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Autore: Fiamma Drakon    05/04/2012    0 recensioni
Quando Inghilterra si era proposto di preparare la cena quella sera, America aveva avuto subito che ridire: «Non pensarci nemmeno! Perché piuttosto non... erhm... ecco, andiamo fuori? Sì sì, è da tanto che n...!».
«America, sei malato» l’interruppe glacialmente Arthur, lanciandogli un’occhiata di traverso.

[UsUk - scritta per la zodiaco!challenge indetta da fiumidiparole]
Genere: Fluff, Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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This is the last time I let you cook_ Quando Inghilterra si era proposto di preparare la cena quella sera, America aveva avuto subito che ridire: «Non pensarci nemmeno! Perché piuttosto non... erhm... ecco, andiamo fuori? Sì sì, è da tanto che n...!».
«America, sei malato» l’interruppe glacialmente Arthur, lanciandogli un’occhiata di traverso: aveva l’influenza già da qualche giorno, eppure si ostinava a non volerne sapere di rimanere a letto a riposare perché diceva che si annoiava. Così girovagava per casa ignorando ogni richiamo che l’ex madrepatria gli faceva perché si riguardasse.
Anche in quel preciso momento avrebbe dovuto essere a dormire, invece che lì, in piedi sulla soglia della cucina della casa del britannico con indosso il pigiama più pesante che aveva e la vestaglia che Inghilterra gli aveva prestato perché stesse un po’ più al caldo.
«N-no, non è vero! Sto meglio!» mentì spudoratamente Alfred, sudando freddo alla sola idea che Inghilterra potesse anche soltanto avvicinarsi ai fornelli «Per cui... perché non andiamo a mangiare fuori, eh?».
«Scordatelo, tu rimani in casa» controbatté Arthur recidivo, afferrando il proprio grembiule giallo da cucina.
America avrebbe potuto insistere quanto voleva, ma agli occhi del Kirkland era palese che stesse ancora male: il più giovane aveva le guance arrossate in modo quasi innaturale e, se lo fissava a lungo, riusciva a percepire un lievissimo tremito nel suo corpo.
Probabilmente la febbre stava aumentando di nuovo e quel cocciuto non voleva farglielo notare, impegnato com’era a dimostrare quanto fosse forte e resistente.
«E stasera cucino io» aggiunse con tono solenne l’inglese «Hai bisogno di mangiare qualcosa di sano, non il solito, disgustoso cibo da fast food».
Alfred boccheggiò senza sapere cosa replicare: l’espressione esasperatamente greve dell’ex madrepatria la diceva lunga su quanto sul serio stesse prendendo il compito che si era autoimposto, e cioè prendersi cura di lui.
Anche se non lo diceva a parole, era palese che fosse una forma di amore nei suoi confronti e l’americano lo sapeva bene: ormai si conoscevano da così tanto tempo che aveva imparato quasi alla perfezione a leggere le emozioni del britannico tra le righe delle sue azioni.
Se da un lato l’amore era ciò che spingeva Arthur ad agire in quel modo, dall’altro costituiva anche il maggior ostacolo per Alfred. Se non ci fosse stato un vincolo affettivo così profondo con lui, America non avrebbe avuto nessun motivo per trattenersi dal dire le cose esattamente come stavano, e cioè che non voleva che il maggiore cucinasse perché ogni suo piatto era un attentato alla sua vita.
Ricordava che anche quand’era bambino non era mai riuscito a dirglielo: l’espressione teneramente compiaciuta che l’inglese gli aveva sempre rivolto mentre lo guardava mangiare era stato il più grande freno alla sua franchezza che avesse mai incontrato.
«Ma perché?» tentò ancora una volta Alfred, cercando di far ragionare l’altro benché non avesse la più pallida idea di come poter deviare le sue intenzioni «S-se cucino io, mh? Tu ti metti seduto in soggiorno, ti leggi uno di quei libri assurdi pieni di fatine e maghi e folletti che ti piacciono tanto mentre i...»
«Perché non vuoi che cucini io?».
La domanda riempì la cucina improvvisamente silenziosa quasi riecheggiando contro le pareti della stessa.
Alfred lo fissò semplicemente, mordendosi il labbro inferiore nel notare un’espressione confusa e allo stesso tempo rattristata comparire sul volto dell’ex madrepatria. Non ce la faceva a rispondergli sinceramente: ferirlo in quel momento, con quell’espressione sul viso, gli risultava praticamente impossibile.
Percepì del calore aggredirgli le guance mentre dentro di sé ragionava sui pro e i contro del dirgli la verità: se da un lato si sarebbe senz’altro risparmiato la vita, dall’altro però avrebbe completamente distrutto Inghilterra, che non si stava offrendo di preparargli la cena con il preciso intento di ucciderlo, bensì con la buona volontà di chi cerca di far stare meglio una persona cara.
«Errhm... i-io...» esordì Jones, ancora fortemente indeciso su che partito scegliere.
Gli occorse soltanto un attimo in più per decidere delle sue sorti.
«N-niente... fai pure...» acconsentì, abbassando gli occhi dal viso del britannico al pavimento. Nel far ciò notò una inaspettata scintilla d’allegria illuminargli lo sguardo e ciò, se non altro, lo convinse d’aver fatto la cosa giusta.
Ora che ci pensava meglio, lui era un eroe. Gli eroi si sacrificavano sempre per il bene del prossimo - o per la gioia del proprio amante, nel suo caso specifico.
«Allora va’ di là e riposati mentre io cucino» disse Arthur, avvicinandoglisi per sospingerlo verso il soggiorno «Ti chiamo quando ho finito».

