Recensioni di Nirvana_04

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Recensione alla storia Le creature fanno conoscenza - 14/07/20, ore 12:15
Capitolo 1: Le creature fanno conoscenza
Ciao!
Non so davvero come iniziare questa recensione, forse partendo da delle scuse. E da una giustificazione, per quanto inutile e davvero banale, ma sincera fino al midollo: avevo dimenticato di leggere questa storia.
Per ragioni personali, ho abbandonato per un po' di tempo efp, il forum e il mondo dei contest in generale, e non avevo più pensato alla promessa che ti avevo fatto. Soltanto qualche mese fa, quando ho indetto il primo contest dopo "La magia delle parole", riguardando l'email ho ritrovato la tua storia e ho ricordato.
È passato più di un anno, e probabilmente avrai dimenticato me e il mio contest, e ancora più probabile non te ne fregherà nulla di questa recensione (non so neanche se la leggerai, la tua ultima storia pubblicata risale a due anni fa), ma io per mia natura - anche con un mostruoso e vergognoso ritardo - devo mantenere la promessa che ti avevo fatto.
Cercherò, seppure in una semplice recensione senza punteggio, di trattare tutti i punti fondamentali della valutazione che avresti dovuto ricevere se avessi partecipato al contest.
Allora, grammatica.
Ho trovato soltanto semplici refusi, piccoli errori che possono sfuggire durante la revisione della propria storia. Te li riporto di seguito:

compresivi -> comprensivi
un’innocenza sollevata -> Questo non è un errore, ma ho trovato quest'espressione un po' contorta. Credo sarebbe più corretto invertire sostantivo e aggettivo, nel senso "sollievo innocente".
per quando intensamente avesse bramato udirle -> per quanto
di una spiaggia Greca -> "greca" dovrebbe andare in minuscolo

Riguardo allo stile.
È uno stile semplice nel suo insieme ma ricercato nella formulazioni di alcuni passaggi e nella ricercatezza di alcuni termini (che personalmente non mi dispiacciono), con periodi piuttosto lunghi, e un uso abbondante degli aggettivi. Ci sono alcune espressioni, come quella segnalata sopra (innocenza sollevata) che rendono meno fluidi alcuni passaggi, ma nel complesso trovo che tu abbia cercato di “alzare” un po’ l’asticella della forma per avvicinarti maggiormente al contest e alla tematica. Trovo anche che una commistione di termini più “ricercati” si adatti al tipo di dialogo che viene messo in scena: tra un personaggio nobile e la sua creatrice (la scrittrice). Trovo quindi che lo stile, in una qualche misura, rispecchi da una parte la semplicità della realtà – una notte come tante altre, in una stanza da letto come tante altre, ma dall’altra la stravaganza del momento – l’incontro tra la scrittrice e il suo personaggio. L’elaborazione di alcuni passaggi tende a rendere l’offuscamento della notte, di questo evento a metà tra la realtà e il sogno. Nel complesso, per una questione di comprensione, però, io consiglio di rivedere alcune combinazioni. Soprattutto per quanto riguarda l’uso abbondante di aggettivi, in alcuni paragrafi vi è la sensazione che siano davvero troppi, che tendano ad “abbellire”, ma soprattutto a dare troppe informazioni, quando invece io avrei preferito qualcosa di più snello, più limitato.
In generale, rivedrei la punteggiatura e le pause, di conseguenza.
Avrei utilizzato meno il punto-virgola per dare pause più forti ed esaltare così alcuni passaggi come, per esempio:

Al dolore sommesso e dilaniante di quelle parole, invece, mi era impossibile rendermi sorda: perché quelle parole erano mie, erano quelle che avevo scelto di non usare per descrivere la sua morte, preferendo loro la drammaticità del fatto compiuto; le parole erano mie, ma la sofferenza era la sua e in quella pena straziante espressa con pacatezza rassegnata mi parvero acquisire una forza nuova, una verità che io non ero riuscita a dare loro. -> Al dolore sommesso e dilaniante di quelle parole, invece, mi era impossibile rendermi sorda: (ci sono i due punti, si dà per scontato che quel che segue sia una spiegazione, quindi la frase acquista più impatto diretto senza il “perché”) quelle parole erano mie, erano quelle che avevo scelto di non usare per descrivere la sua morte, preferendo loro la drammaticità del fatto compiuto. Le parole erano mie, ma la sofferenza era la sua; e in quella pena straziante espressa con pacatezza rassegnata mi parvero acquisire una forza nuova, una verità che io non ero riuscita a dare loro.

Anche il modo in cui continua il paragrafo:
Visti da vicino, la sua morte e il suo dolore mi sembrarono meno romantici e lirici, più crudeli e ingiustificabili; mi parve gridassero vendetta al cospetto di Dio e fu terribile realizzare che non l’avrebbero mai avuta, perché era Dio, perché ero io, ad essere colpevole. -> Qui credo che tu abbia più frecce nel tuo arco. Potresti limitarti a mettere una virgola prima di “e fu”, per evidenziare il cambio soggetto. Ma io andrei su qualcosa di più forte, mettendo un punto deciso o proprio prima di “e fu” o addirittura metterei una virgola lì e un punto prima di “perché”.

Poi ci sarebbe delle intonazioni da correggere. Per esempio:
Lo sapevo, ovviamente, perché non chiederemmo tutti la stessa cosa al cospetto di Dio? -> Io scriverei “Lo sapevo, ovviamente. Perché, non chiederemmo tutti la stessa cosa al cospetto di Dio?”

