Recensioni per
Dissolvenza
di sacrogral

Questa storia ha ottenuto 9 recensioni.
Positive : 9
Neutre o critiche: 0


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Recensore Veterano
26/08/21, ore 23:03
Cap. 1:

Carissimo Sacrogral,
Ho scoperto con piacere la pubblicazione di questa storia nella sezione "storie originali" ('sfarfallo' qui e la', ma alla fine arrivo sempre con l'ultimo treno). 
Ovviamente mi sono fiondata subito a leggerla e l'ho trovata molto particolare e originale, molto nel tuo stile       ("La versione di Sacrogral"). Ci ho rimuginato anche un po' su prima di recensire. 
Mi è piaciuto molto questo tuo flusso di coscienza allo stesso tempo un po' filosofico, sentimentale, distopoico, orwelliano e  profetico.
Ritengo che il bello consista proprio nel fatto che ciascuno possa interpretare o esserne colpito a seconda della propria sensibilità ed esigenze del momento, data l'universalita' delle tematiche trattate. Almeno così la penso io.
A me questa storia a pelle, di cuore e di testa e’ piaciuta.
Perciò spero di rileggerti presto con altri racconti originali.
Un caro saluto e tanti auguri anche a te in ritardo!
Galla88
(Recensione modificata il 26/08/2021 - 11:07 pm)

Recensore Master
20/08/21, ore 14:50
Cap. 1:

ILLE MI PAR ESSE DEO VIDETUR....mi piace molto l'allusione al carme 51 di Catullo, che è centrale in un altro tuo racconto, che ho amato moltissimo, e lo sai. E, in fondo in fondo, davvero PAR DEO ESSE VIDETUR chi, fra la felicità -un miraggio di felicità ? - e quel che è giusto fare, quel che sente, a pelle e a coscienza, giusto, sceglie questa seconda opzione. Però, lei, come darle torto, continua a cercarlo, perché sa che ci sono rinunce che sono, in fondo, dichiarazioni. Un mondo dove è illegale scrivere su carta? Forse, ci arriveremo. Ma non ancora. Pensa che io mi chiedo sempre, quando leggo qualcosa che mi piace particolarmente, che scrittura ha l'autore, e come faceva le G Victor Hugo, e se Flaubert faceva le M e le N rovesciate o con la gobba, ....e se Sacrogral ha la scrittura inclinata a destra e scrive con la stilografica (come non so fare io). Che bella sorpresa averti trovato anche in questa sezione: scoperta per vie traverse, piluccando qua e là, come da un cespuglio di lamponi durante una gita in montagna. E quando trovi il cespuglio giusto, vuoi non sfruttarlo sino in fondo, con ingordigia felice? Grazie, nobil cavaliere; omaggi devotissimi; bello è sapervi grato per questa seconda sorpresa agostana. In fede, sinceramente vostra Dorabella.
(Recensione modificata il 21/08/2021 - 03:38 pm)
(Recensione modificata il 28/09/2021 - 02:14 am)

Nuovo recensore
20/08/21, ore 09:53
Cap. 1:

Caro Graal,
Mi piace questa tua storia. Che tu scriva col tuo modo canzonatorio di demoni o ti addentri in luoghi diversi e lontani, la tua scrittura è sempre evocativa e in questo caso mi spinge a cogliere il non detto il non raccontato, a riempire gli spazi con la mia di fantasia. Un altro regalo.
Grazie

Recensore Veterano
18/08/21, ore 10:00
Cap. 1:

