Adventus
“E infatti, quando
eravamo con voi,
vi dicevamo in
anticipo che eravamo destinati
a soffrire tribolazione,
come è anche
accaduto e come voi sapete”
1 Ts 3:4
Dalla
cima della collina Louisa poté vedere tutta la valle in cui la brughiera
scozzese faceva da padrona. Un immenso mare di verde sbiadito e giallo smorto
tra cui spuntavano, di tanto in tanto, delle rocce grigie e coperte di muschio.
L’aria
fredda e il cielo plumbeo erano saturi di umidità, e lei, si strinse nel cappotto
lungo fino alle ginocchia e tirò su il cappuccio, cercando di mettere al riparo
le orecchie e i capelli castani da quell’aria uggiosa.
Le sembrava che la natura le fosse ostile, che le dicesse con tutte le sue forze di
andarsene da lì e di lasciarli in pace, che una straniera nelle brughiere
scozzesi non era la benvenuta.
Sospirò,
leggermente stanca per il lungo viaggio, e mise a fuoco la vallata fino ad individuare la casa, che le avevano indicato al
villaggio a una decina di chilometri da quella valle dimenticata.
Scese
dalla collina a passi lenti e pesanti; e con una certa dose di difficoltà. Nonostante
gli stivali da cavallerizza i suoi piedi venivano risucchiati dalle chiazze
fangose o scivolavano sul l’erba bagnata, provocandole disagio e chiazze verdi
sui pantaloni quando scivolava.
La
casa che cercava era in fondo alla valle, nascosta dietro una delle colline.
Era
su tre piani, in pietra grigio scuro alla base e massicce tavolate di legno scuro
agli ultimi due. Diverse finestre punteggiavano tutti i muri; e la ragazza si
chiese, senza capacitarsene, come faceva un uomo come Yang Fen a sopportare di
vivere così, in mezzo al nulla.
Quella
assomigliava più alla casa di Heidi che a quella di un Sigillo braccato dai
Grigori.
Cercò
il campanello, ma non trovò nulla, nemmeno la cassetta per le lettere che
indicasse il nome del proprietario.
Ragionando
freddamente si rese conto che quella casa probabilmente non aveva la corrente
elettrica e decise di bussare al pesante maniglione decorato che c’era sulla
porta in legno.
Attese
diversi secondi prima di bussare ancora, poi divenne irrequieta. Sua madre gli
aveva detto di cercare Yang Fen e ora non riusciva più ad aspettare, voleva
sapere la verità e voleva saperla subito. Bussò ancora, prendendo addirittura
la porta a calci dalla frustrazione – C’è nessuno? – urlò. La sua voce divenne
un eco che si propagò lungo la valle, facendo saettare alcuni conigli su per la
collina alla ricerca di un riparo.
La
ragazza fece il giro della casa, cercando di intravedere tra le finestre uno spazzo
di vita; magari, si disse Fen sospettava che lei potesse essere un Grigorio.
Trovò
la porta sul retro era sbarrata come quella davanti, ma lei non si perse
d’animo e provò a bussare ancora.
-
Non troverai nessuno. – la voce sconosciuta alle sue spalle la fece trasalire.
Si girò piano e a qualche metro di distanza c’era un tipo con il cappuccio
della felpa calato sugli occhi che gli nascondeva quasi del tutto il viso – Qui
non ci vive più nessuno da molto tempo. – proseguì lui. Lei riuscì a vedergli solo
le labbra, che si muovevano scandendo le parole in inglese.
Dalla
voce capì che era un uomo, ma lei non riuscì a identificarne l’età. Lasciò
perdere l’analisi del giovane e tornò sul suo obbiettivo. Trovare Yang Fen.
– Sto cercando Yang Fen. – rispose, dando le
spalle alla casa – Dove posso trovarlo? Viveva qui? È ancora in queste zone? –
Lui
rise, facendo balenare i denti bianchi e regolari, ma non c’era gioia in quella
risata – Certo, viveva qui molto tempo fa. Poi è scomparso. – scrollò le spalle
e alzò lo sguardo sui piani superiori della casa.