Essendo prima persona narrante, secondo me, spezzare la continuità del “parlato”, rendere la voce con pause più forti, interruzioni, e altri espedienti simili la renderebbe più emotiva, più vera. Detto questo, però, trovo che la prima persona sia perfetta per questo tipo di storia, una storia che sembra quasi autobiografica e in cui a me sembra essere stato messo in atto un gioco di comparazione trasversale. Ciò che intendo è che si ha questo continuo scambio di posto tra dio-narratore/scrittore-personaggio. E tutta la vicenda di Sorot sembra in qualche modo riflettere lo spaccato di vita della protagonista attraverso le domande e le accuse del suo stesso personaggio. Il bello di questa storia, ed è ciò che me ne ha fatto innamorare, sono le diverse chiavi di lettura in cui si può leggere. Forse è tutto nella mia mente, ma io ho letto una storia in cui si afferma che “chi scrive mette sempre, volente o nolente, qualcosa di suo nella trama e nei personaggi”, che “si scrive solo di ciò che si conosce” e che “la scrittura è catartica, e non sempre e non subito ce ne rendiamo conto”. La protagonista/voce narrante/scrittrice comprende questo attraverso questo incontro: Sorot, secondo me, rappresenta lei più di quanto possa fare Galoth, che nonostante ciò è il suo preferito. La rappresenta in quel momento, perché la costringe a prendere il posto di quello stesso Dio a cui forse lei imputa alcuni avvenimenti della sua vita (e chi non lo fa, aggiungerei). Il modo in cui tratti la tematica del divino è elegante, originale e profonda. Questa storia è sicuramente piena di riflessione, e il dialogo tra i due – mortale e divino, personaggio e scrittrice – non è semplicemente che il contenitore, la cornice, il guscio. È una storia con messaggi meta-testuali molto forti e ben trattati, soprattutto. Hai fatto, da questo punto di vista, un ottimo lavoro.
Passando ai dialoghi, che sono i veri protagonisti insieme all’introspezione della protagonista – che grazie alla prima persona diventa una vera e propria lettura immersiva e totale (ecco perché trovo che la prima persona sia perfetta per le tematiche, ti permette di renderle con un occhio soggettivo, personale, e soprattutto ti consente di trattarle da vicino pur mantenendo un certo grado di delicato distacco, filtrando un messaggio molto potente; inoltre ti ha permesso di filtrare anche descrizioni e narrazione, in modo da inserirle nel contesto senza renderle protagonista, ma commentandole, impregnandole di interiorizzazione. Questo ti ha aiutato a rendere al lettore un aspetto visivo senza per questo spezzare l’atmosfera creata) – trovo che questa storia sarebbe stata perfetta per il contest, perché è proprio attraverso la parola che ogni cosa si svolge, ed era proprio la parola (non del narratore, ma del personaggio) che volevo che il tema del contest venisse sviluppato. I dialoghi sono ben resi, caratterizzanti dei personaggi (mi piace il modo in cui hai reso il parlare di Sorot posato, pacato, in contrapposizione con le frasi meno altisonanti ma più lunghe e incerte della protagonista), esprimono davvero bene le loro sensazioni ed emozioni, il loro diverso modo di parlare, e sono loro a portare avanti la tematica, a innescare l’evoluzione dei due personaggi. Attraverso il confronto, questo dibattito, vengono a galla i vari particolari e la presa di consapevolezza di entrambi. Mi piace che la “crescita” passi attraverso la comunicazione, anche questo è un altro messaggio bello e significativo.


Trama e personaggi
Bellissimo il paragone tra Dio e lo scrittore, nonostante la metafora gioca molto su questi due ruoli, a me ha dato molto su cui pensare, proprio a livello metafisico. Non si tratta della religione in cui credi, ma più semplicemente sull'identità, qualunque essa sia (se ci sia) in cui ognuno di noi crede, e più esattamente si tratta di interrogarsi sulla sua natura. Benevola? Maligna? Incurante? Incapace? Più debole di quanto pensiamo in realtà? Troppo grande per notarci? Semplice osservatore? E' un argomento che mi affascina tantissimo.
So che non c'entra niente, ma una volta in un libro ho letto (era un fantasy e il discorso è più lungo e complesso di così) che dio in realtà doveva essere donna, e che come tutte le madri che mettono al mondo i propri figli poteva soltanto guardarci muovere i nostri passi, piangere con noi i nostri fallimenti e dolori, senza la forza di intervenire, tutto il suo potere immenso speso per darci vita.
Altra cosa che mi ha colpito è il discorso sui personaggi, e cu ciò che attrae, che ci coinvolge maggiormente. Il discorso tra pathos e dolore, ma soprattutto l’umanità (inumanità) dei personaggi. Ho letteralmente adorato il modo in cui hai parlato del dramma che chi scrive fa vivere, ed è vero, io ho ritrovato me nelle tue parole: più un personaggio lo si ama, più lo si fa soffrire. Così come mi è piaciuto il passaggio in cui le parole della descrizione di Sorot, pronunciate da lui, si spogliavano di tutta l’epicità restando crude, brutali. Ed ecco che il paragone con un dio che scrive una bella storia (la nostra storia) cercando di renderla memorabile, e quindi dolorosamente epica, mi ha conquistato.
Altrettanto significativo e crudelmente vero è il discorso sulla bontà. È una di quelle verità scomode ma che vengono attuate dalla mentalità di tutti i giorni. Chi è buono viene scambiato molto spesso per un cretino, un fessacchiotto. Mentre ci vuole davvero tanta forza per restare buoni in mezzo a tanta derisione e dolore. Mi par di capire che in questo Sorot ci sia riuscito, perché anche davanti al suo dio, nel momento più amaro dove il suo pagamento per tutta la bontà mostrata è stata la morte, la sua bontà non è fatta a pezzi dallo sconcerto, dalla rabbia, dal senso di ingiustizia. Ma solo profonda amarezza, forse a tratti delusione. Ma in fine dei conti, con questo atteggiamento, Sorot dimostra di essere forte. Forse dio l’ha deluso, ma non è riuscito a cambiare la sua natura. E restare fedeli a se stessi è una grandissima vittoria, al di là dei meriti che vengono riconosciuti.
Ottima cura nella caratterizzazione del personaggio, sia di Sorot, ma anche in realtà della protagonista/voce narrante, la quale ha reazioni più che comprensibili, anche se ammiro la sua "pacatezza" (al suo posto avrei serrato gli occhi, sudato freddo e non avrei mosso più un muscolo fino all'indomani, con la luce del giorno... sì, sono un cuor di leone). L'idea che sia Sorot a prendersi cura del suo Dio, poi, riesce a donare umanità a qualcosa che nella concezione generale è onnipotente e, quindi, perfetto, che non conosce fastidio o sofferenza. Mentre il Dio di Sorot è ignorante, fragile, spaventato e anche bisognoso di aiuto.
E infine, la parte che ho preferito:

