Recensioni per
Un Buco Nell'Anima
di Relie Diadamat

Questa storia ha ottenuto 10 recensioni.
Positive : 10
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
09/01/21, ore 10:29
Cap. 4:

Sono perfettamente d’accordo con te quando affermi, nelle Note finali, che l’immagine più significativa di Sh e del suo mondo sia quella in cui lo si vede suonare il violino ammirato da un John che ascolta quelle note come se fossero pura magia.
Per me, infatti, Sh ha usato quello strumento per esprimere ciò che, a parole, non gli riusciva. Ha dato voce sicuramente a sentimenti, emozioni e stati d’animo. Certamente, secondo me, ha anche “detto” a John che lo amava al di sopra di tutto. In questo capitolo, che tu definisci in modo ingiusto (“...il capitolo fa più schifo del solito...”), tu metti al centro il violino di Sh, che diventa personaggio, protagonista assoluto. La prima parte, quella dedicata al consulting, è arricchita da una connotazione d’ambiente che mi è piaciuta particolarmente. Infatti collochi uno Sh solo, anonimo, quasi sperduto nella solitudine che, ora, dopo aver conosciuto John, gli è diventata ostile. Hai rappresentato con sensibilità ed una convincente precisione ciò che colpisce l’animo del consulting, certamente non abituato a farsi travolgere emotivamente da un qualsiasi artista di strada. Ma le note dello strumento gli riportano quello a cui lui ha dovuto rinunciare per salvare la vita alle persone a lui più care. E gli viene in mente una scena al 221b molto significativa, in quell’atmosfera così rilassata ed intima di un normalissimo “dopo doccia” che assume, per me, tutti i significati e le implicazioni della Johnlock. Infatti ci hai messo quel “detto/non detto” che lascia sempre tutto in sospeso, anche se la frase di Sh la trovo ben costruita ed estremamente significativa “...«C'è una prima volta per tutto...E per tutti...”. Molto IC, comunque, questo suo dire e non dire allusivo, secondo me, non per arrogante saccenteria ma, sta parlando con John, quasi per pudore nei confronti di quella che, per lui, è l’ondata travolgente dei sentimenti.
Il suo ritratto si specchia in quello di John. Efficacissima quella frase “senza fronzoli” che tu poni all’inizio della parte dedicata a lui, in cui è chiaro il suo indice di gradimento nei confronti della musica classica. Molto IC, secondo me, questo flash sul fatto che John, di fronte ad un violino che suona melodie a lui prima assolutamente estranee, non ascolti per pura curiosità o perché ci sia costretto: suona l’uomo di cui lui è sicuramente innamorato, per cui cerca di coglierne i messaggi nascosti nelle note. E poi c’è la magia della musica che parla direttamente al suo cuore.
Altra frase che ho trovato molto espressiva perchè carica del doppio significato a proposito del silenzio assordante di quel violino, è quella in cui scrivi che “...Adesso la musica era finita...”. Con il (finto) suicidio di Sh, davvero, per John, il mondo si è zittito dolorosamente, tutto è finito.
Ed il capitolo si chiude con un altro passaggio sul tipo di vita che, ora, senza Sh, John è costretto a subire. Una vita di m...a, la sua, senza chi lo ha salvato dal suo “male di vivere”. Ripeto, tu non giudichi bene questo capitolo, a me, invece, non è solo piaciuto, mi ha pure coinvolto emotivamente per la forza espressiva e la sensibilità che vi ho trovato. Brava.

