Meraviglioso, Ghevurah, davvero!
Nonostante io non ami per niente il personaggio di Feanaro, ho trovato questa storia talmente bella e intensa che l'ho riletta più di una volta.
Hai descritto la fuga dei Noldor in maniera talmente vivida che sono riuscita a vedere con chiarezza ogni scena, ogni espressione dei volti, ogni piccolo dettaglio, come se lo avessi davanti agli occhi.
In più sei riuscita, attraverso il perfetto uso che hai fatto della seconda persona singolare, ha intrecciare tutto queste scene che si susseguono con l'introspezione di un personaggio complesso come Feanaro, mostrando il suo carattere e anche alcune sfaccettature nuove.
Innanzitutto mi ha colpita il momento in cui si apre il racconto: dall’uscita dalla città, dal momento in cui Feanaro volta le spalle alla sua città, e già in qualche modo a tutta Aman, per andarsene, senza guardarsi indietro, reprimendo con ferocia ogni pensiero o ricordo che potrebbe fargli cambiare idea.
Ogni cosa che vede, dalla luce della Mindon ai porti, per lui ormai sono solo immagini di quella che era una terra di pace e che ora non è più nulla per lui, se non una terra d’ombre fra tante, di cui non si sente ne vuole essere più parte.
Anche il disprezzo di Feanaro nei confronti dei Valar in questo racconto assume un intensità nuova, perché lo si può vedere crescere, diventare sempre più forte.
Significativo in questo senso è il passaggio in cui persino l’immortalità e la gioia degli elfi diventano una bugia dei Valar, di fronte alla facilità con cui i Noldor uccidono i teleri, loro fratelli, elfi come loro.
Ed è a questo punto che il giuramento che Feanaro ha prestato lo divora senza possibilità di scampo.
E angosciante vedere come diventi sempre più un pensiero fisso, l’unico.
Ne la tempesta che assale le navi appena rubate ne la Profezia del Nord lo toccano, ma peggio ancora non lo tocca più l’innocenza perduta dei suoi figli, la paura e i rischi che sta affrontando il suo popolo.
E qui ho visto tutto l’egoismo crescente di Feanor, (il motivo principale per cui non amo il suo personaggio), mentre diventa per lui allo stesso tempo una difesa, e un’arma.
Lui e il suo giuramento diventano e devono rimanere il centro di tutto e dei propositi di tutti, e Feanaro è pronto a condannare chiunque provi a protestare, a rallentare quella marcia.
E alla fine, inrealtà, una punizione Feanaro la infligge, sia alla sua gente, tagliandogli con crudeltà ogni possibilità di tornare indietro, ogni legame on la terra che hanno lasciato, e alla schiera di Nolofinwe abbandonandoli, considerandoli utili solo a stare nelle “gabbie dei Valar”.
E nella descrizione che hai fatto dell’incendio delle navi, ogni gesto e ogni motivazione di Feanaro si sente tutta quella crudeltà lucida e sottile che rende la scena ancora più inquietante, perché Feanaro sembra soddisfatto da queste azioni, da questo egoismo che è diventato l’unico sentimento che prevale in lui assieme all’odio per Morgoth che gli ha portato via i Silmarilli.
Una crudeltà che finisce per ricadere anche sui suoi sessi figli, trascinandoseli dietro nel fratricidio e nella fuga senza rimorsi, ingannandoli perché non si guardino indietro, fino a uccidere uno di loro, tutto perché ormai sono strumenti del suo giuramento.
Sei riuscita poi a descrivere con poche ma significative parole ogni espressione e ogni sentimento condiviso delle schiere dei Noldor, tanto da far emergere anche loro tra le tante immagini i questa storia, e questo mi è piaciuto tantissimo.
E a proposito di personaggi, mi è piaciuto moltissimo anche quel momento in cui Feanaro finalmente guarda i suoi fratelli.
Li guardi perché ora lo seguono, perché sono fratricidi come lui, ma li guarda, e guarda in particolare il fratello che resta, Nolofinwe.
Mi ha davvero colpita il modo in cui ti soffermi su Feanaro che sembra per un attimo accettare in maniera contorta quella somiglianza tra lui e Nolofinwe, come se veramente per un attimo avesse smesso di odiarla e avesse voluto davvero notarla, fino all’ultimo dettaglio.
Ma l’egoismo e il giuramento distruggono anche questo, e quell’attimo sembra ridursi a un niente, a un attimo da rifiutare come mai esistito.
E alla fine l’ultimo, peggiore momento di questa fuga, quel momento che non ho mai perdonato a Feanaro: la morte di Ambarussa, unita all’incendio delle navi fatto di nascosto, all’insaputa di quel popolo di cui gli piace tanto dichiararsi re.
Mi ha colpita tantissimo il modo in cui hai inserito quell’unico, devastante attimo di consapevolezza e di rimorso di Feanaro subito dopo la descrizione, ancora più fredda da questo punto di vista, dell’incendio delle navi: ha dato al tutto un effetto ancora più intenso e straziante, soprattutto perché, svanito quel momento di dolore, tutto ritorna come prima.
Feanaro va avanti, convinto di aver fatto tutto ciò che è giusto fare per se stesso e per il suo popolo, ma soprattutto per il giuramento.
Ha finito per soffocare non solo i ricordi della sua famiglia, ma persino di suo padre, uqel padre che poco prima era così ansioso di vendicare.
Sta già scontando la condanna del suo giuramento e della Maledizione di Mandos, ma non se ne rende conto, e non se ne renderà conto nemmeno in punto di morte.
Tantissimi complimenti, Ghevurah: è una storia stupenda, resa ancora più vivida dalla seconda persona singolare, e ricchissima di accenni e di attimi che hai saputo tratteggiare in maniera perfetta e intensissima, rendendo giustizia non solo al carattere di Feanaro ma anche a tutto ciò che lo circonda e a tutti coloro che questi suoi atti hanno toccato.
Il racconto della fuga dei Noldor è un racconto straziante, e tu in questa storia sei riuscita a conservare quell’atmosfera di angoscia e di ineluttabilità, e soprattutto a trasmettere tutta la disperazione, il dolore, la rabbia, la paura di questi episodi, mantenendo allo stesso tempo tutta la complessità che si nasconde sotto il rapido racconto che viene fatto nel Silmarillion. Complimenti davvero!
Spero davvero di leggere presto altre tue storie come questa, perché è stupenda!
A prestissimo!
Tyelemmaiwe |