Caro Cavaliere,
io non sono brava a recensire, e probabilmente molto mi sfugge di quello che hai scritto. Perciò non aspettarti da me le alate parole che ho letto con ammirazione in altre recensioni, non ne sono capace. E forse troverai tanti fraintendimenti in quello che ti sto per scrivere, ma ho deciso che correrò il rischio.
Perché il tuo testo mi ha dato tanto su cui riflettere in questi giorni, quindi scrivo.
La prima volta che ho letto, arrivata in fondo, ho pensato che non molto tempo fa ti eri dichiarato amante del lieto fine (sfacciatamente lieto, direi!) e poi arriva questo racconto così disperato, mi sono sentita progressivamente inghiottita in un abisso. E allora ho pensato che noi esseri umani siamo meravigliosi perché siamo esattamente questo: una mescolanza di passioni e di sentimenti, creature strattonate tra il bisogno di bellezza, di felicità, di fede e l'attrazione per il buio, per il tormento e l'angoscia. Chi legge Kafka può apprezzare Dante, chi ama Lucrezio può incantarsi leggendo Virgilio.
Poi mi sono anche chiesta perché le ucronìe, distopie, discronie (io ormai in queste definizioni mi perdo, sappilo) prevedano per l'uomo sempre la fine peggiore, in particolare l'imporsi di totalitarismi di varia natura. Non è una critica, assolutamente no, cerco di capire perché scenari migliori (ma non zuccherosi o consolatori alla "Andrà tutto bene", che frase orrenda), da grande letteratura, di quello in cui viviamo non ci siano. O forse ci sono e io non ne conosco (età dell'oro a parte) ed è tutta colpa del fatto che la mia memoria ora riesce a recuperare solo McEwan (Macchine come noi, l'hai letto? Pazzesco il pezzo sugli haiku), Atwood, Houellebecq, Orwell e L'uomo nell'alto castello (la serie, con quell'attore pazzesco che interpreta l'Obergruppenfhurer).
Infine, caro Gral, ho pensato a questa donna, oggetto di un amore così potente. Ma mi è stata così antipatica... so che il cuore ha ragioni ecc. ecc., eppure, se fossi in lui, la lascerei andare, davvero.
E quindi, mi è piaciuta questa tua prova? ma soprattutto che vuol dire "mi è piaciuta"? A me piace il cioccolato. Qui si parla di altro, e allora basta il colore della bandierina.
Un caro saluto,
Sett.

Nuovo recensore
14/08/21, ore 20:18
Cap. 1:

In realtà io vivo continuamente nella mia infanzia: giro negli appartamenti nella penombra, passeggio per le vie silenziose di Uppsala e mi fermo davanti alla Sommarhuset ad ascoltare l’enorme betulla a due tronchi, mi sposto con la velocità a secondi, e abito sempre nel sogno: di tanto in tanto faccio una piccola visita nella realtà.
Ingmar Bergman

L’equilibrio d’un caleidoscopio, ogni immagine si specchia nell’altra, una minima rotazione e la scena cambia, l’equilibrio resta, tutto in bilico, in attesa del passo successivo.

Ieri è già stato al giungere dell’oggi. Ieri non è più, ma potrebbe ancora mutare nell’infinitesimo istante di sospensione della scelta, capace di riallineare il tempo - non lo si può sapere - così come definitivamente cancellarlo.

L’imminente - che pure pare fatto d’un sogno lontano, d’una mezza stagione di apatica stanchezza, di rassegnate decisioni ormai immutabili ma che, nell’equilibrio del caleidoscopio, chissà forse potrebbero ritornare, prima o poi, chissà in quale linea del tempo utopico e distrofico – si sussegue all’immanente, ciò che esiste al di là della realtà, Platone che non era un gatto, Catullo che amava sino alla paralisi, l’Enciclopedia che s’aggiorna in tempo reale ma che il fotografo, il poeta, non consultano, anche se dovrebbero.

In tutto questo, Lei è tutto.
Lei che è entrata dentro da un tempo infinito e non se ne andrà più.
Lei, "che c’è" un unico modo per amarla nella caleidoscopica narrazione, entro il testo dispotico e imposto, entro la pazzia della rivelazione che mina il bel pensiero, spacca l’ordine di un mondo riappacificato con l’oppio della felicità di plastica, che impone di non avere sogni, d’esser ciechi, guai a ribellarsi, che no, per fortuna siamo ancora una democrazia che appartiene a chi decide per sé e per la verità e non accetta alcun controllo delle proprie mani.

In questo tempo straniante, le mani dunque sono tutto ciò che non si può controllare, le mani accarezzano e sconvolgono, le mani scrivono, attestano sulla carta il movimento dei pensieri, suggellano le immagini con l’inchiostro del sangue e rendono eterno ed eternamente diabolico il perfido scatto d’un centesimo di secondo.
Sono le mani che si appropriano di Lei, la amano fin dal primo giorno e l’ameranno sempre.
Perché Lei è tutto, per Lei dunque si compie il passo fatale, per Lei si erra senza meta e senza futuro, per Lei non si è più.
Capo Rouge

Recensore Junior
14/08/21, ore 14:04
Cap. 1:

