E rieccoci, carissimo, con un inizio che fa male a tutti.
A Siwald, in primo luogo, per mille e più ragioni; ad Ehrenold, che vediamo tormentarsi col rimorso di un maestro e amante dietro al suo volto imperscrutabile di generale. E a noi, che dobbiamo assistere a questa punizione così severa per entrambi, e alle loro prese di coscienza scandite dallo schioccare della frusta.
Che profonda e amara, la riflessione sull'amore.
Come poter calibrare i sentimenti tra ciò che si desidera e quel che invece è meglio? Comunque la si guardi, è impossibile poter rimanere razionali nel sentimento che è la forma stessa dell'irrazionalità. Siwald è fuoco vivo, e le fiamme non le puoi controllare; ma come poter trovare la forza di soffocarle e spegnerle, quando quel che ti affascina è vederle divampare fiere? Se avessimo una risposta a questi interrogativi, vorrebbe dire che siamo degli illusi. E per scomodare il Leone d'Inverno, vivere di "se" è un passatempo da bambini; non resta che affrontare la realtà tangibile di quel che si ha davanti, con tutti gli errori e i rimpianti.
La realtà tangibile, in questo caso, è una punizione severissima, pari alla gravità dell'errore commesso. Come predetto, il supplizio potrà anche piegare il corpo di Siwald, ma non la sua volontà; ne è la prova il disprezzo con cui l'affronta fino all'ultimo, pur se comunque deve ricredersi sullo sputare il morso di cuoio. Quel che davvero manda in pezzi il suo spirito indomito è lo sguardo di Ehrenold; è la consapevolezza di averlo deluso a lacerarlo molto più in profondità del nerbo. D'altronde per un uomo di Kjarr il dolore fisico è consuetudine, ma il disonore, il sentire di essere considerato un fallimento e un cattivo soldato dev'essere una vergogna bruciante. Soprattutto dal proprio mentore.
Persino in questo caso ci viene suggerito che Siwald è fatto tutto a modo suo, perché di norma ne avrebbe tratto una soddisfazione sprezzante. Impariamo infatti che persino uno della Guardia Reale lo aveva scelto come allievo -a conferma delle sue straordinarie potenzialità-, e poi riportato indietro con sdegno, e il ragazzo ne era stato fiero.
Il suo, quindi, non è il rimorso di aver deluso il suo maestro in quanto "maestro"; è il rimorso di aver deluso colui che lo aveva accolto, valorizzato e stimato, senza vederlo solo come un soldato da plasmare, ma un uomo a cui dedicare la propria vita per esaltarne i pregi malgrado i difetti. Ancora non conosco le circostanze precise di come sia iniziato il loro sodalizio, ma mi sembra di capire -e correggimi se sbaglio- che Ehrenold abbia insistito per averlo, pur consapevole di starsi prendendo un grosso azzardo.
Siwald, se da un lato si impegna con orgoglio per continuare a essere un grosso azzardo, dall'altro viene improvvisamente colto dal terrore che per Ehrenold possa non valerne più la pena. Quel che aveva sempre provocato ora può realizzarsi, e la prospettiva lo lascia atterrito. Tutta la pazienza che aveva sempre sfidato, tendendo la corda al limite, ora può essere davvero finita, e il solo pensiero basta a farlo sprofondare in un tumulto di pensieri uno sull'altro. E lo lasciamo così, quando anche il dolore fisico ha la meglio sulla sua coscienza.
Dopo questa apertura così greve, consoliamoci con un brevissimo scorcio sul passato che trapela da una conversazione: la prima interazione tra Ehrenold e Rowden. Oh, il mio cuore. Dei kindergarten zinnsoldat. Figurandomi la scena, memore anche del disprezzo per il bimbo dimostrato dal Sovrintendente all'ingresso a Tarlya, sono giunta alla conclusione che immaginare Ehrenold da bambino sia destabilizzante; sarebbe uno di quelli sempre torvi e austeri, che ti osserva malissimo e che fa la predica persino ai suoi coetanei se non si comportano a dovere. Quanto ce lo vedo, a proferire lapidario al giovane Rowden "È stata colpa tua. Dovevi stare più attento" prima di condividere assieme la propria razione. Perché Ehrenold è così: non ti concede sconti agli errori, ma al contempo non ti lascia indietro e si prende in carico il problema, perché non pensa a se stesso ma al plotone nel suo insieme. Corretto e calibrato persino in giovanissima età.
È una forma mentis così tedesca, la stessa che ritroviamo impressa nell'ideale del soldato di Kjarr espressa poi da Gabheld: l'uomo che non obbedisce perché deve, ma perché ha capito che deve. Seppur sia lo stesso verbo, i due significati finali sono ben distinti tra loro.
Io obbedisco agli ordini e alle regole non perché poi sennò arriva uno di grado superiore a farmi il cazziatone, ma perché ho compreso che sono in un sistema funzionale, parte di un tutto, che mi da e a cui io devo dare. Di nuovo, teorie molto belle che la nostra realtà ha sempre manipolato e infangato per coprire interessi ben più meschini; ma qui siamo a Kjarr, dove le cose funzionano a dovere perché c'è gente meritevole e capace di farle funzionare, e noi possiamo bearci alla luce di questo ideale kantiano.
