[Contest "Le Lampade di Valar", di Silvar tales]
2° classificata Ma i figli dei suoi figli hanno il trono di Entreri, con 26,5 punti
● Vincitrice del Premio Medieval
● Vincitrice del Premio Giuria
● Vincitrice del Premio Miglior Personaggio Originale Maschile
● Vincitrice del Premio Miglior Stile
Era davvero da tanto tempo che non mi capitava di appassionarmi così tanto a una lettura, a una storia che non fosse una fanfiction (perché si sa che le emozioni che si possono provare leggendo una fanfiction sono sempre in gran parte dovute alla trama cui essa si appoggia). Non ti so nemmeno esprimere quanto mi abbia coinvolto la leggenda di Arbitrio, proprio come Elerad rimane stregato dalle parole della vecchia Mereth. A questo proposito, devo lodarti per un altro piccolo colpo di genio, un classico mai passato di moda: la bellezza del racconto nel racconto, che offre la possibilità di costruire nella cornice un personaggio di appoggio che funge da vero e proprio doppio del lettore.
Ma le cose positive da dire sono innumerevoli, contro un'unica negativa. Non vorrei mai averti involontariamente portato fuori strada, quando nel bando ho detto anche un po' scherzosamente che mi sarebbe piaciuto vedere un incrocio tra Skyrim, LOTR e Game of Thrones. Non intendevo certo un ricalco così fedele, e preciso di stare parlando esclusivamente della cornice, ovvero di tutta quella parte di storia esterna al racconto della vecchia Mereth. E anche adesso quando scrivo Elerad mi viene quasi automatico scrivere Bran, e vecchia Nan al posto di vecchia Mereth. E anche mentre leggevo non potevo fare a meno di immaginarmi Elerad e la vecchia Mereth con i volti dei personaggi di GoT (e questa non è una buona cosa, perché un'originale che si rispetti deve sbandierare con orgoglio i propri personaggi, così come spicca in tutta la sua dignità e autonomia il colosso di Hartaigen, di cui parlerò successivamente), perché i richiami che hai inserito nel testo sono inconfutabili.
Qualche esempio? Ce ne sono parecchi:
Lo sferruzzare della vecchia Mereth, il fatto che lei sia rimasta la sola a vegliare sul bambino, le storie meravigliose che racconta, l'età stessa di Elerad e il suo desiderio di vedere la madre, il fatto che sia costretto a letto, e poi ancora il modo in cui la vecchia Mereth lo chiama (mio piccolo lord), il suo inquietante discorso sul freddo, il particolare della madre che suole accarezzare i capelli di Elerad, la particolarità del motto delle casate («Qual è il motto dei conti del Sirenmat?» «"Il mio valore e il mio volere."»).
Ora non sono qui per fare un processo, ci mancherebbe, la tua storia ha il premio giuria assicurato e non vedo l'ora di ricoprirti di complimenti (anzi, non saprei neppure da dove iniziare), ma sul serio, il perché di tutto questo? Con quel mostro di personaggio che hai creato, Hartaigen, ti sei dimostrata perfettamente in grado di elaborare personaggi dotati di una caratterizzazione superba (mostro nel senso di meraviglioso), perché ti sei dovuta ad appoggiare, per la cornice, a due personaggi di GoT?
Per questo ti sei giocata quasi due punti nella voce dell'originalità.
Ma ora la finisco con questa tragedia, anzi scusami se mi sono dilungata molto su questo fatto, ma mi sono mangiata le mani nel vederti penalizzata per questa sciocchezza.
Come dicevo prima, non so da dove cominciare con i complimenti.
Se leggendo la cornice pare di essere stati catapultati dentro il mondo di GoT, leggendo invece il racconto della vecchia Mereth pare di trovarsi dentro il mondo del Signore degli anelli, in un mondo più luminoso, dai contorni distintamente epici e leggendari, incentrato su una sola, eccezionale, drammatica personalità - da questo punto di vista mi ha ricordato molto I Figli di Hùrin. Ma non voglio nemmeno paragonare troppo la tua storia con altre, perché hai creato qualcosa di assolutamente unico e di prezioso.
