Un salto indietro di cent’anni, una storia seppur vecchia di secoli che non può e non deve essere dimenticata: pena la morte, pena la vita.
Alex ha così tanto voluto ritrovare una foto che per un attimo ha rischiato di metterne a repentaglio il futuro: una foto dal passato per un passato ancor più remoto che valeva la pena di essere ricordato. Perché parla di persone diverse: Alex e Albert Wesker, criminali, geniali, onniscienti, osannati, temuti, persi; persone nuove quelle che tornano a Sushestvovanie in un pomeriggio qualunque di una giornata qualunque -qualunque per chiunque, ma non per loro. Questo è il giorno in cui Albert conoscerà fino in fondo la donna alla quale ha deciso di rimanere al fianco, in cui essa si mostrerà per quella che è stata al momento finale: mostro per mostro, faccia a faccia per il principio di un virus che spacca e distrugge, che uccide e svela ciò che si nasconde.
La foto, dicevamo: un portale per le rovine di Sodoma e Gomorra, distrutte dalla mano di un demonio dalle sembianze di donna che non ha risparmiato nessuno nella sua corruzione: anziani, adulti, bambini che hanno raggiunto quegli stessi che già 13 anni prima avevano -loro malgrado- preso parte alla distruzione della prima delle mitiche città. Sono ricordi dei quali Alex non può disfarsi, in quanto equivarrebbe a disfarsi di se stessa: quale casa può reggersi in piedi se le vengono sottratte le fondamenta, quale vita può cominciare se nega ciò su cui è stata costruita? Nessuna. Nessuna Alex ci sarebbe stata se non avesse affrontato l’ombra che la seguiva, nessuna Alexandra esisterebbe se non fosse tornata per quella foto, per quel passato che l’aveva sciolta, sconfitta, forgiata. Morta nel fuoco, segnata, rinata dalle ceneri: la perfetta rappresentazione, non più parodia, della mitica Fenice che muore, risorge. Rifulge.
Proprio un caldo epilogo ma qualsiasi fiaba richiede un capro espiatorio, il sacrificio del cattivo che minaccia la felicità del principe e della principessa. E’ un percorso che ha necessariamente un punto d’inizio e diverse tappe che non possono essere evitate: che sia Raccoon City, Terragrigia o Sushestvovanie, la sua presenza è sempre stata richiesta, non evidente, perché ogni fermata l’avrebbe formata per quella che è la Alex che alla fine si è disintegrata, derelitta inginocchiata di fronte alla morte che si è inflitta prima del tempo. Perché non voleva vivere, perché aveva perso ciò per cui fosse giusto farlo.
Per questo si è lasciata bruciare.
Perché qualcuno l’ha fatto prima di lei. Qualcuno che era fondamentale ma non lo ha accettato in tempo. Decisione irreversibile, pedina finita nella tela del ragno. Bruciata.
Alex deve affrontare un percorso. E’ giusto che lo faccia, che ricollezioni ogni memoria, ogni passo per tracciare il sentiero fuori dal labirinto, casa dei giochi buia e malata: basta giocare, è l’ora di affrontare il mondo e uscire dalla torre, di splendere alla luce del sole e cominciare a camminare -non più correre- mano nella mano, insieme a chi come lei non si è mai fermato. Importante -sempre- come la chiave rimanga la foto, la vecchia storia: Alex è un’umana innocente, un piccolo gioiello che splende sull’anello dell’uomo corretto questa volta; vuole ricordare il passato per non ripeterlo mai più, vuole confrontarsi con esso, vedere, dimostrare come sia degno e migliore ciò che ha ottenuto con la morte, il dolore e il pugno di ferro. Sa che una storia iniziata con la violenza non può che terminare nella violenza, eppure rifiuta di pentirsi, di rinnegare, disprezzare ciò che ha fatto. E’ crudele Alex, come ogni umano che si rispetti: mors tua vita mea, tu fui ego eris, uccidi strappa e schiaccia per non affogare, spingi gli altri in basso e usali come scalini per rimanere a galla. Riempiti i polmoni della loro aria, piangi, sorridi, godi di notte, impersona e vivi ognuno di loro che hai ucciso con così tanta crudeltà. Non ha senso pentirsi a Sushestvovanie, perché farlo significherebbe non solo cancellare il sacrificio di tanti ma ritrovarsi di nuovo morta, rudere tra le rovine, Alex senza Albert. Mostro e basta.