Lei
finalmente gli vide gli occhi. Erano azzurri intensi, scuri e profondi. Le
sembrava di guardare l’oceano – Io devo trovare Yang Fen. – ripeté con ansia
crescente – Ha una cosa che mi serve. – tornò a concentrarsi sulla porta, che
rimaneva irrimediabilmente chiusa.
Per
lei, la porta sbarrata di quella casa carica di promesse, era il gioco ironico
di qualche macchinazione superiore e malvagia e le venne da piangere. Ora che
aveva una traccia, se pur misera, quella era sparita, represse un singhiozzo
isterico e tirò un pugno alla porta.
Il
dolore si propagò dalla mano fino al braccio per poi esploderle nel cervello,
si mise istintivamente in bocca una delle nocche succhiandole leggermente – Non
sei di qui, vero? – chiese lui, ora appena dietro di lei – Qui nessuno
prenderebbe a pugni una porta in legno massiccio; a meno che non voglia farsi
parecchio male. Dà qui, fammi vedere. -
le prese la mano e la studiò con occhio clinico, con ancora con il cappuccio calato
sulla fronte – Non te la sei rotta. Sei fortunata, io mi ci sono lussato una
spalla su questa porta una volta. –
Lei
rimase di stucco a quell’affermazione – Hai provato a buttare giù la porta? –
domandò.
Lui
alzò le spalle – Sono il custode di questa casa. Yang Fen mi ha detto di
prendermene cura, solo che una volta ho dimenticato le chiavi dentro e ho
dovuto ehm.. spaccare una finestra per entrare a prenderle. –
Entrare
da una finestra.
Quell’idea
si fece prepotentemente strada nella sua mente e decise di rischiare, se quella
casa non aveva corrente elettrica, probabilmente non aveva allarme. Si chinò a
raccogliere un sasso, soppesandolo con la mano – Hei! Che pensi di fare? – lui
le bloccò la mano, togliendole il sasso e buttandolo di nuovo a terra.
-
Io devo entrare! Devo! – protestò, strattonando la mano per liberarsi – Devo
assicurarmi che non ci sia nessuno! –
Il
ragazzo sospirò, mettendosi una mano in tasca – Immagino che se io ora me ne
andassi, tu proseguiresti con i tuoi piani e sfonderesti la finestra. – la
tratteneva senza sforzo apparente, rimanendo quasi immobile mentre lei si divincolava
cercando di liberarsi.
-
Ovvio che si! Io devo entrare!
Lui
scosse la testa, stranamente divertito – Ti ho detto che sono il custode, ho le
chiavi di casa. Ti faccio entrare, ma ad una condizione.. –
-
Che condizione?
-
..Se mi fai parlare senza interrompermi. Sai, tra parentesi, che è molto
maleducato interrompere le persone? – piegò la testa di lato, studiandola – Io
ti faccio entrare, ma tu metti i piedi dove li metto io, non vai in giro per
gli affari tuoi e soprattutto, non
tocchi nulla. – era serio e il suo tono non ammetteva repliche.
-
Bene, – disse lei mentre lui la lasciava andare – Mi sta bene. Io sono Louisa,
tra parentesi. -
Il
ragazzo estrasse le chiavi dalla tasca dei pantaloni – Non te l’ho chiesto. La
cosa non mi interessa.
-
Chi è ora il maleducato? – rispose.
Il
ragazzo ridacchiò infilando la chiave giusta nella toppa e facendo scattare la
serratura.
A
Louisa quella serratura parve strana. Non la toppa in se, ma il rumore profondo
che produsse, quasi di ingranaggi che si muovessero e cigolassero. Lei sgranò
gli occhi e fissò la porta leggermente confusa, forse, pensò, era tutto frutto
della sua fantasia e degli echi della valle.
Il
ragazzo entrò per primo e la Louisa lo seguì mettendo i piedi dove li metteva
lui. L’interno della casa era scura e dagli arredi pesanti e i loro passi erano
attutiti dallo spesso strato di polvere che si era posata sulla moquette
bordeaux.
Anche
l’interno le ricordava la casa di Heidi: tendine bianche con pizzo alle
finestre, la scala di legno lucido che si arrampicava al piano di sopra, quadri
e quadretti ricoprivano il muro. Le sembrava più la casa di una vecchina tutto
the e merletti, che di un pericoloso Sigillo pieno di segreti e scheletri
nell’armadio.
