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Autore: Shomer    03/04/2012    3 recensioni
Demetrio e Nadia sono amici da tanto tempo e hanno ingenuamente pensato che niente e nessuno potesse dividerli. Allora cos’è successo? Perché sono arrivati a questo punto? Dove hanno sbagliato?
A tre anni da allora posso affermare con certezza che se fossi stata meno egoista e più coraggiosa probabilmente avremmo sofferto di meno, ma posso dire con altrettanta sicurezza che se ti avessi ascoltato e se avessi aperto gli occhi, se non avessi infranto le regole e se neanche tu le avessi infrante, sicuramente sarebbe finita allo stesso modo.
Questa storia si è classificata prima e ha vinto i premi giuria, miglior personaggio femminile, pairing e stile al contest "Love (never) fails - quando anche Cupido sbaglia" di Flaren97.
Seconda classificata al contest "Le sfumature del dolore" di phoenix_esmeralda.
[REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Capitolo quattro

Ed io che ho sempre un eskimo addosso uguale a quello che ricorderai,
io, come sempre, faccio quel che posso, domani poi ci penserò se mai
ed io ti canterò questa canzone uguale a tante che già ti cantai:
ignorala come hai ignorato le altre e poi saran le ultime oramai..
Eskimo – Francesco Guccini




 

 

Non ero solita riflettere sulle conseguenze delle mie azioni. Non pensavo che forse qualcuno avrebbe potuto soffrirne. Anche quando avevo deciso di andarmene da casa nostra non avevo pensato neanche per un secondo che forse avrei dovuto ascoltarti quando mi dicevi di restare, quando mi dicevi che se me ne fossi andata non sarei più dovuta tornare. Avrei dovuto pensare che se mi dicevi quelle cose c’era un motivo. Il pensiero invece non mi aveva mai sfiorato. L’unica cosa che riuscivo a pensare era che non potevo più dormire in quel letto e guardare quelle mura, troppo piene di ricordi. Conoscere lui era stata la mia rovina e innamorarmi di lui era stato il mio sbaglio più grande; essere stata trattata come una pezza vecchia, infine, era stata la mia punizione.
Forse pensavi che non mi bastava, che il semplice essere abbandonata non era una punizione abbastanza incisiva, per questo da quando ero tornata ti comportavi in quel modo.
Avevi fatto per me cose che nessun’altro aveva mai fatto e io come ringraziamento ero scappata. E poi ti avevo baciato. E poi avevo fatto scappare te.
Mi guardasti e i tuoi occhi azzurri non erano mai stati così limpidi.
«Che cosa significa?» sussurrasti, non spostandoti di un centimetro, tanto che riuscivo ancora a sentire il tuo respiro sulla mia pelle.
«Non lo so» risposi, e così feci crollare tutte le mie difese, mi mostrai indifesa davanti a quell’arma che erano i tuoi occhi, sincera con te come poche volte lo ero stata.
«Non lo sai» ripetesti. «Cioè dovremmo comportarci come se non fosse successo nulla.»
«Questo non cambia niente tra noi» mormorai, forse più per convincere me stessa che te.
Non ti allontanasti dal mio viso neanche di un millimetro, in modo da costringermi ancora a respirare il tuo odore, in modo che non potessi interrompere il contatto con i tuoi occhi; volevi tenere vivo quello che era appena successo e non avresti permesso che io provassi a dimenticarlo o a comportarmi come se nulla fosse, come tu avevi fatto in passato.
«Allora perché l’hai fatto?» sibilasti, e i tuoi occhi erano ormai diventati due fessure.
«Non lo so» ripetei. «Dimenticalo, per favore.»
Mi lanciasti un’ultima occhiata intensa e ti spostasti, dandomi le spalle, contrariamente ad ogni mia previsione. “Mai dare le spalle al nemico”, dicevi sempre. E in quel caso il nemico ero io.
«Come preferisci» dicesti e io rimasi spiazzata.
Credevo di conoscerti abbastanza bene da poter prevedere che non ti saresti mai piegato di fronte ad una mia decisione, che se tu volevi che quel bacio avesse un peso allora quel bacio doveva avere un peso. Non mi sarei mai aspettata un atteggiamento così collaborativo. Che cosa mi nascondevi?
Prendesti una sigaretta dal pacchetto che avevi nella tasca dei jeans e l’accendesti, senza dire una parola. Cominciai a sentire un lieve rumore di pioggia sbattere contro il vetro della finestra. Silenziosamente uscisti dalla stanza e dalla casa, e io sentii qualche lacrima bagnarmi le guance.


