi piace come vada incontro in modo assolutamente naturale alla morte, e forse anche questa è una caratteristica propria del suo essere più naturalmente inserita nel ciclo vitale delle cose. 
Un'altra cosa che ti ha fatto guadagnare punti in originalità è stata la tua decisione di non calcare troppo la mano sul “fattore bellezza”. Descrivi la protagonista, Adaria, come una donna attempata, almeno due volte ribadisci che il suo volto è segnato dal tempo
Mi dà invece più da pensare questo rapporto ambiguo che Adaria intrattiene con Ionela, devo ancora interpretarlo bene. Comunque sia, denota anch'esso una grande marginalità nei confronti dell'elemento maschile, per quanto concerne il microcosmo delle streghe. È molto strano e particolare l'aggregato familiare che ci presenti: 
Il padre (o meglio, il padre di Nistor, perché non sappiamo se sia anche il padre di Briana) è letteralmente lasciato in disparte, sembra che il suo unico ruolo sia stato quello di contribuire quell'unica volta alla generazione. C'è inoltre questo sodalizio femminile, che definirei quasi amoroso, o comunque che poteva esserlo ma non lo è stato: tu stessa ci parli di cose non dette in quel bacio, un bacio che forse non è stato episodico, ma un bacio sicuramente irrisolto, mai chiarito. In realtà non riusciamo ad intuire con precisione quali siano stati i trascorsi tra Ionela e Adaria, ma pare proprio che la loro sia stata una complicità che mai si è risolta, che mai si è sbilanciata, che mai è stata legittimata. 
La figura del padre che piange in disparte il figlio è veramente pietosa e “popolare”. È incredibile come un'immagine di pochissime parole dica tante cose. Non ci descrivi il maniscalco, di lui dici solo che tiene stretto il cappello al petto: in questa immagine, in questa impressione, è come se ci dicessi tutto di lui, è un fotogramma, ma un fotogramma pregno di dolore e rassegnazione. 

Una cosa che ho amato tantissimo è il tuo modo di giocare l'introspezione dei personaggi, e soprattutto le relazioni tra i personaggi. I dialoghi sono molto semplici e diretti, però tu giochi le interazioni profonde tra i personaggi sul piano concreto, sui gesti. Per fare alcuni esempi: Stelian che si scotta prendendo il boccone di carne nonostante i materni avvertimenti di Adaria; Ionela che lava per un'ultima volta i capelli ad Adaria; Adaria che, per far rinsavire Ionela sul fatto che non potrà mai mettere da parte un figlio che ha partorito, le artiglia il ventre; Adaria che, per persuadere il figlio, compie tra i tanti un gesto emblematico: seleziona il cuore tra le interiora della lepre e lo ingolla quasi con ferocia: un gesto dimostrativo più persuasivo di mille parole. 
I personaggi si toccano spiritualmente toccandosi prima di tutto materialmente. I gesti che compiono tra loro sono banali, ma nascondono sentimenti e intenti profondi. Il tuo è un giocare sulla superficie ciò che c'è di più profondo. 

Un'altra particolarità della tua storia è che il persecutore, l'antagonista, pur non essendo giustificabile per ciò che compie, ha però una ragione di fondo: è uno di quei cattivi che cattivi non erano, ma che lo sono diventati: danneggiati dall'odio altrui, odiano a loro volta. Il suo non è un odio immotivato ma non è neanche un odio, quello del Domnitorul, dettato da sentimenti superstiziosi, o dall'ignoranza, o da percezioni discriminatorie verso il diverso (basti pensare che la sua compianta consorte era una strega). È un po' come se, in fin dei conti, le streghe si fossero messe nei guai da sole: hanno anch'esse un concorso di colpa, all'origine. La “cattiveria del cattivo” è una cattiveria dolorosa, non è né innata, né dettata da bassi sentimenti, né immotivata. Quindi, da questo punto di vista, la storia in certi passaggi viene stemperata per quanto riguarda il carico di dolore: non la definirei atroce, è atroce la soluzione finale, ma è un'atrocità contenuta, poiché a monte ci fornisci delle motivazioni. 

La storia che ci hai narrato è in tutto e per tutto una leggenda. Ha il sapore leggendario di un cerchio che si chiude: c'è un preambolo e c'è una maledizione/profezia, la quale anticipa e stabilisce la conclusione. 
Spenderei qualche parola sul finale, anche se potrei ripetermi. L'idea che hai serbato per la soluzione epilogante è piuttosto atroce, ma forse il rating rosso è leggermente esagerato. Certo, il tema di un figlio che uccide la madre, questa sorta di soluzione edipica rovesciata, è pesante, però dobbiamo ricordare che Stelian è inconsapevole del matricidio che compie. 
A parte questo, l'espediente del finale è molto buono, anche perché sei riuscita a conservare l'effetto a sorpresa, rivelandoci solo in ultimo, a un passo dal suo compimento, la natura integrale della maledizione. 
Prendiamo mano a mano consapevolezza che Adaria ha un compito, e il suo compito è chiudere il cerchio della maledizione, un compito a cui lei non cerca in nessun modo di sottrarsi. C'è una sorta di serena rassegnazione verso il futuro: è così che le cose devono essere, e non bisogna opporsi al corso del destino. Anche questa è una caratteristica che può diversificare la strega da una comune essere umano: Adaria assume la profezia così com'è, sentendosi parte di qualcosa di più grande. Prende con calma assuefatta gli eventi, asseconda l'onda, piega la testa sotto la scure del fato, sorridendo. 

Silvar