E anche tuo il modo di narrare contribuisce a creare la bellezza di quel che racconti e ad appassionare il lettore. Poche altre volte mi è capitato di incontrare uno stile così disinvolto, così sciolto e fluido, affatto pesante, eppure impreziosito allo stesso tempo di molti particolari descrittivi. Per cui non vuoto, non limitato alle azioni, ma ancorato a un contesto solido. Mi riesce davvero difficile trovare qualche pecca nel tuo stile, per la maggior parte usi sopraffine pennellate di colore, ordinate e tuttavia mai monotone, circolari e precise. Le frasi sono perfettamente equilibrate, concludono e concordano con i precedenti e seguenti tranci di brano, non si incontrano mai pezzi scollegati dal resto della narrazione, e la narrazione risulta così continua, mai spezzata, sorretta da uno stile che riesce perfettamente a cavalcare le onde di un mare in tempesta, tenendo sempre alta l'attenzione del lettore, e portandolo in fretta e furia alla fine. Lo dico sempre, anche se può forse sembrare una contraddizione: per quanto mi riguarda, il fatto di aver concluso in poco tempo la lettura di una storia (come nel tuo caso) è sempre un buon segno. Significa stile pulito, narrazione scorrevole, e inoltre trama avvincente.
E mi perdonerai se insisto, ma poche altre volte mi sono imbattuta in un racconto breve così coinvolgente come il tuo.
Tornando alla questione stile, se proprio devo farti un appunto, te lo faccio per questo pezzo:
Darennon di Darme, conte del Latenlan, era ormai imperatore da due decadi quando portò dinnanzi al Consiglio dei dieci... ...il consiglio fu sciolto e i conti elettori lasciarono la capitale.
Ora, non nella minima parte che ti ho riportato, ma se rileggi questo passaggio ti accorgi che hai usato un linguaggio un po' troppo tecnico, troppi termini specifici e "difficili" (uniformarsi - primogenitura - vigente - ammodernamento), difficili intendo soprattutto per un bambino di sette anni (Elerad), ma anche per un'immediata comprensione da parte del lettore sarebbe stato meglio usare un linguaggio un pelino più diretto. Ovviamente si capisce ciò che vuoi dire, ma usi un linguaggio troppo artificioso, che stona con il resto dello stile, molto più limpido e semplice pur nella sua raffinatezza. E ora che ho trovato il mio ago nel pagliaio (come vedi nello stile hai ottenuto il punteggio massimo, e nemmeno mi sono soffermata un attimo di più a pensarci), possiamo continuare.
Tutti i personaggi sono trattati con estremo realismo, soprattutto mi ha colpito in molti punti la caratterizzazione di Elerad, da questo punto di vista, e alcuni dei suoi pensieri. È interessante vedere come Elerad interpreta a modo suo il racconto, facendo riferimento a sé stesso e a suo fratello Afelai, ennesima testimonianza del realismo, della coerenza e dell'approfondimento psicologico che caratterizzano i tuoi personaggi. In questo caso i pensieri del ragazzino verso suo fratello, stimolati dalle parole della vecchia Mereth e dalla storia di Hartaigen, acquistano voce nello svolgimento finale, il quale mi ha letteralmente sconvolta.
La conclusione. Questa meraviglia di conclusione.
Non è in realtà chiarissima, ma non te ne faccio una colpa, anzi è un pregio in questo caso, perché corona perfettamente una storia superba come questa, con tutti i pezzi al loro posto. Ma resta il fatto che mi abbia lasciato qualche interrogativo. La vecchia Mereth è una donna sola? E in tal caso, con il suo racconto e con le sue parole ha spronato Elerad ad uccidere Afelai? Ma soprattutto, Elerad ha veramente intenzione di uccidere Afelai? Perché dalle ultime frasi sembrerebbe proprio di sì, e se così è, allora è come se Elerad fosse stato stregato dalle parole della vecchia, non riterrei altrimenti capace un bambino di sette anni di formulare coscientemente simili pensieri, e di metterli in atto. Ma non posso nemmeno dirmi sicura che Elerad voglia uccidere il fratello, o meglio, che cosa significa con esattezza per l'ultima volta? In me si è anche fatto strada il dubbio che Elerad stesse morendo, ma non mi sembra coerente con i suoi precedenti pensieri. Oppure, un'altra spiegazione che mi sono data, sebbene mi sembri improbabile (l'avresti fatto intendere con altre parole), è che Elerad voglia uccidere il fratello abbracciandolo, cioè trasmettendogli il morbo scuro, che uccide se preso dopo i dieci anni. A parte questi dubbi, ritengo che non potevi ideare un finale migliore per una storia così bella e profonda, il finale del racconto mitico che si rispecchia nella cornice, ed è quindi come se il racconto mitico prendesse vita nel presente, e le parole della vecchia Mereth acquistassero ineluttabilmente veridicità.