-
Di qua. – disse lui, conducendola prima in cucina, poi nel salotto.
Tutto,
dalle pentole di rame ossidato appese al muro, alla poltrona piazzata davanti
alla libreria parlavo di abbandono e incuria.
Il
quella casa non ci viveva nessuno da anni.
-
Ti basta? – chiese il ragazzo – Qui dentro non ci entra nessuno da un sacco di
tempo. Meglio se andiamo.
-
Voglio vedere di sopra. – disse lei risoluta – Devo assolutamente vedere tutto.
– si sentiva morire dentro, ma aveva ancora un briciolo di speranza e si portò
una mano al collo. Sotto i vestiti sentiva l’anello appeso alla catenina e si percepì
il conforto provenire da quel peso leggero.
-
Come vuoi, ma continua a mettere i piedi dove lo metto io. – la condusse al
piano di sopra, ma per lei non c’era nulla di interessante.
La
camera da letto, come il resto della casa, aveva uno stile antiquato, con le
testiera del letto in ottone battuto e il copriletto bianco ricoperto di
merletti.
Louisa
continuava a non riuscire a far combaciare l’immagine che aveva di Yang Fen con
quella della persona che poteva vivere lì.
Continuarono
a fare il giro, finché non arrivarono in quella che senza dubbio era una
palestra di arti marziali. Il pavimento era ricoperto di tatami, e inchiodate
ai muri facevano bella mostra diverse armi orientali. Al centro della stanza
troneggiava un oggetto di legno circolare con diversi protuberanze. Louisa lo
valutò per un paio di secondi, era alto quando un uomo e le protuberanze erano
all’altezza della testa e dei piedi – Che cos’è? – chiese prima senza riuscire
a trattenere la curiosità.
Il
ragazzo seguì la direzione del suo sguardo e sorrise riconoscendo l’oggetto – È
un wooden dummy. Un uomo di legno. Lo si una per gli allenamenti di Kung Fu.
Louisa
ne fu immediatamente attratta e incuriosita. Attraversò la stanza velocemente,
senza riflettere.
-
Ferma!
Lei
toccò il wooden dummy prima che lui potesse fermarla, e il legno ruotò su se
stesso ben oleato. Si sentì sordo toc
della guida che arrivava a fine corsa seguito da uno snap sinistro.
-
Merda! Così non va! – lui la afferrò stringendola le braccia, e la sollevò di
peso lanciandosi fuori dalla finestra.
Mentre
precipitavano verso terra dal secondo piano vennero sbalzati in avanti da una
violenta esplosione e Louisa si ritrovò a rotolare sull’erba bagnata con lui
che ancora le teneva stretta. La ragazza percepì più dolore di quanto ne avesse
mai provato in vita sua e sbatté violentemente la testa contro un sasso, mentre
una miriade di luci le esplodevano davanti agli occhi; annebbiando tutto il
resto.
Rimase
cosciente per pura fortuna.
-
Ti avevo detto di non toccare nulla. – percepì un peso estraneo sopra di lei e
aprì gli occhi. Il ragazzo, era una macchia sfocata ai suoi occhi, ancora
confusi, ma Louisa capì che gli era scivolato via il cappuccio e ora lei poteva
vederlo chiaramente. Se solo il mondo avesse smesso di girare per un secondo. Vide
i due punti luminosi che erano i suoi occhi, incorniciati da qualcosa di nero.
-
Che è successo? – chiese senza riconoscere la propria voce e con la testa che
le pulsava sordamente da un punto non precisato.
- Quella casa è piena di trappole, solo chi ci
viveva sa esattamente come muoversi e
disattivarle. Tu, stupida, ne hai fatta scattare una bella grossa. – non
accennava a scansarsi da lei, mentre respirava cercando l’aria a bocca aperta. Il
suo fiato arrivò al naso di Louisa, e lei si accorse che sapeva di miele e
limoni.
