Ho appena visto un'opera teatrale in cui uno dei personaggi, un padre assente che non ha cresciuto il proprio figlio, si interroga su cosa il figlio possa volere da lui visto che l'ha ricontattato dopo anni ( e il padre non ha soldi né saggezza da dargli, e il figlio lo sa) e poi si risponde da solo "vuole quello che tutti i figli vogliono dai loro padri. Sapere da dove viene, perchè è stato messo al mondo...sapere chi è". È il bisogno di scoprire le origini per cercare di risolvere i dilemmi su noi stessi a cui non sappiamo trovare risposta, il desiderio di conoscere i pensieri e le aspettative dei propri genitori non perchè esse ci definiscano, ma perchè, avendo conosciuto il percorso di un possibile sentiero previsto per noi, possiamo scegliere liberamente se percorrerlo o andare in un'altra direzione. Decidere consapevolmente se, come e quando deviare dalla strada maestra senza vagare a caso nel bosco.
Questo è il cammino che tutti si trovano a dover metaforicamente fare a un certo punto della loro vita (spesso durante l'adolescenza o poco dopo, oppure stranamente dopo la mezza età- è sempre una o l'altra opzione) e che Tom invece, in quanto protagonista (o meglio, co-protagonista) di un romanzo (o meglio, di una fanfiction) di formazione si trova a dover percorrere letteralmente, senza troppe metafore.
I protagonisti dei romanzi di formazione, Harry Potter incluso, dopotutto non hanno mai fatto altro se non percorrere materialmente un cammino che tutti gli esseri umani a un certo punto si trovano a percorrere solo psicologicamente o metaforicamente. Il fatto che la tua storia, tecnicamente una fanfiction, funzioni in questo modo è una prova del suo valore narrativo e della tua bravura. (Non è raro trovare belle fanfiction, se sai cercarle. Ma di solito non sono così lunghe, e quelle con le migliori caratterizzazioni si focalizzano su uno, due, massimo tre personaggi. È raro trovare lunghe fanfiction con così tanti personaggi, tutti così ben caratterizzati, che soddisfano e appassionano come un libro vero e proprio, però. La tua, ormai lo saprai fin troppo bene, lo fa.)
Le domande specifiche che portano Tom alla porta dello studio di Von Honhemein sono dunque uniche, perché unica è la situazione di Tom (non capita tutti i giorni di essere in vita perchè un alchimista ha richiamato un'anima dannata e l'ha appiccicata dentro al corpo morto del proprio figlio neonato) ma gli impulsi che lo portano a cercare quelle risposte sono universali: da dove veniamo? Perché esistiamo? Cosa ne sarà di noi? Cosa mi riserva il futuro? Quanto vivrò, e come?
Così come universale è la tentazione di cercare queste risposte da chi ci ha messo al mondo.
Ancora di più, paradossalmente, se suddette persone che ci hanno messo al mondo sono assenti o distanti, o comunque per un motivo o per l'altro non hanno cresciuto loro i propri figli; perche proprio i genitori assenti, temibili e intoccabili sono questi, agli occhi dei figli, quelli più simili agli dei, e dunque custodi di domande a cui i comuni mortali non possono rispondere. Spesso, i figli imputeranno all'ingombrante presenza-assenza dei genitori mai conosciuti o raramente presenti l'esistenza, e soprattutto l'insistenza, di certe domande e dilemmi interiori. Tutti i figli credono che i genitori abbiano tutte le risposte del mondo, soprattutto da bambini, ma crescendo, durante l'adolescenza, ci si accorge che i genitori che ci hanno cresciuto sono umani, fallibili e a volte inconsapevoli come tutti gli esseri umani. Ma ci si può accorge di ciò solo passando de tempo con loro, scontrandosi e riappacificandosi e in generale vivendo insieme: coloro che, per un motivo o per l'altro, non hanno mai davvero conosciuto uno dei genitori o entrambi, spesso creano nella mente un'immagine di questi ultimi più potente e onnisciente (nel bene o nel male) di quello che sono in realtà, perchè mancando la conoscenza diretta manca anche la presa di coscienza dei limiti e dell'umanità mortale dell'altro.
Infatti nella maggior parte dei casi queste domande su se stessi che tutti i figli vorrebbero porre ai propri genitori rimangono senza risposta, perchè i padri (e le madri) sono fallibili e umani come i figli e le figlie, e non controllano il passato né il presente ne' il futuro. Rendersene conto è parte indispensabile del crescere, di quel processo psicologico di cui la (metaforica, Tom, ho detto metaforica!) uccisione del padre fa parte.
Tom crede che nel suo caso sarà diverso, perché lui È diverso, è nato in modo diverso dagli altri, e non ha un padre biologico ma un creatore, nel senso meno lusinghiero del termine- qualcuno che l'ha creato come nelle leggende di tutte le culture le divinità hanno creato il primo uomo.
E Tom in fondo un po' si sente primo uomo, sia per la grandezza del suo ego (lol) sia per il modo in cui è nato, primo esemplare e pionere di un cammino che (lui crede) non è stato percorso in precedenza da nessun altro.
E nonostante tutta la rabbia, l'odio, il disgusto e la paura che prova verso questo padre biologico che l'ha creato, come solo un dio può creare, e poi tormentato per richiamarlo a se', come farebbe un diavolo, Tom non può che figurarselo come un'entità onnisciente.
È il creatore, il modello, il male personificato.
E invece Von Honhemein è vecchio e malato e forse folle. È potente, come Tom già sapeva, è furbo, dotata d'un'intelligenza machiavellica, come Tom sospettava, è moralmente ripugnante, come tutti sapevamo, ma è soprattutto mortale (e questo è quello che Tom non aveva previsto- che questo padre biologico e spaventoso potesse morire in modo naturale, banale) e le sue conoscenze, per quanto vaste, sono limitate.
Ha sì creato Tom, ma come prototipo; un esperimento riuscito una volta per miracolo e mai più riprovato- e quindi non ha le risposte che Tom cerca su se stesso e sul suo futuro.
Tom è sì un caso speciale, particolare e tutto quello che vuoi, ma davanti al suo futuro è solo e allo sbaraglio come tutti noi altri, senza nessuno che gli dia risposte certe e assolute su chi sia e cosa gli aspetta.
Può sembrare terribile scoprirlo, ma invece è liberatorio. Le sue particolarità non spariranno mai ne smetteranno mai di influenzarlo, ma non definiscono nemmeno il suo futuro, o il suo modo d'essere, in modo unico, assoluto e irrevocabile.
Il creatore stesso di Tom, come un dio fallito e in rovina, non ha risposte e non sa, non può o forse non vuole dire cosa riserva per Tom-o per chiunque- il futuro.
Ed è questo che amo dell'arco narrativo del personaggio personaggio: cerca per tutta la vita delle risposte, in un confronto col padre/creatore, ma scoprire che nemmeno Von Honhemein ha le risposte che cercava è la vera risposta di cui aveva bisogno.
Perchè è la conferma, questa volta definitiva, che il suo destino non è scritto nella pietra, in un linguaggio che Tom non sa decifrare e a cui invece Alberich Von Honhemein ha accesso, ma è come per tutti, in parte sconosciuto e affidato alle bizze del fato, delle coincidenze, del mistero di ciò che avverrà e in parte plasmato e plasmabile dalle scelte di Tom stesso.
