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Autore: kenjina    09/04/2012    7 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buona Pasquetta a tutti!

Dopo un'indigestione di cioccolata nonostante i miei 23 anni suonati, torno a fare la persona seria (?!) regalandovi un altro macigno capitolo.

Prima di iniziare vorrei ringraziare dal cuore ancora una volta i pochi affezionati che seguono questa cosa. Grazie, davvero, mi riempite di gggioia.

Buona lettura!

 

Betulla

04.

29 Febbraio 3019 T. E.

 

Quando Boromir aprì occhi e mise a fuoco la vista, si rese conto con un certo fastidio che le prime luci dell'alba stessero colorando il cielo di sfumature rosa e arancioni. Eppure non era che mezzanotte passata quando aveva deciso di appisolarsi un poco. Aveva dormito sei ore e Brethil non lo aveva svegliato?

Si mise a sedere, cercando la donna, ma non la trovò. Nerian brucava l'erba poco più avanti e si rilassò; non poteva essere andata molto lontano senza il suo cavallo.

«Ben svegliato.»

Boromir corrugò la fronte, udendo la sua voce. Veniva sopra la sua testa. Si mosse fuori dalla piccola rientranza dove aveva riposato e allora la vide. Era in piedi, con le mani sui fianchi e lo sguardo fisso verso Ovest. Sembrava assorta in chissà quali pensieri, lontana migliaia di leghe da lì. Ma Boromir, per una volta, non si preoccupò di destarla dalla sua mente, e anzi parlò con irritazione. «Ci siamo fermati molto più di quanto avevo previsto.»

«Lo so.» disse lei, con semplicità disarmante. «Dormivi così profondamente che non ho avuto cuore di svegliarti.»

«Tre ore in più di sonno non mi aiuteranno certo a raggiungere più velocemente Aragorn!»

«Oh, lo faranno, invece.» Brethil finalmente lo guardò. «Ti senti più in forze di ieri?»

Boromir sospirò pesantemente, capendo dove volesse andare a finire con il suo ragionamento. Se fosse stato più riposato, non avrebbe avuto bisogno di più pause durante il viaggio. «Lo potrò dire solo dopo aver fatto colazione.»

Lei tornò a scrutare le ombre della lontana Fangorn e fu allora che l'Uomo seguì il suo sguardo, ma non vide molto.

«Cosa c'è?»

«Non ne sono sicura, poiché non ho la vista di un Elfo. Ma si muove qualcosa.» Brethil acuì lo sguardo e, seppur debole, una colonna di fumo, giovane di qualche ora, si disperdeva nell'aria, a meno di 80 miglia dai loro occhi. Boromir immaginò che le forze di Saruman avessero messo a ferro e fuoco qualche villaggio nei pressi della foresta, ma Brethil scosse il capo.

«Non ci sono villaggi verso Fangorn. Nessuno osa avvicinarsi più del necessario alla casa del Pastore degli Alberi.» Colse subito l'occhiata di perplessità dell'Uomo, e aggiunse: «Fangorn non è solo il nome della foresta. Egli è la foresta. Un Ent

«Un Ent! Stai dicendo che quelle che circolano non sono solo invenzioni di racconti lontani, che narrano di alberi che camminano?»

«No, non lo sono. Gli alberi sono più vivi di quanto tu non creda, Boromir di Gondor.» gli disse, bonariamente. «E sanno essere molto pericolosi, se destati.»

Lui sospirò, impressionato. «Sono veramente tempi strani, questi che viviamo. Mi sembrano trascorse ere da quando ridevo delle storielle elfiche che Faramir mi raccontava, nei nostri pomeriggi di svago. Ho sempre creduto alle cose tangibili, a quelle che posso vedere e toccare. E ora mi ritrovo io stesso dentro uno di questi racconti elfici.»

«E la cosa ti turba?»

«Tutto ciò che non posso combattere con la spada mi turba, Brethil. Ma dopo aver vissuto per qualche tempo tra gli Elfi, dopo aver visto la morte sotto le sembianze di un Balrog e dopo averla scampata per la tua venuta provvidenziale, no. Nulla mi stupisce più.»

Brethil gli sorrise, ma l'espressione serena durò poco. «Se quello è davvero fumo e se conosco le usanze dei Rohirrim, si tratta del risultato di una battaglia. Sono soliti dare fuoco alle carcasse dei nemici, per poi spargere le loro ceneri al vento. Possiamo raggiungere la foresta entro domani mattina, per esserne sicuri; le tracce degli Orchi portano verso quella direzione, ma non sappiamo se devino più avanti. Se così fosse il falò - se di un falò si tratta - non sarebbe più una nostra preoccupazione.»

Boromir rimase in silenzio, con il cuore fattosi improvvisamente pesante. Se la donna diceva il vero, allora per i piccoletti c'era poca speranza. Come avrebbero potuto evitare un combattimento con i Signori dei Cavalli? Probabilmente avevano mani e piedi legati per non fuggire, e, scambiati per due Orchi più mingherlini e pallidi, li avevano uccisi e bruciati con il resto delle carcasse. Aveva rischiato di morire per difenderli, e ora tutto gli parve vano.