La
ragazza girò la testa, attirata da un bagliore e da un calore che fino a quel
momento, nella confusione, non aveva notato. L’intera casa era in fiamme,
consumata violentemente dalle fondamenta fino al tetto – No! – urlò, cercando
di alzarsi – No! Io devo sapere! – provò a tirarsi su, ma le testa le girò
violentemente e sentì parecchio dolore al torace, mentre lui la ributtava a
terra.
-
Sta giù, stupida ragazzina! – il ragazzo osservò anche lui quella scena, poi,
come se rispondesse a un illuminazione improvvisa, si calò di nuovo il
cappuccio sugli occhi e si stese completamente sopra di lei, coprendole il viso
con la stoffa scura e spessa – Che fai? – chiese soffocata dal tessuto e
dall’odore di lui che respirava a pieni polmoni. Sentiva i suoi capelli solleticargli
il viso e provò a scacciarlo, ma come prima, il ragazzo la tratteneva senza
sforzo.
Una
esplosione ancora più violenta la bloccò sul posto, sentì i vetri andare il
frantumi e il ruggito delle fiamme diventare più forte.
Il
ragazzo si irrigidì sopra di lei ed inspirò bruscamente. Louisa stava per
chiedergli cosa non andasse, poi sentì un dolore lancinante alla gamba
diventare sempre più profondo. Le scavava l’arto fino ad arrivare alle ossa, di
nuovo, le luci le danzarono davanti agli occhi prima che lei perdesse
definitivamente i sensi.
Louisa
sentiva delle voci arrivare alle sue orecchie e pensò, per un secondo, di
essere ancora a casa e che il suo fosse stato solo un sogno.
-
La casa è saltata completamente? – chiese una voce sconosciuta, mentre Louisa
riemergeva dalle nere profondità in cui era caduta e riprendeva conoscenza con
il suo corpo.
-
Bruciata fino alle fondamenta. Non c’è rimasto nulla, solo qualche trave
annerita e qualche masso. – l’altra voce che parlò la riconobbe, anche se a fatica.
Era quella dello strano ragazzo che era entrato con lei in casa di Fen.
-
Nulla? – domandò la prima voce.
-
Nulla – confermò il secondo – È saltato anche il serbatoio del gasolio, facendo
un gran bel botto, ma scommetto che Fen lo sapeva e ora è da qualche parte che
si sbellica dalle risate..
-
È sempre stato strano..
-
È sempre stato matto vorrai dire, ha riempito la casa di trappole meccaniche e
a pressione. Era un po’ paranoico. – la ragazza li sentì ridere e poi lei ricompose
nella sua mente gli eventi che erano accaduti.
L’uomo
di legno, la trappola attivata, il ragazzo che l’afferrava e si lanciava con
lei fuori dalla finestra, l’esplosione. Tutto sembrava un intricato puzzle
nella sua testa, il cui unico pezzo centrare era composto dagli occhi di quel
ragazzo.
-
Come starà lei? – chiese il ragazzo che conosceva con tono freddo e distaccato.
-
Jason ti preoccupi un po’ troppo. A parte qualche ammaccatura e quella
bruciatura sulla gamba, non si è fatta troppo male. Tu, invece sei preso
decisamente peggio. Le hai fatto scudo con il tuo corpo.
Al
ragazzo chiamato Jason scappò un gemito di dolore e qualche imprecazione – Fai
più piano, Will.
Louisa
sentì l’altro tizio ridacchiare – Io faccio piano, ma hai delle schegge di legno
e di vetro piantate nella schiena e nelle natiche.
Anche
Jason scoppiò a ridere – Scommetto che ti crea qualche problema dovermi
estrarre quelle dalle natiche.
-
Se vuoi chiamo mia sorella Sophie. – disse Will con voce falsamente dolce e
accomodante.
-
Ti prego, risparmiami. Sophie è molto meno delicata di te, potrebbe fare
seriamente dei danni ad un malato sofferente come me. – Louisa sentì qualcosa
che assomigliava ad un schiaffetto sordo seguito da un “ahi”.
-
È mia sorella, trattala bene. – ribeccò Will
-
E vuoi lasciarle l’onore di vedere le mie natiche? Sei uno strano fratello..
-
No, voglio lasciarle l’onore di torturarti. Ma cambiamo discorso, la ragazza. Sai
cosa voleva?