Parte del futuro di Tom è nelle sue stesse mani, e in quelle di nessun altro (tanto meno di Von Honhemein), e l'altra parte, sarà determinata dalla casualità che non può essere prevista o controllata da nessuno, nemmeno da Alberich Von Honhemein.
Così come Soren: può essere stato plagiato in passato dallo Zio (tra parentesi, quando Alberich Von Honhemein accenna a Tom che è abituato ad essere circondato da ingrati...si riferisce a Soren? Ti giuro vorrei aver passato anche solo un paragrafo nella mente di Von Honhemein come è successo in Opera Al Nero con John Doe, sarebbe stato una roba tipo "il nipote che ho abusato, addestrato come un'arma e trattato freddamente per più anni mi si è rivoltato contro quando ho preso prigioniera l'unica persona che gli avevo giurato di non ferire, non posso credere alla sua ingratitudine. Speriamo che il figlio-esperimento che ho convinto a venir a parlare con me dopo anni passati a ricattarlo a distanza tormentando tutte le persone a cui tiene sia più disposto ad esaudire il mio ultimo desiderio 😊🔮" ao' alchimista dei miei stivali ripigliati, che in confronto a te Voldemort era la persona più sana ed equilibrata di questo mondo) comunque, dicevo, è stato plagiato dallo Zio in passato, e condizionato dalla sua amicizia con Lily nel presente, ma alla fine la scelta ultima, quella di accompagnare Lily "dai suoi" anche se sa che nel migliore dei casi lo prenderanno a pesci in faccia, è sua, di Soren.
In quanto essere umano, la scelta è sua. Questo nemmeno Alberich gliel'ha potuto togliere. Gli ha tolto la scelta da bambino, quando non aveva la possibilità o le capacità di opporsi al volere dello zio, facendolo diventare qualcuno- o, nella mente di Alberich, più probabilmente e tristemente qualcosa- che non era nella sua indole essere. Ma ora Soren ha diciannove anni, un braccio con la forza dell'equivalente magico di un'arma nucleare, ed è arrivato al limite- il limite in cui si è sentito spinto e sospeso tra due precipizi, uno che lo avrebbe portato a crollare con tutto il teatrino di Alberich Von Honhemein, e un altro che l'avrebbe portato probabilmente a crollare comunque, ma distruggendo tutto il teatrino. Anche se sa che non verrà ricompensato per questo gesto'- che verrà considerato anche lui parte del teatrino senza se e senza ma, processato come un adulto anche se forse- anzi, quasi sicuramente- non se lo meriterebbe.
E nonostante ciò ha scelto di ribellarsi a John Doe, salvare Lily e riaccompagnarla dalle stesse persone che sono pronte ad arrestarlo.
Perchè la sua coscienza e il suo senso dell'onore gli dicono che è la cosa giusta da fare.
E questo rende la sua scelta, e di conseguenza il suo personaggio, ancora più grande, in quanto SA che non riceverà pacche di gratitudine sulle spalle ma solo diffidenza e punizioni (la prima comprensibilissima, le seconde esagerate- perché con la morte/scomparsa di Johannes e Alberich verrà usato come capro espiatorio) ma lui non sta scegliendo in base alle ricompense che otterrà con la sua scelta, ma in base a ciò che la sua coscienza gli ordina di fare.
Qui sta la grandezza e nobiltà del personaggio. Soren sceglie, attivamente, di cambiare schieramento anche quando non gli converrebbe farlo, per il semplice motivo che è *giusto* farlo. Che la sua coscienza, che fino a quel momento gli ha ordinato di obbedire ciecamente allo Zio per ripagarlo del debito che nutriva verso di lui (lasciamo perdere che crescere un bambino con l'idea che egli in futuro ti "debba" qualcosa per il solo fatto di non averlo lasciato di fame e negligenza è un'idea super tossica, but that's Alberich Von Honhemein for you, Mr Tossico Padre-Padrone in Persona) non può più sopportare di obbedire agli ordini di colui che ha fatto del male a Lily. Anche se Lily ora lo odia- non importa, lui deve portarla al sicuro perchè ora sa che è la cosa giusta da fare.
Perchè Soren può essere considerato da tutti un voltagabbana, e *tecnicamente* lo è, ma manca della spregiudicatezza e dell'opportonismo che sarebbe tipica di questa categorie di personaggi. (E devo dire che all'inizio questa era una delle ragioni per cui non lo ho subito amato, perchè a me piace leggere di voltagabbana egoisti e cinici, e Soren è il contrario di tutto ciò. Poi ho imparato di amarlo per quello che è, non per quello che mi aspettavo da un personaggio nel suo ruolo narrativo). Infatti, è il voltagabbana più suicida e meno opportunista della storia della letteratura fandomica, probabilmente...e questo è stranamente adorabile e commovente.
Milo ha ragione a definirlo una contraddizione vivente- io stessa ci ho messo un po' a capirlo, e in quanto lettrice ho accesso ai suoi pensieri, privilegio che i personaggi che condividono la storia colui non possono avere.
"Era così diversa dalla sua, e aliena. Scura e dritta, senza un solo nodo, o asperità. L’impugnatura era quasi inesistente. Ma la cosa più straordinaria era il fatto che a Sören non servisse; non aveva infatti bacchette in pugno, ma piuttosto una sfera di luce gli brillava nella mano come un piccolo sole. "
Ah, ste metafore...Soren con la bacchetta aliena e austera, ma con un piccolo sole che gli brilla in mano...tutte queste metafore di luce e ombra e diversità e speranza nei PoV di Soren e di Lily quando pensa a Soren mi stracceranno il cuore, un giorno. Forse c'è anche un richiamo al primissimo incontro con Soren, quel ragazzo vestito d'ombra e avvolto nelle ombre ma con bagliori di un luccichio argentato sul mantello color della tenebra.
Ma per quanto abbia imparato a voler bene a Soren, fino al punto da metterlo sul podio dei miei personaggi preferiti, il mio cuore qui è con Lily. È facile predicare il perdono se sei un fantasma in una dimensione onirica...un po' meno praticarlo se sei una quindicenne che si è appena resa conto di essere stata ingannata per quasi un anno da quello che credeva essere il suo nuovo, fantastico, migliore amico. Ciò che Lily ha scoperto su Soren fa riaffiorare molte delle sue paure e insicurezze nascoste (come il fatto di essere avvicinata e desiderata solo per il cognome che porta, o per le sue parentele importanti, e non per chi è come persona) e fa ancora più male perchè Soren era la persona che Lily pensava potesse aiutarla a superare queste paure e insicurezze
E lo farà- ma in futuro. Per ora c'è solo il dolore e la delusione, quel particolare dolore dovuto al fatto che una persona a cui volevi bene non è davvero chi diceva di essere, che è un dolore diverso dallo scoprire che la persona a cui vuoi bene ti sta nascondendo qualcosa, è un dolore che prima ancora che tradita ti fa sentire stupida e ti toglie il terreno da sotto i piedi perchè va a scuotere un paio di certezza, e quindi anche la tua fiducia in te stessa e nel tuo giudizio sulle situazioni e sugli altri. È *QUESTA* la vera ferita che Soren ha inflitto a Lily, pur senza volerlo.
