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Autore: _hurricane    12/04/2012    12 recensioni
Raccolta di Missing Moments della mia fanfiction Let Me Be Your Sun: 8 momenti diversi della loro vita, alti e bassi, sconfitte, vittorie.
Perchè ci sono tanti modi in cui il sole può splendere. Come le albe, i tramonti e le aurore boreali.
“…mi avresti fermato e mi avresti chiesto Scusa, posso farti una domanda? Sono nuovo qui! e io avrei fatto finta di crederci” concluse Blaine al suo posto, soffocando una risatina di scherno. Kurt gli diede una spallata, per poi raggomitolarsi di nuovo contro di lui.
“Poi mi avresti preso per mano, così, senza pensarci” continuò, lo sguardo lontano.
“Senza neanche conoscerti?” domandò Blaine, un piccolo sorriso sul volto. Dio, sapeva che lo avrebbe fatto. Sapeva che se quando si erano conosciuti Kurt fosse stato diverso, se tutto fosse stato diverso, avrebbe allungato una mano verso il suo cuore alla prima occasione, dal primo istante.
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU, Missing Moments, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Come promesso, rieccomi qui con i Missing Moments della mia long ormai conclusa, Let Me Be Your Sun. Prima di cominciare, ci sono un paio di cose utili da precisare :)

Importante: questa raccolta contiene spoilers per chiunque non abbia letto la fanfiction, quindi se siete finiti qui per "curiosità" e non lo avete fatto, questo è il link del primo capitolo.

Per chi invece l'ha letta e ha la memoria corta, consiglio di dare una rapida occhiata alla fine del capitolo 18 (a cui questo particolare missing moment si ricollega) e magari all'epilogo.

La raccolta conterrà 8 capitoli, 8 momenti diversi non strettamente collegati tra loro e con un tempo imprecisato di distacco tra l'uno e l'altro; alcuni in particolare rispondono a delle domande che alcuni lettori stessi si sono posti e in generale credo che rendano più chiare molte cose della long, alcune delle quali potrebbero sorprendervi!

Stavolta il narratore non è Kurt II, il figlio di Blaine, ma sono io, in quanto ci saranno anche cose che lui non può sapere.

Warnings (che ormai avrete dato per scontati): angst / character death (solo menzionata, non descritta).

Ci tengo a precisare una cosa: in questa raccolta, ci sono sia "alti" che "bassi" della vita matrimoniale di Kurt e Blaine, ma voglio che teniate sempre in mente il significato dell'epilogo di LMBYS mentre leggete, perchè quello non è cambiato. Le difficoltà o le debolezze non significano che si sono amati meno di quanto ho voluto far credere in quel capitolo; significano solo che sono umani, come tutti.

Il titolo della raccolta significa "Albe, tramonti e aurore boreali" e viene da questa frase del capitolo 10: "Perché negli occhi di Kurt, Blaine poteva vedere albe, tramonti, aurore boreali."

Così come ognuna di queste cose è una "sfumatura" del sole, ognuna di queste shot è una "sfumatura" della fanfiction stessa (che parla appunto del sole). Spero abbia senso!

Mi sono dilungata abbastanza, quindi vi lascio! Buona lettura :)

Come sempre, potete tenermi d'occhio per gli aggiornamenti su Facebook e su Twitter.




 

 

 

 

 

La prima notte di nozze di Kurt e Blaine.

 

 

 

 

“Scusami” esordì Blaine, la testa appoggiata pigramente alla spalla di Kurt mentre il rimbombo dell’aereo in volo li cullava dolcemente, avvolgendoli.

“Per cosa?” chiese Kurt con aria confusa, strofinando la guancia ai suoi ricci e accarezzandogli il ginocchio con la mano.

“Per quello che ho detto… dopo il ballo” fu la risposta di Blaine, la sua voce debole e realmente, realmente mortificata nel dirglielo. Era come se si vergognasse, così Kurt non potè fare a meno di ritrarsi in modo da poterlo guardare negli occhi.

“Blaine-“

“No, lo so cosa stai per dire. Che non devo scusarmi, che non ha importanza, ma non è così. Non avrei dovuto dirlo. Mi dispiace” disse Blaine tutto d’un fiato, impedendogli di parlare. Kurt lo fissò a lungo, scrutando dentro i suoi occhi alla ricerca di una chiave per poter decifrare quello che intendeva davvero, il motivo di una convinzione talmente radicata.