Mio carissimo, 
perdonerai questa mia da sotto l’ombrellone ma volevo farti partecipe del mio umil pensiero.
Questo soliloquio con l’altro, la voce dal sapore dell’acqua e bellissima metafora sinestetica, toglie veramente “polvere alle cose” e ci mostra il Sacrogral, scrittore, sotto una luce diversa eppure ugualmente splendente. 
L’incipit in media res preannuncia la strada in salita per il lettore perché il fattaccio è già accaduto e lo scrittore è impegnato a rendere accattivante la sua narrazione mescolando i tempi e gli spazi degli eventi. Le ellissi temporali nella vita dei personaggi sono molteplici quanto i quadri e i dialoghi e l’elisione dell’ovvio nesso, della facile congiunzione, gioca a favore dell’entimema, del sillogismo forte e sicuro di sé che lascia all’immaginazione del lettore la facoltà di ascoltare il silenzio del “fuori testo” e, così, saltare velocemente alle proprie conclusioni.
I dialoghi, nella loro sinteticità scarna, adempiono egregiamente al compito loro richiesto, cioè  aggiungono realismo alla storia, mentre lo scritto da dramma diventa narrato; la loro frammentazione, il procedere quasi per sottrazione di informazioni e la sapiente discontinuità del discorso rende il “romanzo” quasi futurista. I dialoghi diventano una sorta di ecfrasi, un equivalente, un analogon e un rovescio del soliloquio dalla dialettica costruita, dove a tratti una sola voce riporta, come una eco, quella dell’interlocutore di cui sa già tutto, forse anche risposte solo immaginate.
Tutto vero o forse solo un pretesto per “descrivere” quello che sta a cuore, per denunciare con rabbia, direi, l’oltraggiosa ὕβϱις di chi si dichiara pari a un Dio o addirittura superiore a Dio e che vorrebbe formattare lo “spirito” a uomo di massa senza volontà né libertà, ma questa è anche opportunità di dire a tutti che il “desiderio” di non chinare la testa alla Provvidenza dal cappuccio bianco è ancora vivo, desiderio che proprio Platone nei διάλογοι definiva “rivoluzionario”.

Un testo vigoroso, libero da restrizioni e paletti, e che ti mostra in forma smagliante, mio caro Gral!  E no, non credo di aver preso un abbaglio sotto il sole cocente di Agosto.

Sempre soltanto tua, di fuoco e fiamma

Fiammetta

Recensore Veterano
12/08/21, ore 20:18
Cap. 1:

Allora, quando nulla imprigiona la tua penna, le idee, il tuo Talento emerge ad illuminare la mia mente.
Si sospende l’incredulità e la realtà e si resta in silenzio ad ascoltare ciò che le parole dicono scivolando piano tra la coscienza e i sensi.
Amore intenso, disperato. Il tempo, l’assenza, la distanza non possono cancellare lei dalla sua mente, dal suo cuore. Lei che ha scelto una vita diversa, la sicurezza, la stabilità, lei che ha rinunciato a lui. Eppure non riesce a spezzare il flebile legame che la lega a lui. Il prezzo della rinuncia è stato perdere se stessa.
Scegliere tra una felicità offuscata dal peso della propria coscienza e la verità che è condanna verso un potere che soffoca la libertà. Che in cambio di un ordine e di una felicità apparente, chiede il silenzio e la libertà di pensiero. Chiede l’oblio di se stessi, l’uniformità del sentire.
E lui ha scelto di non assecondare la volontà di un unico individuo che decide per una intera Nazione, ha scelto di denunciare, ha scelto di non tacere.
Perché la condanna di un solo uomo, può essere ciò che fa tremare chi piega tutti al suo volere.
Perché una immagine può essere più assordante di mille parole.
Il prezzo da pagare per la sua scelta è stato lei. Passare la vita da esule, nella speranza, che è sogno, di riavere la parte mancante di se stesso. Di poter riavere lei. Il passato diventa la traccia, il suono che resiste al silenzio e che rende la vita una realtà incancellabile. Il passato dell’uomo gli rende quel sempre che non lo fa cadere nell’oblio della memoria.
La nostalgia si insinua tra le pieghe del dolore, la mente aggrappata al ricordo di un giorno perfetto che è la sintesi del passato che era felicità.
Il tempo, i ricordi, la voce di lei, tutto per non perdere se stesso, lui che non ha perso il suo amore per lei. Non ha perso la sua coscienza.
Perdere la fede nel domani, forse anche in ciò in cui aveva creduto di difendere, ciò che non si può perdere è lo spirito.
Frammenti di una realtà sospesa tra incredulità e irrealtà, che è condanna e specchio di ideali che sfuggono alla semplice comprensione.
Un uomo non perde la sua coscienza se segue i suoi ideali, contro ogni logica, contro ogni realtà.
E resterà libero.
Resto in silenzio ad assaporare le parole, che graffiano la mia anima, che illuminano la mia mente.
In un susseguirsi di immagini ed emozioni, che scuotono il mio animo, la mia certezza sulla tua Scrittura è ormai realtà assoluta, e comprendo il silenzio e le parole.