E il fatto che Soren non volesse davvero ferire Lily, e che Lily lo sappia, il fatto che quel ragazzo per cui Lily si è presa una cotta esista davvero sotto strati di maschere e bugie, rende il tutto ancora più difficile: perchè, seppur doloroso, sarebbe più facile trasformare tutto il dolore in rabbia cieca e vendicativa al pensiero che qualcuno a cui volevamo bene ci ha ferito con la precisa intenzione di farlo, che districarsi tra i complessi sentimenti di delusione, frustrazione, rabbia, insicurezza e senso di colpa al pensiero che una persona a cui vuoi bene ti ha ferito sì, ma non voleva farlo- eppure l'ha fatto. E ti vuole davvero bene- eppure ti ha squarciato l'anima e ha distrutto la tua fiducia incondizionato nel genere umano, colpendo forse inavvertitamente (ma pur sempre colpendo) dove fa più male. Il fatto che Soren provi davvero dei sentimenti per Lily, e che davvero non volesse farle male...rende tutti più complicato per Lily, sospesa tra la morale delle intenzioni e quella delle conseguenze, tra i sentimenti che prova verso Soren e la rabbia perchè lui l'ha ingannata così ingannata, e la rabbia che prova verso sé stessa per essersi lasciata ingannare prima, e per non smettere di provare sentimenti per Soren dopo aver saputo dell'inganno...
E la compassione che Lily comunque prova, e che la classifica subito come figlia di suo padre (ai tempi della scuola) e nipote di sua nonna, perchè nonostante la rabbia Lily *sa* che la posizione in cui Soren si trovava non era giusta, la frustrazione perchè quando Lily gli offrì aiuto per uscire da questa situazione Soren la allontanò per non metterla in pericolo, e paradossalmente questo l'ha portata ancora di più in pericolo...
Lily che chiede a Soren se è davvero un Prince e non sa nemmeno lei perchè glielo sta chiedendo...ma noi lo sappiamo il perchè. È perchè vuole assicurarsi che almeno quello fosse vero- che almeno qualcosa tra loro di autentico ci fosse, qualcosa renda Soren il nipote di Alberich ANCHE il Soren di Lily.
In qualche modo, Lily vuole assicurarsi che, a venir imbrogliata e ferita sia stata solo la Lily adolescente, innamorata e ribelle, e non quella bambina di cinque anni che credeva davvero alla "Storia del Principe".
In un qualche strano modo che Lily capisce a livello istintivo ma che non si sa spiegare, il legame di Soren con Piton, per quanto flebile e distante, rende quello vero anche quello tra lei e Soren, dietro tutti gli imbrogli e le maschere e le mezze verità. Diventa un filo rosso che li collega, inconfutabile e inscalfibile dal tempo e dagli schieramenti, molto più dei sentimenti di Soren per Lily o viceversa, almeno dal punto di vista della ragazzina in questo momento: perchè i sentimenti possono essere instabili e volubili e le emozioni, ora più che mai Lily lo sa per esperienza, possono essere tanto dirompenti quanto imprevedibili, e volersi bene non ha mai impedito a nessuno di farsi del male a vicenda, o di abbandonarsi. Ma il legame di Piton con Sorem esiste, reale e comprovabile, e nulla lo può scalfire, così come quello d Lily Luna con la nonna che non ha mai conosciuto.
La storia condivisa e irrealizzata dei loro antenati rimane sospesa tra loro, tra muri di silenzi e delusioni. Non è abbastanza per risanare le ferite, non ancora. Non è neanche davvero ciò che li unirà in futuro: saranno da un lato il loro trauma condiviso dall'altro le loro scelte di affrontarlo- e affrontare la vita in genere- tenendosi per mano a unirli di nuovo, questa volta definitivamente.
Una nonna e un cugino morti da anni e mai conosciuti non hanno questo potere; il passato da solo non può sanare le ferite del presente.
Ma nonostante tutto, Lily ha bisogno di sapere che questo legame famigliare e antico tra lei e Soren esista davvero- che non era solo un imbroglio, non *tutto* almeno.
Perchè la quindicenne Lily potrà essere uscita terribilmente ferita da tutta questa storia, e ci metterà anni a guarire e nulla tornerà mai del tutto come prima, ma dentro di lei c'è ancora quella bambina di cinque anni innamorata del Principe- e Lily deve assicurarsi che almeno quella bambina non sia stata ingannata.
Perchè Lily crede nel destino, non in quel destino che dice che tutto quel che accadrà nella nostra vita è già stato deciso e noi non abbiamo nessun libero arbitrio, ma in quello che getta dei semi sul tuo cammino in modo non casuale, e sta a te poi sceglierli se seminarli o meno- e qualunque cosa tu decida, le piante che cresceranno da essa influenzeranno la tua vita, ma tu hai il potere di decidere in che modo.
E forse il destino, viene da dire leggendo le tue storie, non è altro che il cammino tracciato da chi ci ha preceduto, che noi possiamo scegliere se seguire o meno, ma che abbiamo bisogno di conoscere per poter prendere liberamente la nostra strada.
La travagliata complicata e inevitabilmente intrecciata storia famigliare di Lily e di Soren li ha portati a incontrarsi, ma sarà una loro responsabilità e, allo stesso tempo, una loro scelta, decidere cosa farne di quest'incontro.
Alla fine, verrebbe da dire, Ab Umbra Lumen è una storia di ricerca, scoperta o riconciliazioni con le proprie origini per poter costruire il proprio futuro.
È una storia di padri, di eredità e di fantasmi.
C'è Alberich Von Honhemrin che senza essere un padre in nessun senso che conta è l'immagine stessa di tutti i padri tossici, violenti e padroni che preferirebbero vedere il proprio figlio (o la propria figlia, o figli, o figlie) distrutto invece che vederlo prendere una strada diversa da quella che il padre aveva immaginato e voluto per lui- tutti i padri e le madri, sia nella tua storia che nella vita reale, ogni tanto fanno l'errore di imporsi sulla vita e le scelte della prole, ma la differenza tra un genitore decente e uno orribile è che il primo talvolta sbaglia ma si corregge, mentre la seconda categoria persevera credendo di essere nel giusto. Von Homheneim è l'estremizzazione, purtroppo non così irrealistica, del padre padrone o più in generale del genitore creatore e tiranno che crede che i figli siano *roba* propria di cui poter usare e disporre a proprio piacimento, e che il desiderio di indipendenza e libertà dei figli sia un'ingiustizia versi chi li ha messi al mondo o li ha cresciuti. E opposto a Von Honhemein c'è Tom, a cui tutti hanno ripetuto diecimila volte per capitolo che deve star lontano dal padre naturale, ma che non riesce a farlo pervhè vuole vedere in faccia l'uomo che lo ha messo al mondo in un modo così poco ortodosso, rendendolo chi è, per poter aver risposte su se stesso e sul suo passato, e vivere così un futuro privo di fantasmi. C'è Soren che da quello stesso uomo da cui Thomas sta cercando risposte è stato cresciuto- o meglio allevato, addestrato. Quello Zio che dopo aver spinto il padre di Soren a suicidio, costringendolo a far parte di un progetto che avrebbe trasformato in un'arma Soren stesso, ha strappato via dal ragazzo ogni ricordo o storia sulla sua famiglia paterna, per impedirgli di essersi qualsiasi cosa d'altro che un Von Honhemein. E così ora Sorem deve riconoscersi e riconciliarsi con le storie e i fantasmi del suo lato Prince che sembrano manifestarsi sul suo cammino per indicargli la retta via.