C’era qualcosa di trattenuto, come se si stesse tenendo volutamente a freno, imbottigliando le sue vere emozioni da qualche parte in modo che lui non le potesse vedere. Blaine era fatto così: cercava sempre di dire o fare la cosa giusta, di mostrarsi maturo e composto, di essere la persona perfetta che alla Dalton – e probabilmente anche al college – il mondo intorno a lui richiedeva che fosse.

Ma come se ci fosse stato un click nella sua testa, Kurt si rese conto che quello era il Blaine in modalità marito. Il Blaine diventato improvvisamente adulto e responsabile che non voleva fargli pesare la situazione, il Blaine che per riuscirci era disposto a non dire cosa stava pensando, ma non era questo che Kurt voleva; non voleva che per non farlo soffrire gli nascondesse quanto lui soffriva. Perché Kurt non era il resto del mondo, e della perfezione non se ne faceva niente, non la voleva. Aveva Blaine.

“Blaine, ascoltami” disse allora, cercando la sua mano tra di loro per trovarla e stringerla. “Ho capito, ho capito cosa vuoi fare. Ma non farlo, ti prego.”

Blaine lo guardò come se si fosse improvvisamente smarrito, come se qualcuno gli avesse appena tolto il terreno da sotto i piedi, e in quel momento, proprio mentre cercava di essere più adulto di quanto non fosse, a Kurt sembrò così terribilmente piccolo che gli si strinse il cuore.

“Io voglio solo starti accanto” disse Blaine quasi in una sorta di piccola e frustrata lamentela, sbattendo le palpebre sui suoi enormi occhi da cerbiatto.

“E lo stai facendo, lo hai sempre fatto, Blaine. Ma non è così che devi farlo. Non devi mai, mai nascondermi quello che stai pensando perché pensi di fare il mio bene, di qualunque cosa si tratti.”

“Ma io- era tutto perfetto e felice e l’ho rovinato, Kurt-“

“Non hai rovinato niente” gli disse Kurt, stringendogli la mano così tanto da rischiare di fargli male e inchiodandolo con i suoi occhi. “Il matrimonio è stato perfetto, Blaine, perché è stato vero. Non avrei mai voluto che fosse una finzione. Non voglio che noi siamo una finzione. Voglio soffrire insieme a te quando soffri, ne ho bisogno. Non tenermi fuori, ti prego, non lo fare.”

Blaine lo guardò per un attimo come se ancora non fosse in grado di capire, ma poco dopo i suoi lineamenti si addolcirono e molto lentamente fece un piccolo sorriso, annuendo in modo impercettibile. Tornò alla sua vecchia posizione, appoggiato alla spalla di Kurt, e sospirò.

“Davvero è stato perfetto?” chiese a bassa voce, stringendo la mano di rimando. Kurt sorrise e chiuse gli occhi, rilassandosi contro il suo corpo caldo così vicino al suo, il corpo di suo marito, e dio, se quella non era la cosa più perfetta che esistesse al mondo, cos’altro lo sarebbe mai stato?

“Sì, Blaine” rispose dolcemente.




Visto che era stato Blaine ad occuparsi della cerimonia, lasciando Kurt ignaro di quasi tutti i dettagli, a lui fu concesso di preoccuparsi del dopo. Della loro prima notte di nozze. E Blaine era stato così impegnato, così preso dai preparativi, da non accorgersi nemmeno del fatto che Kurt si fosse recato più spesso del solito nella loro casa ancora da finire, ancora da dipingere e riempire di mobili, lo scheletro di una vita che doveva ancora nascere e che lo avrebbe fatto quella notte.

Ma Kurt non ci andò per occuparsi dell’intonaco, né per decidere l’arredamento. La casa era ancora spoglia come il giorno prima del matrimonio, e proprio per questo Blaine rimase molto sorpreso quando Kurt lo condusse davanti ad essa, nel buio profondo della notte inoltrata; pensava che l’avrebbero passata nella sua stanza alla villa, era un pensiero che aveva quasi dato per scontato fino a quel momento.

Kurt ignorò il suo sguardo leggermente interrogativo e gli prese delicatamente la mano, intrecciando le loro dita e poi stringendogliela in una silenziosa promessa. Così Blaine lo seguì in silenzio, senza chiedere niente, al di là dello stipite dell’ingresso ancora privo di una vera e propria porta. C’era un corridoio, bianco e spoglio come il resto, che si apriva davanti a loro; ma non era buio come si aspettava che fosse.

Kurt lo aveva riempito di candele, l’una accanto all’altra in due file ordinate attaccate ai muri, in modo da condurli lungo la giusta via come le piccole luci segnaletiche della pista d’atterraggio dell’aeroporto; fiammelle flebili e tremanti nell’oscurità che lo invitavano silenziose ad andare avanti, a camminare passo dopo passo verso l’ignoto mentre Kurt lo teneva ancora per mano e in rigoroso silenzio lo indirizzava verso la meta.