Recensore Junior
12/08/21, ore 12:16
Cap. 1:

Hai ragione, non si può capire, si può solo sentire. È come essere in una stanza buia, sconosciuta e sentire freddo e caldo insieme, sentire i brividi sulla pelle e non sapere perché, sentire un peso proprio lì al centro  del petto che cresce e ti avvolge. Ma poi si intravede uno spiraglio di luce. Davanti un quadro la cui vista ti rimanda contorni sfocati, che la ragione ancora non afferra. Quelle pennellate di colore, quegli incisi nel susseguirsi dei capitoli, quelle definizioni così vere e chiare e assolute ti abbagliano e ti lasciano senza fiato. Ma ti accorgi che ancora qualcosa ti sfugge, che ti manca lo sguardo d'insieme. Allora cominci ad arretrare, un passo alla volta, perché per capire a volte bisogna fare un passo indietro, prendere la giusta distanza come si fa con i quadri impressionisti. E il senso di quel disegno diventa chiaro e terribile, pugno allo stomaco come Guernica, realtà terribile e amara e spaventosa, difficile da accettare perché non così distante dalla realtà. Si può vivere felici in un mondo che inneggia ad una falsa libertà ma che in realtà te ne priva? Si può amare veramente quando la coscienza è morta, cancellata dal conforto di sicurezze materiali, dalla mancanza delle ansie e dei dubbi che non ti fanno dormire la notte? Ecco che la penna diventa arma più potente di una pistola, addirittura di una fotografia, strumento attraverso cui far scorrere il libero pensiero; la "verità " come unico appiglio a una vita solitaria piena di un amore distante ma sempre presente, mai sopito, mai mutato. Non c'è rancore verso una scelta "sbagliata" figlia della voglia di accontentarsi di una felicità facile ed edulcorata. Finché questa forza immensa è nell'uomo nulla è impossibile, nessuna rinuncia è troppo dolorosa. Ma se anche le sue mani verranno controllate che cosa ne resterà di quell'amore puro, che attraversa il tempo e lo spazio? Di quell'amore ideale che si scontra con desideri reali e piegati ad un compromesso, illusione di una facile via d'uscita, di un'altra vita sognata e forse possibile? Un'anima in bilico, il desiderio, forse la certezza, che il proprio io in realtà non sia lì.
Questo quadro, come il capolavoro di Orwell mi ha lasciato con un inquietudine profonda e ore insonni e con il desiderio immenso di apprezzzare e difendere la libertà del cuore e della coscienza, perché un uomo per essere tale non può rinunciare a nessuna delle due.

Recensore Veterano
09/08/21, ore 22:15
Cap. 1:

“Tempo presente e tempo passato
sono forse presenti nel tempo futuro,
il tempo futuro è contenuto nel tempo passato.
Se tutto il tempo è eternamente presente
tutto il tempo non è riscattabile.
Quanto poteva essere è un’astrazione
che rimane come perpetua possibilità
soltanto in un mondo d’indagini.
Quanto poteva essere e quanto è stato
puntano a un intento, sempre presente.
Eco di passi nella memoria
nei passaggi dove non c’incamminammo
verso la non spalancata porta
sul roseto. L’eco delle mie
parole, nei tuoi pensieri.
Per quale scopo
sollevino polvere da una coppa di foglie di rosa
io non so.
Altri echi
abitano il giardino. Vogliamo seguirli?
Presto, disse un uccello, trovateli, trovateli,
oltre l’angolo. Attraverso il primo cancello,
nel nostro primo mondo, seguiremo
il tranello del tordo? Nel nostro primo mondo.
Erano là, degni, invisibili,
passavano leggeri sulle foglie morte,
nel tiepido autunno, nell’aria vibrante,
e l’uccello chiamava, rispondeva
a una musica mai sentita e nascosta nel bosco,
attraversava uno sguardo mai visto, poiché le rose
avevano l’aspetto di fiori ben studiati.
Erano là come nostri ospiti, accolti e accoglienti.
Così andammo con loro, solennemente,
per il viale deserto, fino alla rotonda,
a guardare lo stagno prosciugato.
Dapprima arido, solido e bordato di scuro,
lo stagno sotto il sole si riempì d’acqua,
lentamente spuntarono i fiori di loto,
la superficie brillò sotto il cuore luminoso,
ed essi, dietro di noi, vi si rispecchiarono.
Passò una nuvola, e lo stagno si svuotò.
Andiamo, disse l’uccello, tra le foglie frotte di bimbi
si nascondevano eccitati, tenendosi dal ridere.
Andiamo via, andiamo via, disse l’uccello: gli uomini
non sopportano troppa realtà.
Tempo passato e tempo futuro
quanto poteva essere e quanto è stato
puntano a un intento, sempre presente.” 