C'è Scorpius vuole essere un eroe non solo per farsi un nome e venir riconosciuto aldilà del cognome legato alla cattiva fame della sua famiglia padre, agli errori del padre e alla disgrazia del nonno, ma anche per riscattare le colpe e i fantasmi di quello stesso padre che nonostante tutto, o forse proprio a causa di questo "nonostante tutto", Scoprius ama e rispetta- e proprio per questo ne deve riscattare i fantasmi, perchè vuole poter essere libero di dichiararsi fiero di essere figlio di Draco Malfoy senza che il mondo lo scambi per un simpatizzante dei mangiamorte, e quindi deve crearne una sua, di gloria personale, in modo tale che un giorno la gente ricorderà che l'ambiguo Draco Malfoy sia stato il padre dell'eroico e valoroso Scorpius e non viceversa.
E c'è Albus che al contrario è un figlio di un eroe- DELL' eroe, sotto molti punti di vista- e non ha mai voluto davvero essere un eroe a sua volta, e invece si ritrova ad esserlo, sia pure in un modo non tradizionale. Perchè neanche Harry alla fine ha mai davvero voluto fare l'eroe ma è stato necessario che lo fosse.
C'è Ted che, in questa missione sgangherata, si trova a rivestire i panni e i ruoli dei genitori che non ha mai avuto modo di conoscere, ma di cui ripercorre le ombre per vincere la battaglia, ora sotto forma di lupo come il padre, ora combattendo da auror come la madre.
C'è Dominique che riscatta la figura un po' meh che Fleur aveva fatto al Tremaghi diventando la Campionessa più "figa" di questo Torneo (scusa Scorpius e Soren, ma dico la verità).
E, visto che abbiamo messo due madri nel mix, aggiungiamoci anche una nonna, o meglio, visto la giovane età in cui è morta, la madre di un padre, con la sua ingombrante memoria luminosa che ha lasciato sulla discendenza. In particolare sull'unico membro femminile di questa discendenza. Lily ha sempre avuto terrore del paragone con la nonna da cui prende il nome, e inavvertitamente si trova invischiata in una storia che è molto, troppo simile alla sua.
"C’era un modo corretto – e possibilmente poco doloroso – per affrontare tutto quello?"
No, Lily, non c'è. Ci sarà, ma per ora non c'è. Però la vita va avanti, e andando avanti andrà meglio.
La scena dell'incontro tra Lily e Soren da un lato e Ted, Scorpius e Dominique dall'altro è assolutamente divertente, anche se incredibilmente drammatica. Questi tre sono andati al castello per salvare Lily, lei è stata salvata da una delle persone da cui la volevano/dovevano salvare, e in compenso si sono persi per strada Al e Tom, i primi ad aver proposto l'idea di questa missione suicida. Sul serio, come ha fatto Ted a non scoppiare in una crisi di nervi?
"Che diavolo!”
Era una voce femminile, giovane e inglese che conosceva benissimo. Perché era la voce di Lily Luna.
Sbalordito si trovò di fronte proprio la ragazza che erano venuti a salvare con tutti i pericoli del caso. Lily, con i capelli arruffati, l’uniforme sporca e ovviamente abbacinata.
Lei e il ragazzo tedesco sparito nel nulla, Sören Luzhin".
Qui ho riso, per l'assurdita della situazione e per come Lily non perda mai la sua posa e il suo tono *da Lily*, nemmeno in queste situazioni...
“Come posso chiamarti?” Gli chiese interrompendo la visuale.
“Sören. È il mio vero nome.” Lo disse come se non fosse la prima volta. Rassegnato.
“Voglio che ti sia chiara una cosa allora, Sören.” Fece in modo che lo guardasse negli occhi. Non fu facile. “Se avrò il sospetto che ci stai portando dalla parte sbagliata sarò io stesso a darti in pasto alle fiamme.” E non scherzava, perché il suo buon cuore gli poteva suggerire di salvare uno scagnozzo di Von Hohenheim, ma non di tendergli una mano se avesse dimostrato di non meritarsi quella possibilità.
Il ragazzo annuì. “Non mi aspetto nient’altro.” Non chiese scusa, né perdono. Non cercò un intercessione. Non aveva neppure l’aria ansiosa del reo confesso che cercava simpatia per scampare ad una futura condanna. Stava lì ed attendeva una sua reazione.
“È vero che l’hai salvata?” Chiese. Sciocco da parte sua forse, ma voleva sentire la risposta.
Sören distolse di nuovo lo sguardo da dove era Lily, oltre Scorpius e Dominique. Ted avrebbe scommesso mille Galeoni che avrebbe saputo trovarla anche in mezzo al buio e centinaia di persone. Era inquietante.
“È lei che ha salvato me.”
Non aggiunse altro."
...Ma in tutto questo pezzo ho avuto i brividi. Per Ted che ha abbastanza buon cuore da dare una seconda possibilità a, parole sue, uno scagnozzo di Von Honhemein, ma abbastanza intransigente sangue Grifondoro da buttarlo nel fuoco se quest'ultimo dovesse tradirli una seconda volta.
Per Ted che "sciocco forse", ma sente il bisogno di sapere se è vero che alla fine Soren ha salvato Lily. Perchè gli altri maschi della famiglia Potter&co non si porranno nemmeno il problema, per ora, ma Ted in fondo è un romantico che vuole credere ai lieto fine.
Per Soren e quella "è lei che ha salvato me" e soprattutto per il suo sguardo intenso, che avrebbe potuto trovare Lily dovunque e in mezzo a chiunque. Per Teddy che se ne accorge, e quest'intensità, negli occhi di colui che dovrebbe essere un cattivo o al massimo un doppiogiochista, lo mette stranamente a disagio.
Tra l'altro: piccolo dettaglio, questo PoV di Ted è scandito dalla necessità che Ted prenda decisioni, decisioni talvolta terribili e dalle conseguenze rischiose, ma necessarie, e che le prenda in fretta. E lui lo fa. Fa male, e difficile, sa che potrebbe pentirsi di ogni scelta che sta facendo, ma le fa, perchè c'è bisogno che lo faccia e perchè è una sua responsabilità, in quanto persona più adulta e matura del gruppo, anche se non di molti anni, e in quanto insegnante di tutti gli adolescenti che compongono la sgangherata missione di salvataggio. Una bella evoluzione per un personaggio che, ancora all'inizio di Ab Umbra Lumen, era caratterizzato anche e soprattutto dalla sua perenne indecisione e dalla sua incapacità di prendere scelte difficili.
