Recensioni per
Lettera Mai Spedita
di Relie Diadamat

Questa storia ha ottenuto 3 recensioni.
Positive : 3
Neutre o critiche: 0


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Recensore Master
19/01/21, ore 23:37

In questa storia ti sei occupata del post Reichenbach vissuto da John. Un argomento, questo, che è stato oggetto di moltissime ff, proprio per l’intensità emotiva che porta con sè e per il suo appartenere al cuore della Johnlock. Infatti è proprio la mancanza di Sh, secondo me, che diventa elemento determinante per far aprire gli occhi a John sul vero volto di quella straordinaria “amicizia”.
Come è stato già sottolineato più volte, i Mofftiss non si sono occupati del lutto che, sicuramente, ha costituito per John un’esperienza catalizzante rispetto, per esempio, al suo modo di considerare la vita, al suo atteggiamento nei confronti di Sh. La sua rabbia cieca ed incontrollabile che esplode, terribile, in TLD, nell’obitorio dell’ospedale di Culverton Smith, diventa l’espressione inconscia di tutto il dolore che sicuramente l’ha soffocato dopo aver visto il suo “coinquilino” suicidarsi davanti ai suoi occhi e ritornare “in vita” come se nulla fosse accaduto. La lettera che, come ci dici nel titolo, rimarrà chiusa in qualche cassetto o, addirittura, distrutta, ci fa entrare appunto nel dramma che John vive, trovandosi solo con il peso di tutto il “non detto” e “non fatto” nei confronti di Holmes e del loro rapporto.
Il fatto che John questa lettera la scriva concretamente con carta e penna, secondo me, è molto IC. Infatti noi sappiamo che lui è un blogger appassionato, dunque sa destreggiarsi con la tastiera, ma penso che una simile confessione, per lui, avesse avuto bisogno di uno spazio diverso da quello di un semplice documento elettronico.
Aveva bisogno della leggerezza e concretezza del foglio, dell’andirivieni della penna. Fa molto “John” questo.
Inoltre, mi è piaciuto come hai messo in risalto un termine, apparentemente non rilevante, come “spazio”. Ma, nel contesto emotivo che John esprime, diventa un elemento fondamentale. Il vuoto che Sh ha lasciato, in effetti, é difficile da definire: ecco, il termine “spazio” è, secondo me, utile a trasmettere un senso di angoscia, di solitudine, accompagnato dalla sensazione soffocante di sentirsi persi nel buio (“...Tutto questo spazio, dannazione...”). Diventa la chiave per definire con efficacia ciò che Watson prova di fronte al lutto ed alla mancanza dell’uomo che aveva salvato la sua vita dalla tragica deriva cui era destinata dopo il congedo forzato dall’esercito. Dal punto di vista tecnico, mi piace il tuo stile che lascia fluire le parole ed i pensieri in modo naturale, senza forzature sdolcinate o banalità, tanto che diventano davvero, senza filtri, la voce del cuore di John. Questa impressione è rafforzata dall’uso nella narrazione, obbligato visto che si tratta di una lettera, della prima persona. Ed é proprio John che ci fa entrare nel suo dramma che consiste certamente nella morte di Sh ma, anche, e soprattutto, nel rimorso di non aver espresso ciò che provava quando c’era l’occasione. Ora tutto é come congelato, fissato in ricordi ed immagini che lo tormentano. Non so se è solo una mia impressione ma non sono tutto dolore e disperazione i sentimenti che occupano la lettera. Infatti mi è tornata in mente tutta la forza di quel “Please, don’t be dead” che viene detto alla muta ( e falsa) lapide nera. Un senso di una, sia pur folle, speranza che cerca di spezzare l’ineluttabilità della morte. Chi legge sa benissimo, ovviamente, che Sh tornerà, ma John l’ha visto gettarsi nel vuoto e sta affogando nel silenzio e nel vuoto. Le sue parole escono infatti accompagnate da un dubbio sotterraneo (“..o torni per sempre...”), irreale ma quasi profetico. In effetti mi sono sempre chiesta se John, di fronte alla lapide di Sh, abbia mai avuto una lontana percezione che lui fosse ancora vivo. Comunque sia, tornando alla tua storia, originale ed avvincente, bisogna proprio dire che hai saputo farci veramente entrare nella tristezza e nella concreta e disperata dimensione in cui si trova prigioniero chi, come John, si trova improvvisamente solo e privato dell’unica persona che dava un senso alla sua vita. Hai espresso ciò anche con la sapiente reiterazione di “non ci sei”, “mi manchi”, “senza di te”. Parole che costituiscono quasi una catena che tiene imprigionato Watson nel vuoto e nel silenzio. Sì, mi è piaciuto molto ciò che hai scritto perché vi ho trovato la giusta espressione di stati d’animo credibili e verosimiglianti.