- «Non dovresti amarci tutti allo stesso modo?»
Avrei voluto saperlo, ma non potevo rispondere per Dio, così cercai di rispondere per me stessa, sopportando l’inquietante consapevolezza che per Sorot non vi fosse alcuna differenza. → La risposta che dà la protagonista è forte, spietata, ma non per questo meno profonda. Una tragica armonia. Serve il complementare dell’opposto per esaltare l’amore, la bellezza. Ancora una volta, contrasto. Equilibrio.

E ancora:

- «Perché dici “in una storia”?»
Non era l’interrogativo che mi aspettavo e la sua risposta era surreale quanto la situazione in cui mi trovavo, tuttavia non mi tirai indietro.
«Perché per me non era altro che una storia. Non ho mai inteso creare un mondo, se non come un grande racconto e non nel senso comune per cui Dio crea tramite la propria parola: ho parlato di te, ne ho scritto e attraverso la mia narrazione altri ti hanno conosciuto, ma non ho mai pensato che un giorno ti avrei incontrato, che saresti stato vero, vicino.» → Anche questa è una cocente verità. Ed è trasversale, perché fa riflettere a diversi livelli. Se la gente venisse a tu per tu con le conseguenze delle sue azioni, le più banali, forse agirebbe con mi assennatezza. Mi fa pensare a quanta influenza può avere un nostro ingenuo gesto, o un commento banale sulla vita di chi ci sta attorno.

Tornando un momento veloce ai personaggi, posso dirti che ho amato (e anche il modo in cui lo hai fatto, la trama è scorrevole proprio perché passa attraverso questo dialogo introspettivo) persino Galoth, perché lo hai presentato attraverso le cicatrici che lo hanno segnato, perché pur capendo che era l’antagonista di Sorot non era il “cattivo perché cattivo”, aveva un motivo, una ragione, anche lui era stato ucciso, ma più lentamente di Sorot. E adesso ti sorprenderò, ma amo di più Sorot. Nonostante di solito amo i cattivi, nonostante il fascino delle persone carismatiche, credo che Sorot, nel suo incontro con dio, si sia riscattato, perché ha mostrato davvero che tipo di forza c’è dietro alla bontà. E io non posso fare a meno che ammirarlo. Con la sua posatezza, eleganza e amarezza anche ha ferito, non solo la sua creatrice ma anche me lettore. Anche lui sembra non avere scelta, in un certo senso, come Galoth è condannato dal suo buon cuore a mostrarsi sempre gentile e controllato (penso al modo in cui si è preso cura della protagonista quando ha avuto un brivido). È ed è una condanna diversa, meno oscura, ma non per questo non meno dannata.
Posso dire che questa storia non poteva avere finale migliore? Sembra quasi che baciandolo, accettandolo e trovando dio la pace, abbia inglobato il personaggio, lo abbia fatto passare oltre, come se l’incontro con dio fosse avvenuto sulla soglia di un “altro luogo”. In un certo senso, Sorot rappresentava, secondo me, il lato fragile della protagonista stessa. Una fragilità ma soprattutto un’amarezza che lei nascondeva sotto cumuli di odio ma che, grazie a quell’incontro, ha finalmente accettato e imparato ad amare, perché ha capito che doveva perdonare quel lato di sé, doveva riconoscerli la sua importanza, la sua forza. Alla fine, questo dialogo ha aiutato entrambi.
Inutile aggiungerlo a questo punto, ma la storia avrebbe rispettato appieno la categoria per la quale doveva concorrere, anche se forse avresti perso qualcosina per il fatto che la morte del personaggio era avvenuta prima dell’inizio della storia, e che in realtà è vero che dà il motore a questo incontro, ma è anche vero che ne determina inizio e fine, non stravolge la trama.
Complimenti per la storia, l’ho aggiunta alle ricordate. Grazie per avermela proposta, grazie anche per averla scritta. E scusami, se puoi.
A presto!
Recensione alla storia Nel nome del padre - 06/04/20, ore 15:39
Capitolo 2: Capitolo I
Ciao.
Sono in tremendo ritardo, e me ne rendo conto, ma prima non ho potuto >.<
Credo di dover fare una premessa. Sto ragionando in termini di “libro”, non di semplice storia su un sito, è la mia abitudine più fastidiosa, temo. Quindi, il mio commento va letto seguendo quest’ottica. Iniziamo.

