Lonely
Chapter One
Il signor Gold era seduto sui gradini d’ingresso del suo
negozio quando Emma arrivò. Fu la vetrina distrutta a spiegarle
perché avesse insistito a farla venire qui nel cuore della notte.
La fredda aria notturna
mordeva la pelle e lei si tirò la sciarpa sul naso, in un vano tentativo
di tenerlo al caldo.
« Bene,
con chi se l’è presa stavolta? » chiese, quasi
scherzosamente, ma boccheggiò quando lui alzò lo sguardo su di
lei.
Uno squarcio
insanguinato gli attraversava la fronte e la tempia sinistra. La fissava con
occhi vitrei; poteva sentire il rumore dei suoi denti che battevano.
«
Cos’è successo? » domandò, lasciandosi cadere in
ginocchio di fronte a lui.
Sembrò
cercare di risponderle, ma era come se non riuscisse ad allentare la stretta
della mascella. Fu allora che si accorse che non aveva il cappotto.
« Non
importa. Andiamo. Entri in macchina e si scaldi » disse, aiutandolo ad
alzarsi.
Il suo bastone
non si vedeva da nessuna parte, e dovette appoggiarsi pesantemente a lei lungo
quel breve tragitto.
Per fortuna la
macchina non ci mise molto a riscaldarsi, e Gold
bevve con gratitudine dal thermos di cioccolata ancora calda che Mary Margaret
aveva cacciato in mano a Emma prima che uscisse.
« Allora,
può dirmi cos’è successo? »
Rimase in
silenzio per un lungo istante, limitandosi a fissare fuori dal finestrino,
verso il negozio.
« P-può semplicemente portarmi a casa? »
Tremava in tutto
il corpo, così impercettibilmente che Emma non se ne accorse prima di
sentirlo parlare.
« Cosa?
Signor Gold, chi le ha fatto questo? Non ha
intenzione di sporgere denuncia? »
Era snervante
vederlo così vulnerabile.
« No,
voglio tornare a casa. »
Le parole
stavolta furono più ferme, ma le mani tremavano ancora.
« Non
andremo da nessuna parte finché non mi dirà... »
« Moe French è stato dimesso
dall’ospedale. »
Emma
sospirò e si accigliò.
«
Avrebbero dovuto informarmene prima... Mi dispiace. »
Lui non rispose.
« Quindi,
questa è stata la sua vendetta? »
Di nuovo non rispose,
ma si voltò a guardarla, e lei fu di nuovo colpita da quanto
sembrasse... indifeso.
« La
prego, mi porti a casa » ripeté.
Emma
spostò lo sguardo verso la vetrina rotta del negozio e poi di nuovo su
di lui.
« Non
dovrei prima occuparmi delle prove? Voglio dire, mi ha fatta venire qui
perché potesse sporgere denuncia, no? »
Scosse la testa.
« No.
Voglio solo tornare a casa. »
Emma
batté le palpebre e reclinò il capo, confusa.
« Mi ha
chiamata nel bel mezzo della notte solo per farsi dare un passaggio? »
Lui
annuì, sfregando le mani insieme.
«
Perché io? »
Continuò
a fissarsi le mani mentre chiedeva: « Chi altri sarebbe venuto? »
Senza parole,
Emma mise in moto e si avviò verso la sua abitazione. Lui rimase
silenzioso, nel sedile accanto, ma le sue parole le risuonavano ancora nella
mente.
P-può semplicemente portarmi a casa?
Voglio tornare a casa.
Chi altri sarebbe venuto?
Le lacrime le
pungevano gli occhi mentre guidava. Perché era così turbata? Non
era certo colpa sua se quell’uomo era un tale emarginato che nessuno
sarebbe mai voluto venirgli in soccorso. E lei non aveva niente a che fare con
le decisioni sbagliate e talvolta assolutamente crudeli che lui aveva preso.
Eppure...
Emma
pensò ad Ashley e all’accordo che aveva stretto con lui riguardo
la sua bambina non ancora nata. Aveva pensato che il signor Gold
fosse una persona orribile per non aver lasciato che quella povera ragazza
cambiasse idea. Ma poi, lui aveva ceduto così facilmente, quando Emma
gli aveva promesso un favore, che si era chiesta se non fosse questo che avesse aspettato per tutto il
tempo.
Pensò a
come l’avesse manipolata per costringerla ad affrontarlo di fronte a
tutta la città. L’aveva fatta vincere alle elezioni, anche se non
nel modo che voleva lei. Emma si era tanto concentrata nel suo voler dimostrare
a Henry che non serve giocare sporco per vincere, che aveva perso di vista il
vero motivo per cui vincere era importante. Ma il signor Gold
no. Lui si era sporcato le mani al posto suo.