Recensore Master
30/12/20, ore 15:32
Cap. 3:

Ancora Ella, ancora la struttura simmetrica che ci fa dare uno sguardo agli stati d’animo di John ed a quelli di Sh. Stesso vuoto, stessa solitudine. Ovviamente per il consulting non c’è la disperata ineluttabilità della morte ma la mancanza del suo “conduttore di luce”, che, per lui, è equiparabile ad un lutto importante. E questo senso di soffocante “mancanza”, lo scrivo tra virgolette perché desidero dargli una connotazione il più intensa possibile, lo esprimi efficacemente con un’accurata scelta lessicale (“...noia...angoscia...solitudine...strisciavano...” ecc...).
A fare ancora più male, inserisci un elemento che avrebbe dovuto portare conforto, in quell’attesa di poter ritornare al suo mondo, a Londra, da John. E sono le storie che il medico ha pubblicato sul blog che ripercorrono le loro esperienze. Sh vi si aggrappa per ritrovare il suo blogger ma è ancora più doloroso con l’affiorare, nella sua memoria, della diffidenza e dell’arrogante saccenteria con cui accoglieva i racconti sul web. Ovvio che, qui, si ritrova un prezioso filo conduttore IC che arricchisce la tua storia perché ci riporta le immagini, nostalgia, di quei due vicini, uno a scrivere al pc, l’altro a sbirciare apparentemente disinteressato ma, in realtà, piacevolmente coinvolto. E sono proprio i sentimenti che rompono la corazza difensiva per proteggere un cuore troppo fragile e provato da anni di solitudine. Quel dolcetto austriaco, tra le mani di Sh, perde tutto il suo sapore, diventa fastidioso e terribilmente inutile. Una descrizione, questa che fai di questa tappa dell’ “esilio” di Holmes che mi è piaciuta particolarmente, perché mette in risalto ulteriormente anche la figura di John, che riesce a vincere la mente formidabile dell’altro con la forza della sua umanità.
E poi c’è la parte del capitolo che lo riguarda, appunto, e, come scrivevo sopra, fai ritornare la figura di Ella che usi per farci entrare nel dolore di John. La psicoterapeuta è un elemento importante, secondo me, sia nelle Stagioni dei Mofftiss sia nella tua storia. Infatti l’hai fatta agire molto efficacemente come punto di forza per aiutare John verso l’uscita dal tunnel della disperazione. Bellissima quella frase in cui lei lo esorta a “mettere per iscritto tutto il dolore che sente dentro”. Un’altra cosa, che ho apprezzato molto, é la connotazione della “rinascita” di John con un percorso anche lessicale con cui esprimi perfettamente l’andare verso una liberazione dal dolore. In effetti, nel pezzo che segue all’esortazione di Ella, usi parole che sanno proprio il senso di questo volersi liberare dal peso della disperazione e di avviarsi verso la speranza di una vita meno desolata e desolante (“...voleva andare avanti...guarire...ritrovare una direzione...” ecc...). Mi è piaciuto molto, davvero, perché hai infuso un senso di ottimismo in una situazione che, peggio di così,...
E, giustamente, riconduci tutto a Sh. Su consiglio della psicoterapeuta John si pone di fronte alla pagina ( schermo) bianca del pc ed aspetta che esca qualche parola per liberare il buio che ha dentro. Si arriva sempre al punto d’origine, meravigliosamente: Sh.
È di lui che John vuole parlare, per tentare di recuperarne l’impegnativa, ma decisamente insostituibile, presenza.
Bello quell’intercalare tra i fatti e quelle frasi, evidenziate in corsivo, con cui, molto probabilmente, hai voluto esprimere una specie di voce della coscienza. Un bellissimo capitolo, brava.

Recensore Master
25/12/20, ore 09:00
Cap. 1:

MA BUON NATALE, MIA CARA NICOLE.
Io ho così tante cose da recuperare sul tuo profilo che appena lo apro per dare una sbirciata urlo un “AAAHHH” interiore perché ho proprio l'imbarazzo della scelta.
Ma andiamo con ordine, motivo per il quale ho deciso di passare proprio da qui – anche perché questa OS mi è rimasta particolarmente impressa, QUINDI.
L'ho adorata. Davvero. Hai delineato benissimo quelle che sono le sensazioni provate da John e Sherlock, sensazioni che portano a un'unica costante, un punto in comune: l'uno sente la mancanza dell'altro e viceversa. E pur provando una mancanza diversa da entrambi i punti di vista… si mancano. E si mancano proprio in maniera viscerale.
Da una parte abbiamo John, a Londra, che pensa a Sherlock al passato. Ma non a un passato che può essere abbellito con la presenza di Sherlock nel futuro, bensì a un passato che tale è e tale rimane. Perché John crede che Sherlock sia morto, ed è stato proprio Sherlock a farglielo credere.
Sherlock che frattanto si trova a Parigi, è vivo, ma al contempo anche lui sente un vuoto dentro di sé, una mancanza… e il desiderio di tornare a Londra e di rivedere John si fa impellente, al punto tale che nonostante la tentazione sia tanta, decide categoricamente di restare lucido – e questo è un tassello importante, perché implica quanto John sia importante per lui.
John che frattanto ha preso le stesse sigarette che gli nascondeva. E le ha fumate e le sta fumando e pensa a lui. Sempre. John che un tempo è stato in bilico tra la vita e la morte, perché quel proiettile alla spalla poteva ucciderlo e in quel momento ha desiderato ardentemente vivere, mentre l'assenza (che lui crede essere eterna) di Sherlock lo fa sentire già morto a metà – e ti giuro, questo concetto mi ha fatto un male cane, eppure al contempo è così poetico, così struggente che mi sono pure addolcita, e non so se sia un bene (e insomma Nicole, lei deve smetterla di giocare col mio povero cuore, OKAY).
È stata una (ri)lettura bellissima, davvero.
Ti auguro ancora una volta Buon Natale!

»Amethyst«

Recensore Master
19/12/20, ore 18:02
Cap. 2:

Scrivere del tormento di un John senza Sh e non occuparsi dei suoi incubi non sarebbe sicuramente un racconto equilibrato. Sì, perché sappiamo che le angosce notturne sono un tratto caratterizzante del dolore di chi ha visto il suo “migliore amico” gettarsi nel vuoto, dell’ansia di chi si è comunque trovato di fronte alla morte violenta, sia in un lontano deserto sia su un marciapiede di Londra. Tu ti occupi di questo aspetto dandogli l’importanza che ha, che caratterizza l’umanità ricca e variegata di John. Inoltre ti occupi anche dell’assordante solitudine di Holmes.
Tu chiedi, nell’introduzione, quanto dolore includano i due anni di separazione dopo il Reichenbach. Giusto, anche perché, come ho osservato più volte, a questo periodo corrisponde un vuoto assoluto nella sceneggiatura dei Mofftiss. Una scelta narrativa, la loro, di tutto rispetto, ma noi del fandom, anzi, per essere precisi, voi Autori, avete pensato a diversi scenari, più o meno tragici su quella che è la vera dimensione del lutto di John e sullo stato d’animo di Sh. Un elemento fondamentale è Ella, che costituisce una specie di specchio in cui Watson può riflettere il suo dolore e prenderne piena consapevolezza. Tante parole sono state spese in questa Sezione del fandom per esprimere la sua disperazione di fronte al vuoto del 221b, ma un’immagine come la tua non l’avevo ancora trovata. Infatti ho sentito come molto forte e coinvolgente quell’ossessivo strangolamento che John mette in atto sul cadavere di Sh, o su quello che crede tale. È una sequenza di gesti che contrasta terribilmente con la situazione, ovvio, però, poi, a mio avviso, ci offri una soluzione diversa, sorprendente: John strangola Sh per sentirne ancora il calore, per sentirlo ancora vicino a sè (“...Non vedeva l'ora di toccarlo di nuovo...”). Questa tua scelta narrativa è originale e, soprattutto, secondo me, coerente ed IC rispetto a John, persona solare ma con zone d’ombra piuttosto contrastanti. Del resto io ho sempre ritenuto giustificabile il risentimento e la rabbia provati da lui di fronte ad un “ritorno” di Sh dal mondo dei morti. Ma, anche fermandoci all’immediatezza post Reichenbach, oggetto appunto della tua storia, si deve sempre tener presente che a John è stato praticamente imposto di assistere, impotente, al suicidio dell’uomo di cui era palesemente innamorato. Pertanto risulta, ripeto, tremendo sì ma coerente quel gesto di violenza su un cadavere che, poi, si trasforma in un ultimo disperato tentativo di agire su una situazione di estrema sofferenza, ammazzando ancora ma travestendo in realtà il bisogno di sentire ulteriormente il calore della vita. Mi scuso della “contorsione” del ragionamento ma, se una cosa che leggo, mi attrae, mi suscita anche il desiderio di tirarne fuori i vari significati. Come in questo caso.
La seconda parte della tua storia riguarda il post Reichenbach di Sh. Uno Sh solo, anche per motivi di sicurezza e di efficacia delle indagini, che è schiacciato da un grande tormento, la mancanza di John, che gli ruba il sonno. Terribile quel dover tenere aperti gli occhi su una realtà che non piace, che ci addolora. John soffre, certo, ma per Sh la situazione non è certo migliore. Tanto più che le sue fragilità lo espongono ad un ripiegamento su se stesso e sui propri demoni.
Hai messo efficacemente in evidenza il percorso buio che porterà i nostri due a rivedersi, forse senza aver più la forza per ritrovarsi. O, almeno, dovrá essere un cammino lungo e pieno di difficoltà per ritrovare la fiducia, John in Sh e quest’ultimo in se stesso. Un suggerimento che, mi sembra di aver colto, ci viene dato dalla S4 che, con il tempo, sto lentamente rivalutando.
Scritta bene, equilibrata, originale. Una bella storia, insomma, brava.

