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Autore: Callie_Stephanides    28/03/2012    7 recensioni
Leya di Trier ha sette anni, la notte in cui il Destino le regala un fratello: ha le pupille verticali e la coda di un rettile; nelle sue vene scorre il sangue degli uomini-drago. Due decadi più tardi, quando l’armata dei liocorni neri è ormai a un passo dallo stringere d’assedio la Capitale, l’inevitabile scontro tra gli ultimi discendenti di una stirpe perduta è solo l’inizio di un profetico riscatto.
(...) Per questo ora scrivo, in uno studio pieno d’ombra e all’ombra della mia memoria.
Scrivo perché nessuno possa celebrarmi per quello che mai sono stata: coraggiosa e nobile e bella.
Scrivo perché nessuno dimentichi di noi l’essenziale: che l’ho odiato di un amore dolcissimo e amato di un odio divorante.
Come un drago (...)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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8.
La scommessa di una vita

Arrivammo alla piana di Mizar che la neve cadeva tanto densa da cancellare l’orizzonte.
Cresciuta nelle regioni più ospitali di Elithia, avevo assistito di rado a quel fenomeno e non possedevo memoria del freddo. Stretta a Vinus, tremavo negli stracci che dovevo chiamare ‘abiti’, perché del lusso di Trier non restava nemmeno il ricordo.
Era una marcia forzata che sfidava il buonsenso e coste rocciose sempre più impervie.
Era il nostro diario dell’addio.

*

“Fermiamoci qui.”
Ci accampammo in un boschetto tanto scheletrito che mi chiesi se Vinus non fosse impazzito.
“È una radura spoglia. Sarà fin troppo facile…”
Il principe di Lephtys m’indicò un filo di fumo, che sfregiava la coltre grigiastra di un cielo incolore. “Siamo arrivati tardi: l’esercito di Koiros ha ripreso la marcia.”
“Che vuoi dire?”
Indurì la mascella e rimase in silenzio.
“Che intendi, Vinus?”
Niktos ci abbandonò per cacciare, bramoso di una nuova preda.
Era sporco, macilento e stremato, ma non cedeva. Della selvatica bellezza che mi aveva stregato e inorridito non restava niente: eravamo spettri, noi tre, fantasmi di una speranza che moriva per ogni grano di clessidra.
“L’avanguardia avrà già raggiunto la tua gente.”
 
Il gelo che sferzava la mia pelle era nulla rispetto a quello che mi scivolò nel cuore.
Pregai la dea di darmi la forza di credere ancora.
Pregai Rael d’essere coraggioso e disobbediente e tanto pazzo da sfidarmi.
Pregai Leonar di perdonare la sua stupida figlia senza coraggio.
 