-
Cercava Fen. – disse ispirando rumorosamente.
-
Fen? E cosa voleva da lui? – domandò Will facendosi improvvisamente attento.
-
Se lo sapessi, lei ora non sarebbe qui, – disse Jason con un tono scuro nella
voce – Ma possiamo chiederglielo direttamente. Puoi anche aprire gli occhi
Louisa, non sai fingere di dormire. –
Louisa
aprì bruscamente gli occhi, e sperò, che il rossore che sentiva sul viso, fosse
dato dal calore della stanza e non dall’imbarazzo per aver origliato la
conversazione. Il ragazzo moro, di cui ora sapeva il nome era steso a pancia in
giù, a meno di un metro da lei, su un tavolino di metallo e a parte i calzini,
era praticamente nudo.
Louisa
spostò rapidamente lo sguardo da un'altra parte concentrandosi sui mobiletti
bassi della stanza. Erano uniformi, di un giallo spento illuminati dalla luce
fredda del neon. Individuò un lavandino in un angolo e parecchi flaconi di colore
diverso messi un po’ dappertutto. E su tutto aleggiava l’odore di disinfettante.
Il
viso dell’altro ragazzo riempì il suo campo visivo. Era biondo con gli occhi
grigi scuro e i capelli leggermente arruffati – Come stai? – chiese con voce
preoccupata – Senti dolore da qualche parte?
Louisa
provò a scuotere la testa, ma le venne un capogiro ed emise un gemito infastidito
– Hai preso una bella botta, – continuò lui – È normale che tu sia stordita. –
-
Sto bene, grazie. - disse lei, cercando di non dargli troppa confidenza – Mi
gira la testa tutto qui. – Will annuì e le prese il polso, controllando il
battito cardiaco, Louisa pregò che non si accorgesse di quanto fosse veloce.
-
Will! Qui c’è uno malato seriamente! Ho ancora diverse schegge in corpo! – la
voce squillante di Jason fece scoppiare la piccola bolla in cui, per alcuni
secondi, si erano ritrovati isolati Louisa e Will.
Il
ragazzo biondo tornò allegramente da Jason – Ti comporti come un bambino, – disse con un
sorriso caldo – Lei è nostra ospite.
-
Tua ospite. – lo corresse Jason – La
mia casa è bruciata poche ore fa. – chiuse gli occhi e appoggiò il mento sulle
braccia muscolose, lasciando che Will gli estraesse le ultime schegge dal corpo,
mormorando tra i denti qualcosa a ogni scheggia estratta.
Louisa
impiegò qualche secondo per mettere insieme le ultime parole che aveva sentito,
cercandoci un senso logico – La tua casa? Non era quella di Yang Fen? Sei suo
figlio? –
Jason
aprì di nuovo gli occhi puntandoli su di lei come dei fanali – Ti sembro
cinese? –
-
No.
-
Allora non sono suo figlio. – disse tagliando corto.
-
Smettila di essere così cattivo, Jason.
– disse Will che continuava a lavorare con un sorriso tranquillo – È confusa,
le hai fatto fare un volo dalla finestra del secondo piano. Jason è il figlio
adottivo di Fen. – spiegò Will – Ecco perché ha le chiavi di casa.
-
E perché sa muoversi lì dentro. – aggiunse Louisa meditabonda, ricordando come
Jason le avesse detto di mettere i piedi dove li metteva lui.
-
Casa che tu hai fatto saltare come un petardo. – sottolineò Jason vagamente
irritato.
Louisa
inspirò bruscamente – Mi dispiace, – disse tutto d’un fiato – Ma io devo
trovare Fen, lui ha una cosa che mi serve. – si mosse avanti indietro sul
posto, con ansia crescente.
-
Puoi anche rilassati e smettere di comportarti da invasata. – disse Jason tornando
a chiudere gli occhi – Tutto quello che possedeva Fen è bruciato con la casa. –
Louisa
gli scoccò un’occhiataccia – E lui dov’è? Hai detto che sei il custode della
casa, ma in realtà sei suo figlio adottivo. Mi hai mentito. Quindi, dov’è Fen?
