Allora allora, eccomi qua. Dopo un po' di indecisione ho optato per leggere questo racconto poiché il titolo, confesso, mi ha attratto subito - mi piace tantissimo l'immagine che suscita, a maggior ragione quando aprendo il racconto esso era scritto di rosso (nella mia testa è stato come se quel rosso rappresentasse proprio quella ribellione all'interno di una scala di grigi).
Ci vengono presentati Paolo e Cristiano, due ragazzi tanto diversi, ma che in un modo o nell'altro hanno trovato l'uno nell'altro autenticità (mi viene in mente, ad esempio, la riflessione di Paolo sull'amico posto in confronto con i loro altri compagni di scuola).
Osservarli discutere sulle su Instagram e Tik Tok mi ha fatto ben sorridere: tra me e i ragazzi attualmente in prima superiore ci sono ben più di dieci anni, loro hanno un modo di utilizzare i social che è totalmente differente dalla mia generazione (non a caso vengono chiamati Zoomers, anziché Millenials come potrei essere io); essi sono una parte integrante della loro vita essendo praticamente nati avendo a che fare con gli stessi. Dall'altra parte, però, non riesco a fare a meno di domandarmi quali siano le vere ragioni dietro un uso così spasmodico e costante dei social. Mi viene spontaneo concordare con Cristiano: qualora una persona si astenga dal loro utilizzo è automaticamente tagliata fuori da una fetta importante e ingombrante della socialità e del contesto sociale tutto. Allora forse sì: alcuni dovranno pur decidere, a un certo punto, di scaricarli semplicemente per restare inseriti e al passo con tutti gli altri, no? (MADONNA QUANTO MI SENTO VECCHIA A FARE STI DISCORSIIII ahahahah)
Man a mano che il racconto procede... aumenta sempre più la mia riluttanza nei confronti di Paolo: mentre da una parte cerco di comprendere il desiderio di sentirsi al posto giusto o di sentirsi fichi o popolari (cosa che di primo acchito pare spingerlo al voler frequentare il gruppo di Mattia, ma che al contempo immagino non essere sufficiente e che ci sia anche altro che verrà fuori nella lettura), dall'altra come puoi fare una richiesta di questo tipo al tuo amico? E qualora egli non accetti, lo scagherai con nonchalance a favore degli altri?
Il momento in cui scrivi dell'atto esplicito di bullismo nei confronti del malaugurato Cristiano è semplice e senza particolare fronzoli o approfondimenti: non lascia troppo spazio all'introspezione di nessuno dei personaggi, ma si limita a descrivere la scena. La sensazione che ho avuto è stata un po' quella di porsi come terzi alla narrazione, descrivendo la situazione in modo oggettivo, quasi freddo, ma, forse proprio per questo, ha fatto ancora più male. La sobrietà della tua narrazione era perfettamente in linea con l'indifferenza degli attori che stavano operando in quel frangente. Cristiano era solo e il suo amico, seppur in parte inconsapevole, non gli è stato davvero accanto come invece avrebbe meritato. Il gesto di Mattia è gratuito e meschino e, mio malgrado, troppo spesso mi rendo conto di essere incapace a compatire e provare a comprendere non tanto le azioni che un bullo mette in pratica, quanto le richieste d'aiuto e di attenzione dietro le stesse (cui non possiamo prescindere). Empatizzo troppo con le vittime, ma, tornando al tuo titolo, il mondo, le azioni che compiamo, i momenti che viviamo sono una scala di grigi: non possiamo settarle unicamente come "bianco" e "nero" perché non sarebbe reale. Vi sono sfumature, dettagli e fattori che vanno a influenzare i comportamenti e i contesti nei quali avvengono.
Perdona questa riflessione, mi sono fatta prendere la mano allontanandomi un poco dal focus (il tuo racconto), ops.
Nella seconda metà, dunque, abbiamo una sorta di svolta: un momento in cui Paolo si sente in parte in colpa per essere stato "accondiscendente" nei confronti di Mattia e, dall'altra, esige giustizia. Devo dire, però, che alle volte il confine tra giustizia e vendetta è molto labile e bisogna far attenzione a non scivolare nella seconda.
Paolo torna a scuola con una consapevolezza e una volontà rinnovata dovuta per lo più alla paura di perdere l'amico, la paura che quello che è stato erroneamente spacciato per un banale incidente abbia in realtà delle coincidenze gravi. Visto che però calza a pennello, mi tocca citare Star Wars che ha ben riassunto il mio timore attuale: "la paura porta alla rabbia, la rabbia porta all'odio, l'odio alla sofferenza" e in generale, se la sofferenza è governata dall'odio... difficilmente l'esito sarà positivo.
Ebbene, Paolo ci era andato vicino a fare semplicemente la cosa, ma alla fine si è lasciato prendere la mano, e benché io possa in qualche modo questo tipo di reazione sia prevedibile se contestualizzata rispetto all'età del ragazzo, non riesco comunque a giustificarla né a comprendere come, in una società come la nostra non si sia affatto capaci di dare un'educazione civica, etica e morale tale per cui questo tipo di cose siano evitabili.
Il tuo è un racconto che ha molto di reale, purtroppo. Non ritengo avesse le pretese di impartire lezioni al lettore, ma proprio per l'oggettività quasi totale e il tipo di introspezione non esageratamente approfondita, soprattutto per quanto riguarda il personaggio di Paolo - la cui introspezione ritengo abbia dei confini piuttosto netti-, l'ho trovato a tratti agghiacciante per quanto esso sia attinente alla realtà. In più, sicuramente è stato uno stimolo di riflessione su un tema spigoloso e attuale come quello del bullismo (e a tratti cyberbullismo) su cui viene detto tanto, ma che, dati i fatti nel pratico, non mai abbastanza.
Ti faccio i miei complimenti e pardon per questo poema infinito ahah,
a presto,
Bongi! |