«Boromir.» Brethil era scesa dal suo piccolo avamposto ed era d'innanzi a lui, preoccupata. «Non sappiamo niente di ciò che è successo. Non sappiamo neanche se la mia supposizione sia veritiera. Non farti assalire dai dubbi prima ancora di vedere la realtà con i tuoi occhi.»

L'Uomo sospirò. «Sì, hai ragione. Facciamo colazione e partiamo prima possibile, però. Non mi piace che abbia dormito così tanto.»

«Non sentirti in colpa anche per questo, ora.» fece la Dùnadan. «Hai bisogno di riposare, tu più di me. O vuoi che la febbre ti inchiodi nuovamente a terra? Inoltre, prima di rimetterci in viaggio voglio controllare le ferite. E non accetto rifiuti.»

Boromir dovette arrendersi davanti alla sua ostinatezza, anche se avrebbe preferito prenderla di peso, caricarla su Nerian e partire al galoppo verso quel fumo. E lo avrebbe fatto, se non fosse stato per la gratitudine che le doveva, sia per avergli salvato la vita e che per avergli tenuto compagnia, quei giorni. Non amava prendere ordini se non da suo padre, e avere al proprio fianco una donna che gli teneva testa lo disorientava e l'irritava; eppure non riusciva ad essere troppo duro nei suoi confronti. Se aveva accettato il fatto di essere vivo e di aver più di un motivo per continuare a calpestare la terra di Arda, era solo grazie alla forza che lei, con le sue parole, gli aveva infuso. Ma la donna avrebbe fatto bene a non mettere a dura prova la sua pazienza, poiché essa aveva un limite e non era rinomato per essere infinito.

Mangiarono la carne di cervo avanzata dal giorno prima e Boromir rimase stupito nel constatare che non fosse né troppo dura né aveva perso il suo sapore; quelle foglie che la proteggevano erano sorprendenti. Ricordava quelle date dagli Elfi di Lothlórien per conservare il lembas: quei biscotti rimanevano croccanti e saporiti nonostante fossero trascorse settimane dalla loro cottura.

«Hai sentito ancora le voci, questa notte?» gli chiese Brethil, destandolo dai suoi ricordi.

Il volto dell'Uomo venne attraversato da un'ombra di angoscia. «Sì, le ho udite ancora. Ma parevano un poco più lontane, questa volta.»

«È già un primo passo.»

Boromir annuì, ma non aggiunse altro. Le aveva sentite ancora sì, ma non erano le voci dei suoi amici che lo incolpavano per il suo gesto. No, era stato un sogno peggiore. Aveva sentito nuovamente quella voce, e si era mostrato ripercorrendo quegli attimi di perdizione, quando aveva quasi sfiorato l'Anello appeso al collo di Frodo; quella voce distorta, possente che lo chiamava, che lo turbava.

Boromir...

La sentiva ancora, frusciare e sibilare come un serpente nelle sue orecchie. Ogni singola e velenosa parola che gli sussurrava era la risposta che usciva dalle sue labbra, con cattiveria, con ostilità. E non poteva fare niente per impedirglielo.

Tu non sei un ladro... tu hai bisogno di Lui.

Sì, ne aveva bisogno. Non era un ladro, né un predone.

Prendilo, Boromir figlio della Torre Bianca. Prendilo!

Ne aveva bisogno per la salvezza di tutti. L'arma del nemico a portata di mano... doveva solo stendere il braccio e sarebbe stato suo. Denethor, suo padre, sarebbe stato fiero di lui, e così anche il suo popolo!

Il Mezzuomo indietreggia. Vi tradirà tutti. Per colpa della sua follia porterà la rovina a Gondor. È suo per un malaugurato caso. Avrebbe potuto essere tuo, Boromir. Doveva essere tu! Prendilo!

Boromir...

Allunga la mano, per la salvezza della tua amata terra! Afferralo, strappaglielo e indossalo! Uccidi il Mezzuomo se osa porsi tra la salvezza della tua città e te! Sei più forte di lui! Uccidi il Mezzuomo e afferra l'Anello!

E fu quello il momento di debolezza totale, quando le voci si erano fatte più forti e i sussurri erano diventati grida che invocavano il suo nome.

«Boromir!»

L'Uomo sgranò gli occhi, rendendosi conto di essere un completo fascio di nervi. E lo sguardo di apprensione e paura che vide nella donna lo fece vergognare di se stesso. Si mise le mani tra i capelli, disperato. «La sento ancora, Brethil. Sento ancora quell'odiosa voce e so che non mi abbandonerà mai. Sento ancora il richiamo dell'Anello.»

La Dùnadan gli si inginocchiò accanto, costringendolo a guardarla negli occhi. Aveva visto lo sguardo di un pazzo solo qualche istante prima e aveva temuto che l'Ombra lo prendesse nuovamente. Ma non poteva tollerare che si rovinasse con le sue stesse mani. «Non permettergli di sopraffarti, Boromir. Ricorda quello che ti dissi: sei un Uomo buono e forte. E non parlo solo della prestanza fisica. La tua forza sta anche nella tua debolezza. Altri, al tuo posto, avrebbero ceduto alle tentazioni molto prima, tanti non sarebbero andati avanti dopo la tua caduta. E sai amare, lo vedo giorno dopo giorno. Lo vedo quando parli di tuo fratello, o di tuo padre; lo vedo quando i tuoi pensieri volano agli Hobbit, perché immagino quale amicizia vi lega. E lo vedo quando difendi la tua città e il tuo popolo, nonostante le centinaia di leghe che vi separano. L'Anello non è mai stato una soluzione, lo sai bene. Non permettergli di sporcare la tua anima, Boromir.»

