Ho aspettato di avere fra le mani tutta la storia per potermi godere quell’immagine completa che i singoli capitoli non riescono mai a delineare, soprattutto quando letti a distanza di tempo l’uno dall’altro.
Lo stile resta il tuo, inconfondibilmente malinconico anche nell’arroganza dei dialoghi. Il tempo passato a volte lo sbilancia. Continui a utilizzare frasi brevi che, se nel presente hanno una certa sonorità, nel passato sembrano affettate e singhiozzate. Molto all’inglese. Credo di doverci fare l’abitudine, ma è innegabile che apprezzo questo passaggio temporale, perché una narrazione al passato ti permette formulazioni che il presente, più immediato e diretto, raramente consente.
Lasciando da parte le mie elucubrazioni, probabilmente poco sensate, sullo stile di scrittura, passiamo all’aspetto contenutistico.
Hai giocato molto sul messaggio ambientale. Mi aspettavo che fosse molto più sottile e invece è proprio esplicito. Sia nella faccenda dell’estinzione (Sasuke appartiene a una razza funzionalmente estinta), sia nelle visioni che il canto stimola in Naruto, quel “sogno” di un mare più puro che non ha mai conosciuto e che difficilmente potrà conoscere, è palese l’urlo disperato di una natura che muta.
Come sempre nelle tue storie, Sasuke e Naruto si salvano a vicenda. Sasuke è solo, e per sua stessa ammissione, all’inizio della storia è Naruto, con il suo gesto folle di gettarsi in mare per recuperare la busta, a chiamarlo (quasi fosse lui la sirena dal canto suadente e non Sasuke). La solitudine di Sasuke è palese e triste, un lamento solitario che trova conforto solo nell’interazione con la cocciutaggine di Naruto, che torna, torna e torna ancora per lui. Instancabile.
Naruto d’altro lato, nonostante lo mascheri bene con i suoi dubbi sulla lettera perduta e su quella ragazza che si ostina a seguirlo, sta affrontando un periodo che metterebbe alla prova chiunque. In Sasuke trova conforto. Non è un conforto vocale, cioè non gli racconta delle sue tristezze, dei suoi dubbi, non parla direttamente di sé (se non alla fine, quando gli viene posta la domanda diretta), ma piuttosto si appoggia a lui, trova in lui conforto.
E anche quel bacio, che Naruto dice essere normale fra amici, non mi è sembrato un bacio d’amore, ma un bacio di ringraziamento per qualcuno che ci fa scoprire il mondo e che inconsapevolmente ci sostiene quando ne abbiamo bisogno. È un affetto che va oltre il “ti voglio bene”, valica i confini dell’amicizia (che amicizia non è) e acquista le forme della necessità.
Con te è spesso così, i tuoi personaggi non si amano di quell’amore un po’ cieco un po’ bambino che si trova di solito nelle fan fiction (mie incluse), ma di un amore più indefinito, che nasce sempre da un bisogno. Non è un amore incondizionato, ma un amore egoistico. Agiscono d’istinto vero, tuttavia non si tratta di un istinto confusionario che li porta a fare sciocchezze di cui poi si pentono, piuttosto di un istinto che coincide col fato: di tutte le strade possibili percorrono per obbligo quella necessariamente giusta. Anche nelle scelte drastiche, in quelli che potrebbero sembrare sbagli, i tuoi personaggi trovano la loro via.
Ho analizzato tutto in modo ovviamente errato, dando ascolto alle mie più superficiali interpretazioni che probabilmente si discostano ancora una volta dal modo in cui la tua mente ha progettato le cose.
Però la scrittura credo sia anche aprire le porte a letture altre oltre la propria.
Detesto col cuore i tritoni, ma il tritone in questo caso è chiaramente solo un espediente per costruire altro, quindi forse per questo sono riuscita a raggiungere la fine senza stramazzare al suolo nel tentativo.
Brava, Miwako.
Ora dirai che mento, ma sappi che non è così, anche se continuo a volerti vedere fuori dalla tua confort zone di sentimenti effimeri, parole non dette e piccoli gesti. |