Avevo lasciato il bambino che Nerya aveva "scambiato" in cambio della vita sua e di suo figlio che si prestava a partire per una missione affidatagli dal padre, mentre Rowen aveva deciso di fuggire dal villaggio in cui era cresciuto insieme alla madre proprio per evitare di morire, saputo l'arrivo dei Razziatori.
Il capitolo che sto leggendo si riallaccia in maniera molto sequenziale a quello precedente, e avanza in maniera lenta, direi quasi statica, in questo mondo.
Quasi tutto il capitolo è occupato dal tentativo di Rowen di lasciare Syrdin.
Confesso - ed è stato una specie di mantra per tutto il capitolo - che non ho saputo scendere a patti con tutta la scena madre, ovvero la ferita di Rowen.
Ora, io non ho mai subito una simile mutilazione, e sono dell'idea che a volte nei fantasy uomini feriti gravemente sembrano stare miracolosamente bene manco fossero tutti Achille, ma ho trovato comunque esagerato lo svenimento… e il sangue. Il fatto che poi subisca danni momentanei all'udito mi ha stonato. Certo, il dolore può momentaneamente debilitare i sensi, e so che una mutilazione all’orecchio è MOLTO dolorosa, ma il tutto mi è parso troppo esagerato. Anche la spossatezza che lui prova quando va a cercarla mi è sembrata completemente fuori luogo. Io non sono un medico, ci tengo a ribadirlo, e queste sono solo mie personali sensazioni. Ma io avrei trovato più verosimile il tutto senza la scena dello svenimento e tutta la parte del ricovero.
Visto che già ci sono, voglio spendere due parole per quello che è avvenuto nel ricovero, sullo scambio di battute. O questo capo non spicca per intelligenza o il tutto, ancora una volta, è surreale. Ti trovi davanti un ragazzo che per una vita ha difeso la madre, ha ucciso e rubato per lei, per tenerla al sicuro, e pensi che basterà dirgli di non farlo per evitare che vada a cercarla? Boh, la facilità con cui se ne va, mi ha perplesso.
Infine, l’ultimo pezzo, in cui penso che sia nuovamente il figlio di Davian a capo degli uomini che stanno per giungere… o forse no? Chi è quello che sta pedinando Rowen dopo il ritrovamento della madre? Potrebbe essere lui il figlio di Davian, ma mi pare troppo ritroso per esserlo, quindi credo che si prepari un nuovo risvolto su quel versante.

Per quanto riguarda i personaggi, finora Nerya sembra quella meglio caratterizzata, più completa. Forse perché il suo passato è quello che più di tutti è stato chiarito, forse perché vincente è stato mostrarci la scelta difficile che ha compiuto e il segreto che si porta dentro. Forse perché è il personaggio che più di tutti è pieno di chiari scuri impossibili da scernere tra di loro.
Anche Rowen sembra il tipo di personaggio che può piacermi. Non è un eroe, lo dici chiaramente nella sua introspezione, ma anche i suoi gesti lo dimostrano, a partire dalla determinazione che ha nel voler partire e abbandonare la città. Allo stesso tempo, però, è un personaggio di cuore: è vero che probabilmente il suo attaccamento alla madre è dovuto alla volontà di non voler restare solo, ma questo non può bastare per dargli la forza di occuparsi di un simile “peso” (e adesso sto ragionando in termini di vantaggi e svantaggi). Nerya è l’unica persona di cui si può fidare, in un certo senso, l’unica che lo ama, che gli ha dato qualcosa.
Quello che ho apprezzato, comunque, è quando perde la pazienza, il modo in cui la strattona, perché dice molto più dell’introspezione. Rowen in un certo senso è stanco, spaventato, e prova l’urgenza di scappare, ma è anche incapace di abbandonarla lì. Quella violenza sta a indicare il conflitto tra queste due forze che si muovono in lui, che in qualche modo lo imprigionano. Ed è l’impossibilità di pendere da un lato o dall’altro a renderlo tanto frustrato.

Passiamo alla parte più tecnica. Grammaticalmente non ho trovato nessun refuso, né ho visto un uso smodato dell'elisione come nel capitolo precedente. Quindi, su questo fronte ho poco, se niente, da dire. Solo dirti brava.
Per quanto riguarda lo stile, adesso che ho letto un capitolo più corposo, e che soprattutto segue già un primo capitolo che mi ha fatto assaggiare il tuo stile, ho potuto farmi un'idea più chiara dell'insieme. Riconfermo la mia prima impressione: scrivi bene, però trovo lo stile un po’ pesante a causa della sua linearità nel suo insieme, e si sente maggiormente in capitoli più corposi come questo. È uno stile prevalentemente di coordinate e, credo, basato principalmente su costrutti semplici, anche se lunghi, e poco vari. Questo rende un capitolo così lungo, fatto di scene così alternate (dinamiche, statiche, introspettive, dialogative) un po' monocorde. Quello che voglio dire è che manca, secondo me, l'espediente di figure retoriche, di quelli espedienti stilistici che danno carattere allo stile. Per esempio, frasi in evidenza per rendere i colpi di scena, l'uso di frasi brevi o nominale per variare l'impatto, omissione di articoli, metafore…
Anche il modo in cui strutturi il POV. Ricordi che nel prologo ti avevo detto che pensavo a un narratore POV ma che a un certo punto ho pensato a quello onnisciente? Ecco, credo che questo sia dovuto al fatto che il POV non subisce la completa immersione nel personaggio. Lo stile, e questo si ricollega al discorso qui sopra, non si piega, non si adatta alla pelle che lo ospita, ma rimane sopra le parti, sempre uguale. Anche l’introspezione è impersonale a tratti, come se fosse un narratore esterno a volerci mostrare cosa passa nella mente di Rowen in alcuni punti.
Tutto quello che sto cercando di dire, in definitiva, è che la storia è scritta bene… ma può bastare? Non voglio minimamente criticare o abbatterti, perché io in primis sto ancora cercando di imprimere carattere a ciò che scrivo, e so che più di creare personaggi e trama è questa la parte più difficile... e subdola, perché sembra come cercare di acchiappare l'aria. Quando pensi di averla imbottigliata di accorgi che il barattolo è quasi del tutto vuoto e molto sta ancora fuori dalla tua portata.