“E… Dunque?”
“Dunque dobbiamo separarci.”
Il suo sguardo fuggiva lontano e tanto bastava a tradirne le emozioni.
Aveva convissuto con la morte così a lungo che ne aveva esorcizzato il pensiero, ma la scadenza, ora, era a un passo.
Nessuno – nemmeno lui – poteva inghiottire l’amaro boccone della paura.
“D’accordo,” bisbigliai. “Se pensi che io sia solo…”
Vinus scrollò il capo, come faceva sempre quando dicevo qualcosa di molto stupido o inopportuno. “Perché fingi di non capire?”
“E tu… Perché lo fai?”
Mi guardò e suoi erano gli occhi di un uomo, non quelli di un drago. “Farei cosa?”
Avanzai di un passo. “Mi ami?”
A un nulla dalla fine, tutto quello che potevamo vomitarci contro erano domande, perché non avevamo risposte da regalare all’altro. Non avevamo più certezze.
“Vuoi che ti parli d’amore?”
“Voglio che tu mi risponda.”
Il principe di Lephtys mi strinse le spalle; le sue dita scavavano la carne, quasi volessero strapparne interi brani.
Il morso che aveva allungato al cuore, tuttavia, doleva mille volte di più.
“Io non posso farlo.”
“Perché? Perché non sono alla tua altezza? Perché sono una patetica donnetta, mentre tu…”
“Io sono morto.”
Strinsi i denti e inghiottii anche quel boccone di veleno. “No, non lo sei.”
“Sì. Non ce l’ho un futuro da darti, non l’ho mai avuto. Non posso farti promesse, perché non potrei mantenerne una. Sai cosa sarà di me? Lo sai, Magistra?”
Gli allungai una spinta, furibonda. “Io so solo che non valgo nemmeno il morso di una stupida bestia! Niktos, almeno, mi avrebbe pisciato addosso. Tu…”
“Io ti ho dato mio figlio!”
La neve continuava a cadere: si posava sui capelli, sulle ciglia, sulle labbra.
“Tu… Come puoi…”
“Il tuo odore è cambiato.”
Caddi a terra come un fantoccio: incredula e pervasa da una sensazione di ridicola impotenza. Vinus mi si accucciò davanti e, con delicatezza, cominciò a spazzar via la neve dai miei capelli. Non feci nulla per sottrarmi a quel contatto, né per nascondere le lacrime.
“Nemmeno mia madre era marchiata. Era una guerriera così bella e forte, che mio padre le concesse il privilegio di appartenere solo a se stessa.”
Il dolore non passava. Non ero un dracomanno, io: ero umana, e le stupide femmine umane avevano bisogno di un legaccio, di un collare, di un simbolo che raccontasse l’amore.
Di un morso nella carne.
“Leonar di Trier ha cresciuto bene Rael; ne ha fatto un grande ophelide, senza averne il sangue. Se riuscirò a salvarti, voglio che tu…”
Gli artigliai il viso con tanta forza da sfregiarlo. “Non osare chiedermi di cercargli un padre, Vinus di Venusya, perché io non lo farò. E sai perché?”
Un sorriso gli increspò le labbra. “No. Non credo di saperlo.”
Mi rialzai, spazzando con lo sguardo quel deserto: ero nella regione che aveva inghiottito Lukas, la mia gente stava per essere macellata e scoprivo perché la viverna semicruda non mi facesse più schifo. Non sapevo se ridere di me o abbandonarmi alla disperazione.
Forse erano entrambe scelte altrettanto plausibili.
“… Perché dovrai crescerlo tu.”
Vinus tentò di ribattere.
“Non interrompermi: adesso ti dico io cosa accadrà.”
Il mio tono era di nuovo freddo e controllato. Vinus, tuttavia, non era incline ad accettare ordini da una donna – non ordini, non amichevoli consigli.
Nemmeno dalla sua donna.
“Ascoltami tu, invece. Nella fortunata ipotesi in cui riuscissi a uccidere il drago, dovrò mangiarne il cuore. Se la profezia dice il vero, smetterò di essere un uomo.”
“E allora?”
“Allora non sai di cosa stai parlando, perché tu, un drago vero, non l’hai mai visto!”
“E tu sì?”
“Io, sì.”
E mi zittì.
“C… Cosa?”
“Ho visto i resti dell’ultimo delle Midlands: li conservava mio padre, assieme ai denti e alle unghie dei nostri dei.”
“Non importa, te l’ho detto: quale creatura tu possa essere, io ti aspetterò.”
Vinus strinse i pugni. “No, invece. No. Smettila di credere che il tuo desiderio basti a piegare la Storia, perché non è così. Non so cosa sarà di me, quando muterò pelle, né sai tu cosa proverai davvero.”
Aveva ragione: era amarissimo e disperato e mille volte più lucido di una donna che credeva di comandare al Destino.
“Nemmeno tu puoi dire cosa farò in quel momento.”
Glielo sputai addosso rabbiosa e triste da impazzire, perché il mio amore sembrava non bastare mai: c’era sempre qualcosa che mi condannava alla solitudine; c’era sempre qualcuno che mi abbandonava.
“Se puoi trasformarti in un drago, allora deve essere vero anche il contrario.”
Vinus fece per obiettare, ma non glielo permisi.
“Promettimi che sopravvivrai: lo farai come uomo o come drago, non importa. Promettimi solo che non rinuncerai a vivere. Io ti prometto che valicherò i confini dell’Eumene, se sarà necessario, e troverò un rimedio a tutto.”
“Tu non…”
Io posso. E lo sai anche tu.”
Restammo a fissarci in silenzio, come due lupi pronti a sbranarsi.
La neve smise di cadere.
Il fumo che velava l’orizzonte si spense.
“Accendi un fuoco: sto gelando.”
 