E ora parliamo di quel "è lei che ha salvato me". Sì, certo, Soren l'ha inteso in modo metaforico, forse, ma io mi soffermo sulla parte- sulle due parti, in realtà- in cui Lily lo fa in senso letterale, in questo capitolo.
Primo: Lily impedisce a Soren di immolarsi.
Soren pensa che Lily non è una creatura razionale, perché non è cinica e spregiudicata come, ma in realtà il discorso che fa ha senso: Soren non merita di morire come un cattivo, perchè non è davvero un cattivo. Non merita neanche di morire come un eroe, perché non è ancora un eroe, non ancora.
C'è un fondo di egoismo nelle argomentazioni di Lily, in quel suo "non puoi morire così perché mi rovineresti la vita", ma è sacrosanto. Lily ha passato l'infanzia e l'adolescenza osservando di nascosto suo padre piangere o ad onorare la memoria di persone verso cui ha nutrito, quand'era o in vita, sentimenti a dir poco complicati, che però non ha mai davvero di esplorare perchè sarebbe stato da *ingrati*, visto che queste persone sono morte per lui. Poi Lily ha avuto un posto in prima fila durante i mesi di disperazione post-Tom, quando tutti erano furiosi con Tom un minuto prima e poi un minuto dopo si sono trovati a dover metabolizzare (o non-metabolizzare, nel caso di Al) la sua scomparsa e presunta perdita. È comprensibilissimo che Lily non voglia qualcosa di simile per sé stessa. Soren non può morire perché costringerebbe Lily a vivere con la consapevolezza che lui si è lasciato morire per salvare lei, poche ore dopo che lei gli ha detto di odiarlo. Quindi sì, le argomentazioni di Lily sono un po' egoiste- ma meno di quanto egoismo ci sia nel martirizzarsi.
Lily è figlia dell'eroe-che-si-immola per definizione e se un ragazzo prova a immolarsi davanti a lei lasciandole il ruolo della giovane pseudovedova in lacrime, la piccola e dolce Lily lo prende a calcio in culo. Go Lily go.
In un certo senso, quando Lily dice a Soren che "non si merita di morire in quel modo perché le rovinerebbe la vita", da un punto di vista meta-narrativo non sta parlando solo di sé stessa è Soren, ma anche a nome di tutti I personaggi femminili che si sono ritrovati con co-protagonisti maschili che le hanno ferite pur senza volerlo e poi hanno pensato bene di andare a farsi ammazzare per redimersi, causando alle rispettive innamorate/fidanzate/amanti/mogli/sorelle/amiche non solo il dolore per la loro perdita, ma anche l'impossibilità di essere arrabbiate con loro.
E Soren lo capisce. O forse non capisce ma accetta le parole di Lily. E così non diventa un martire, non nel senso letterale almeno. Sceglie la cosa più difficile e più nobile, per Lily e per sé stesso: sopravvivere. Soren ha cercato di salvare Lily da prigionia e morte certa poche ore fa, ma non è questo il suo vero gesto altruista: non morire per lei, non costringerla ad affrontare il lutto per la sua morte, anche sapendo che il dolore per un'eventuale perdita spazzerebbe via tutta la rabbia che Lily prova al momento nei suoi confronti, è ciò che lo rende davvero *diverso*. È come se non lasciandosi morire Soren desse tempo e spazio a Lily per rimanere la ragazzina offesa e furiosa invece che trasformarla in una vedova piangente, anche se questo va contro i suoi interessi. Perché, ripetiamo, Soren potrà dire che Lily non è una creatura razionale...ma abbiamo già appurato che anche il nostro caro Ren segua più l'onore e il cuore della logica della sopravvivenza, giusto? Anche se si aspetta che tutti intorno a lui usino cinismo e calcolo nei suoi confronti, e lo accetta come una verità di fatto perché è così che è stato cresciuto, con l'idea che sarebbe stato sacrificato...ma Lily non lo fa. Lily non lo accetta. Lily non vuole che Soren si *sacrifichi* per lei- Lily dice a Soren che rinunciando alla sua vita per lei Soren le causerebbe più dolore di quanto abbia fatto fino a questo momento.
Il momento in cui Lily salva Soren per la seconda volta, semplicemente dicendo a suo padre che Soren non ha abbastanza forze per fare quello che Harry gli sta ordinando e sopravvivere, ha troppa vergogna di se' per disobbedire all'ordine e "dovrà pagare per quello che ha fatto, ma non così".
Non biasimo Harry: è un padre, e sta ragionando da padre. Due dei suoi bambini sono in pericolo, un'altra è stata ferita dal ragazzo che ha li davanti; e se questo ragazzo può allo stesso tempo pagare per i suoi peccati E aiutarlo a trovare Al e Tom, perchè Harry il padre apprensivo e desideroso di vendetta dovrebbe preoccuparsi del suo stato di salute?
Ma Harry non è, non può essere solo un padre rancoroso, per quanto il suo rancore possa risultare comprensibile. È anche, che lo voglia o meno, un detentore della legge, e il Mago della Luce per eccellenza
Ma mi piace il messaggio che fare il giustiziere non è mai la cosa giusta da fare, neanche quando sei un padre pieno di rabbia e di paura per i tuoi figli e emotivamente le tue ragioni possono essere comprensibili.
Se Harry avesse fatto quello che voleva fare, e non si fosse fermato ad ascoltare sua figlia, se lei non avesse insistito, si sarebbe ritrovato a non poter più guardare negli occhi non solo Lily, ma anche se stesso e la sua uniforme.
Mi piace che sia stata Lily, a ricordare ad Harry la sua morale- e non solo perchè è un bel momento di legame tra Lily ed Harry, un momento in cui Lily quasi quasi diventa voce della coscienza di Harry come lo è stata poco fa per Soren...ma perchè in un certo senso crea un parallelismo tra la scena del terzo libro in cui Sirius stava per uccidere Pettigrew e Harry l'ha fermato appellandosi a un senso morale che l'adulto, nella sua rabbia disperata e vendicativa, aveva perso.
Questa scena aveva già un parallelismo in Doppelgaenger, nella scena in cui Harry convince Tom a non uccidere Doe nella caverna, ma li, pur essendoci un capovolgimento rispetto alla scena di HP 3 tra padrino e figlioccio, era sempre Harry ad essere la voce la ragione e dei valori "alti", che salvano dalla vendetta e dalle sue conseguenze.
Ora è Harry quello nel torto, accecato dalla rabbia e dalla frustrazione, ed è sua figlia Lily Luna a ricordagli la sua morale. Lily Luna che mai come in quel momento è apparsa tanto fragile e tanto forte al tempo stesso.
Le domande e i problemi del passato continuano a ripresentarsi in diverse forme e in diversi scenari, ma a volte, quando è giusta, la risposta è sempre quella.
Poi parlando di Harry:
"Se riesci a conservare il controllo quando tutti attorno a te lo perdono¹…
In fondo era quello il suo maggior pregio, che sapeva di aver passato di peso a James, il suo maggiore. Vide le espressioni pallide, spaventate di Ron, ma anche della roccia Nora, perché il fuoco era un mostro che spaventava l’umanità dall’alba dei tempi, che fosse magica e babbana. Perché neanche la magia più potente, di fronte al fuoco, poteva aver sicurezza di riuscita e non di morte del mago.