E’ un’immagine cara quella di Alex che ritrova la cornice, un’immagine dolce e gratificante, semplice eppure bellissima. Inginocchiata ai piedi di un altare distrutto, lacrime a lavare via polvere e detriti vecchi come la loro battaglia, salva, non più sola. La fiaba entra ora nel momento di spannung, tensione massima, l’altro nodo di un percorso che un’anima come tante è chiamata a percorrere e rivisitare. Questo è il momento in cui si riconosce dove si è arrivati a precipitare, la tana oltre la miniera nella quale ci si è ripiegati per rifuggire la luce, la verità, lo stato a cui si è ridotti. E’ il momento della resa dei conti: l’oste presenta il conto e Albert decide di pagarlo. Ama Alexandra Wesker nel luogo che più l’ha maciullata, dove sono più forti e cattivi i fantasmi che gridano ogni giorno per cercare di schiacciarla, abbatterla, trascinarla di nuovo all’inferno che si era creato, che lei aveva creato, che l’aveva ingoiata ergendola a sua miserabile pedina.
La verità è che la foto era solo il pretesto, il mezzo perché Albert si interponesse definitivamente tra Alex e Alexandra, perché accettasse il suo ruolo di guida per strapparla finalmente a se stessa e renderla sua, per sempre. Come Virgilio per Dante, è Albert che accompagna Alex nell’abisso per mostrarle cosa ci sarà, per lei, se non riuscirà a spezzare la maledetta spirale; prima come foto, poi come persona in carne e ossa sarà lui a guidarla, sostenerla, vederla nella sua forma peggiore per riconoscerne il peggio e apprezzarne ancor più il meglio, sarà lui a cancellare con violenza il male del passato nel luogo in cui si è perpetuato, a dissacrare il santuario di stracci che Alex si porta dentro per permetterle infine di respirare. Così si completa il ciclo, violenza che porta a violenza, Albert che salva Alexandra così come lo aveva già fatto tanti anni prima.
Alexandra è libera, ha tirato i dadi per l’ultima volta e la mano fortunata le ha permesso di raggiungere il traguardo. Ha vinto il gioco perché ha scovato il significato di una foto che l’aveva accompagnata fino alla fine e oltre, perché è scesa nella voragine e la sua buona stella le ha permesso di risalire. Ha guardato in faccia il passato, lo ha temuto, ma questa volta lui c’è stato e l’ha protetta per mantenere la promessa di cacciare la morte lontano da lei. Forse la neonata Alexandra ha perfino pensato di aver scritto la parola fine alla fiaba che l’aveva immolata a principessa, eppure innocente comprenderà bene come ci siano cose che possano essere perdonate ma non dimenticate. C’è un urlo che si farà sentire forte, assordante nel momento in cui lei volterà le spalle definitivamente, in cui deciderà che un nuovo capitolo deve cominciare; ci saranno dita che la tireranno indietro per l’ultimo angolo della veste di Era e che saranno il passato nella foto, rantoli che dovranno essere accettati, nutriti ma non ascoltati, non lasciati morire. Sarà la vittoria ultima di Alexandra accogliere Alex e cullarla per farla riposare finalmente in pace, far quietare con il tempo urla che non smetteranno, ma che con un po’ di fortuna potranno diventare un semplice rumore di fondo, un brontolio indistinguibile dagli altri. Un modo come un altro per Alexandra di mettere a posto le cose, di padroneggiare il passato per poter iniziare davvero la stesura di un nuovo presente. (Recensione modificata il 28/01/2017 - 09:41 pm) |