Dopo anni di clausura e sterilità quasi monacale, la violenza di quelle emozioni mi lasciava consumata ed esausta. Faceva male, ma faceva anche bene, perché mi ricordava il prezzo dell’essere vivi: dunque piangere e ridere e soffrire e sperare.
Nutrire un figlio.
 
Vinus mi coprì con il mantello e mi tenne stretta a sé, finché il levarsi di un vento impetuoso e gelido non ci suggerì che un’altra notte stava arrivando.
L’ultima notte insieme.
Protetta dal suo corpo, mi perdevo nelle fiamme guizzanti che stentavano a rischiarare l’impenetrabile buio dell’altopiano.
“Se non vuoi portarmi con te, come farò a raggiungere Trier?”
Le mani di Vinus sul mio ventre, la carezza lieve del suo respiro, sperimentavo ora il più feroce degli ossimori: una felicità disperata.
“Ti lascerò Niktos. Non c’è cavalcatura che possa proteggerti con altrettanta sicurezza. Conosce bene questa regione, come l’armata di Koiros. Riuscirà ad attraversarla, in un modo o nell’altro.”
“E tu?”
Si strinse nelle spalle. “Catturerò un altro capo. Ne ho visti molti, da queste parti. D’inverno, i liocorni si spostano sempre a sud, alla ricerca di cibo.”
“Sembra che tu abbia le idee chiare.”
Rise, ma c’era solo amarezza sulla sua bocca. “Forse.”
Allungai un braccio e gli sfiorai la guancia. Non aveva morso me, ma avevo marchiato lui: l’avevo graffiato a sangue, perché ricordasse in ogni momento che io non gli avrei più reso la sua libertà.
“Raccontami di Koiros. Dimmi come posso ammazzarlo.”
Vinus mi carezzò lo zigomo con le labbra. “No. Non puoi farlo. Non spetta a te.”
“Qualcuno dovrà occuparsene comunque.”
“Allora sarò io.”
Chiusi gli occhi. “Devo sopravvivere, l’hai detto tu, e devo riunire il sangue, perché lo voglio io. Combattere è la mia sola possibilità.”
Sentivo le sue dita sulla mia pelle e il suo cuore battere impazzito.
“Sii davvero la rocca di Trier: resisti e guarda a nord. È da lì che tornerò.”
Cercai la sua mano e me la portai alle labbra. “Contaci, carino.”

*

Mi svegliai sola e non me ne sorpresi; aveva capito che non gli avrei mai permesso di dirmi addio, dunque aveva scelto di uscire dalla mia vita in punta di piedi: una delicatezza quasi comica, per chi avevo incontrato facendo la guerra.
Mi asciugai le ciglia, poi portai lo sguardo a Niktos. Il liocorno non tradì la mia fiducia e mi depose in grembo quel che restava – forse – di una lepre.
“Ti ringrazio… Ma non ho fame,” risposi, prima di rendergli la preda.
Il cielo era un velo lattiginoso come l’orizzonte dei ciechi: cercavo segni che mi raccontassero del mondo che conoscevo, ma non ne era rimasto alcuno. Presto, forse, sarebbe scomparsa persino la mia Trier.
“La festa è finita, Niktos: comincia l’ultimo atto.”
Il liocorno stirò il collo e liberò un bramito cupo e prolungato: un addio al dracomanno che l’aveva domato, un addio al principe che mi aveva reso la libertà.
“Non ti deluderò,” mormorai, mentre mi preparavo a raggiungere il sud, là dove ero nata.
Là, soprattutto, dove volevo che nascesse il figlio di Vinus – il nostro bambino.
Una terra senza ghiaccio e senza ombra, senza polvere e senza paura; una terra nutrita da due diverse linee di sangue, per un solo futuro possibile.
C’era ancora una speranza, per quell’Eleutheria?
Sì, perché quello era anche il sogno del mio straordinario fratello.

*

Rael assunse la guida della resistenza con la lucidità e la freddezza che nessuno dei superstiti possedeva più; era quasi l’incombere di Koiros aumentasse la consapevolezza dell’olocausto di cui era l’ultimo frutto.
Un lascito feroce.
 