E poi dall'altra parte abbiamo il governatore Litas, la nostra quota di cattivo governo (almeno in tempo di guerra), precursore delle gesta del duca Jenevin a Kadya. I loro sono due approcci differenti, per due città completamente differenti; ma entrambi i reggenti sono portati avanti dalla stessa scuola di pensiero dell'aristocrazia pigra e distaccata dal resto del mondo. Nessuno dei due si è mai davvero degnato di mettere fuori il naso e toccare con mano la situazione; come sono messi gli eserciti, l'entità del nemico, le perdite sul fronte. Entrambi si sono trincerati dietro la sicurezza dei loro bei palazzi, chi talmente lontano dalle mura da non udirne i crolli, chi in località segrete fuori dai suoi confini, ma di fatto abbandonando le città al loro destino, certi che il sangue di terzi sarebbe bastato a rivendicarle. Insomma: quando persino il capo degli S'kimser ha un ideale più radicato del tuo e se ne sta in prima linea a perseguirlo, pure se per fanatismo estatico, verrebbe da farsi due domande.
E restiamo a Irdan, perché mentre fuori dalle mura Siwald è immerso in uno stato di incoscienza, aperto come una costata al sangue, da questa parte dello schieramento troviamo un Jayrel tutto pimpante che, all'apparenza scevro da punizioni -ma spero non da rimorsi-, ancora se ne sta al fianco di Branne come se nulla fosse accaduto. Se abbia ricevuto punizioni per la sua sortita, questo non ci è dato saperlo; ma anche se fosse, di certo sono state infime rispetto a quelle patite dal giovane ex capitano di Kjarr.
E si torna di nuovo al discorso dell'umanità dimostrata dalle due fazioni, quella di Kjarr e quella dei Cavalieri di Keldar, e a quanto si tengano in conto le azioni del singolo rispetto al risultato nel suo quadro più grande. Probabilmente nel giudicare la colpa di Jayrel sono state tenute da conto le sue buone intenzioni, perché per i paladini l'ideale è imprescindibile dalle azioni. Mentre alle fila di Kjarr è fregato poco che Siwald volesse salvare i suoi compagni; certo, ha attenuato di molto la loro condanna morale, come vediamo anche dal rispetto che i suoi ex subalterni continuano a conferirgli: ma l'errore lo ha fatto in pieno, ed ha dovuto pagarlo tutto, fino all'ultimo.
E poi è risaputo che i paladini perdonano troppo, perché sono vincolati non solo dal dovere e dalla giustizia, ma anche dalla bontà. Branne in particolare, che mi appare dipinto sempre più come un padre per i suoi uomini -di quei padri comprensivi, il primo a cui ti rivolgi se hai fatto una cazzata o se ti serve una schiena che ti protegga.
Ma visto che sei un estimatore di paladini anche tu, comunque, potrai ben capire questa filosofia: un paladino è legale buono, non legale coglione, e il perdono ha determinate linee di confine. Quali sono? Fuck around and find out. Sta agli altri decidere se vogliono davvero scoprire dove finisca il "fuck around" e dove cominci il "find out".
Questo per dire che spero ancora che i Cavalieri arrivino al punto in cui la presenza blasfema degli S'kimser, o dell'intera aristocrazia imbelle, li porti oltre il punto di rottura e decidano di prendere in mano la situazione in maniera sempre molto ortodossa, ma assai poco diplomatica. Non ci spero tantissimo, ma insomma, la speranza è l'ultima a morir-... ah no, quelli sono gli uomini di Kjarr.
Naturalmente, la mia parte preferita di questo capitolo la puoi immaginare con facilità.
Il Gran Maestro dei paladini e il Feldmaresciallo emerito faccia a faccia sul campo di battaglia, non ti dico le evoluzioni leggiadre della nuvoletta marziale mentre leggevo. Che belli, che belli! Un confronto aperto e onesto, ad armi sul tavolo.
Apprezziamo Rowden che si sobbarca il ruolo di interfaccia umana persino in queste delicate missioni diplomatiche, perché sappiamo bene che muro di ferro sia Ehrenold in certe situazioni. Certo, di base non sarebbe potuto andare il Sovrintendente da principio, perché una sola freccia a tradimento avrebbe mandato a monte l'intera campagna militare. Ma te lo immagini, Ehrenold a intavolare una trattativa? Sarebbe stato capace di partire con l'offerta di resa per Irdan, e tornare invece con una formale dichiarazione di guerra per tutte le città circostanti fino al regno di Deres.
Invece possiamo ammirare i lati più moderati dei due schieramenti, in un incontro che, a pensarci, era già stato introdotto dalle reciproche descrizioni piene di ammirazione e rispetto che avevano fatto uno dell'altro. Due weltanschauungen che sono radicalmente diverse -la guerra per la guerra, in opposizione alla guerra per la pace-, ma che si ergono su pilastri speculari che permettono di costruire un rapporto di stima e riconoscimento per il nemico.
