Il tatto che si usa nelle storie drammatiche varia a seconda di quello che si affronta e si vuole mostrare al lettore, per quanto mi riguarda.
Ci sono storie elaborate che raccontano per filo e per segno degli eventi concatenati con molta grazia e precisione, andando a scoprire non solo la storia dei protagonisti ma anche la loro anima e il loro modo di essere più intimo e segreto.
Poi ci sono quelle drabble che non hanno bisogno di tutte queste premesse e riescono, con un'incisività magistrale e molto più forbita di quanto possa sembrare all'inizio.
Yume è (apparentemente) una bambina come tante ma con un destino unico rispetto alla norma, è inconsapevolmente innocente anche nella dimensione che non riesce mai a spiegare completamente, senza sapere che è qualcosa dalla quale potrebbe risvegliarsi da un momento all'altro, se le sue condizioni migliorassero ed avessero un buon responso nella vita reale.
Non sappiamo chi è realmente in pensiero per lei, chi la veglia, non sappiamo proprio niente di Yume e non ci è dato saperlo perché la protagonista della storia è l'innocenza tipica di una bambina che come unica preoccupazione è quella di sentire rimproveri in famiglia per essersi sporcata con la sabbia.
I sogni sono tutto a quell'età e piuttosto che vivere vedendo il grigiore dei macchinari la piccola è protetta da quella condizione che la tiene lì, come una principessa che vive sicuramente avventure tra le più disparate ma pur sempre quotidiane, simili a quelle che conoscevano gli occhi suoi spalancati.
Come atmosfera non si avverte ilarità e né duttilità con la quale scendere a patti; voglio dire, Yume è sicuramente tenera e giocherellona ma non traspare una gioia così aperta ed esplicita tipica di certi infanti ma piuttosto molta introspezione, lei che gioca con la fantasia e con le promesse che le suggeriscono che tutto andrà meglio per il futuro in fondo al percorso.
Ma è tutto molto intimo e come se lei non si confidasse con nessuno se non con le creazioni che dà alla luce e le cose che riesce a rendere verità, in questo caso il castello.
Mi ha ricordato un po' le atmosfere di una canzone giapponese chiamata "Suna no oshiro", dove regnano luci bianche e di apparente positività, quasi come a testimoniare un inizio (non solo di una giornata qualsiasi), promesse di voler rendere reale qualcosa di fantastico e osservare tutto con molta cautela ed introspezione di fondo, senza godere esplicitamente di una bellezza così plasmabile.
La cosa più tremenda è quella preghiera implicita che gli occhi di Yume fa a se stessa e alla sua fantasia è proprio spezzata dalla sua reale condizione ed è confinata a vivere qualcosa che non riuscirà mai a concretizzare davvero e non spiegherà mai, andando avanti con il tempo.
Ha un'interpretazione che va aldilà del sogno, secondo me, così come la maturità della drabble in sé è manifestata da un carattere molto insolito per una bambina come Yume e l'introspezione che regna sovrana per il rapporto che la piccola ha con la sua situazione, come se fosse inconsapevolmente tutto ma non riuscendo a comprendere neanche un decimo della sua essenza, senza poter rispondere a certi quesiti che poi la sua fantasia potrebbe creare.
Il fatto di trovarsi in equilibrio tra vita e morte, tra pudicità e consapevolezza e costruendo tanti dualismi opposti riguardanti l'essenza porta la storia ad un livello di cupezza molto ampio.
A Yume rimangono sempre i sogni in ogni caso - i suoi desideri e i suoi soltanto - perché la sua mente non è stata toccata e non è assolutamente ferma all'idea di stare ferma come il corpo, in quanto lei è sempre così, in qualsiasi dimensione.
Realmente toccante e molto misteriosa, così come la sua protagonista, nella sua brevità è riuscita a creare ed ammaestrare un tema così delicato e serio.
È una storia che prestandosi così si presta ad un'unica conclusione effettiva che dona il finale ma tantissime vie di interpretazione sul suo linguaggio e la sua atmosfera.
Un abbraccio,
Watashiwa |