Recensore Master
21/12/20, ore 23:53

Carissima Relie,
è sempre un piacere tornare da te e sebbene sia un periodo un po' ostico, volevo trovare un attimo per dedicarmi alle tue splendide storie che, come poche cose, riescono sempre ad entrarmi dentro. Sei capace di cimentarti in molte sfaccettature della scrittura, e qui hai raggiunto dei picchi di angst altissimi, ma con una raffinata cura che mi ha sciolta e mi ha distrutta.
Sappiamo tutti che Sherlock è vivo, sta bene e che tornerà da John, ma... quanto deve aver sofferto quest'uomo, nel tempo in cui lo ha lasciato solo, credendo di non vederlo mai più? Nella serie vediamo come tenta di andare avanti, di cambiare le carte in tavola, ma Sherlock resta un suo tassello importante, fondamentale. Un amore che non si dimentica e, santo cielo, sai quanto mi è caro questo argomento.
Decidere di cimentarti in questa lettera significa essere entrare nella disperazione di un uomo che ha visto scivolare dalle sue mani un futuro che gli sembrava certo, il suo cambiamento. Perché Sherlock è colui che l'ha salvato dalla vita, dalle malattie psicosomatiche date dalla guerra e dalla solitudine, ed ora lo ha distrutto di nuovo, anche di più, perché con Sherlock non c'è nessuna guerra che ha lasciato il segno, ma l'amore.
Questa lettera è un imbuto che si apre largo in superfice e che si restringe alla fine. La vita non va avanti, le altre persone sì, ma John non va avanti, si aggrappa a Sherlock, al suo ricordo, e al vuoto che ha lasciato e siccome è una lettera che l'uomo che ama non leggerà mai, si permette di esprimere anche l'odio, perché ora per colpa sua è nell'inferno di uno spazio fatto per due, che dovrà occupare da solo.
Ogni singola riflessione sulla vita è disperata, e John qui è perso nel limbo della perdita, che annichilisce e lascia troppe ferite nel cuore, per poterle curare.
Un John spezzato, arrabbiato, triste, finito e solo. Un John innamorato, che si chiede se non gli manchi ciò che era Sherlock, l'idea che si era fatto, piuttosto che lui tutto intero. Domande esistenziali racchiuse in un foglio, perché la scrittura aiuta a vivere e a morire e a mostrare le nostre emozioni attraverso qualcun altro e, quando ci si riesce così bene, in modo tanto sofferto, non si può che rimanerne ammaliati.
Tornerò presto a leggerti, a ricaricarmi con le tue emozioni e, questa storia, è stato un ritorno sul tuo profilo che mi ha fatto così bene da lasciarmi senza fiato.
Complimenti come sempre per come riesci ad esprimere le emozioni dell'uomo. Sono sempre così vere che fanno un male cane.
Un abbraccio,
Miry

Recensore Master
13/12/20, ore 19:57

Ciao, ed eccomi a lasciarti una recensione anche a questa storia che diciamo essere agli antipodi rispetto a quella che ho letto stamattina. Quella, molto fluff e leggera, a tratti anche divertente, e questa che sprofonda nell'angst più nero. In realtà mentre leggevo pensavo che si potesse abbinare molto facilmente alla tua raccolta post-Reichenbach, il periodo è quello e lo stato emotivo è non dico uguale, ma molto simile. Là, John si lascia andare molto di più alla rabbia, qui invece si mostra più calmo e riflessivo e, per quanto sofferente, affronta le cose in modo diverso. Questione di sfumature, s'intende, alla fine il periodo che viene dopo la morte di Sherlock gioca inevitabilmente su quei puti chiave, uno di questi è analizzare il dolore di John.