Recensore Master
12/12/20, ore 09:37
Cap. 4:

Ciao, mi spiace per essere in ritardo, ma trovare la pace per sedersi e lasciare una recensione, di recente sembra diventato non dico impossibile, ma quasi. Ci tenevo tantissimo ad andare avanti, visto che le storie precedenti mi erano piaciute molto, ma soprattutto perché qui c'è la musica a fare da legante tra John e Sherlock. Non è più soltanto la sofferenza che entrambi provano, e che ha sfumature diverse, ma che sempre sofferenza è, no, ora c'è dell'altro. E c'è questo ricordo legato a un violino che s'insinua nelle mente di uno Sherlock che passeggia per una qualunque città d'Europa, non è davvero importante il sapere quale sia, basta soltanto che sia un violino e una ragazza che lo suona, e allora ecco che tutto gli torna alla mente. Non credo che certi ricordi se ne siano mai andati via dal suo cervello, ma si sa che ci sono delle priorità di tanto in tanto e quella di Sherlock ora è smantellare la rete di Moriarty. Però qui si concede un momento per tornare indietro con la memoria a un momento che sembra banale della loro vita insieme. Di certo uno dei tanti che hanno condiviso nel corso del tempo. Suonare davanti a una finestra ed è interessante come la percezione di uno stesso momento, cambi a seconda di chi è il protagonista. Sherlock da una parte, che sperva che John gli fosse alle spalle e volesse abbracciarlo (ecco, questo forse è stato il primo pensiero a fondo slash di questa storia) e che s'innervosisce perché non capisce bene che cosa voglia John da lui, è come se non riuscisse bene a dedurlo. Mentre John dall'altra parte che resta affascinato da Sherlock e da una musica che fino a quel momento non aveva mai apprezzato, ma che ora invece si trova a piacere. Tanto che corre fuori dalla doccia in tutta fretta per poter meglio ascoltare Sherlock suonare un brano, magari neppure sa il titolo, ma non importa. Ecco, questo mi è piaciuto molto. Come lo stesso ricordo viene interpretato in maniere diverse. Mi colpisce sempre tanto la rabbia di John, in questa raccolta ne prova tantissima. Al punto che se nei sogni delle storie passate voleva picchiare Sherlock, qui invece vorrebbe spaccargli il violino. Lo stesso strumento che in passato tanto aveva amato, forse tanto quanto aveva amato lui, ora diventa come il simbolo di un qualcuno che non c'è più. Uno che ha amato tanto e che gli è stato portato via. Ecco, credo che la cosa più difficile da accettare per John sia il fatto che Sherlock si sia suicidato. Io sono convinta che John sia abbastanza intelligente da sapere che era tutta una montatura e dentro di sé, a livello inconscio magari, sono sicura che lo sapesse molto bene. Ma il dolore lo ha reso diciamo ottuso e gli ha offuscato la verità. E quindi soffre non solo per aver perso il proprio punto di riferimento, ma per non aver fatto niente per evitare che accadesse. Penso che la rabbia di John sia principalemente rivolta contro se stesso, solo che non è ancora arrivato il momento di accettarlo così come di accettare che amava Sherlock, e che in effetti lo ama ancora.