Interessante anche le diverse interpretazioni che hai dato del motto dei conti del Sirenmat: quella smaliziata di un bambino e l'altra, fredda e veritiera della vecchia Mereth. Bello anche il modo in cui hai collegato il motto al modo di pensare di Hartaigen, hai usato quelle parole per farci comprendere in che modo Hartaigen giustificava le sue azioni, in che modo conquistò consenso, ed è anche interessante notare che sono sempre quelle stesse parole a partorire il nome della spada, Arbitrio, e di conseguenza anche il secondo nome di Hartaigen. E a proposito, trovo affascinante che il guerriero acquisisca il nome della sua spada, come se fossero un tutt'uno, cosa che in effetti è - quando a un guerriero cade la propria spada, non è forse finita?
E questa identità diventa ancor più affascinante in pezzi simili: Arbitrio gli tagliò la testa. → l'imbarazzo che si crea in questo caso tra la spada e l'uomo è ancor più pregnante, quasi un paradosso inestricabile. E l'effetto che viene a crearsi è qualche cosa di speciale.
Hartaigen. Vorrei dire che me ne sono innamorata, ma suonerebbe assai poco professionale.
Solo lo svolgimento della sua personalità richiederebbe una pagina intera di commento. Basti ricordare la scena in cui uccide il fratello, l'umiliazione cui lo costringe, che rispecchia crudelmente ciò che accadde tempo prima, come se Hartaigen avesse lasciato intendere un avvertimento, un indizio di ciò che sarebbe diventato - o meglio, di ciò che era soltanto assopito dentro di lui. Eppure, pur nella sua crudeltà, questo personaggio riesce lo stesso a porre le sue giustificazioni sotto gli occhi del lettore, sotto gli occhi di Elerad. Riusciamo ad essere affascinati dalla sua tenacia, dal suo egoismo, come se stesse combattendo una lotta primordiale per prevaricare sul mondo (tutti quelli che non sono noi, sono nemici, direbbe una ben nota Lannister). La freddezza e la determinazione implacabile di Hartaigen lasciano senza fiato, perché la sua non è pazzia, è pura razionalità, è puro e semplice volere, per restare fedeli alle parole del motto - quel motto che, in fin dei conti, legittima lui e le sue azioni. E ciò che è paradossale è che le sue azioni comportano in lui dolore, come un sacrificio che occorre sostenere per andare sempre più avanti, un sacrificio votato al suo intramontabile ego. E ciò mette una pulce nell'orecchio al lettore, una verità crudele ma salda: che chi sopravvive, chi vince, è chi ama se stesso sopra ogni altra cosa.
Straziante anche quando descrivi la moglie di Seragen che si getta nella pira del marito, straziante soprattutto per i pensieri di Arbitrio a riguardo, più che per l'atto stesso della donna. Hartaigen che freddamente pensa che la donna è incinta del fratello, e che quindi - mi verrebbe da dire, quasi per ragioni pratiche - non può prenderla in moglie, non può affidare a lei il seme della sua stirpe. È questo aspetto di Hartaigen che lascia spiazzati, perché ogni pensiero in lui è sottomesso a un senso pragmatico (anche se so che questo termine è fuori luogo), e non una sola sua decisione tiene conto dei sentimenti non dico altrui, ma dei suoi stessi sentimenti.
Ho trovato significativa sia la fine di Arbitrio (sei stata originale, ci si sarebbe aspettati una sorta di punizione per le sue azioni passate, una morte causata dal ritorcersi di ciò che aveva fatto) sia quella frase con cui chiudi la sua storia: tutti gli uomini del Sirenmat narrarono le sue gesta e nessuno lo pianse.
Sembra quasi una contraddizione, tuttavia è tutto ciò che Arbitrio sapeva di conquistare, il potere, e tutto ciò che sapeva di perdere: l'amore.