Io trovo molto canonico il fatto che lui si metta a scrivere per affrontare parte di quel dolore, per poter riordinare i pensieri. Lo trovo canonico perché è quello che poi fa anche nella serie. Ella spinge John a tenere un blog, lo spinge a scrivere delle cose che gli succedono. Il fatto che poi inizi a farlo solo quando Sherlock entra nella sua vita, è un elemento non secondario, ma diciamo che Sherlock non è la ragione per cui inizia a tenere il proprio blog. Nella serie non viene mai affrontato per bene, si intuisce soltanto che il bisogno di John pian piano muta e dalla necessità di scrivere per poter guarire dallo stress post traumatico, diventa il blogger di Sherlock Holmes e la sua necessità è raccontare le loro avventure. Questo è un concetto che nei racconti viene meglio focalizzato su quest'ultimo aspetto. Però in entrambi i casi è comunque molto canonico, e molto da John Watson una cosa del genere. Anche perché noi lo sappiamo che non è un grande parlatore e che tende a tenersi tutto dentro e non affrontare in maniera approfondita ciò che prova. Il fatto che tenti di scriverlo è da lui, la lettera che qui si ritrova a scrivere direttamente a Sherlock, ma parlando più che altro con se stesso, mi è piaciuta molto. Tocca naturlamente delle corde molto drammatiche, ma non potrebbe essere altrimenti. Mi è piaciuto e l'ho anche trovato veorsimile, il fatto che parta dicendo che non ha parole. E non perché davvero non sappia cosa dire, ma perché ordinare i pensieri non è facile come potrebbe sembrare. La morte di Sherlock gli ha lasciato un vuoto talmtente grande che lui non sa più come riempire, che fare ordine nel suo cervello e nel suo cuore è un problema. Poi comunque si scoglie e la scrittur a diventa più fluida, meno imbarazzata dal: "Oddio non so che dire, ma devo dirlo". E a un certo punto John si ritrova ad aprire il proprio cuore, non c'è una dichiarazione (farla non avrebbe nemmeno così tanto senso) vera e propria, ma c'è un mi manchi che vale più di mille parole. Ho avuto anche leggendo la sensazione che John viva in una sorta di paradosso quando si tratta di Sherlock, come se lo odiasse e lo amasse al tempo stesso. Il fatto che detesti alcuni lati di lui, ma si ritrovi comunque ad amarli e a cercarli perché è quello che di lui gli piace. Qui si trasforma nella consapevolezza che forse non saprebbe nemmeno come reagire se gli si palesasse davnati dicendogli che non è morto. Sì, lo sappiamo poi come reagisce effettivamente John. Ma qui vai molto più a fondo, mostrandoci la sua rabbia, il dolore, l'amore di un uomo a cui manca tantissimo il suo Sherlock. Se tornasse sarebbe felice? Nella serie, felice, secondo me lo è tantissimo. Una di quelle classiche situazioni in cui ridi, ma al tempo stesso sei furioso. Lui gli ha tirato un cazzotto, nel canone di Doyle sveniva (e io preferisco quest'ultima di reazione), ma la sostanza è che John è un uomo incapace di affrontare ciò che prova per Sherlock. Qui c'è un tentativo, un piccolo segnale positivo e tu l'hai affrontato benissimo.

Per quel che riguarda il tuo dubbio sul rating, ti tranquillizzo. Perché il rating minimo per la Johnlock è sempre il giallo, dato che da regolamento le coppie slash non canon, partono sempre dal giallo. Quindi è tutto giusto!
Alla prossima storia...
Koa