E insomma. Giusto poco tempo fa si parlava di ship scaturite dal corso naturale della narrazione, no? Ecco, c'era quell'aria tesa e al contempo complice, che un bacio socialista per sancire la fine della trattativa ci stava, via. Così, di sfuggita. Ti confesso che se Branne fosse stato di Kjarr, li avrei visti bene assieme~ e invece qui si prospetta un finale terribile, perché un Cavaliere è legato al suo giuramento, e Irdan è caduta.
Io spero (di nuovo) fino all'ultimo che in qualche modo Branne e i suoi Cavalieri riusciranno a sopravvivere pur restando fedeli alla loro promessa, ma ho la sensazione che non ci fornirai una via d'uscita così facile. Hengrist non fa dono di battaglie facili, e tu non ci doni finali senza sacrifici. Ci hai già viziato con Kadya, e d'altra parte ho iniziato questa storia sapendo esattamente alla sofferenza a cui sarei andata incontro, per cui è meglio che mi prepari atarassicamente al peggio del peggio.
Giunta alla fine, comunque, stavo quasi per preoccuparmi. Siwald che per un intero capitolo non aveva fatto la cazzata? Nient'affatto, rientrate tutti nei ranghi. Ne stava solo pensando una abbastanza importante. L'ultima, temo, dato che il bastione adocchiato è lo stesso sul quale si sono arroccati gli estimatori di Suehiro Maruo.
E di nuovo appare così appropriato il paragone tra Siwald e il fuoco; dove, di fronte a un ostacolo, l'acqua si conforma alle necessità e pian piano si scava una nuova via, il fuoco non vede altra soluzione che proseguire e bruciare più intensamente finché non ha consumato tutte le sue possibilità. Siwald non considera altre soluzioni, di fronte a quelle disponibili; non prende neanche in considerazione, come invece gli viene suggerito, che proprio questa sua fervida esuberanza di mettersi in mostra è stata la causa dei suoi guai. Per riprendere la domanda di Gabheld, cosa vuole /veramente Siwald?
Vuole dimostrarsi degno di Ehrenold, è vero, ma al contempo quella preoccupazione che stia dormendo sonni pessimi, angariato dall'assedio, denota che quello di Siwald non è solo egocentrismo. La bravata non la fa soltanto per lui, ma per aiutare l'uomo che ama: non per impressionarlo, ma per il disperato tentativo di dimostrargli di essere degno, che non si è sbagliato a sceglierlo, e che non è solo una delusione.
Ovviamente non credo affatto che Ehrenold pensi sul serio queste cose, anzi. Rendiamoci conto della situazione paradossale: questi due stanno a rimuginare su quanto siano stati una delusione uno per l'altro, di come si siano falliti a vicenda, quando in realtà è palese che si vogliano un bene dell'anima e avrebbero solo bisogno di stare uno accanto all'altro.
Un fraintendimento così grosso, che forse sarebbe stato così facile appianare se solo Ehrenold avesse parlato a Siwald su un piano anche più personale, e non solo come mentore e generale. Messo di fronte a dover scegliere tra amore e dovere, ha cercato di intraprendere la strada migliore per entrambi, malgrado fosse la più difficile; ma ci sono sentimenti che Ehrenold può provare a esprimere con un Rowden, e ci sono frangenti in cui non c'è spazio per altre persone.
Siamo di fronte a tutto il nervoso rigore di un Sovrintendente al suo primo, importantissimo incarico, teso come solo chi riceve una missione così importante può essere, che si sforza di reprimere ogni suo lato umano per eseguire l'ordine al meglio delle sue capacità; e un testardo ribelle ancora immaturo che è pieno di potenzialità, e deciso a tutto pur di mettere in pratica ciò che gli dettano d'impulso il suo cuore e il suo stomaco.
Ma di nuovo, Siwald è così. Oh: sarà esasperante, sarà di coccio, e ti farà prudere le mani -ma se non l'hanno svegliato cento frustate, di certo un ceffone non sarà d'ausilio-, però io mi ci sono affezionata nel giro di quattro capitoli. Da un lato è diverso da chi mi sarei aspettata di conoscere, dall'altro ha quella smania nervosa sottopelle, quella carica propria della giovinezza eroica, che te lo fa benvolere.
E poi insomma, osservarlo attraverso gli occhi di Ehrenold sarà di parte, ma aiuta molto.
Ormai siamo agli sgoccioli: voglio affrontare gli ultimi due capitoli, sapendo quel che accadrà? No ;u; Ma devo trovare la motivazione, o sennò Hengrist scende a prendere a calci nel culo pure me. Come al solito, tanti complimenti a te che ci fai dono di capitoli che raccontano molto di più della storia narrata tra le righe, e che sono sempre ottimi spunti per tante riflessioni. Alla prossima! |