– era profondamente irritata da quel ragazzo, ma non ne capiva il motivo, forse
era il suo modo di fare saccente che la urtava.
-
Non ti ho mentito. Io ne sono il custode, perché la casa è mia come figlio adottivo, ma Fen è realmente
andato. –
-
Andato dove?
Jason
alzò gli occhi al cielo, con uno sguardo eloquente e lei seguì la direzione dei
suoi occhi verso il soffitto, poi sbiancò – Morto? –
Jason
sorrise triste – Poi sono io quello con una delicatezza da elefante, vero Will?
– disse rivolgendosi all’amico - Si, signorina è morto tre anni fa. – Jason
allungò la mano verso il collo di Louisa e le tirò fuori dal colletto della
camicia la catenina d’oro a cui era appeso un anello dello stesso metallo con
una gemma azzurro chiaro incastonato al centro – E scommetto che sei qui per il
gemello di questo. – Louisa gli allontanò la mano di scatto e si nascose la
l’anello sotto la camicetta azzurra – Non sono affari tuoi! ma se sai dov’è
l’anello..
-
Sei coinvolta in quella setta di vecchi pazzi? – chiese Jason a brucia pelo
-
Ti sembro vecchia?
-
Mi sembri pazza. – concluse lui
Will
mise via la pinza, le garze, ago e filo e prese il rotolo di cotone germanico –
Fatto! Estratte tutte, mettiti seduto così ti faccio la fasciatura. – disse
soddisfatto.
-
Grazie – Jason si mise a sedere di scatto, facendo arrossire Louisa fino al
collo, che si voltò a fissare ostinatamente il muro – Sei nudo! – urlò scandalizzata
alla parete.
Will
rise, mentre Jason le metteva una mano sulla spalla richiamandola – Guarda che
siamo in Scozia. Andiamo in giro in Kilt.
-
Cosa centra il Kilt con l’essere nudi? – domandò Louisa con la fronte
corrucciata, rifiutando di voltarsi finché Will non le disse che Jason si era
completamente rivestito.
Non
sapeva perché, ma si fidava più di Will e delle sue parole rassicuranti,
piuttosto che di Jason che le aveva salvato la vita.
Louisa
tornò ostinatamente all’argomento che le premeva – Sai dov’è l’anello di Fen? – chiese a Jason
ancora una volta.
-
Sei noiosa, lo sai? “Devo trovare Fen”, “devo entrare in quella casa”, “devo
avere il suo anello”. Fatti una vita per favore.
-
Ma..
-
In qualsiasi cosa in cui tu sia coinvolta, Fen non ne voleva fare parte e io
nemmeno; quindi puoi anche andartene. – disse Jason tagliando corto il
discorso.
Senza
attendere una risposta scese dal tavolo e uscì dalla stanza, zoppicando
leggermente.
“Dio,
non avrei mai creduto che
il nostro incontro
potesse cambiare
radicalmente le sorti della Guerra”
NAD:
premettendo che le mie note d’autore non sono mai serie, mi accingo a dare un
po’ di spiegazioni. Allora: la frase d’apertura è tratta dalla Bibbia e
possiamo dire che è una specie di “profezia” (anche se non era così in
Tessalonicesi) su quello che accadrà ai protagonisti. Poi, più avanti troverete
dei nomi conosciuti, sia per i Sigilli, che per di Decaduti che per i Grigori,
sono tutti presi dalla Bibbia e da Wikipedia, a parte forse Ismael che ho preso
da un libro.
Le
ultime frasi che troverete in fondo ad ogni capitolo sono una specie di
preghiera che fanno i protagonisti.
Poi
vorrei subito ringraziare Madamoiselle Nina che ha deciso di tradurmi i titoli
in latino e Thalia_Socia_Grace e Valerie Carstairs per essersi innamorate di Jason e Will al
primo colpo e di leggere, insieme a Nina, tutti i miei appunti incasinati.
Per
quanto riguarda la velocità di aggiornamento è un bel mistero, primo perché ho
altre due long da gestire, secondo perché gli esami e il tirocinio in ospedale
mi porteranno via un bel po’ di tempo ed energie, ma dovrebbe essere ogni 2-3
settimane.
Grazie
a chiunque legga.
Khyhan