Non rompo oltre.
In sintesi, la trama deve ancora svolgersi e quindi non posso dare un parere, mentre il punto forte sono i personaggi, da ogni singola parte traspira il lavoro che ci sta dietro, la cura con cui hai creato il loro background. Mi manca un po' conoscere meglio questo mondo, che al momento non hai ancora veramente presentato. Per il resto, ho già espresso un parere.
A presto!
Recensione alla storia Il dono - 27/03/20, ore 20:16
Capitolo 1: Il dono
Ciao!
Credo tu abbia capito ormai che ho una predilezione per il fantasy, ho quindi puntato su questa storia che è la più recente nel suo genere.
La prima cosa che ho notato è il fatto che questa storia è stata scritta al contrario. Inizia in medias res e mette subito in rilievo un dettaglio: “Era sicuro che grappoli d’occhi di ragni invisibili lo seguissero sin dall’inizio”.
Si parte quindi dalla fine, o dalle sue prossimità, quando ormai il tradimento è avvenuto, Ireos è stato punito al posto suo e Teuker è preda della sua stessa follia, della sua stessa inerzia.
Un dettaglio che mi è piaciuto è il ribaltamento di ruoli, o meglio lo scambio tra “aspetto esteriore/aspetto interiore”. Mi spiego meglio. Ireos è presentato come lo schiavo, pelle chiarissima, pura, aspetto delicato e fragile all’inizio, eppure tra i due è quello più consapevole: di ciò che c’è in gioco, dei suoi sentimenti, di come va il mondo; mentre Teuker, nonostante il suo ruolo di cacciatore, la sua posizione sociale, è tra i due il più ingenuo, il più bisognoso e alla fine il più codardo.
Posso azzardare dicendo che Ireos sapeva tutto della prova fin dall’inizio, non serviva che Teuker glielo dicesse, ma il fatto che non lo faccia è solo l’ennesimo tradimento da parte sua, il peggiore forse, anche se fino a quando non lo perde, probabilmente Teuker direbbe l’opposto. Questo me lo pone come un giovane elfo coraggioso e forte, che a tratti si vergogna della sua fragilità (forse perché non vuole apparire fragile agli occhi di Teuker), un giovane che fa di tutto per “aiutare” Teuker a superare la prova (e qui apro una grossa parentesi, perché ho dovuto ragionarci un attimo su. Spero di non dire una cavolata, ma la prova consisteva nel fatto che Teuker non dovesse innamorarsi di lui, giusto? E questa prova è stata messa in atto anni prima, sin dal momento in cui è stato detto all’elfo oscuro di ricordare quel bambino. Che la prova, quindi, fosse per entrambi? Che Teuker dovesse resistere mentre Ireos dovesse essere messo nelle condizioni di non poterlo fare, spinto da anni a invaghirsi di Teuker?) non baciandolo, non lasciandosi trasportare dal suo amore, un amore di cui Ireos è consapevole e soprattutto preda da molto prima che Teuker lo conosca e se ne innamori.