«Vorrei poterci riuscire.» Sospirò, scuotendo il capo. «Ahimè, non sono forte come tu credi e come pensavo di essere, prima di giungere a Gran Burrone e caricarmi questo peso sulle spalle. Partii al posto di Faramir per proteggerlo dai mille pericoli che lo avrebbero atteso, convinto di poter tener testa a qualsiasi situazione; ma se fosse stato lui a prendere parte alla Compagnia, allora questa forse sarebbe ancora unita. Partii per proteggerlo, ma non pensai come avrei fatto a proteggermi da me stesso.»

Brethil rimase in silenzio, spostando le mani da quel viso segnato dalla stanchezza e dalle preoccupazioni, per prendere le sue mani e stringergliele con forza. Poi sorrise. «Puoi ancora salvarti, Boromir. Sei ancora in tempo e sulla buona strada.»

E lui non poté far altro che crederle. C'era così tanta passione e sincerità in quello che gli diceva, da farlo capitolare. E in quei pochi istanti riusciva a placare l'oscurità e fargli nascere il germoglio della speranza, in fondo a quell'abisso in cui rischiava di precipitare.

«Aragorn e il suo amico devono essere stati ciechi per allontanarti dai loro cuori, Brethil figlia di Aeglos.» le disse, con un lieve sorriso. Ma lei ricambiò senza felicità. E si rese conto di aver detto un'idiozia. «Perdonami, non volevo rattristarti.»

«Nessun problema, Boromir. Ma non li biasimo per come hanno reagito, e anche tu, se mi avessi conosciuta come loro, mi avresti allontanata e ripudiata. Però, ti ringrazio per le tue parole.»

«Sono io che devo ringraziarti per le tue, non viceversa. Sarei davvero perduto senza il tuo sostegno.»

Quella volta Brethil sorrise sinceramente. Dopo mesi, sapere che qualcuno potesse star bene grazie alla sua presenza la faceva sentir in pace con se stessa.

«Odio la notte, odio i silenzi, perché mi portano a rimuginare sul passato e sul futuro, e non mi permettono di concentrarmi sul presente. Io che desidero parlare per riempire i vuoti che mi angosciano, ah! Se fossi stata tu ad incontrarmi qualche anno fa, stenteresti a riconoscermi.»

«Certe esperienze ti segnano per tutta la vita, questo lo sai. Ma non sempre i cambiamenti sono malvagi, né la tua indole viene cancellata in via definitiva. Ci sarà sempre parte del vecchio uomo che eri.»

Boromir sospirò. «Non so se sia una buona cosa o meno.»

«Lo capirai con il tempo.»

Finirono di fare colazione, e parlarono di Rohan e delle sue terre, poiché Boromir le aveva detto chiaramente di non voler rimanere troppo a lungo in silenzio; e gli raccontò di tutti i posti che aveva visitato, dal reame di Re Thranduil fino alla Contea, che era la terra che più le era rimasta nel cuore; eppure le colline dei figli di Eorl erano selvagge e fresche, e le adorava.

«Mi piacerebbe visitare la Contea, un giorno. Pipino e Merry sarebbero due grandi guide.» disse Boromir, e il suo volto si distese pensando ai piccoletti. «Credo che la prima cosa che farebbero sarebbe costringermi a provare l'erba pipa del Decumano Sud, ancorché io non fumo!»

«Ah, la Foglia di Pianilungone! Qualsiasi Hobbit che si rispetti ne ha una scorta, nella dispensa, insieme a qualche barile di birra.»

Boromir rise. «È incredibile quanto quei due piccoletti mi manchino. Sono piccoli di aspetto, eppure riuscirebbero a rallegrare anche le giornate più difficili con la sola presenza.» L'Uomo sospirò. «Vorrei che li conoscessi, saprebbero farti ridere più di me. Non sono mai stato di compagnia.»

«Sarò ben felice di incontrarli. E sono sicura che anche tu, presto, tornerai a sorridere, con loro nei paraggi.»

Boromir annuì, come se credesse veramente di rivederli vivi, dopo tutto quello che stavano passando. Acconsentì alla visita veloce della donna alle ferite, ormai in via di cicatrizzazione, e l'occhiata eloquente che le riservò le fece capire che da quel momento in poi non avrebbe potuto fermare un suo passo neanche puntandogli una spada alla gola.

«Ho fatto una promessa, Boromir.»

«Hai promesso di curarmi, non di farmi da balia. Non ne ho bisogno, Brethil.»