Chiaramente, per
quanto lo riguardava, quell’uomo aveva dei piani tutti suoi, ma con lei
non era mai stato crudele. Di fatto, dopo la morte di Graham, le aveva
consegnato volentieri alcuni degli effetti personali del precedente sceriffo.
Aveva mai fatto qualcosa di simile per qualcun altro?
E ora, stanotte,
le aveva chiesto aiuto perché lei era l’unica che l’avrebbe
fatto. Aveva... Aveva pensato che era sua amica?
Emma lo
sbirciò con la coda dell’occhio e si allarmò al vedere che
il taglio aveva ricominciato a sanguinare.
« Gold, probabilmente dovrei portarla in ospedale »
disse, e stava già per cambiare direzione quando lui le posò una
mano sul braccio.
« No.
»
Sembrava
quasi... spaventato.
«
Perché no? »
« Ho tutto
l’occorrente per occuparmene, a casa. »
Emma
lanciò un’occhiata alla sua mano sul proprio braccio, e lui la ritrasse.
« Non mi
piacciono gli ospedali. C’è qualcosa... E ultimamente le suore
fanno molto volontariato lì » aggiunse, voltandosi di nuovo a
guardare fuori dal finestrino.
Aveva
pronunciato la parola ‘suore’ come se fossero le peggiori persone
immaginabili.
« Ha un
problema con le suore? » gli chiese, cercando di reprimere un sorrisetto.
« Solo con
quelle di Storybrooke » si stizzì.
Fermò
l’auto di fronte all’edificio e spense il motore.
«
C’è un altro bastone accanto alla scrivania nel mio studio »
le disse Gold, porgendole una chiave.
Sollevata dal
non doverlo trascinare fin dentro casa, scese e corse dentro a prendere il
bastone.
Era una dimora
grande e fredda. Non era la prima volta che vi entrava, però non
l’aveva mai vista di notte. I tacchi dei suoi stivali ticchettavano sui
pavimenti di legno duro ed echeggiavano in tutta la casa, facendola
assomigliare a una caverna vuota.
A Emma era
sempre piaciuto vivere sola, ma a tornare ogni sera in questa casa ci si doveva sentire molto soli. Non era mai stata
tanto grata a Mary Margaret come in quel momento. Per quanto piccola, la sua casa era sempre calda e allegra.
Anche quando l’amica non c’era.
Il piccolo morso
che si sentiva nel petto al pensare al signor Gold
divenne un dolore vero.
Emma
afferrò velocemente il bastone e tornò di corsa da lui.
Era fuori dalla
macchina, appoggiato allo sportello chiuso.
Gli passò
il bastone, quindi gli circondò le spalle con il braccio sinistro. Ci
vollero diversi minuti, ma alla fine riuscirono a entrare. Ebbero una breve
discussione su dove lei dovesse lasciarlo. Lui voleva che lo accompagnasse fino
a una poltrona e poi se ne andasse. Ma Emma insisteva che sarebbe stato meglio
andare fino in fondo e portarlo direttamente in camera. Non voleva permettergli
di arrampicarsi su per le scale da solo, e quella notte aveva certamente
bisogno di dormire in un letto vero.
Riluttante, lui
acconsentì, e lentamente si diressero al piano di sopra.
Sembrava esausto
quando infine crollò sul letto.
Emma
rabbrividì e si guardò intorno in quella stanza fredda e scura.
L’enorme baldacchino era piuttosto stravagante, ma da lui non si sarebbe
aspettata niente di meno. La camera era piena di quelli che erano probabilmente
mobili molto costosi. Una credenza in mogano occupava tutta una parete,
esibendo sugli scaffali vari ninnoli di cristallo, porcellana, vetro. Tappeti
persiani sul pavimento, qualche libreria contro un’altra parete, e una
grande poltrona in pelle accanto a un gigantesco caminetto.
Fu felice di
vedere una cesta piena di ceppi nel focolare, decidendo che la prima necessità
era quella di scaldare l’ambiente.
« Va bene
se accendo un fuoco? » chiese, voltandosi a guardarlo.
Lui la
fissò per un lunghissimo istante prima di annuire piano.
« Ecco,
così va meglio » disse lei ad alta voce pochi minuti dopo.
Il calore e la
luce dorata del fuoco resero la stanza molto più accogliente. Emma si
sfilò il cappotto, lo drappeggiò sul braccio della poltrona,
entrò spedita in una stanza da bagno attigua e cominciò a
rovistare negli armadietti.
« Che cosa
sta facendo? Torni a casa » borbottò Gold,
con voce poco più forte di un sussurro rauco.
Emma lo
ignorò e uscì pochi minuti dopo con tutto l’occorrente per
la sua ferita.