Un altro dei pezzi geniali di questa storia è quando la vecchia Mereth fa capire ad Elerad (e quindi a ruota anche al lettore) che infine è un erede di Hartaigen a sedere sul trono, anche ora, al tempo in cui vive Elerad. È come se il rimbombo di un remoto tamburo arrivasse alle orecchie del bambino, tantissimi anni dopo, come se Hartaigen potesse ancora essere una minaccia (che come vedi, ho difficoltà anche a definirla minaccia. Perché non è il classico "cattivo" che agisce per sua natura, il suo è un volere razionale e calcolato, sempre e comunque. Ed è questo che fa più paura, ed è questo a renderlo così temibile). Affascinante e risolutiva questa rivelazione finale, che oltretutto rende il titolo (già bellissimo) perfettamente calzante e riassuntivo dell'intero racconto.
Forse da Dio non avrà mai perdono, ma i figli dei suoi figli hanno il trono.
Una sentenza lapidaria che, oltre ad essere perfetta come parte di una filastrocca per l'assonanza e per l'identità sillabica, fa capire senza alcun fraintendimento la crudeltà del mondo forgiato dagli uomini, un mondo in cui non esiste legge al di fuori della forza e della volontà di una personalità forte.
C'è solo una cosa che un po' manca nella tua storia, che ti ha sottratto un punto nell'ambientazione: un pizzico di descrizione paesaggistica in più.
Un'altra questione: i nomi. E qui aprirei una grossa parentesi.
I nomi sono veramente bellissimi, evocativi (so che uso sempre questo termine, ma mi sembra davvero il più appropriato per dire che richiamano immagini, non sono insapori, ma fatti di luci ed ombre), elaborati con freddezza e consapevolezza, e assolutamente dignitosi. Potrei definirli, se non esagero, coraggiosi, cioè che non temono di assomigliare ad altri nomi di altre ben note saghe fantasy, ma sono in tutto e per tutto unici.
E a proposito della parentesi di prima, il fatto è che tu sei stata l'unica partecipante che ha saputo scrivere una vera e propria medieval fantasy, in tutti i suoi aspetti, senza alcuna sbavatura. Questo è esattamente quello che volevo leggere, di leggende, di guerrieri, di battaglie, di lotte per un seggio, di tradimenti.
Una cosa che mi piace del tuo narrare è il fatto che fai spesso riferimento a vicende remote, a nomi che la vecchia Mereth pronuncia come scontati, perché magari fanno parte di leggende, di un corredo di conoscenze che Elerad possiede quasi senza accorgersene, ma che noi lettori non possediamo. E questo conferisce un senso di austerità, di autorità, di autonomia e di veridicità alla storia che racconti, uno spessore non raccontato del mondo in cui sono ambientate queste vicende. E quel mondo ci appare così tridimensionale, ricco di storia, di personaggi, di leggende perdute, e per questo vero e credibile (analoga tecnica viene usata da Tolkien). E il lettore in questo senso si muove come uno straniero in quella terra che non conosce, nella quale non trova riferimenti, della quale le cose non gli vengono spiegate. E questo conferisce, secondo me, un sublime fascino alla storia, un fascino che fa desiderare al lettore di appartenere a quel mondo. Quando questo accade, sempre per come la vedo io, l'obiettivo di un racconto fantasy che si rispetti è stato raggiunto.
Errori:
● il sogghigno tagliente sul il [su il oppure sul] volto
● volle aspettare la conclusione della guerra contro i barbari per comunicarla, [ ; ] la morte, tuttavia
● Dreilt [intendevi dire Hartaigen?] abbandonò Usen nella notte cavalcando verso sud
● mantenere un contengo [contegno] di distaccata superiorità.
● era talmente vivida dinnanzi a [ai] suoi occhi
● «Hartaigen lo amava [ . ]»
Un'ultima nota grammaticale, che ho fatto notare anche a un'altra partecipante → se/sé stesso → io accetto entrambe le forme, a patto però che venga usata la stessa all'interno di uno stesso scritto, cosa che tu non hai fatto:
«Sì, e lo amava, ma amava di più se stesso.»
«Solo amava di più sé stesso.»
In ultimo mi stavo chiedendo, forse ci sta un rating arancione. Ci sono dei pezzi davvero distruttivi emotivamente, e tematiche non leggerissime. È un giallo tirato. Poi è vero che ognuno la vede diversamente per la questione del rating, io ho espresso il mio consiglio.
Grammatica 4,5/5
Stile 5/5
Originalità 3/5
Caratterizzazione 5/5
Attinenza 5/5
Ambientazione 4/5
Totale 26,5/30
Grazie ancora per aver partecipato!
Silvar
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