La cena non era stata poi così disgustosa come aveva temuto. America ricordava d’aver mangiato cose che avevano sapori ben peggiori quand’era stato colonia di Inghilterra, e tutto sommato la minestra di quella sera poteva asserire con certezza che avesse un gusto quantomeno decente.
Si era illuso di averla scampata - addirittura aveva creduto che il maggiore fosse riuscito a metter da parte tutto il suo orgoglio e si fosse deciso finalmente ad utilizzare un libro di ricette per cucinare o che avesse preso lezioni da qualcuno.
Le sue illusioni però erano state cancellate qualche ora più tardi, nel pieno della notte, quando Alfred era stato svegliato da atroci fitte allo stomaco.
Sdraiato su un fianco nel letto a due piazze che di solito condivideva con Inghilterra - che data la sua malattia aveva preferito dormire sul divano per non essere contagiato e potersi poi prendere cura di lui con più efficienza - America cercava di riprender sonno e di ignorare il dolore ed i continui gorgoglii affatto rassicuranti provenienti dal suo stomaco.
«Io che credevo di essermi salvato...! Però Inghilterra alla fine della cena era contento che avessi mangiato tutto...».
In effetti, l’espressione di mite soddisfazione che gli aveva rivolto l’inglese alla fine del pasto era stata la cosa più bella dell’intera serata. Per un momento Alfred aveva avuto la sensazione di essere tornato indietro nel tempo all’epoca del colonialismo britannico.
L’unica differenza era che adesso convivevano non perché lui fosse il fratellino adottivo da proteggere dalle altre nazioni, bensì perché si amavano.
Un ennesimo, acuto lamento da parte del suo stomaco interruppe il filo dei suoi pensieri, facendolo dolorosamente tornare al presente.
«Che maleee...!» si lamentò a mezza voce, raggomitolandosi ulteriormente sotto le coperte «Questa è l’ultima volta che lo lascio cucinare! In un modo o in un altro devo trovare la maniera di dirgli che cucina male...!» promise a sé stesso, stringendo i pugni con decisione.
Stavolta era serio, non come tutte le altre precedenti volte in cui aveva giurato a sé stesso di parlare della sua cucina orribile ad Inghilterra e poi, puntualmente, quando aveva dovuto farlo si era tirato indietro, rimandando alla volta successiva mentre si sorbiva i dolori conseguenti alla sua codardia.
L’avrebbe ferito, era inevitabile e lo sapeva bene, ma d’altro canto non poteva continuare a lasciargli campo libero in cucina solo perché voleva evitare di litigare sull’argomento.
   
 
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