La donna sospirò. «Come desideri, mio signore

Boromir corrugò la fronte dal disappunto nel vedere il suo inchino, ma non rispose alla provocazione. La cosa che più gli premeva, ora, era salire sul cavallo e volare verso Fangorn. L'incapacità di sapere cosa stesse accadendo e come stessero i suoi amici era come camminare sui carboni ardenti, doloroso e umiliante. Si misero in viaggio cinque minuti dopo aver cancellato le tracce del loro transito, e da quel momento in poi entrambi si concentrarono sulla loro pista. C'erano punti in cui il passaggio degli Orchi era più evidente, poiché l'erba era piegata e calpestata a più riprese; altri in cui fu difficile capire dove fossero andati, perché il terreno era più roccioso. Brethil dovette scendere più volte da Nerian per controllare l'integrità della pietra e poter così proseguire verso una direzione piuttosto che un'altra.

Cavalcarono spediti per il resto della mattinata e quando si fermarono per il pranzo, a mezzodì passato, la colonna di fumo si era fatta più nitida ai loro occhi. E le tracce degli Orchi portavano proprio verso quella collina. Nel pomeriggio Brethil scoprì altre tracce, estranee a quelle del nemico, e numerose come essi: cavalli. Un esercito di duecento uomini o più era comparso d'un tratto dietro i rapitori, coprendo il loro passaggio.

«I Rohirrim devono averli intercettati.»

«Dunque avevi ragione.» sussurrò Boromir, osservando il fumo, ancora lontano ma perfettamente visibile. «Sono stati uccisi.»

«Gli Orchi sì, è probabile. Continuiamo a viaggiare, magari scopriremo qualcosa in più.»

E così fecero per tutto il pomeriggio. Parecchie volte interruppero il cammino, gli occhi fissi sul terreno per trovare segni che potessero far capire loro che gli Hobbit fossero vivi, ma non trovarono niente.

Fu quando Brethil si chinò sul terreno, ascoltando le vibrazioni che esso le restituiva, che qualcosa cambiò. «Sento il rumore di centinaia di zoccoli che si spostano. Sono lontani, ma sembra che si avvicinino.» Si alzò, controllando le colline, ma erano in un'ansa e la visibilità non era delle migliori. «Saliamo un poco, così da individuarli, se dovessero essere nei dintorni.»

Quando raggiunsero la sommità della collina più vicina, entrambi videro uno sciame di cavalli che si spostava velocemente e all'unisono. Provenivano dalla foresta ed erano ancora molto distanti, ma erano rapidi.

«Sarebbe un bene che l'intercettassimo e li raggiungessimo. Se anche dovessimo giungere al falò, sarebbe al calare delle ombre e non riusciremo a scorgere poi molto; dovremmo quindi attendere la luce del giorno dopo, il che significherebbe perdere ulteriore tempo, e non possiamo permettercelo.» disse Brethil. «Ma sono lontani e il sole sta calando. Dovremo comunque attendere che la notte passi, perché anche loro si fermeranno per riposare. Soprattutto se sono reduci da una battaglia.»

«Aspetta, guarda.» C'era eccitazione nella voce di Boromir, e Brethil non trovò subito l'oggetto di tanto entusiasmo. Poi li vide. Tre punti, un po' distanziati gli uni dagli altri, che correvano tra i dolci pendii di Rohan. «Sono loro! Aragorn, Legolas e Gimli!»

Una strana fitta di disagio colpì Brethil, ma fortunatamente Boromir non diede segno di essersene accorto, troppo felice per badare a lei.

«Possiamo raggiungerli in poco tempo, sono a piedi e sicuramente stanchi.» disse l'Uomo.

Brethil trattenne a stento un sospiro. «Bene. Nerian, mostraci ora la prova che sei discendente dei Mearas, corri!» esclamò la donna al cavallo, che partì al galoppo appena lei finì di parlare, quasi che comprendesse l'urgenza nella sua voce. I tre inseguitori erano a meno di tre miglia di distanza e li raggiunsero velocemente.

Fu Legolas il primo ad accorgersi di loro. Si fermò in bilico su una sporgenza rocciosa e riconobbe subito gli stemmi di Rohan. «Un cavallo con due Cavalieri si avvicina verso di noi, Aragorn.»

Il Ramingo fermò la sua corsa e osservò quella sagoma diventare sempre più nitida e vicina. Sgranò gli occhi quando li riconobbe. «Boromir!»

Il sollievo nella sua voce fu udibile a tutti e, appena il Capitano della Torre Bianca smontò da cavallo, i due si riabbracciarono come due vecchi amici che non si vedevano da tempo immemore, o come chi non aveva la certezza di rivedersi.

«Questo è sicuramente uno dei giorni più lieti della mia vita!» disse Aragorn. «Ti lasciai morente non sapendo se ti avrei più rivisto, e ora ti ritrovo in forze sulle tue gambe! Ben ritrovato, amico mio.»

«In forze è una gran bella parola, ma sto meglio. E non sarei vivo se non fosse stato per quella donna.» rispose l'altro, guardando Brethil, ancora su Nerian.

Aragorn la osservò e gli parve paralizzata sul cavallo, lo sguardo fisso in un punto imprecisato del terreno; eppure quelle spalle ritte e fiere tradivano il suo comportamento intimidito. Non sembrava cambiata poi tanto, se non fosse stato per quei graffi che le deturpavano il viso. Le si avvicinò, con una mano sul cuore. «Ti ringrazio per averlo salvato. È una delle persone più care che ho.»