E capì che come al solito, era l’unico che riusciva a pensare ancora. Non grandi pensieri, non era Hermione e non lo sarebbe mai stato.
Ma pensieri efficaci."
quello che ho sempre pensato anche io del personaggio, e che mi pare che il fandom abbia sempre sottovalutato.
poi ancora: Harry che abbracciando Lily pensa a come sia più bravo a fare il padre-eroe che il padre a contatto coi propri sentimenti e Al che pensa la stessa cosa due minuti dopo, quando ritrova suo padre, ma lo pensa con affetto e infinita indulgenza.
Harry che accetta di portarsi dietro Albus, anche se probabilmente è l'ultima cosa che vorrebbe fare, da padre, perchè capisce che avrà bisogno di lui per portare indietro Tom, perchè Tom potrebbe essere in pericolo non solo in quanto di fronte a Von Honhemein ma anche in quanto in balia dei suoi fantasmi interiori, e in tal caso avrà bisogno di Al per tornare in se'. E Harry non lo dice ad alta voce, ma lo sa- il fatto che accetti di portarsi dietro Al senza fare poi tanta resistenza lo dimostra senza bisogno di parole.
Mi chiedo anche se in quel momento Harry abbia rivisto in Al che gli diceva che non avrebbe abbandonato Tom da solo davanti a Von Honhemein tutti coloro che, durante l'adolescenza di Harry si rifiutarono di lasciarlo da solo ad affrontare Voldemort e, pur essendo tutti troppo giovani e impreparati, si misero sulla linea del fuoco in nome dell'affetto che li legava ad Harry: Ron e Hermione in primis, ma anche Ginny, Neville, Luna, forse tutti i ragazzi dell'ES.
Azzeccato le due righe sul nomignolo che Al ha sempre detestato e che Harry ha sempre usato per il figlio di mezzo, e le riflessioni che fa Al a proposito in questo capitolo :
"Albie…” Si sentì accarezzare i capelli come un bambino. Ma andava bene, persino l’infamante nomignolo. Alzò il viso e c’era davvero suo padre, i suoi occhiali fuori moda e il viso e duro e deciso dell’eroe. Perché lo era davvero, al diavolo la facile ironia. Era il suo eroe
quando Al ritrova suo padre che lo salva dal bruciare vivo nell'incendio e
“Sei sicuro Al? Da qui non si torna indietro.
Notò la dismissione dell’infamante nomignolo. Doveva esser segno di qualcosa.
“Lo sono, papà. Andiamo a riprenderci Tom.”
quando accetta di portarlo con sé, di nuovo sulla linea del pericolo.
Nel primo caso è Albus che, in una situazione in cui suo padre l'ha appena salvato da una situazione potenzialmente mortale, per una volta non ritiene vergognoso o inopportuno essere chiamato con un soprannome che ritiene da bambino piccolo. Nel secondo caso è Harry che si rivolge al figlio con un soprannome più adatto alla sua età e più di suo gusto mentre lo porta con se' in una missione forse suicida, ma necessaria.
(Spero comunque che quando hanno raccontato la storia a Ginny si siano inventati che Al era già lì con Tom quando Harry li ha trovati entrambi o qualcosa del genere, e che la verità sia saltata fuori solo anni dopo per caso, perché altrimenti non si spiega come mai Ginny non abbia chiesto il divorzio visto che NON È LA PRIMA VOLTA HARRY CAVOLO TUA MOGLIE TI HA DETTO SEI MESI FA CHE GUAI A TE SE METTI ANCORA LA VITA DI TUO FIGLIO IN PERICOLO PER SALVARE QUELLA DI THOMAS- oh niente, non ce la fa.)
E quindi via, dentro l'incendio. Un incendio diverso ma simile a quello in cui Harry ha trovato Tom molti anni prima, poco prima della nascita di Al. Questa volta Al corre con lui per salvare Tom, come in quei film da incubo in cui un sogno o forse una giornata si ripetono all'infinito fino a che non si trova la chiave per salvarsi dal loop. Ecco, questo potrebbe essere il riassunto di tutta Ab Umbra Lumen, in fondo. Situazioni dal passato che si ripresentano quasi uguali per darti la possibilità di trovare la chiave e interrompere il loop, questa volta per sempre.
Di nuovo, l'ultimo capitolo di Ab Umbra Lumen è ciclicamente e tematicamente opposto al prologo di Dp in un modo delizioso. Soprattutto in queste ultime scene.
Il prologo di Dp inizia con Tom e le sue domande. Domande a cui suo padre adottivo non poteva rispondere, e a cui il padrino ha risposto con una storia che ha portato solo ad altre domande.
Ora chiede al padre naturale (e innaturale al tempo stesso) le stesse domande- perchè anche se da un punto di vista tecnico
Alberich Von Honhemein non gliele può dare, queste risposte, forse non gli interessa nemmeno farlo (perché dovrebbe, quando lasciare Tom in attesa d esse lo rende più disperato e manipolabile?), ma l'incontro con Von Honhemein da comunque a Tom delle risposte su se stesso, proprio perchè l'altro si rifiuta di dargliele.
Geniale il colpo di scena freudiano di Von Honhemein che vuole in realtà farsi uccidere da Tom.
L'uccisione del padre è stato uno dei primi passi nel processo che ha portato Tom Riddle a diventare Voldemort.
Interessante che Riddle abbia ucciso il padre Babbano perché voleva essere considerato o forse considerarsi Purosangue, mentre il nostro Dursley è fiero delle sue origini d'azione Babbane e si trova di fronte al dilemma se uccidere o meno il padre biologico Purosangue. (Che poi, entrambi i Tom assomigliano o assomigliavano in maniera quasi inquietante ai padri mai conosciuti. Sempre per parlare di parallelismi, anche nei dettagli, di situazioni opposte e simili al tempo stesso).
In un certo senso, scegliendo se compiere o meno il parricidio Tom sta inconsapevolmente scegliendo se diventare Voldemort o meno. E non solo in senso metaforico purtroppo, visto che Voldemort prende il controllo di lui sempre di più ogni volta che Tom si avvicina all'ammettere di voler vedere Honhemein morto, e prende definitivamente il controllo quando Tom sta per, di fatto, compiere l'atto.
Che poi è il discorso che Harry sta facendo ad Al. Mi è piaciuta particolarmente quella parte (a parte che, dannazione Harry, "uccidere qualcuno potrebbe portarti a perdere la tua anima e altre conseguenze disastrose" è una cosa che avresti dovuto dire esplicitamente al tuo figlioccio, smetti di fare il Silente tenendo nascoste a Tom verità importantissimi su se stesso solo perchè pensi che non le potrebbe sopportare) perchè evidenzia i due diversi approcci che Al e Harry naturalmente prendono pensando al "problema" dell'anima di Tom- nessuno dei due è perfetto e dal punto di vista di Tom forse, tutti e due sono incompleti, ma c'è una differenza che, prevedibilmente, riguarda il peso che la vita precedente dell'anima di Tom ha sulle visioni che padre e figlio hanno di Tom stesso.
