CIAO GUASCONA BONAZZA (andiamo sempre peggio, vedi?)
Sono riprovevole e, contrariamente ai miei intenti, arrivo in ritardo proprio sul gran finale... perdonami çç
Allora, sappi che ho dubitato di me stessa e della mia memoria già vacillante (vedi anche: ventitré anni e sentirne ottantasette) nel leggere il primo paragrafo... perché in effetti non lo ricordavo. Nel leggere ho sentito echi di Protocollo Speranza, e mi son chiesta se non fosse un estratto della storia stessa; per poi realizzare che era nient'altro che un'aggiunta, un'espansione alla storia originale (tipo i DLC gratis, che sono quelli più belli, ma magari la smetto di sparare cazzate). Di Peter finora abbiamo visto il lutto, il processo di non-elaborazione del dolore, la chiusura totale verso gli altri e il mondo se non sporadicamente per Morgan e infine, dopo molto stentare, per Harley... ma leggere del dolore stesso, a pochissima distanza dall'origine, fa ancor più male. Questo stralcio è come leggere Protocollo Speranza dagli occhi di Harley, e avere in mente l'altra storia e il modo in cui hai presentato Peter in quel frangente aumenta l'effetto emotivo, è un tassello in più che va a costruire un mosaico che hai studiato e composto con cura; si percepisce da ogni frase e da ogni descrizione che ci offri. Questo per dire che amo quando storie diverse hanno delle interconnessioni, anche se magari si svolgono su piani d'esistenza leggermente diversi.
Il loro primo incontro, devo dire, è esattamente come l'avevo supposto: spento, macchinoso; una di quelle conversazioni forzate che si intraprendono ai funerali quando non c'è molto da dire ma si vorrebbe, quando si vedono o conoscono persone che hanno fatto parte della vita di qualcuno e si è divisi tra il voler stare loro vicino e il lasciare loro spazio, aria. Harley è intraprendente, ha un carattere fin troppo deciso e a tratti anche indelicato, frutto forse di un'educazione frettolosa che si perde poco in chiacchiere (supposizioni derivate dal modo in cui si pone con Tony rispetto ai suoi problemi dell'epoca). Quindi ci prova, ad adottare un approccio diretto, rimanendo inevitabilmente deluso. E ho apprezzato che, nel suo provare questa delusione, si renda conto che non potrebbe essere altrimenti, non adesso. L'ho già detto, ma Harley è logico, pragmatico: sa cosa non va con Peter ancor prima di conoscerlo davvero, sa cosa fare e non fare, prevede causa ed effetto delle proprie azioni e, soprattutto, individua a colpo d'occhio l'ombra che incombe e divora il ragazzo che gli è stato descritto e che non collide con le sue aspettative.
Tornando al presente, non posso fare a meno che elargirti un plauso (92 minuti, come minimo), perché così come hai giocato nei precedenti capitoli sui concetti di luce e ombra, adesso squarci del tutto il velo parlando esplicitamente del sole, della luce per antonomasia; lo prendi e lo accendi negli occhi di Peter all'improvviso. Non perché sia altrettanto improvvisamente sbocciato un amore reciproco: Harley di sicuro è molto più coinvolto su ogni livello emozionale, ma Peter... lui, per come l'ho visto da questi capitoli, è ancora troppo "indietro" per aprire il proprio cuore a un sentimento del genere. Non dopo aver perso così tanto, non quando le sue ferite sono ancora così sensibili. Però quel raggio di sole c'è, esiste, e apre la strada a un tipo d'amore complementare e imprescindibile a quello per qualcun altro: quello per la vita, per il tempo perso che si vuole recuperare. Peter si riaccende perché sceglie di riprendere a vivere, perché ha scelto di dare una possibilità a qualcun altro e quindi a se stesso. Non si interroga su cosa accadrà dopo e vive nel momento che si è precluso così a lungo – perché magari non sarà subito amore eterno, ma il sentimento sottostante è vivido, sebbene l'abbia sepolto a forza per tutto questo tempo. Un dopo, appunto, una porta aperta su un futuro che può tornare ad essere brillante.