Brethil scosse il capo. «Ho eseguito un tuo ordine, nient'altro.»

Rimasero ad osservarsi per interminabili secondi, senza saper bene cosa fare o cosa dire. Aragorn sentiva ancora bruciante la rabbia e la tristezza che quella donna gli aveva causato, eppure qualcosa nel suo cuore gli diceva di non lasciarsi accecare dall'astio. Era difficile, tremendamente difficile perdonare ciò che aveva fatto, e non era sicuro che ci sarebbe mai riuscito. Ma Brethil aveva salvato la vita di Boromir quando lui non poteva farlo, e doveva esserle grato.

L'Uomo di Gondor, intanto, salutò Legolas e Gimli, che lo benedì per la forza e l'immensa fortuna che aveva avuto, e domandò subito se avessero notizie dei piccoletti.

«Probabilmente sono ancora vivi.» disse Legolas, rassicurandolo. «Trovammo una spilla di Lórien due giorni fa. Uno dei due Hobbit deve averla fatta cadere, affinché la trovassimo. Non credo succederà niente di male, finché non raggiungeranno Isengard.»

Boromir annuì, passandosi una mano sul mento. «È ovvio, Saruman crede che uno dei due abbia l'Anello, li vuole vivi.» Poi sospirò. «Ma ahimè, temo che le nostre speranze si affievoliscano. Non avete scorto il falò?»

Gimli lanciò un'occhiata perplessa a Legolas. «Di che falò stai parlando? L'Elfo ha per caso perso la vista?»

«Brethil lo scorse in un punto alto, alle prime luci del giorno. Probabilmente voi eravate in fondo alla valle e con il capo chino sul terreno.» rispose Boromir. «Dalla nostra posizione, ora, non è visibile; e anzi, forse il fumo è anche diminuito.»

«Di cosa pensi si tratti?» chiese Legolas.

«Carcasse di Orchi, forse. Brethil, che conosce le usanze dei Rohirrim, mi ha spiegato che bruciano i corpi dei nemici, una volta sconfitti.»

«Stai dicendo che stiamo inseguendo quegli Orchi per tornare a casa con due cadaveri carbonizzati?» esclamò il Nano, sbarrando gli occhi.

«Non parlare così!» fece Aragorn, avvicinandosi. Mise una mano sulla spalla dell'amico. «Non perderemo le speranze proprio ora che siamo vicini ai nostri amici. Hanno bisogno del nostro aiuto, non del nostro elogio funebre.»

«Io vado avanti.» fece Brethil, non sopportando più di stare in presenza di Aragorn, senza che lui la guardasse con risentimento.

Il Ramingò capì cosa le stesse passando per la testa, e annuì con un cenno del capo. Anche lui trovava assurdo e imbarazzante quella strana rimpatriata, e aveva bisogno di più tempo per accettare quella situazione.

Boromir le si avvicinò, una mano sulle redini di Nerian. «E io verrò con te.» Il suo tono, così come lo sguardo penetrante che le riservò, non ammettevano repliche. «Lo hai detto tu, meno camminerò e prima mi riprenderò.»

La donna avrebbe voluto ribattere che lui stesso, quell'identica mattina, aveva fatto intendere chiaramente che avesse recuperato le forze, nonostante lei non fosse convinta, ma non replicò. Spostò un piede dalla staffa e Boromir salì in groppa al cavallo, stringendo le mani alla sella per un improvviso capogiro.

«Ci ritroviamo dopo il tramonto, Aragorn. Non sciuparti troppo.» gli disse l'Uomo, facendolo sorridere.

Brethil partì al trotto, tornando a respirare. Non voleva neanche immaginare quali pensieri avessero affollato la mente del Ramingo in quei pochi minuti, né cosa avrebbe detto ora che si stava allontanando. Far finta che non le importasse era difficile, se non impossibile. E Boromir si accorse del caos che aveva in testa, perché fu costretto a scuoterla un poco affinché lo ascoltasse.

«Brethil.»

Lei si ridestò. «Perché non sei rimasto con lui?»

«Perché pensavo di farti un favore. Mi sembri scossa.»

«E se avessi preferito solitudine?»

 Boromir rimase interdetto. Pensava che le avrebbe fatto piacere un po' di compagnia dopo quell'incontro; pensava che lui potesse essere la spalla migliore, oltre che unica, affinché potesse sfogare tutti i suoi dispiaceri e le sue paure, proprio come lui aveva fatto in quei giorni. E la consapevolezza di non avere alcuna speranza di esserle amico lo ferì più di quanto si fosse aspettato. «Puoi fermare il cavallo e farmi scendere, se non ti aggrada la mia presenza.» Neanche si accorse del tono gelido con cui aveva parlato.

 Brethil sospirò, portando una mano dietro la schiena, per cercare quella dell'Uomo. «Perdonami, non volevo essere sgradevole.»

L'ombra di un sorriso apparve sulle labbra di lui e strinse quella mano più piccola della sua. «Lo capisco se desideri stare sola. Devi solo dirmelo.»

«No, Boromir, va bene così. Sono contenta che ci sia tu, ora. Ho trascorso troppo tempo isolata da tutti.»