La seconda cosa che ho notato è che, ora non vorrei sbagliare visto che sono lontano da Efp da più di un anno e potrei confondermi, nelle tue storie c'è sempre un intenzionale "buco di trama". Non è una critica, né un lamento, ma intendo proprio che le tue storie fantasy, questa e quella della strega ricordo in primis, sembrano tutte il pezzo di un racconto più grande, più complesso, che letto da solo si ammanta di un'aura misteriosa, che sembra essere scritta in italiano, ma che poi tra le sue maglie parla una lingua diversa, nascosta, e i significati vanno cercati (spero di non aver sparato cavolate prima, mi sono fatta certi voli) nei dettagli. Il diavolo si annida nei dettagli, giusto? Ecco, questa tendenza a me piace un casino. Sarà un senso masochistico, ma mi piace fare “il cacciatore” di dettagli, di riferimenti e significati nascosti quando leggo. Più sono i significati che trovo – più il lettore riesce a scoprirne di nuovi – più secondo me il testo vale.
Questo mi porta a un altro punto.
L'altra cosa che ho notato è la similitudine per certi aspetti tra il mondo dei ragni e la struttura "sociale" di questo mondo, ad esempio gli accenni al fatto che le donne uccidano i maschi durante l'accoppiamento, ma anche il fatto che abbiano drogato Ireos prima di squartarlo, comune in molte culture durante un sacrificio però qui mi ha fatto pensare al veleno dei ragni (che poi, mi par di capire comunque, gli elfi oscuri non hanno nulla da che spartire con i ragni, però queste affinità mi sono saltate all'occhio, forse è stata impressione mia). Ed ecco che il finale, legato perfettamente all’inizio ma anche al percorso di retrospezione, richiamato alla mente del lettore da metafore e similitudini sparse in tutto il testo, si palesa: la rabbia, la perdita, la paura, l’odio, ma soprattutto posso aggiungere il disgusto per se stesso (?) trasformano Teuker nelle stesse creature che lui ha affrontato (e per capire questo dettaglio ho dovuto cercare il significato di termini come “drider”. Io non conosco Forgotten realms, giusto?). Un’ironia della sorte, questa, che ci ricorda una dura lezione: il predatore che diventa la preda.
Passando alla parte più “tecnica”, ho trovato alcuni refusi.
Si sforzò di riprendere a camminare, incespicando sulle asperità del terreno che, in teoria avrebbe dovuto conoscere come le sue tasche -> serve una virgola per chiudere l’inciso “in teoria”
Era a Ireos che avevano strappato il cuore, e allora perché era a lui che faceva tanto male. -> non serve un punto interrogativo alla fine?
Continuò a girargli intorno, valutandolo come avrebbe fatto con una bestia. -> Qui, spero di non sbagliare (a me vengono mille dubbi quando si tratta di tempi verbali), ma visto il momento in cui è inserita la frase non dovrebbe essere “aveva continuato”?
lui si era tirati in dietro -> tirato indietro
di albero frondosi -> alberi
Aveva fatto il pezzi la sua cetra -> a pezzi
“Sono un così pessimo amate?” -> amante
Pagherà il tuo schivo per la tua colpa.” -> schiavo
gli orecchi puntuti -> orecchie (anche se, se non sbaglio, le parti del corpo vengono scritte anche al maschile, ma te lo segnalo perché prima avevi scritto al femminile, quindi per coerenza
Il punto forte della storia sono l'introspezione e la costruzione passato/presente. Ho apprezzato tantissimo il modo in cui hai mostrato il cambiamento di Teuker, il contrasto tra il suo dolore mentre, in parallelo, ci mostravi come il suo amore è nato e lui sia cambiato la prima volta. Sei capace di una scrittura pulita, scorrevole, ti avvali di figure retoriche “semplici” (intendo che non cerchi stratagemmi arzigogolati) che rimandano a immagini visive dirette, di immediato impatto. E poi ho letteralmente adorato il modo in cui hai saputo mostrare i momenti passati tenendo sempre presente il presente (scusa il gioco di parole). È stato come se lettore e Teuker rivivessero insieme quei momenti, con lui che li commentava, li studiava sotto una nuova luce. Questo ti ha anche permesso di rivelare i meccanismi del gioco in atto molto lentamente, di lasciare che fosse il lettore ad arrivarci (anche se io spero ancora di aver capitoXD).
“Quando non ci sarò più, capirai di avermi amato.” -> Giuro che non è pubblicità occulta, ma trovo piacevolmente ironico trovare una simile frase adesso, visto il tema del contest che ho indetto, che poi risulta anche essere l'emblema di tutta la storia. Questo dettagli mi è piaciuto un casino, e la frase è bellissima. È disarmante, potente, struggente.
Mi piacerebbe leggere ancora di loro due, confesso che leggerei volentieri una long o una mini long, qualunque cosa mi faccia entrare nuovamente in questo mondo che, seppure appena accennato, mi ha intrigato tanto, stuzzicando la mia curiosità.
Credo di aver detto un po’ tutto.
Concludo dicendoti che la storia mi è davvero piaciuta e che soprattutto ho apprezzato il fatto che, dubbi o non dubbi, è una storia che non ti lascia quando si raggiunge il punto finale, ma ti accompagna ancora un po’, ti costringe a rileggerla nella mente, a ripassare i dettagli, a studiarli. È una storia che ti costringe a ricordarla. Complimenti.
A presto!
Recensione alla storia Il Buio dell'Acqua - 26/03/20, ore 20:27
Capitolo 1: Il Buio dell'Acqua
Ciao.
Premetto che, una volta che mi hai dato direttamente il link della storia, non ho letto l'introduzione e ho iniziato a leggere, a "scatola chiusa", per intenderci. L'ho letto dopo, genio che sonoXD
Sono lontano da EFP da più di un anno ormai. Però ho una buona memoria (di questo posso vantarmi, per fortuna, anche se ogni tanto confondo le cose e faccio confusioneXD) e fin dal primo rigo la protagonista mi ha ricordato qualcosa. E poi, il riferimento agli arche, e il nome Malek che era uscito in una conversazione del Giardino qualche anno fa... ho ricordato: il prologo della long! Il bambino che assiste al tentativo di rapimento di una bambina che, all'ultimo secondo, sparisce per magia.
Non so spiegarti, ma ritrovare questi personaggi, che io non ho ancora avuto modo di conoscere come si deve, è vero, però ritrovarmeli qua è stato come ritrovare un vecchio conoscente, persone familiari che non vedevo da tanto tempo. E' stato eccitante, ecco. Soprattutto perché stavolta il personaggio POV non è Malek bambino, ma è la bambina (immagino) che lui incontra in quel giorno di festa, vicino al fiume. Ritrovarmi dall'altra parte della barricata, e soprattutto vederla crescere mi ha dato un senso di vertigine, che io provo quando avviene un cambiamento nei personaggi che amo, quando li vedo evolversi, assisto agli eventi della loro vita. Ecco, se l'avessi avuta davanti, sarebbero state tante le domande. Dieci cicli, dici nella narrazione, e lei si trova da qualche parte, con Malek, lontana dal villaggio da cui tutto è partito. Il bambino e la bambina sono in viaggio (mi par di capire) e adesso collaborano, contano l'uno sull'altra, si fanno forza. E io mi chiedo: cosa è successo? Quali avventure ho perso?
Come allora, i tuoi personaggi, il mondo da te creato e ai cui margini mi trovo, mi affascina. Stavolta però c'è un'aggiunta, che mi dà ancora più voglia di esplorarlo: c'è distinzione tra gli arche, che possono usare l'elemento, e gli ela, che invece posso diventare l'elemento stesso. Ovviamente la questione è più articolata e complessa di così, però questa prima distinzione mi è davvero piaciuta. Una particolarità all'interno della particolarità.
Di Malek non posso parlare, ma ricordavo già la sua affinità con il fuoco, e spero di poterlo approfondire in seguito. Mi è piaciuto moltissimo però la differenza che lei evidenzia tra lui e lei, il modo in cui lui si sente al sicuro nel suo elemento, forse l'unico luogo che reputa sicuro, come una casa. Dà un piccolo accenno di quella che può essere la retrospezione di questo personaggio. Mi fa immaginare un ragazzo cupo, ferito dalla vita, chiuso anche emotivamente, ma forte, abituato a cavarsela da solo.
Mentre è di Aidra che voglio parlare. Le prime parole sono fondamentali per entrare in sintonia con lei. Quest'ambivalenza che vive in lei da sempre, quest'attrazione/repulsione nei confronti dell'acqua che è quasi un demone con cui lei impara a convivere, a relegare in un angolo della sua testa ma che non l'abbandona mai del tutto.
Mi piace il modo in cui hai descritto la paura di perdere la propria identità, di essere inglobata da qualcosa di molto più grande e profondo di lei. Soprattutto perché diventa emblema di un personaggio che un'identità non ha. Non sa da dove proviene, non sa nulla del suo passato o della sua famiglia, le poche certezze della sua vita la definiscono e ha paura di perderle, che si dissolvano in quel flusso d'acqua senza fine. L'altra cosa che mi ha colpito è la differenza tra quella che sembra la sua personalità individuale e palese - una persona sensibile, fragile (non debole), sola, insicura - con la personalità che l'acqua fa emergere - un desiderio di libertà quasi selvaggio, un richiamo a una natura senza limiti e senza regole. Una natura in netto contrasto con quello che lei è e si sente di aver costruito.