Il fiume di domande che avevo in testa nei giorni che seguirono quel bacio sembrava essere infinito e soprattutto nessuna di quelle domande trovava risposta. Non sapevo perché l’avevo fatto né che cosa sarebbe successo tra noi, non sapevo cosa avevo provato io né che cosa avessi provato tu. Sapevo solo che in quel momento, nell’esatto istante in cui le mie labbra avevano sfiorato le tue, mi ero sentita viva. E sapevo anche che non potevo fare a meno di te.
Tu avevi cominciato ad ignorarmi. Facevi l’impossibile per non sfiorarmi, guardarmi, parlarmi. I nostri ruoli si erano capovolti, ma io non ero abbastanza forte per impormi come avevi fatto tu. Non avevo più il coraggio di costringerti alla mia presenza se non la volevi, non riuscivo a rivolgerti la parola se sapevo che tu non mi volevi parlare e non osavo guardarti per paura del baratro in cui sarebbe sprofondato il mio stomaco. Avevo fatto la stessa cosa che pochi giorni prima ti avevo impedito di fare per paura che cambiasse qualcosa tra di noi. Il nostro rapporto era troppo fragile per essere messo alla prova da un bacio e io avevo spezzato il filo, già abbastanza teso, che ci teneva uniti. Non mi sentivo in colpa per quello che avevo fatto, però: eri stato tu per primo ad infrangere le regole. Avevi scelto di portarti quella ragazza in casa: avevi scelto una ragazza bella, dolce e forse anche intelligente al posto delle ragazze che frequentavi di solito. L’avevi fatta entrare nella mia casa e nella mia vita, nella nostra vita, la trattavi come non avevi mai trattato le altre, nonostante sapessi che io ne avrei sofferto, nonostante sapessi che non lo dovevi fare perché era contro le regole che non ci eravamo mai detti, ma che esistevano, e che non dovevamo infrangere perché altrimenti saremmo stati perduti. Allora non dovevo sentirmi in colpa per aver infranto anche io quelle regole invisibili, ma che c’erano, quelle regole che giorni prima avevo deciso di farti rispettare. Non dovevo sentirmi in colpa per aver spezzato un equilibrio che probabilmente non si sarebbe più creato, perché tu l’avevi messo a dura prova prima di me.
Avevi deciso di agire in modo da farmi soffrire e allora lo dovevo fare anche io. Non passai neanche un istante a chiedermi perché non sopportavo l’idea di lei e invece sopportavo quella di tutte le altre ragazze, neanche un istante a domandarmi perché avevi deciso di ignorarmi, nemmeno uno. Non mi chiesi mai perché è sbagliato infrangere le regole, anche se non dette e non scritte. Mi sarei posta quelle domande molto tempo dopo, solo che allora sarebbe stato già troppo tardi.
Quando aprii la porta di casa e vidi proprio lei, Marlene, il mio primo istinto fu quello di chiuderle la porta in faccia.
Non riuscivo ad odiarla: quella ragazza era solo la vittima inconsapevole della tua ripicca, un pedone nella tua scacchiera creata solo per farmi del male. Con lei stavi cercando di fare a me ciò che io ti avevo fatto stando con lui, e ci stavi riuscendo. Solo che allora io non sapevo dell’esistenza delle regole.
«Ciao» salutò. «Disturbo?»
«Demetrio non c’è» risposi.
«In realtà cercavo te.»
La feci entrare in casa con un’espressione incuriosita, chiedendomi che cosa mai volesse da me la ragazza che passava le notti con te, la ragazza che mi avevi messo di fronte per farmi capire che non ci saresti stato per sempre. Feci sfoggio dei miei modi più gentili e accomodanti e la invitai anche a sedersi, ma lei non accettò.
«Devo chiederti una cosa» disse mordendosi un labbro, visibilmente imbarazzata. «Io tengo molto a Demetrio, anche se ci vediamo da poco più di un mese, e volevo sapere se ora o in passato c’è stato qualc-»
«Fermati» la interruppi, perdendo tutta la gentilezza che avevo raccolto in precedenza e cominciando a guardarla in modo ostile. «Siamo solo coinquilini. Te l’ha detto lui, giusto?»
«Sì» rispose, arrossendo furiosamente. «Però vi conoscete da tanto tempo e lui mi guarda sempre in modo strano quando faccio domande su di te... Tu sei l’unica persona che fa parte della sua vita a quanto ne so, non mi ha mai detto niente di genitori, fratelli o amici.»
«Dovresti chiederti perché non ne te ha mai parlato» dissi, gelida. «E se hai domande sul nostro passato dovresti farle a lui, non a me. Non saresti dovuta venire qui, Demetrio si arrabbierà.»
Non le dissi che tra me e te non c’era mai stato niente di fisico, a parte quel bacio, non cercai di rassicurarla. Non so perché non lo feci, non so perché cercai di sottintendere qualcosa che non era mai esistito. Ma volevo che si sentisse inferiore a me. Volevo sentirmi superiore a lei.
«Non potresti semplicemente dirmi che tra te e lui non c’è niente?» chiese.
«Non ho intenzione di dirti nulla» risposi. «Devo chiederti di andartene.»
Lei mi fissò con uno sguardo al limite tra l’indignazione e l’umiliazione e non ribatté. Il fatto di aver trovato una persona più vigliacca di me mi fece sentire forte mentre l’accompagnai alla porta e la salutai con garbo. Lei rispose con un cenno e sul suo volto non c’era neanche l’ombra di un sorriso, ovviamente.
Quando chiusi la porta sperai che non ti raccontasse niente di quello che c’eravamo dette, rendendomi conto troppo tardi che, molto probabilmente, ti avrebbe riferito tutto.

   
 
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