Ma comunque, sì questa storia è una sofferenza continua. Dentro di me spero che le cose si risolvano per questi due e che questi due anni passino in fretta, così che possano stare di nuovo insieme (anche perché il percorso poi quello è), ma intanto ti faccio i complimenti per quello che hai scritto.
Alla prossima!
Koa

Recensore Master
03/12/20, ore 19:54
Cap. 3:

Ciao, aspettavo questo aggiornamento tanto che mi sono messa a leggere il prima possibile. Proseguiamo lungo quella strada che hai intrapreso fin dal primo capitolo ovvero quella di Sherlock e John separati dal piano diabolico di Moriarty, che io credo in buona parte abbia funzionato, e che sono costretti a vivere in una situazione molto più che dolorosa. E se da un lato abbiamo Sherlock che, a Vienna (mi piace molto la scelta delle città, Vienna è suggestiva a mio avviso), conclude il proprio lavoro in quella città, dichiarando alla fine che Vienna è pulita, dall'altra parte c'è John che sprofonda sempre di più nell'abisso. Siamo lontani da una via d'uscita, questo è perfettamente evidente non soltanto dallo stato emotivo di entrambi, ma dal fatto che tutto questo è appena iniziato. John, dal canto proprio, non è ancora riuscito ad accettare la morte di Sherlock. La seduta dalla psicologa che qui ci descrivi in un modo che ci fa capire che non gli sono d'aiuto e che ci va probabilmente più per buon senso che perché creda davvero possa funzionare, lo portano invece molto più giù di quanto non ci si aspetterebbe. Ma come si è detto Sherlock non era solo un amico, era il centro del mondo di John in un modo molto più profondo di quanto John stesso non abbia analizzato e quindi ora il suo dolore non è solo quello per la perdita di un amico o di un collega, ma quella di una persona che ha perso tutto. Prima c'era la guerra e poi, per lui, è finita e allora è tornato a Londra dove si è rifatto una vita e dopo poco più di un anno, quella vita gli è stata strappata via e ora John ha perso la bussola. Deve accettare di dover vivere tutta la propria vita senza Sherlock e non sa cosa fare, perché nel bene o nel male e nonostante i tanti difetti di Sherlock, lui era la persona attorno a cui gravitavano tutte le sue giornate e quindi il lavoro, la vita di tutti i giorni... questa mancanza pesa davvero moltissimo, tanto che le sedute dalla psicologa non sembrano davvero efficaci. Al contrario i consigli di Ella di scrivere quello che prova, di tirare fuori qualcosa cadono a vuoto esattamente come cadevano a vuoto prima che John incontrasse Sherlock. è triste a dirsi, ma è come un cerchio che si chiude. Niente succedeva nella sua vita prima di Sherlock e niente succede nella sua vita, ora.

Sherlock dal canto proprio non sta proprio benissimo. Ha uno scopo, a differenza di John, ma questo non rende leggero il suo animo. Ho amato la parte in cui pensa che vorrebbe mettersi a cercare il blog di John su internet perché gli manca talmente tanto che gli basterebbe anche quello. Lo vorrebbe, anche se sa che cercarlo gli farebbe un male cane. E infatti il telefono lo getta via, forse è meglio così. Certo non fa meno male e anche a noi che leggiamo.