Harry vuole bene a Tom, gliene vuole davvero, ma come a un bambino speciale da proteggere particolarmente *proprio* in virtù del suo legame con Voldemort. Non gli vuole bene solo per questo, ovviamente, gli vuole bene perchè l'ha parzialmente cresciuto per anni, ma il passato di Tom È il motivo per cui Harry, seppure sia lo zio adottivo e non il padre adottivo di Tom, quando pensa al ragazzo lo annovera accanto ai suoi tre figli e non tra gli altri nipoti e ragazzini a cui pure vuole bene, ma in modo più distratto e assente, com'è anche giusto che sia. Per quanto Harry SAPPIA, e lo ripeta anche più volte, sia a se stesso che agli altri che per Tom, che Tom NON è Voldemort, è innegabile che le particolari premure ansiose che Harry ha sempre riservato al figlioccio più giovane derivino proprio da questo legame di Tom con Voldemort, e quindi con il passato di Harry stesso. Harry non può pensare alle particolarità e ai problemi del figlioccio senza pensare al PERCHÈ di queste particolarità.
Il non-detto di Voldemort, e in particolare dell'anima spezzata, uccisa e salvata di Voldemort, rimarrà sempre sospeso tra Tom e il suo padrino (e non solo da parte di Harry- vedi anche questo scambio tra Tom e Von Honhemein: "Qui assieme ad altre persone, con il mio padrino in arrivo. Perché arriverà.”
L’uomo sorrise. Non vi era calore in quella esternazione. “Nutri molta fiducia in lui.”
“Mi ha salvato.” E non disse altro, anche se frasi intere, immagini, verità intercorsero in quel breve instante.
E mi ha combattuto e ucciso, una volta" ),
perchè è ciò che da sempre li collega, nel bene e nel male, e il motivo per cui Harry non l'ha lasciato in un orfanotrofio ma l'ha voluto affidare di persona ai suoi parenti Babbani, per tenerlo abbastanza vicino e abbastanza lontano al tempo stesso. Ed è il motivo per cui ancora adesso si preoccupa non solo della sua incolumità fisica ed emotiva, come per tutti i suoi ragazzi, ma anche per quella della sua anima, in un modo diverso e più ansioso da come farebbe per i suoi figli dotati di anime intere e *nuove*.
Per Al invece è diverso non perchè minimizzi o nega o finga di non sapere che Tom in un'altra vita è stato Voldemort, ma perche per Al le diversità di Tom, buone e cattive che siano, sono sempre state parti integranti e fondamentali di Tom stesso, e Al le ha sempre capite, accettate e talvolta apprezzate prima ancora di sapere chi fosse, questo Voldemort che compariva ogni tanto nelle storie e nei discorsi di suo padre.
Al forse non capirà mai del tutto cosa vuol dire per Tom la consapevolezza di ciò che è stato in un'altra vita, ma forse proprio per questo può affermare con così tanta sicurezza che l'anima di Tom non si perderà, perché riesce a vedere Tom senza il filtro di ciò che è stato prima che entrambi nascessero.
Mi viene da pensare, come a Ted: c'era un piano dietro, oltre al desiderio di Alberich Von Honhemein di portarsi con se' all'inferno tutto ciò che aveva creato o contribuito a creare? Forse sperava, vista la malattia, che i poteri di Tom si sarebbero trasferiti a lui se avesse tentato di ucciderlo, com'era accaduto tra Voldemort e Harry molti anni prima?
In ogni caso, non è importante. Quello che è importante è che lo recuperano prima.
La voce di Al, la sorpresa che è vivo, supera l'intorpidimento della coscienza in cui è immerso, perchè, come nei libri di Harry Potter, l'amore è l'unica cosa in grado di sconfiggere Voldemort. Anche quando Voldemort è e forse rimarrà sempre dentro di te.
Mi piace come descrivi Tom quando Voldemort prende controllo del suo Io- è lui, ma non è lui. È distaccato e inconsapevole di ciò che lo circonda, nel senso più vero del termine, come se fosse in una trance, ma il suo corpo non lo è. E il suo corpo può mandare impulsi nervosi alla mente- e far realizzare Tom di dov'è, di cosa sta facendo, di chi gli sta parlando, di cosa è *chi* perderebbe se non lasciasse andare la rabbia e non dovesse ritrovare più il controllo.
L'amore di Al, che è una cosa solo di *Tom*, di Tom Dursley, di Thomas, sconosciuta ed estranea a Voldemort, è ciò che fa di nuovo scomparire Voldemort nei meandri profondi dell'inconscio di Tom è riporta alla luce Thomas, la sua coscienza, la sua consapevolezza di ciò che lo circonda.
Mi fa ridere-ma lo trovo anche stranamente appropriato- il fatto che, tra il discorso di Al e il tenersi per mano, Harry probabilmente si sia accorto di ciò che lega Al e Tom proprio in quel momento in cui c'erano cose troppo più importanti di cui preoccuparsi e PER cui preoccuparsi.
“È così Thomas?” Lo apostrofò con gelido disprezzo. Ad Al non sfuggì l’intensificarsi della presa sul suo polso. La sciolse e gli afferrò la mano, intrecciando le dita alle sue. “Alla fine ti sei rivelato un debole. Ti sei fatto convincere dalle parole di un ragazzino."
Sempre parlando di psicoanalisi e di figure del padre, è interessante il fatto che, durante il corso di Ab Umbra Lumen, Thomas abbia imparato che la sua difficoltà a rapportarsi con le emozioni e il suo considerare inconsciamente il semplice fatto di provarle qualcosa da "deboli" sia una caratteristica che ha ereditato o forse imparato dal padre adottivo, Dudley. E ovviamente non voglio dire che le due figure siano simili, Dudley pur con i suoi difetti e le sue difficoltà nel rapportarsi a Tom è stato un buon padre o almeno ha sempre provato ad esserlo (che poi forse è ciò che conta di più), e dunque non è neanche lontanamente paragonabile a Von Honhemein. Però è interessante (di nuovo: dal punto di vista freudiano, visto che è stato Von Honhemein stesso a tirare in ballo la psicoanalisi in questo capitolo) il fatto che il tema di "manifestazioni di emotività=debolezza" ritorni più volte nell'arco narrativo di Tom sempre collegato alla figura di un padre- biologico o adottivo che sia, buono o cattivo. Poco importa, comunque, anche questo.
È la risposta di Tom che importa:
“Non sono debole.” Replicò pacato. “Sono un essere umano.”
Specie se confrontata a questo breve passaggio dell'ultimo capitolo di Dp ambientato un anno prima: "Comprensibile.” Gli sorrise appena. “Sei umano.”
Tom non rispose."
Tom non ha avuto vere risposte da Von Honhemein, ma le ha trovate nel cammino. Tom pensava di doversi confrontare con colui che l'aveva creato per poter avere risposta alla domanda se, viste le modalità della sua nascita e i precedenti della sua anima, fosse davvero umano (questa era LA domanda di Tom, insieme al "Cosa vuoi da me") ma guardando negli occhi il suo creatore e padre, biologicamente umano al 100%, eppure mostruoso e privo di tutto ciò che ha reso il termine "umano" degno di una connotazione positiva, ha capito che non importava. Ha capito quello che le persone che gli vogliono bene stavano cercando di dirgli da un anno, ovvero che indipendemente dalla biologia, dal passato, dall'alchimia, dalla sua anima...Tom è umano perchè si preoccupa dell'eventualità di non esserlo. Tom sarà pure un patchwork alchemico tecnicamente, ma è colui che l'ha creato e poi tormentato ad essere disumano, non lui.