Non so se te l'avevo detto ma mi piacciono molto i nomi che hai scelto, soprattutto perché rappresentano l'elemento a cui i personaggio sono legati. Quello di Aidra è più diretto e immediato, ma anche il nome di Malek mi ha un senso di forza, di un potere avvolgere e pericoloso come è il fuoco. Io ho una vera ossessione per i nomi (ho molti tipi di ossessioni) e quindi questo particolare non può che rendermi felice.

Passando invece alla parte più "tecnica". Come sempre invidio il tuo rigore quando si tratta di grammatica. Lo invidio (benevolmente, s'intende) perché il testo non presenta neanche la più piccola e comprensibile sbavatura. Sei "inumana", un alieno. Mi è sempre capitato d'imbattermi in un refuso (non dico errore, ma refuso, uno scherzo della tastiera) ma tu niente. In confronto, mi sento come un cieco che prova a scrivere, i miei testi sono pieni di mine orrende di errori e refusi. Bravissima, complimenti.
La prima cosa che ho notato dalle prime battute è un leggero cambiamento nel tuo stile: si è fatto più introspettivo, immersivo di come ricordavo. Non solo segui molto bene il punto di vista del personaggio, ma adesso è proprio dai suoi occhi che ogni dettaglio viene mostrato. L'unico consiglio che ti do (ma non è strettamente necessario da applicare a questo testo in particolare) è di rendere indipendenti le sequenze descrittive da quelle introspettive. Non intendo separarle in differenti paragrafi, ma in differenti frasi, per dare il tempo al lettore di dare importanza anche all'ambiente. Una volta ho letto un articolo a questo proposito, dove si parlava di eliminare o modificare le frasi passive presenti nel testo e tramutarle in attive. Ripeto, in questo testo, che è sicuramente un missing moment, o comunque uno spaccato breve, piccoli accenni sono sufficienti, come il riferimento al lago vicino al quale sono accampati, le varie fronde degli alberi. La parte più bella, però, è sicuramente il momento in cui l'ambiente diventa protagonista, quando lei entra in sintonia con l'ambiente e attraverso i suoi occhi si scopre di più. Bellissima l'immagine quindi che crei quando avverte l'acqua che scorre nel sottosuolo, questa panoramica sensoriale di questo sentiero d'acqua che conduce alle montagne.
L'incontro con questo riflesso marino ha del mistico. E' profondo, misterioso, a tratti minaccioso, e questo lo rende ambiguo. Mi piace moltissimo questa natura tra la necessità di aiuto, questa fragilità, e la severità minacciosa che traspare dal silenzio che segue le domande di Aidra.
Infine, mi piace la sicurezza di Aidra nei confronti di Malek: forse mi troverà, invece. E' il segno di un legame profondo, fatto di fiducia e di affetto. E la sensazione che si prova quando si sente di poter contare su qualcuno, di non essere più soli, di contare per un altro essere umano. Mi ha trasmesso un senso di dolcezza infinita.