Prevedo che l'angst durerà ancora per molto tempo, anche se spero che questi due si incontreranno di nuovo tra non molti capitoli (questo me lo auguro davvero). Intanto ti faccio i complimenti per la costanza degli aggiormamenti (anche questo lo apprezzo particolarmente) e per questa bellissima storia.
Koa


PS. Ho notato che hai pubblicato dell'altro, arriverò anche lì!

Recensore Veterano
02/12/20, ore 19:00
Cap. 1:

Ciao. ^^
Come già anticipato sul fake, dato che mi ha ispirata la terza oneshot che leggerò poi seguita dalla seconda, eccomi qui.

Seppur già il tuo nome mi fosse già noto, non ricordo di aver letto su EFP qualcosa scritto dalla tua penna, e non sono nemmeno una fan sfegatata di Sherlock a dirla tutta, nonostante abbia visto la serie anni fa. Alcuni stralci di essa, li ricordo ancora seppur siano sbiaditi, e la scena in cui Sherlock fa credere al mondo intero, compreso John, che sia morto me l'ha riportata alla mente: leggendo il suo punto di vista, mi hai ricordato che Sherlock Holmes è vivo, vegeto e sta bene, ma gli manca il John.

Ciò che però mi ha più colpita di questa storia, è stato proprio l'incipit, come hai parlato in poche parole di come John abbia pensato più e più volte al suicidio, e di come questa malsana idea gli abbia fatto capolino nella testa fin da giovane; mentre ora che Sherlock è morto, unica persona al mondo che gli aveva scacciato dai pensieri tutto ciò, vorrebbe farlo per quanto si senta praticamente morto nella vita. E' cerca, pian piano, di avvicinarsi alla morte restando in vita, ma al contempo fumando, come se volesse fare a Sherlock stesso un dispetto.

In conclusione, il tuo stile mi piace moltissimo e mi ha colpita molto: è semplice, senza fronzoli, ma ben impostato, e la scrittura per i miei gusti scorre con fluidità.
E di sicuro, appena potrò, recupererò le altre due.

Un abbraccio.

Recensore Master
28/11/20, ore 20:46
Cap. 2:

Ciao, sono davvero contenta di ritrovarti così presto con una storia. E se la prima mi era piaciuta molto, questa mi è piaciuta ancora di più. Come hai detto anche tu nelle tue note finali, è molto introspettiva (caratteristica che adoro, perché l'introspettivo è il mio genere preferito) e mi è piaciuta tantissimo. La definirei anche psicologica, perché se nella prima storia tu intaccavi la superficie del dolore di John e della solitudine desolata di Sherlock, qua invece vai giù a fondo e non risparmi né l'uno né l'altro del loro dolore.

Anche qui torna la struttura della prima storia, una metà dedicata a John e l'altra a Sherlock. Siamo ancora nello stesso contesto e quindi se il secondo è chissà dove lontano da Londra, il primo è immerso nel proprio devastante dolore. Gli incubi sono assolutamente canoni e aiutano a rendere John molto IC. Non fatico a immaginarmelo mentre fa sogni del genere su Sherlock, li fa anche dopo che "torna in vita" o a parlare con suo "fantasma". Qua ancora non parla con lui come faceva con Mary quando era morta, qua fa degli incubi in cui sogna di strozzarlo. Ho trovato l'immagine forte e al tempo dolorosa, non è violenza fine a se stessa. Non è nemmeno vera rabbia, è più dolore. Il dolore di una persona che ha perso l'uomo che amava, il centro della sua vita, del suo lavoro, di ogni sua più piccola attenzione e che è rimasto solo. La sua non è la stessa solitudine di Sherlock. Anche se sembrano simili, quella di John viene vissuta come definitiva. John sa che sarà solo e senza Sherlock per sempre. E sempre è finché non morirà anche lui. Sherlock, al contrario, è solo e disperato, ma il suo è un dolore più sordo. La verità è che Sherlock ha uno scopo da portare avanti, non facile questo è sicuro, ma ha qualcosa che lo porta a voler andare avanti. John l'ha perso e con lui ha perso la fiducia negli altri, la voglia di aprirsi con qualcuno. Non lo fa nemmeno alla sua psicologa, non racconta il vero contenuto dei propri sogni e forse lei è vero che ha capito, ma adesso non importa davvero cosa Ella abbia o non abbia intuito. Qui ciò che conta è John e i suoi sogni e quello che prova. Il fatto che non veda l'ora di dormire per poterlo uccidere di nuovo va a contrastare invece col fatto che, dall'altra parte del mondo (o dell'Europa, non si sa) c'è uno Sherlock che invece non vuole dormire. Che vorrebbe le sue cose di sempre, il violino, la poltrona, Baker Street... John... Non ha nulla di tutto questo e non vuole dormire, tanto che resiste stoicamente per ben tre giorni salvo poi crollare. E quell'immagine di lui che piange prima di addormentarsi è triste sì, ma l'ho trovata quasi dolce ecco. Ma è l'effetto che Sherlock mi fa, ovvero di una disperata dolcezza e tu l'hai centrato appieno, lui così come John.