E forse è per questo che Alberich ha una reazione così violenta e inaspettata alla dichiarazione di Tom, perchè dichiarando e accettando la propria umanità Tom smette di essere una sua creatura, reclama un'indipendenza che Alberich non avrebbe mai voluto possedesse in primo luogo. Un'indipendenza che tutte le "creature" di Alberich che lui voleva portarsi nella tomba con se' (Soren, Doe, Tom, la Thule, la stessa sorella di Alberich come scopriremo in seguito) hanno in un modo o nell'altro reclamato, salvandosi (alcuni solo momentaneamente) dalla fine miserabile a cui lui si sta avvicinando sempre di più. Non solo: lasciandolo solo ad affrontare questa fine. Un creatore senza più creature non è che un patetico vecchio arrabbiato e impotente. E come tale muore: annientato da un Expelliarmus come Voldemort, precipitando giù da una finestra come Silente. Perchè in fondo la sua figura, per quanto misteriosa e nascosta nell'ombra, è sempre stata una via di mezzo tra queste due figure: spietato e privo di scrupoli come Voldemort, come lui incapace di accettare i limiti della sua condizione di umano, ma privo del suo desiderio di conquistare il mondo, governare e in generale stare sotto le luci della ribalta; manipolatore e tessitore di intrighi come Silente, come lui pronto a circondarsi di orfani e sbandati da mandare al suicidio per una missione di massima importanza, ma privo della pietà, della compassione che nonostante tutto hanno sempre caratterizzato la figura e la psicologia del vecchio preside, spesso anche suo malgrado, e soprattutto del suo desiderio lasciare un segno positivo nella storia combattendo per la Giustizia, e, in generale, per il Bene del mondo e della società magica.
E così se la caduta di Silente dalla torre era stata si la caduta di un mito (anche e soprattutto per le scoperte che Harry farà su di lui dopo la sua morte...) ma è stata comunque nobile e in un qualche modo poetica, quella di Von Honhemein, vista attraverso gli occhi di Al (che lo chiama "il mostro", interessante il fatto che l'odio che Al proverà per Doe è persino per Luzhin, il vero Luzhin, non raggiungerà mai i picchi glaciali di quello che ha provato in questo capitolo per Alberich Von Honhemein) è veloce, assurda, quasi ridicola, perchè cade precipitando dalla stessa finestra che aveva detto a Tom di aprire, per via di un attacco di rabbia che non era riuscito a controllare. Un attacco di rabbia troppo forte per il suo corpo malato, vecchio e indebolito. Non c'è nulla di eroico o di glorioso nella sua morte, e l'unico accenno epico è dato dalle fiamme che ne divorano il corpo che è precipitato in mezzo a loro (citazioni religiose o dantesche ne abbiamo?).
Mi è piaciuto Harry che cerca di recuperare il corpo, perchè è pur sempre Harry e salva la gente, e se può la arresta invece di ucciderla, e poi in una frazione di secondo si rende conto che non è possibile, che rischierebbe solo di farsi trascinare nel burrone, e quindi lo lascia cadere verso il suo infame destino, la sua fine.
L'emozione che segue non è esultanza vittoriosa, ma un silenzio denso, concentrato e a tratti sospeso. Il silenzio dopo la tempesta, quando ci sono troppe cose da dire e da pensare e allo stesso tempo nessuna è quella giusta.
E poi le ultime righe...Tom e la sua espressione indecifrabile, Al che lo tiene d'occhio, Tom che scoppia a piangere per tutta la tempesta di emozioni che ha cercato (male) di reprimere per due storie intere, Harry che lo abbraccia stretto e Al che pensa che in fondo è tutto ciò può e deve fare un vero padre per essere definito tale.
E così finisce Ab Umbra Lumen: con Tom che singhiozza tra le braccia di Harry in mezzo a un incendio, un'immagine che abbiamo già vista all'inizio di Doppelgaenger, ma che ora ha tutto un altro significato: il pianto, l'incendio e l'abbraccio non hanno più il sapore di una domanda, ma di una risposta.
Ps- oddio, l'ho fatto. Ho recensito l'ultimo capitolo di Ab Umbra Lumen. C'erano così tante cose da dire che pensavo non ci sarei mai riuscita...e anche così mi rendo conto di aver tralasciato tanto: Al deliziosamente stronzo e serpeverde con Milo soprattutto, Milo mentalmente stronzo e arrapato verso Al, Al che ricatta il servitore magonò con la sua nomea di figlio d'arte (lui! Mr non voglio esser conosciuto solo come il figlio di Harry Potter! Da bravo Serpeverde alla prima occasione tira fuori la vecchia tecnica "mio padre lo verrà a sapere" lol) e dopo si chieda perché suddetto servotore magonò non sia gentile con lui, Lily e Al che rimangono entrambi impalati davanti alle fiamme, Malfoy in equilibrio tra due fazioni come solo un Malfoy sa fare, ma in modo più dignitoso di suo nonno e più elegante di suo padre, Lily e la freddezza con cui dice che Soren non è un amico ma il modo ansioso con cui lo dofende un minuto dopo quando Dominique propone di lasciarlo in pasto alle fiamme...se potessi comunque, di questo finale quoterei ogni riga. Questo non è UN finale, questo è un GRAN finale. Ma ho già scritto abbastanza, e non vorrei fare una recensione più lunga del capitolo, soprattutto visto quanto è lungo il capitolo. Credo di aver detto tante volte quanto ho amato e ami ancora la tua storia e i suoi (tuoi) personaggi, ma è in capitoli come questo che mi ricordo il perchè, il cosa la rende diverse da tutte le altre su questi sito e da molte storie fantasy sugli scaffali delle libreroe: neanche dei momenti di azione pura perdi mai di vista l'introspezione e la caratterizzazione dei personaggi, anzi, l'azione è prima di tutto nelle tue storia un momento in cui i personaggi affrontano se stessi e i propri demoni, esteriori e interiori, ed è questo che rende le tue storie delle GRAN storie. È proprio in questi momenti di azione, caos e adrenalina che i tuoi personaggi appaiono particolarmente profondi, diversi, sfaccettati, contraddittori, coerenti, complessi e, in una parola, vividi. REALI. Comunque, il link alla canzone di questo capitolo non funziona, ma per me la canzone di questo capitolo è sempre stata e forse sarà sempre Heirloom degli Speeping At Last. Il suono forse si adatta più alle canzoni di Oan che a quelle di Aul, ma il testo...si adatta a Soren, ad Al, a Scorpius (!!), persino a Ted e SOPRATTUTTO a Tom. Soprattutto in questo capitolo. Forse la conosci già, anzi molto probabilmente, ma se non la conosci buttaci un occhio (meglio: un orecchio) perchè secondo me è ADATTISSIMA. |