Proseguirono il viaggio in silenzio, senza sentire il bisogno di parlare. Per Brethil la presenza di Boromir era rassicurante, ed era sollevata dal fatto di aver trovato un amico in lui - o qualcosa del genere. Era sempre stata restia ad affezionarsi a qualcuno in così poco tempo, ma quell'Uomo la capiva, perché entrambi avevano sofferto per la perdita di amici fidati, anche se in modi diversi, e non l'aveva condannata per le sue azioni. Aveva messo la propria vita nelle sue mani, e con essa anche parte della sua anima. Non poteva pensare ad un gesto più forte e coraggioso di quello.

«Come ti è sembrato?» chiese, in un sussurro, temendo il suono di quella domanda, ma ancor più quello della risposta.

Boromir non esitò a replicare. «Sollevato. È evidente che non immaginava di rivederci così presto e vivi.»

«Allora era sollevato per te. Non ero io quella con il corpo puntellato di frecce, Boromir.»

L'uomo non parlò, ripensando al suo amico. Aveva imparato a leggere il suo viso e ormai conosceva ogni piccola espressione che gli attraversava gli occhi. E quella volta aveva visto felicità e malinconia. Non rabbia, né odio. Lo aveva stretto tra le braccia con impeto e gioia e sapeva che avrebbe fatto altrettanto anche con la donna, se avesse potuto.

«Ti vuole bene, Brethil.» le disse, con sincerità. «Arriverà il momento che entrambi temete, ma ti capirà e ti perdonerà, se solo tu glielo permetterai.»

La Dùnadan rimuginò in silenzio, sollevando lo sguardo al cielo, ormai più scuro, mentre il sole calava all'orizzonte. Arrestò il cavallo e smontò, per osservare il terreno con finto interesse. «Non posso farlo, ora. Non ci riesco.»

«Invece puoi.» ribatté l'Uomo, smontando ma rimanendo accanto al cavallo per avere un sostegno. «Devi solo trovare il coraggio.»

«Boromir, tu non sei scappato per un anno come un codardo!» esclamò Brethil, con gli occhi lucidi. «Semplicemente non me la sento.»

L'Uomo colse qualcosa che lei non gli stava dicendo e strinse i pugni, in un gesto di contrarietà fin troppo evidente. «Te ne andrai ancora.» fece, duramente. «Scapperai di nuovo.»

C'era risentimento in quelle parole, così forte che lei ne fu addolorata. Annuì e chinò il capo quando lui le diede le spalle. «Non posso fare altrimenti.»

«No, tu non vuoi, è diverso. Sei stata tu a dirmi che non ci si deve nascondere, che bisogna continuare a vivere e trovare la forza per riparare i propri errori. Erano per caso tutte false parole, le tue?»

«No, Boromir. Non ti ho mai mentito. Sono solo brava a consigliare e ad analizzare i problemi altrui, ma non riesco a gestire i miei.»

Lui si voltò nuovamente, quasi di slancio, e l'afferrò per le spalle. «E allora dammi la possibilità di aiutarti, di ricambiare ciò che hai fatto per me. Possiamo superare i nostri ostacoli insieme, se ognuno supporta l'altro. Non siamo forse amici?» Le asciugò le lacrime con le mani guantate e tentò di sorridere. «Ho bisogno di te, Brethil, alla stessa maniera di cui ho bisogno di Aragorn. Non mettermi davanti l'obbligo di scegliere.»

«Non avresti dubbi su chi seguire, Boromir.» Allontanò le mani dell'Uomo con le sue. «E non ti permetterei di lasciare indietro il tuo amico e futuro Re per seguire una codarda sfregiata.»

Il Capitano della Torre Bianca strinse la mascella, ma non obiettò. La donna aveva ragione, non avrebbe avuto difficoltà a scegliere tra lei e il Ramingo, ma avrebbe lasciato nelle sue mani una parte del suo cuore, sapendo che avrebbe sofferto della sua mancanza. Brethil era libera di andarsene, se fosse stato quello il suo desiderio, lo capiva e non aveva alcun diritto di fermarla; ma la parte più egoista della sua anima gli diceva che lei non si fosse affezionata a lui, che non lo considerasse così importante da mettere da parte il disagio di vedere Aragorn ogni giorno per stare in sua compagnia e riempire i silenzi della notte con le loro chiacchierate. Aveva sentito quella frase distaccata rivolta al Ramingo, quando questo l'aveva ringraziata per avergli salvato la vita: lei aveva solo eseguito un suo ordine, nient'altro.

«Fai come vuoi, non ti fermerò.» le disse, freddamente. «Ora torniamo indietro, non c'è niente da vedere ora che il sole cala.»

«Boromir.»

L'Uomo si fermò davanti al cavallo, le mani sulla sella, pronto a montare.

«Non pensare che non mi importi di te.»

«Non lo penso, infatti. Sali.»

Brethil accettò quel tono freddo e si sforzò di fidarsi delle sue parole e di credere che avrebbe capito, anche lui.

Nel completo silenzio, tornarono indietro, verso i tre, che non si erano ancora accampati. Aragorn chiese subito se avessero trovato qualcosa, ma la risposta negativa dell'altro Uomo non lo scoraggiò.