Burnt Norton, Four quartets ~ T.S. Eliot ~

”Io non sono qui”,  unico introvabile e prezioso spiraglio di fuga verso azoto, ossigeno e argon che riporta a galla dall’esperienza spaventosa di fiato trattenuto, ultimo spiro di vita, esperienza vissuta che però non affonda e non sconvolge chi non c’è: qualcuno è salvo! 
Interessante colore, quello di questo originale, dato di spatola e quasi in negativo a confronto delle tonalità a cui ci hai abituati, al centro l’utopia che brilla di luce propria, attorno la distopia del buio riflesso che l’assorbe.
È un effetto visivo che trasfigura la realtà senza sfuggirla, con immagini dall’eloquenza innata a cui il nero d’inchiostro, anche di quei capelli neri, regala la favella di un cuore sul foglio. È come vivere in due città, una ideale e libera, l’altra invece una sorta di Stahlstadt senza farfalle del professor Schultze, miraggio accattivante e chimera di morte.
Nel mezzo il sopravvivere alla censura proteggendo un dono che è libertà rivendicata con un grosso sacrificio, mezzo che forse non condona l’omicidio del sogno ma che è certo dell’esistenza di ciò che non conosce morte. Di quel sempre che supera il timore di un futuro spaventoso e quasi apocalittico.
Sempre che si aggiunge al passato, al presente e al futuro a formare il quartetto del crittogramma dell’io tenendo conto di ciò che non esiste e per poi misuralo in diversi istanti per non perdersi.

Scritto che è fotografia nitida di una realtà brutta che presagisce, e che lascia col punto interrogativo sulla libertà "pretesa" di pasoliniana memoria e di cui bisognerebbe approfittare e fare uso perché l’importante è non perire sotto le ruote di verità nascoste.

In chiusura ti lascio un componimento “mondano”, per me dal sapore di casa, e scritto sulla “Nazione senza speranze”.


Ci vediamo in proiezione, ed ecco
la città, in una sua povera ora nuda,
terrificante come ogni nudità.
Terra incendiata il cui incendio
spento stasera o da millenni,
è una cerchia infinita di ruderi rosa,
carboni e ossa biancheggianti, impalcature
dilavate dall'acqua e poi bruciate
da nuovo sole. La radiosa Appia
che formicola di migliaia di insetti, 
gli uomini d’oggi, neorealistici
ossessi delle Cronache in volgare
di miele proiettata sulla terra
dall'oltretomba. Forse è scoppiata,
la Bomba, fuori dalla mia coscienza.
Anzi, è così certamente. E la fine
del Mondo è già accaduta: una cosa
muta, calata nel controluce del crepuscolo.
Ombra, chi opera in questa era.
Ah, sacro Novecento, regione dell'anima
in cui l'Apocalisse è un vecchio evento!
Il Pontormo con un operatore
meticoloso, ha disposto cantoni
di case giallastre, a tagliare
questa luce friabile e molle,
che dal cielo giallo si fa marrone
impolverato d'oro sul mondo cittadino...
e come piante senza radice, case e uomini,
creano solo muti monumenti di luce
e d'ombra, in movimento: perché
la loro morte è nel loro moto.
Vanno, come senza alcuna colonna sonora,
automobili e camion, sotto gli archi,
sull’asfalto, contro il gasometro,
nell'ora, d'oro, di Hiroscima,
dopo vent'anni, sempre più dentro
in quella loro morte gesticolante: e io
ritardatario sulla morte, in anticipo
sulla vita vera, bevo l'incubo
della luce come un vino smagliante.
Nazione senza speranze! L'Apocalisse
esploso fuori dalle coscienze
nella malinconia dell'Italia dei Manieristi,
ha ucciso tutti: guardateli - ombre
grondanti d'oro nell'oro dell'agonia.

Poesie mondane, Pier Paolo Pasolini

A presto, 
Minaoscarandre