Non so quando le cose per questi Sherlock e John miglioreranno (o se lo faranno), ma intanto ti dico che hai fatto un ottimo lavoro. Davvero eccellente!
Alla prossima.
Koa

Recensore Master
26/11/20, ore 20:53
Cap. 1:

Ciao, era già da qualche giorno che volevo leggere questa tua storia. Ricordo che hai già scritto in questa sezione e ricordo anche alcune long e OS tue, quindi ero davvero curiosa. Sono felice che tu sia tornata da queste parti e questa prima storia è un intro davvero perfetta per una raccolta.

Il fatto che tu abbia deciso di iniziare dal periodo che segue la morte di Sherlock l'ho trovato molto interessante, dopo tanti anni è ancora un periodo molto fertile per le autrici di fanfiction. Là dentro c'è spazio davvero per tantissimi sentimenti differenti, dal dolore alla rabbia, sino alla consapevolezza di provare un sentimento più forte dell'amicizia. Più di tutto però è, per John, un periodo di grande sofferenza. E in pochissime righe mi hai riportato a quelle immagini della seconda stagione, alla desolazione che lo sguardo di John ha anche dopo due anni dalla scomparsa del suo migliore amico. La solitudine che lo colpisce e che tu sottolinei molto bene in questa storia è davvero potente, e fa tanto male. Fa male non solo perché John veste il lutto per qualcuno, ma perché questo qualcuno è la persona che l'ha tirato fuori dalla solitudine che la vita dopo l'esercito gli aveva lasciato. Sherlock gli ha dato tutto, una casa, un lavoro, degli amici... e quella vita avventurosa di cui aveva un disperato bisogno. E tutto ad un tratto non soltanto queste cose gli vengono a mancare, ma viene a mancare la persona più importante della sua vita. Mi è piaciuto qui come le sigarette facciano da collante, come riescano a tirar fuori il dolore da dentro John. Erano le stesse che lui gli aveva nascosto e mi è piaciuto moltissimo che si mettesse a fumarne una. Non si vede spesso John che fuma nelle fanfiction, forse perché lui è un medico e passa praticamente due intere stagioni a tenere lontano Sherlock dal fumo, qui però invece sceglie di fumare. Come se cercasse un contatto con chi crede di aver perduto. L'ho trovata una scena immensamente drammatica, perfettamente adatta al contesto del post Reichenbach.

