V Posto - Il Reverendo di Kim Winternight
Titolo: 3/5
Allora, sicuramente è un buon titolo, più che altro perché è molto criptico ed invoglia subito il lettore a saperne di più su questa figura che è sicuramente l’elemento portante della narrazione.
Il reverendo è il preludio a ciò che avverrà inevitabilmente durante la storia ed è in massima parte il fattore scatenante della demolizione della psiche del tuo protagonista, per cui trovo il titolo molto “profetico” per così dire, sebbene non mi abbia granché entusiasmata.
Grammatica e stile: 9.5/10
Devo dire che a livello grammaticale questa storia è davvero perfetta, non ho nulla da rettificarti. Per lo stile, invece, ho sottratto mezzo punto per la presenza massiva di punti a capo, però passo a spiegare.
Di norma avrei penalizzato di più questo eccessivo utilizzo dell’andatura a capo, tuttavia, trattandosi di una formula diario, ho compreso e apprezzato la decisione d’impiegare questa punteggiatura, che sicuramente rimane più fedele ai canoni di una scrittura per penna. Nonostante questo, però, ritengo che a volte sia davvero troppo ridondante e che spezzi di un filo l’intreccio narrativo, che invece credo esser stato uno dei migliori dal punto di vista descrittivo.
Davvero, il tuo stile come sempre è da pelle d’oca, ma nella trattazione di queste tematiche è ancora più accurato ed intrigante, la perfetta sintesi di emozioni miste a risentimento e rimorso. Come sempre, dal punto di vista delle coordinate e dell’utilizzo della punteggiatura hai fatto un ottimo lavoro, complimenti davvero.
La successione narrativa è stata condotta con molta cura, i momenti da te scelti per l’intreccio sono focali e ben costruiti, rendendo la lettura perfettamente in linea con ciò che vuoi narrare, supportata da un’ottima introspezione persino dell’ambiente. Grandiosa davvero.
Caratterizzazione dei personaggi: 15/15
Questa storia è bestiale. Non in senso negativo, ovviamente. O forse sì, dipende da cosa s’intende per negativo.
È disturbante, ecco. Uno di quei racconti che leggi con le sopracciglia inarcate verso il basso e che speri che possa finire in qualunque modo, purché sia positivo. Nel novanta percento dei casi, tuttavia, non lo è.
Di fondo il protagonista è solamente uno, Jason, che è un bambino sull’orlo della pubertà. A prescindere dal tipo di cambiamenti ormonali che percuotono di per sé la natura già complessa del bambino, v’è un episodio della sua vita che lo segna profondamente. La figura di questo Reverendo, che Jason all’inizio sembra vedere come qualcosa al limite del divino, si trasforma presto in un incubo dal quale non riesce ad uscire. È una ricerca di attenzioni costante che si rivela essere ben più che felice, specie per la paradossale dicotomia del protagonista che prova eccitazione e smarrimento al tempo stesso. È una complessa catena d’emozioni che Jason non riesce a gestire e che finisce inevitabilmente per portarlo a ricercare la serenità in cose che non riesce a vedere come sbagliate: le “attenzioni” che dedica alla sorellina, la quale è troppo buona per comprendere ciò che si cela dietro agli atteggiamenti del fratello, la vana arroganza di voler a tutti costi tirare quel famoso pugno al Reverendo, la complessità della psiche che lentamente sembra offuscarsi e che non gli permette più di distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è – sebbene in più punti tendi accuratamente a precisare come il ragazzo sia in grado di comprendere ciò che sta facendo alla sorella.
E infine, l’epifania: Jason comincia a farsi del male, trovando in quel dolore un piacere che non riesce più a riscontrare da nessuna parte, se non fosse per Faith. Si fa del male perché si procura del piacere, e in parte lo fa perché più si taglia, più il Reverendo si allontana da lui. Ed è davvero straziante pensare che debba fare tutto questo solo per potersi liberare di un peso altrimenti insopportabile. È un po’ ironico, a pensarci con più attenzione: Jason, che continuava a dire di voler dare un pugno al Reverendo, finisce per distruggere sé stesso pur di non ammettere la realtà più ovvia. È solo un bambino, non può farcela da solo.