Il discorso che segue tra i due è, lasciatelo dire, magistrale. È realistico, è quello che si direbbero due persone giovani e segnate in un momento simile, senza esagerazioni, discorsi troppo teatrali o riflessioni stonate. Due ragazzi che si sono trovati e parlano, scostando da parte orgoglio e insicurezze per dirsi che provare ha un senso, che andare avanti è l'unica strada percorribile e che l'alternativa è perdersi in labirinti di sofferenza privi d'uscita.
"... c'è odore di libertà e di malinconia ma, invece di schiacciare il resto, quest'ultima si tiene in piedi perfettamente in equilibrio col resto dei sentimenti."
Questa frase mi è rimasta nel cuore: racchiude con semplicità un concetto difficile da esprimere ma che credo molti di noi hanno provato almeno una volta nella vita; quel miscuglio di sensazioni e sentimenti che sembrerebbe stridente a colpo d'occhio, innaturale, ma che è insito nell'animo umano. Non è una goccia di malinconia o tristezza o rimpianto a vanificare un momento gioioso: è semplicemente ciò che può dare ad esso una profondità in più con le piccole increspature che smuove, e tu sei riuscita a inserirlo benissimo in questo contesto.
Sto sproloquiando come al solito, ma sapevo che non sarei riuscita ad essere sintetica nemmeno con quest'ultima recensione... quindi mi limito a ripeterti che quell'ultimo discorso in chiusura, quella ripresa del titolo, quel "siamo connessi" che riecheggia sin dal primo capitolo attraverso Tony che mostra ad Harley foto di Peter, mi ha lasciato le lacrime agli occhi come la prima volta (con la collaborazione a tradimento della citazione di shakespeariana memoria che, no, non mi ricordavo affatto avessi inserito e ha contribuito al mio probabile infarto). Adesso la connessione cambia piano d'appoggio: loro sono connessi per davvero, fisicamente, emotivamente ed è Tony a fare da raccordo lontano. Non più un'ombra tetra ma una penombra soffusa, rassicurante, posata sulle spalle di entrambi come un manto. A ricordare loro che un ricordo non dovrebbe oscurare ogni colore, né venir cancellato lasciando spazio a una tela bianca e intonsa: semplicemente, sbiadisce appena e va a fare da sfondo alla vita che continua a essere dipinta su di esso. Ed è quello che faranno Peter e Harley, esattamente come Tony prima di loro.
Co', nella prima recensione avevo accennato a un qualcosa "partorito de core", che stavo per scriverti allora ma che ho deciso di conservarmi per il finale (e deo gratias ho ritrovato il file in cui l'avevo salvato!) Te lo riporto quindi qui, paro paro o quasi: c’è ancora tanto, tantissimo che vorrei dire su questa storia, e nonostante il papirozzo non sono comunque riuscita a mettere per iscritto tutto, per tua enorme fortuna… ma questa, Co’, è probabilmente la mia storia preferita tra tutte quelle che hai scritto. L’avrò riletta un centinaio di volte e non mi stanco mai. E ciò inizialmente ha stupito anche me, visto che, lo sai, parte da presupposti che in teoria non collidono con la mia visione… eppure. Eppure, il punto di questa storia è che è universale, come d’altronde tutto ciò che scrivi: indaga l’animo umano, si interroga e cerca risposte, e prova a darne almeno alcune, sempre con la spiccata sensibilità che ti caratterizza. È una storia che ha origine nel dolore e che cerca di tendere la mano e tracciare una via per uscirne, passo dopo passo, e uno di questi è trovare e creare connessioni, come appunto promette il titolo. È una storia che guarisce i personaggi, ma anche chi li legge. Quindi grazie per averla scritta e grazie per continuare a scrivere, sempre <3
Non mi mandare la postale e beccati un mega-abbraccio, ché sei brava, bella e bonazza e guascona e te lo meriti <3
A prestissimo,
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