Lui
grugnì, tirandosi in posizione seduta e tendendo la mano per strapparle
il panno umido, ma lei lo respinse.
« Stia
fermo, e lasci che l’aiuti. »
La guardò
male, ma era chiaramente troppo stanco per metterci della vera
malignità.
Gli pulì
scrupolosamente la ferita, moderando i movimenti ogni volta che lui sibilava o
sobbalzava dal dolore.
Ben presto il
taglio fu disinfettato e bendato. Emma si ritrasse per studiarlo.
« I suoi
occhi sono così scuri... È difficile a dirsi, ma potrebbero
essere dilatati. »
Reclinò
il capo nella sua direzione.
« Non ho
una commozione cerebrale. »
« Non
può saperlo. Le fa male da qualche altra parte? »
Scosse la testa
con una smorfia.
Lei
sospirò, ben sapendo che probabilmente mentiva, ma incerta su come
comportarsi.
« Ho visto
solo aspirine nel suo armadietto. Non ha del Tylenol?
» chiese, consapevole che l’aspirina era l’ultima cosa da
somministrare a una persona con una possibile commozione.
« No.
»
Cominciò
a sfilarsi la giacca e fece un’altra smorfia. Emma si mosse
immediatamente per aiutarlo, ma Gold la fermò.
« Voglio
farlo da solo » insisté, voltandosi.
« Non
faccia lo stupido, lasci che l’aiu... »
La interruppe
con un’occhiataccia.
« Non mi
tocchi. »
Lei batté
le palpebre, allontanandosi come se si rendesse conto solo ora che per lui
doveva essere molto spiacevole vederla lì. Si domandò se fosse
perché non si fidava di lei o se semplicemente non fosse abituato a fare
affidamento su qualcun altro.
Annuì e
guardò il pavimento.
« Penso di
avere del Tylenol nella mia borsa. È in
macchina, vado a prenderlo. »
Emma
tornò nella sua camera da letto qualche minuto dopo, con il Tylenol e un bicchiere d’acqua.
L’abito,
le scarpe e le calze di Gold erano a terra. Lui era a
letto, le coperte tirate fin sotto il mento.
Gli portò
l’acqua e il medicinale.
«
Può lasciarlo e andarsene » disse senza guardarla.
Emma
sospirò.
« No,
signor Gold. Non posso andarmene finché non
sarò sicura che non ha una commozione » insisté.
« Io
non... »
Questa volta fu
l’occhiataccia di Emma a interrompere lui.
Sospirò e
poi si alzò a sedere a fatica.
Emma tese una
mano per aiutarlo, ma lui s’irrigidì e scosse la testa.
Quando
finalmente fu seduto gli passò l’acqua e le pillole. La
lasciò fare, ma non ne sembrava felice.
« Non sono
qui per farle del male, sa » commentò, guardandolo inghiottire.
« Lo so
» sbottò, ma lei capì che mentiva.
Inarcò un
sopracciglio.
« Non mi
farebbe mai del male, non intenzionalmente. Lei è troppo buona per
farmene, cara, lo so. »
Emma
ponderò le sue parole.
« Crede
che inconsapevolmente le farò
del male? » chiese, confusa.
Gold sorrise; era la
prima volta che sorrideva in tutta la notte.
«
Sì. »
Incrociò
le braccia e gli lanciò uno sguardo scettico.
« E come,
esattamente? »
Lui si produsse
in uno sbadiglio esagerato.
« Ho
bisogno di riposo. Dovrebbe andare. » Distolse lo sguardo, come a farle
capire che la conversazione era finita.
Emma
sospirò e afferrò una coperta dai piedi del letto.
« Dorma
pure. La sveglierò tra due ore e, se sarà ancora sicuro di stare
bene, allora me ne andrò » lo informò, lasciandosi cadere
sulla poltrona di fronte al fuoco.
Tirò
fuori il cellulare dalla tasca e impostò una sveglia, quindi si
raggomitolò sotto la coperta e chiuse gli occhi.
Note di
traduzione
Quando ho
letto che RicksIlsa aveva all’attivo “un
paio di Gold/Emma”, la mia è stata una
vera e propria trollface xD
Sono molto orgogliosa di aver avuto il permesso di tradurre le sue storie, perché
in tutta sincerità credo che quest’autrice sia tra quelle che
hanno meglio compreso la natura di Rumpelstiltskin/Mr. Gold e che, soprattutto, sono
riuscite a renderla davvero propria nel corso della scrittura.
Questa sarà
probabilmente una what if, perché
riprende il rapporto tra Gold ed Emma subito dopo ‘Skin Deep’ senza tenere
conto degli episodi successivi; il rating potrebbe salire.
Ogni vostro
commento raggiungerà l’autrice oltreoceano.
Aya Lawliet ~