Sarò sincera, sono stata male dopo aver letto questa storia. Il che significa che sei stata davvero grandiosa, perché era proprio il tipo di narrazione disturbata e obliante che cercavo, l’hai resa con un’intensità tale da rendermela incredibilmente realistica.
Ho pensato a Jason, poi ho pensato a Faith, e mi sono ricordata di quanto questo mondo sia marcio. Davvero Kim, hai fatto davvero un lavorone, sei stata eccezionale.
Originalità: 9/10
Ho letto spesso il tema dell’abuso, ma mai in formula diario e mai narrato dal punto di vista di un bambino. Anche lo stile narrativo, che hai reso perfetto per un bambino di dodici/tredici anni, manifesta una potenza espressiva senza eguali. Fa male leggere certe frasi, proprio perché vengono dette con la presunzione un po’ infantile d’un ragazzo che non è più un bambino, ma non è neanche un uomo, sebbene Jason tenga spesso a precisare la sua presunta virilità.
Il flusso della narrazione è stato davvero impattante, specie verso la parte finale: nonostante il Reverendo non gli dedichi più le attenzioni di un tempo, Jason ormai è “corrotto”, continua a farsi del male e a far del male alla sorellina, sebbene lui la viva più come un eccesso d’affetto. Le vuole bene, ma è ormai incapace di mostrarglielo nella maniera più corretta, in quanto la sua personalità – vittima di un trascorso poco felice con il Reverendo – lo porta a credere che sia quella la manifestazione più spontanea del proprio bene.
Anche qui, sono molto soddisfatta.
Utilizzo del bonus: Autolesionismo {+5}
Utilizzo ben più che perfetto. L’autolesionismo, se vogliamo, è proprio l’elemento portante della vicenda, in quanto rappresenta per Jason non solo un modo per rifuggire dalla realtà, ma soprattutto la liberazione dal Reverendo, che si allontana da lui proprio perché non gli piace il modo che ha Jason di trattare il suo corpo. Credo che questo utilizzo della sindrome abbia superato le mie normali aspettative: l’hai stravolto, l’hai reso una valvola di sfogo per il protagonista, l’hai strumentalizzata alla perfezione.
Per Jason farsi del male diviene qualcosa di necessario, non un semplice bisogno, ma un’impellenza per ricorrere al lento marcire della sua emotività, che via via diviene più frustrata e incontrollabile.
Ho apprezzato molto anche la crudezza delle frasi, il modo che ha Jason per esprimere la sua rabbia, la sua paura, le sue insicurezze. Tutto è gestito nei minimi dettagli, s’evince perfettamente quanto tempo tu abbia impiegato per descrivere una situazione al limite del surreale, eppure così tristemente realistica.
Se penso a questo, non posso davvero che farti i miei più sinceri complimenti.
Gradimento personale: 5/5
Sono stata malissimo. Ma davvero, non lo dico tanto per. Questa storia è allucinante e allucinata, davvero una commistione di rabbia, frustrazione, ansia, debolezza. È tutto concentrato in poche righe, è così angosciante da far rimanere perplessi ed inermi di fronte ad un inevitabile decorso.
Racconti di temi che solitamente vengono definiti dei tabù, persino nel XXI Secolo queste cose sono quasi sempre nascoste e raramente se ne parla. Sei stata incredibile perché hai narrato delle vicende crude, ma l’hai fatto con una sensibilità ed un tatto davvero impressionanti, il che ti fa davvero onore. Hai scelto una strada tortuosa, ma col tuo talento sei riuscita a rendere perfettamente ogni sfumatura di questa storia, dal “menefreghismo” iniziale di Jason fino alla sua discesa agli inferi per via del Reverendo.
Davvero, una storia che toglie il fiato. Bravissima.
Totale: 46,5 |