“Non possiamo liberare…”
Davanti alle sue iridi d’oro, persino Nephyl faticava a tener alto il capo.
“Fate come dice lui, Generale,” mediò Jail. “Rael sa quello che fa.”
 
 
Lo scortarono nei sotterranei del Gymnasium, guardato a vista quasi fosse un nemico.
Rade fiaccole rischiaravano le pareti che avevano spiato l’umiliazione di Vinus e la disfatta della mia povera umanità.
Quali pensieri accompagnavano la discesa di mio fratello?
Quali paure o fantasmi ne potevano condizionare le scelte?
Non gliel’ho mai domandato, ma credo di poter anticipare la risposta.
Non c’erano spettri nell’orizzonte di Rael, perché non aveva rimorsi, né debiti insoluti: aveva preferito stringere un patto d’onore, un voto di speranza.
Un voto che doveva ora condividere con la sua gente.
 
“Vorrei restare solo,” domandò.
Ad accompagnarlo, tre dei suoi uomini più fedeli: un rapido scambio d’occhiate bastò perché la sua richiesta fosse esaudita.
 
“Sono Rael, figlio di Freil,” gridò. “Mi hanno chiamato due volte traditore del sangue, poiché ho combattuto contro il mio principe e poi gli ho salvato la vita…”
Circospetti, i dracomanni prigionieri si accostarono alle grate.
“Ma io credo che tradire sia spendere il sangue, non lottare ogni giorno perché smetta di scorrere.”
Ultar dell’Ostro, il più giovane del drappello scelto di Vinus, fu il primo a parlare. “Hai una buona lingua, figlio di Freil. Mi piacerebbe staccartela a morsi.”
Mio fratello non si fece intimidire. “T’inviterei a provare, se solo non avessi bisogno di uomini. Il giorno in cui i morti combatteranno, potrai correre il rischio.”
Una sonora risata si levò da un angolo in ombra del sotterraneo: era Eos, il più anziano degli ophelidi sopravvissuti. “Dall’arroganza, si direbbe che tu sia davvero figlio suo.”
Rael si mosse in direzione della voce.
Oltre le grate, occhi d’ambra lo fissavano con curiosità. “Il figlio di Freil… Un altro cucciolo sopravvissuto.”
“Non ho mai conosciuto mio padre ma resto comunque…”
Eos rise di nuovo – un suono carico di scherno e di amarezza. “… Un cane. Siamo tutti cani. Cambia il padrone, ma…”
“È per questo che sono qui: perché venga un tempo senza servi.”
“E tu ci credi?”
Contro le pareti di pietra nuda, le risa sguaiate dei prigionieri rimbombavano mille volte; una cacofonica sinfonia derisoria che avrebbe piegato chiunque, ma non Rael.
“Devo farlo, perché l’ho promesso al nostro principe.”
Ultar sputò attraverso le sbarre, mancandolo di poco. “Vinus è morto e l’avete ammazzato voi! Non hai il diritto…”
“Vinus è vivo e forse ha già raggiunto il Norn!”
Tutto tacque di nuovo.
“E se il nostro principe è pronto a divorare il cuore della Bestia, pur di vendicare Venusya, chi volete essere, voi? Conigli o draghi?”
Eos tornò ad affacciarsi. “Dammi una prova che quel che dici è vero. Dammi un buon motivo per crederti.”
“Mio figlio ha sangue di drago… E un cucciolo è un buon motivo per tutto.”
Attese qualche istante, poi aggiunse: “Vinus mi ha chiesto di resistere, di contenere l’avanzata di Koiros, finché non tornerà. Volete unirvi alla mia gente e combattere, o aspettare la fine in gabbia?”
Eos tese il braccio oltre la grata: il polso forte, la pelle coperta dalle scaglie nerastre di un drago le cui fauci, frementi, morivano all’altezza delle nocche.
“Ci chiamavano Schlangen, i cavalieri del Drago. Io sono l’ultimo rimasto. L’ultimo degli uomini di Freil, il Mietitore. Prega dunque d’essere all’altezza di tuo padre, cucciolo lingua-lunga, o batterò le Terre del Ricordo solo per strappargli la coda e prenderlo a calci nel culo!”
Rael sorrise. “È un rischio che posso correre.”
Un rischio che valeva una vita intera.

   
 
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