Ciao Bellaluna!
Finalmente riesco a passare da te, perdonami se arrivo quasi sul filo del rasoio. Soprattutto perché ho adorato le piccole perle che sono queste due storie riflesse. Forse, per la mia conoscenza del fandom un po’ zoppicante, non avrò modo di comprendere appieno il tutto che hai messo dentro questa storia. Permettimi però di soffermarmi a dire quanto abbia amato il tuo modo di scrivere: queste due storie sono semplicemente poetiche. Usi delle immagini meravigliose – spillare di onori – e le frasi hanno tutte una fluidità particolare, come un fiume che rincorre e incatena una parola all’altra. È stato davvero un piacere leggerti e, soprattutto, conoscere questi due dolori diversi e gemelli. Il dolore di essere visti – apprezzati, pensati – per quello che non si è. In questo il destino di Trunks e Goten segue lo stesso, ineluttabile, percorso. I loro “antagonisti” sono però diversi. C’è un Trunks che era speranza, che ha salvato il mondo, che era forse troppo di più di quello che, adesso, il Trunks ad Hogwarts si trova tra le mani. Ma non può ammetterlo, a nessuno. Soprattutto, non può permettere a nessuno di avere questo pensiero, di pensarlo meno. Per questo rincorre un’immagine di se stesso che è lontana, che sarà sempre lontana, nonostante lui arranchi e fatichi e sudi per non farsi distanziare, per rimanere saldo sul piedistallo costruito per un altro lui. Il peso delle aspettative piega anche le spalle più spesse e le sue, seppur larghe, seppur da Capitano, Prefetto e Caposcuola, non sono immuni. Ma l’arroganza è come una maschera ed è un attimo che la maschera diventi condanna, diventi qualcosa di inevitabile, qualcosa che non puoi toglierti per non cadere a pezzi. Così come Goten indossa la sua: è nato per colmare un vuoto. Quanto è dolorosa questa immagine e questa consapevolezza. Anche lui combatte con un fantasma, con le aspettative che incombono – le proprie, in primis –, tanto che è quasi difficile affrontare serenamente la vita di ragazzino. Rinuncerebbe ad Hogwarts per dire resto, per adempiere a doveri che gli sono stati affibbiati per nascita (o forse per morte, forse per supplire a quel sacrificio). L’immagine di Chichi che lo ama, lo allena, lo istruisce per un amore smisurato che lui non riesce a non riconoscere quasi come un rimpiazzo, mi strazia il cuore. Quanto deve far male per un figlio pensare che l’amore che gli viene donato va diviso a metà, non è totalmente meritato, è un po’ diretto altrove?
La cosa bella però è che anche se il dolore è simile per questi due, il modo di affrontarlo è diverso, è quasi complementare. Si aiutano a vicenda, con le loro dolcezze e le loro asprezze, a “sminuire” in modo buono i rispettivi dolori: Goten dice a Trunks che può sbagliare, che nessuno lo giudicherà. Trunks prende in giro Goten e gli dice che sembra uno spaventapasseri con quella divisa rattoppata, ma vuol dire: non devi usare i panni di qualcun altro, non devi essere qualcun altro, sii te stesso. E lo fanno nel loro modo: sfruttando la vicinanza e l’arroganza, le loro doti e le loro rispettive specificità. Mi hanno ricordato un po’ dei Malandrini, un Sirius e un Remus di altro AU. E li io adorati, per questo!
Insomma, spero che questa recensione non sia troppo sconclusionata e tu riesca a trovarci un capo e una coda. Io ti posso dire che l’ho adorata, bravissima.
Ti mando un abbraccio, a presto |