Il finale cambia radicalmente la scena. C'è Sherlock ora al centro di tutto, lui è ancora vivo e lotta per tornare da a Londra, a casa da John. Per riavere quella vita che Moriarty gli ha levato e per la quale ora combatte. Uno a uno la rete di Moriarty sta cadendo, ma a quale prezzo? Immenso se si nota la sofferenza e la solitudine dietro le poche immagini che hai descritto. Mi piace l'assonanza tra la figura di John che fuma, solo e quella di Sherlock, che si libera di un altro tassello. Mi piace perché si sottovaluta spesso la sofferenza di Sherlock durante quel periodo, John per primo, accecato dalla rabbia, non lo fa mai. Non si sofferma a pensare a quanto Sherlock deve aver patito, fisicamente e non. Tu ce lo fai vedere invece e sono davvero contenta di aver letto questa storia struggente.
Metto la raccolta tra le seguite, perché sono curiosa di vedere cosa hai in serbo per noi. Intanto grazie per averla scritta, alla prossima.
Koa

Recensore Master
23/11/20, ore 10:24
Cap. 1:

L’argomento di cui ti sei occupata in questa OS è uno di quelli che ha riempito il mare grande del fandom, ovviamente, in questa Sezione. È uno dei miei preferiti, che s’inserisce a pieno titolo nella Johnlock, anzi, ne costituisce, secondo me, un fattore importante anche per gli sviluppi che ne seguiranno. Siamo in pieno post Reichenbach, immersi nel lutto che dilaga per il 221b, in seguito alla morte di Sh, chiaramente quella a cui John è stato indotto a credere. Questo particolare periodo corrisponde ad un vuoto nelle Stagioni BBC in quanto i Mofftiss non hanno ritenuto necessario occuparsi di quello che, sia per John sia per Sh, dev’essere stato un periodo terribile di solitudine e rimpianti. Quindi leggo sempre con interesse le vostre proposte di Autori per scoprire quali scenari abbiate immaginato relativamente a questo. Non che io voglia minimizzare quella che io ritengo l’angoscia del consulting di trovarsi in un paese straniero senza la vicinanza preziosa del suo ‘conduttore di luce”, ma ritengo che, il pensare a John vivo, che avrebbe prima o poi raggiunto, sia stato un buon motivo per sopportare la lontananza da lui e da Londra. Invece il vuoto del 221b che circonda chi ha visto l’uomo di cui era innamorato, forse senza rendersene conto, gettarsi giù dal tetto del Barts e piombare esanime sul marciapiede sottostante, dopo un accorato addio, dev’essere stato veramente soffocante e drammatico. Ecco, tutto questo io ritrovo da te, originale ed inedito, con un gusto di mai letto, di nuovo, nonostante gli anni trascorsi dalla Serie dei Mofftiss e i fiumi di parole spesi nel fandom. Ciò significa che, a mio avviso, hai saputo riempire quel vuoto di sceneggiatura dello “Sherlock” BBC con un’energia ed un reale coinvolgimento emotivo che mi hanno decisamente interessato, come se mi trovassi di fronte a qualcosa di nuovo ed avvincente. Hai ideato un ponte invisibile ma concreto tra i due di Baker Street, attirando l’attenzione di chi legge su degli oggetti ben visibili, significativi e, cioè, le sigarette. Questo è sicuramente IC perché, nel canone dei Mofftiss sono un fattore caratterizzante, come la pipa per Doyle, che, a volte, assume contorni comici, come in quell’immagine di Sh che ne porta un bel po’ in bocca o in quella discussione, sfiancante per John, vista all’inizio di THOB.
Questa volta le sigarette assumono quasi un significato di testimonianza di un passato che fa male, come nel caso di Watson, solo, perso nel lutto per Sh che si abbandona all’uso smodato del tabacco (“... possibilità di accendere la quarta sigaretta...”), quasi quasi per tentare di recuperare i momenti con Sh. Per quest’ultimo, solo e lontano, diventano un silenzioso ma forte monito a tentare di cambiare per poter tornare al più presto da John. Così il capitolo si chiude con quel pacchetto, appartenuto ad un componente della rete di Moriarty, che viene lasciato nella tasca. Uno dei passaggi che mi hanno colpito di più per ciò che hai saputo comunicare è dove la ripetizione di “Era” che esprime perfettamente ciò che diventa, per John, quasi un modo per cercare di rievocare ciò che non torna, ciò che si ritiene perso per sempre. Brava.