Infine, il titolo. Mi piace che poni l'accenno sul "buio" dell'acqua. Quindi sulla sua profondità, il mistero che cela, ma anche la pericolosità, la paura e il senso di rispetto che trasmette. E poi c'è anche l'attrazione verso l'ignoto, quella vertigine che si prova quando si deve fare un salto nel vuoto. Il titolo è perfetto, semplice e allo stesso tempo denso di rimandi alla storia. Complimenti.
Spero di tornare presto alla long, mi dispiace davvero averla dovuta abbandonare.
A presto!
Recensione alla storia Nel nome del padre - 10/03/20, ore 20:06
Capitolo 1: Prologo
Ciao, sono qui per lo scambio libero.
Sono un po’ fuori esercizio, è da un po’ che sto via da efp e non lascio recensioni. Spero di riuscire a lasciarne una accurata e ben argomentata, come piace a me.
Allora, ti dico subito che come prologo mi è piaciuto. Soprattutto l’incipit e le ultime battute di chiusura davvero ad effetto. Mi piace come, nella prima parte, utilizzi le ripetizioni: le prime due nei due paragrafi iniziali, e poi quel “lui” ripetuto, che riescono a dare un senso di durezza, di oscuro, di perdita tangibile e pressante. Ho apprezzato anche alcune similitudini, come il tintinnio che si spande come un grido di morte, o come le figure che sfuggono rapide come miraggi. Scrivi bene, e scrivi di un genere che secondo me ti piace, perché ho rintracciato nella narrazione gli echi di letture fantasy. Non è una critica, ma un punto a favore, perché vuol dire che il genere è trattato con cognizione di causa. Inoltre curi la parte introspettiva, caratterizzando i personaggi a partire dalle loro sensazioni e dai loro sentimenti, che è il punto cruciale per renderli realistici. Confesso che l’abbandono del bambino da parte di Nerya mi ha stretto il cuore, sei stata brava a rendere la scena cruda, dure, spietata emotivamente; e allo stesso tempo non ho potuto fare a meno di chiedermi se davvero, al posto di Nerya, qualunque madre si sarebbe comportata allo stesso modo. Qui ti faccio i miei complimenti perché la paura della morte del figlio è supportata da un già precedente odio nei confronti di quel bambino che rappresenta indirettamente e senza volerlo il motivo per il quale lei si è dovuta separare dal suo amato. L’odio che ha covato nei mesi, la paura e la solitudine esplodono sobillati dalla paura per il figlio stretto solo per pochi attimi. Riguardo agli altri personaggi, i due ragazzi, non mi pronuncio perché è ovvio che al momento siano stati solo presentati e che ci vorrà tempo per definirli, ma ti dico subito che ho apprezzato le diversità e affinità: diversità perché se il primo si mostra come un personaggio duro, militare, ma ancora sensibile all’odore del sangue, il secondo invece è premuroso con la madre, fa l’uomo di casa ma mostra tutta la sua giovane età quando si abbandona a pensare ai racconti dei vecchi e cerca d’immaginare una vita migliore, bella e allegra; affinità perché entrambi giovani hanno già conosciuto il dolore, la privazione, le brutture del mondo. Diversi eppure uguali, ecco.
Nel suo complesso, quindi, il prologo mi ha convinto e sicuramente incuriosisce a continuare la lettura.
Ho comunque dei suggerimenti e delle domande da porti (devi sapere che, contrariamente, non sarei io).
Partiamo da quei particolari che non mi hanno convinto. Credo (e sottolineo credo) che un albero per essere consumato dalle fiamme e infine cedere e cadere abbia bisogno di tempo, più tempo rispetto a quello che serve al fuoco di propagarsi o all’odore del fumo di espandersi. Te lo dico per esperienza, se qualcosa brucia lo senti anche a distanza… poi se hai il vento a favore. Di conseguenza, troverei più realistico il fatto che l’odore di fumo le investa prima che le raggiunga il rumore dello schianto. Aggiungerei quindi un pezzettino in cui preannunci la catastrofe sollecitando i sensi del lettore, come un odore che aleggia nell’aria e che Nerya non sa da dove arrivi, qualcosa che all’inizio sembra essere solo nella sua mente e che ha il potere di inquietarla. Oppure aggiungerei mettendole in allarme del fatto che, per via del vento, non avevano sentito prima l’odore del fumo.
Altro appunto, si trova nel terzo momento, subito dopo la prima battuta di Rowen: il fatto che l’attimo prima utilizzi “un ragazzo” e nella frase successiva lo chiami per nome. Il lettore sa benissimo che è Rowen, quindi usa il nome, è meglio. L’uso di “sinonimi” al posto del nome non alleggeriscono un testo, lo appesantiscono. Lo rendono meno curato, secondo me. Non avere paura di usare i nomi.
Hai uno stile fluido, che si avvale per la maggior parte del tempo di periodi lunghi ed elaborati a volte, soprattutto di coordinate. Molto spesso utilizzi la relativa per unire più periodi. Nulla di sbagliato, ci mancherebbe. Ma, forse per mio gusto personale, in alcuni casi io lo eviterei. Soprattutto quando si vuole dare l’idea di imperiosità, di freddezza, di urgenza… boh, dipende dai casi, ovvio, ma frasi brevi, spezzate, riescono a dare un ritmo più coinvolgente, più imperante.
Per esempio, in questo passaggio qui:
“In un gesto fulmineo, mise Rowen tra le braccia tremanti della levatrice che, ancora profondamente scossa, accolse il neonato in un silenzio atterrito.” → Io toglierei il che a favore di un punto. Inoltre la levatrice avrà di sicuro un nome: del bambino a Nerya non le importa, ma forse, anche inconsciamente, il nome di lei le sarà rimasto in testa. Vuoi che una levatrice, da sola con una donna incinta e un bambino, non si metta a chiacchierare ad alta voce per far passare il tempo e stemperare la tensione? Inoltre mi domando chi sia, chi accetterebbe di stare confinata in una capanna gelida in un bosco con una donna e un bambino? Ok, personaggio di passaggio sicuramente, ma a me piace dare realismo anche alle comparse, rende il tutto più coinvolgente, vero, curato. E trovo fattibile che in un momento urgente, forse per la prima volta, Nerya chiami la levatrice per nome. È solo uno spunto, il mio. Null’altro.
Un’altra cosa che non mi convince, soprattutto in relazione al registro linguistico e allo stile, è l’uso radicato dell’elisione davanti a vocali differenti, come “s’alzò”, “s’era” e tutti gli altri. A me danno un senso o di uno stile vecchiotto, un po’ del secolo scorso, oppure della parlata informale, qualcosa di più gergale; e nessuno dei due casi rispecchia il tuo stile.
Altro appunto: l’inversione tra sostantivo e aggettivo. Io la utilizzo e mi piace, ma sono dell’idea che usarla sempre, o nella maggior parte dei casi, ne smussi l’effetto e renda il testo inutilmente arzigogolato.
Riguardo al narratore. Mi era parso di capire che tu stessi usando dei punti di vista, non uno onnisciente. Lo deduco anche perché utilizzi gli occhi di Nerya per mostrare al lettore dove si trovano, nell’ultimo pezzo. Solo che dopo c’è quest’altra frase: “«L’arcimago Ademar ci proteggerà» insisté Nerya, con pacatezza, come se non si rendesse davvero conto della conversazione in atto con suo figlio.” Se fosse il suo punto di vista, il narratore saprebbe se si rendesse conto oppure no. Poi, il passaggio dal suo punto di vista al punto di vista di Rowen senza un vero stacco come avevi fatto fino a poco prima mi ha un attimino disorientato. Insomma, non ho capito il tipo di narratore che utilizzi, purtroppo. Ed è importante, ai fini di una coerenza stilistica, di pulizia della narrazione ma soprattutto per coinvolgere il lettore (me sicuramente) serve necessariamente.
Spero di aver detto tutto, quanto meno di aver affrontato tutti i punti fondamentali, e che la recensione possa aiutarti. Il prologo mi è piaciuto, quelle segnalate sono secondo me piccoli accorgimenti che limerebbero il lavoro. Mi piace confrontarmi con l’autore, quindi se non sei d’accordo con qualcosa che ho detto non farti scrupoli, non sono infallibile, ci mancherebbe, e questo resta il mio personale punto di vista.
A presto!