«Ci fermeremo qui per la notte, non vedo ripari né altri luoghi migliori. Prima dell'alba ci rimetteremo in viaggio, sperando di incontrare i Signori di Rohan.» disse il Ramingo. Osservò Boromir, che nel frattempo era sceso da cavallo e stava andando a recuperare un poco di combustibile per la notte, e notò subito che il suo sguardo fosse cambiato in quel poco tempo che era stato lontano.

«Via, Boromir, non stancarti e lascia a noi la legna.» fece Legolas.

L'Uomo abbozzò un sorriso. «A differenza vostra ho cavalcato comodamente per due giorni, signori.»

Gimli corrugò la fronte, contrariato. «Stai per caso insinuando che siamo stanchi?»

«È risaputo che gli Elfi abbiano più resistenza di un Uomo. Tu sei stanco, messer Nano?» domandò, Legolas, rivolgendosi all'amico con un sorriso derisorio che mandò l'altro su tutte le furie.

«Stanco? Stanco? Ah! Quando io sarò stanco le montagne saranno sparite dalla faccia della terra, signorino dalle orecchie a punta! Io stanco, ah!»

Boromir e Legolas si scambiarono un'occhiata che parlava da sola, mentre Gimli si allontanava borbottando e barcollando. La donna non scese da cavallo, ma non fece in tempo a muovere le redini che Aragorn la fermò.

«Dove vai?»

Riuscì a guardarlo negli occhi per una manciata di secondi, poi sviò lo sguardo verso un punto imprecisato della campagna. «Non rimarrò oltre, vado verso i Guadi, dove c'è più bisogno della mia spada. Non voglio disturbare le vostre chiacchiere con la mia presenza. Avrete molte cose da dirvi, immagino.»

Il Ramingo sospirò e annuì.

«Prenditi cura di Boromir, per favore. Ha bisogno di te, ora.» gli disse, guardando l'Uomo, distante qualche metro, fermo ad osservarla. Vide amarezza nel suo sguardo, ma non bastò per farle cambiare idea. «Addio, Aragorn.»

Boromir le si avvicinò prima che partisse definitivamente. «Non puoi scappare per sempre.»

Lei sorrise e chinò il capo, porgendogli la carne avanzata. «Ti auguro tutto il bene di questa terra, Boromir di Gondor, perché lo meriti. E pregherò affinché ritrovi il sorriso, e con esso i tuoi amici Hobbit. Addio!»

«Arrivederci...» sussurrò invece lui, sentendo già la sua presenza confortante svanire su quel cavallo. Sentì la mano di Aragorn sulla spalla e si voltò verso l'amico.

«Andiamo, Boromir, sediamoci accanto al fuoco e mangiamo qualcosa.»

Raggiunsero gli altri due e si sedettero accanto a loro, mentre Aragorn accendeva il focolare in pochi istanti. Divisero la carne di Boromir e mangiarono lembas, informandosi sulle sue condizioni fisiche. Gli domandarono di quei giorni difficili e lui fu ben felice di raccontar loro come avesse ripreso in fretta le forze, grazie a quella donna dal volto sfregiato. Aragorn ascoltava in silenzio, riconoscendo nelle parole di Boromir la mano di Brethil, e non poté trattenere un sospiro alla fine del racconto. Poi Boromir chiese loro nuove, ma i tre inseguitori non ebbero molto da raccontare sulla loro caccia; quasi tre giorni spesi a correre, a cercare tracce e a riposare poco non erano il massimo dell'avventura.

«E a quanto pare non potrò nemmeno spezzare la schiena di un dannato Orco o Uruk-hai che sia!» inveì Gimli, stringendo convulsivamente la sua ascia, che bruciava nelle sue mani inattive.

«Credo, purtroppo, che avremo sufficiente tempo per uccidere quelle creature.» disse Aragorn. «La guerra è vicina, ormai.»

«Che venga, allora! Sono pronto a farle gli onori di casa!» ribatté il Nano, ostinatamente.

«Accoglierla, per mandarla via con poco garbo, immagino.» fece Boromir. «Quale inganno il tuo, messer Gimli!»

Aragorn sorrise, accendendo la sua pipa e fumando in silenzio per un po'. Gimli, nel frattempo, si era steso e dormiva già profondamente, a discapito di quanto avesse detto poco prima riguardo la sua freschezza dopo giorni di corsa, mentre Legolas si era allontanato, con la scusa di mirare le stelle e quel paesaggio pacifico, pur di lasciare i due Uomini, soli con le loro chiacchiere.

«Aragorn, io... voglio chiederti scusa, anche se so bene che le mie parole non serviranno a cancellare ciò che ho fatto.» Boromir accarezzò il Corno di Gondor spezzato in due, ricordo di quella battaglia persa prima ancora di essere iniziata.

«È vero, le scuse non cancellano gli errori. Sono i gesti a farlo. E tu, amico mio, hai dimostrato più onore di tutti.» disse Aragorn, indicando il simbolo della sua caduta. «Hai rischiato di morire per Merry e Pipino, non potevi compiere atto più coraggioso e dignitoso. Non darti pena per le tue debolezze.»

«Ma tu non hai ceduto al suo richiamo, Aragorn.»

«No, non l'ho fatto, pur sentendo il sibilo del mio nome ogni volta che posavo gli occhi su di esso. Ma io non ho visto né vissuto gli orrori e gli anni di assedio del tuo popolo, e sapevo che l'Anello non sarebbe stato d'aiuto, se non portatore di disgrazie. È comprensibile che, invece, tu l'abbia visto come un dono dal cielo.»

Boromir si passò una mano tra i capelli, scuotendo il capo, affranto. «Troppo sangue è stato versato, troppe case distrutte, troppe speranze spezzate da quelle nuvole nere e da quel fuoco infernale. Pensavo veramente che mio padre fosse nel giusto, e che avremmo potuto usarlo per far tornare la pace nelle nostre terre. Che pensiero sciocco e pericoloso.» Guardò verso l'ipotetica direzione di Isengard, e domandò in un sussurro:  «Dimmi, Aragorn, secondo te troveremo Merry e Pipino?»

Il Ramingo sbuffò il fumo con lentezza, fissando le fiammelle del focolare. «Il mio cuore mi dice che siano ancora vivi.» Vide il suo bel volto, segnato dalle preoccupazioni, distendersi in un'espressione rilassata.

«E allora mi fido di ciò che esso ti dice. Poiché anche io nutro la speranza di rivederli, presto o tardi. Voglio mostrar loro la nostra città, Aragorn. E voglio farlo quando il sole tornerà ad illuminare la bianca pietra di Minas Tirith, mentre brilla come una stella, e nell'aria non risuoneranno più i tuoni provenienti da Est, ma solo le chiare trombe d'argento e i canti di gioia del nostro popolo. E voglio che loro danzino e cantino con noi le loro belle ballate, con un boccale di birra in mano e la loro amata pipa nell'altra.»

Aragorn sorrise. «Sei cambiato, amico mio.»

«Cambiato?»

«Sì. Parli ancora di Minas Tirith come se fosse la donna più splendente e incantevole che abbia mai incontrato, e questo non è strano. Ma ti ho visto rinchiuderti in te stesso negli ultimi mesi; ho visto come ti stavi consumando e come rifiutavi persino di parlare. Ma per fortuna ora sei tornato ad essere il Boromir che ho incontrato tanti mesi fa a Gran Burrone. Anche se ora gli Elfi non ti scoraggiano più di tanto.»

«Oh, lo fanno, invece. Ma non dirlo a Legolas, ne approfitterebbe.» I due risero piano, poi Boromir tornò serio. «Se sono tornato l'Uomo di un tempo, e ben più consapevole dei miei limiti, lo devo solo ad una persona. Se Brethil non mi fosse stata accanto probabilmente non sarei riuscito a risalire dalle ombre. È una donna d'onore e sincera, Aragorn. Anche se ora vorrei tanto maledirla per essersene andata.»

«Non puoi sapere se sia davvero sincera, neppure la conosci.»

«Ho avuto modo di comprenderla in questi pochi giorni. Mi ha detto di cosa successe a Bosco Atro e mi ha spiegato le sue ragioni.»

Il Ramingo strinse la pipa con più forza. «Sembra che si sia confidata con uno sconosciuto, piuttosto che con quello che considerava un fratello.» Una mano dell'amico si posò sul suo braccio e si rilassò.

«Non biasimarla per il suo comportamento. Aveva paura e ne ha ancora. Teme che non creda alle sue parole.»

«Boromir, per favore, se sai qualcosa parlamene. Troppo a lungo ho atteso una spiegazione, e questa non è mai giunta.»

«Non spetta a me parlartene, Aragorn, e lo sai bene. Le ho promesso di mantenere il suo segreto, e quando lei sarà pronta ne parlerà anche con te. A volte è più semplice confidarsi con qualcuno che non conosci e che non puoi ferire, piuttosto che con una persona che ami e temi di perdere.»

Aragorn ripensò alle sue parole, così come alla sua ennesima fuga. Aveva paura di parlare. Con lui. «È stata l'amica e compagna più fidata che abbia mai avuto, Boromir. Non ho mai avuto bisogno di mandarla a chiamare, poiché giungeva al mio fianco prima ancora che avessi bisogno di lei. Halbarad alla destra e lei alla sinistra. E dopo più di un anno non riesco ancora ad abituarmi alla sua assenza.»

«Ti capisco, fratello mio. Poche sono le persone che vorrei al mio fianco, in questo momento, ma solo io so quanto mi manchino. Ma sono tornato dalla morte e sento che niente, ora, mi possa fermare. Non le frecce degli Orchi, né la minaccia che viene dall'Est. Sono pronto a lottare per riaverli accanto, e se tu combatterai con me allora la speranza non ci abbandonerà mai. Rivedremo finalmente la luce insieme, e con essa giungerà anche il tempo dei chiarimenti.»

Aragorn gli strinse una spalla. «Che le tue parole diventino realtà, Boromir, proprio come io e te siamo vivi ora!»

 

 

 

 

*

Note:

Dunque Brethil scappa ancora una volta da Aragorn... del resto il lupo perde il pelo ma non il vizio!

A presto,

Marta

   
 
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