Perchè era quello che Blaine avrebbe sempre fatto. Se Kurt lo avesse condotto fino al bordo di un dirupo per poi dirgli Salta, Blaine, fidati di me, lui gli avrebbe sorriso, avrebbe chiuso gli occhi e lo avrebbe fatto. E se gli avesse detto Anche se morirai, salta, fallo per me, anche allora, Blaine lo avrebbe fatto.

Quando giunsero a destinazione, rimase senza fiato. Le candele continuavano a delineare i muri fino ad arrivare dentro una stanza, anch’essa illuminata in quel modo, che sarebbe sicuramente stata la loro camera da letto. Perché l’unica cosa che c’era era proprio quella: un grande letto ricoperto da lenzuola rosse sistemato contro la parete, e pieno, assolutamente pieno, di petali di rosa.

Blaine si voltò verso Kurt, ma qualsiasi cosa avrebbe voluto dire, qualsiasi grazie e ti amo e ti voglio gli morirono in gola di fronte al modo in cui lo stava guardando, ancora una volta, come se lo stesse riscoprendo tutto da capo, come se stesse cercando di allungare una mano e scavargli dentro fino a possedere il suo cuore, e in quei momenti Blaine non poteva fare altro che rimanere immobile e aspettare che ci riuscisse, che lo avesse esattamente come aveva tutto il resto.

Kurt si avvicinò e alzò una mano per sistemargli una ciocca nera dietro l’orecchio, indugiando quasi con riverenza sul tratto di pelle che sfiorò con le dita.

“Mi prenderò cura di te” sussurrò nel silenzio, prima di accarezzargli il collo con il palmo e attrarlo a sé in un languido e dolcissimo bacio, di quelli che potevano durare minuti, ore, in cui le paure e le debolezze svanivano nell’aria intorno a loro a mano a mano che si faceva più calda e i loro movimenti più audaci e bisognosi.

E senza neanche rendersene conto, senza neanche smettere di baciarsi, si ritrovarono sul letto: Kurt disteso tra le gambe di Blaine ad esplorarlo, spogliarlo e baciarlo perché quella notte, senza bisogno di doverlo dire, Blaine era il più fragile di loro, era quello che aveva bisogno di essere amato, di essere tenuto stretto da due forti braccia con la schiena sul materasso e la testa all’indietro sui cuscini, di essere soddisfatto e accarezzato nei punti che più preferiva, e Kurt non vedeva l’ora.

Perché Blaine, Blaine era un eroe. Ma credere che gli eroi siano perfetti, che siano fatti per fare sempre ciò che è giusto, può essere il più grande errore del mondo. E’ difficile, essere l’eroe di qualcuno. Frustrante, e doloroso, e spesso non paga mai.

Era come se fosse appena tornato da una battaglia: aveva combattuto e aveva vinto, eppure era comunque esausto, la sua maschera di cera che si era sciolta a poco a poco partendo da quella frase pronunciata mentre ballavano su un prato verde a chilometri da lì.

Vorrei non doverti dire mai addio.

E come tutti i soldati, come tutti gli eroi, aveva bisogno che qualcuno gli dicesse che andava bene così, che poteva smettere: smettere di provare ad essere perfetto, smettere di lottare, smettere di indossare la sua maschera e lasciare, per una volta, che fosse qualcun altro a prendersi cura di lui e lavare le ferite e le cicatrici sparse sul suo corpo e impresse a fuoco nel suo cuore.

Kurt sapeva, in quel momento, che avrebbe dovuto farlo tante altre volte in futuro, perché per quanto avesse detto a Blaine che non doveva mostrarsi forte se non lo era, che doveva condividere con lui il suo dolore, lo conosceva abbastanza da sapere che la mattina dopo probabilmente la maschera sarebbe tornata al suo posto sul suo viso, e l’armatura scintillante sul suo corpo, per poi scomparire entrambe giorni, mesi o anni dopo a causa di una battaglia troppo difficile da superare.

Kurt sarebbe stato lì, in silenzio, pronto ad accorrere al momento giusto e riempire quelle crepe come stava facendo in quel momento, amando Blaine dall’interno, dal profondo, concedendogli il ritmo, i baci e le carezze di cui aveva bisogno.

“Kurt, Kurt, Kurt-“ sussurrò Blaine ad un certo punto con voce strozzata, le mani strette alle lenzuola per trattenere l’istinto di aggrapparsi alla sua schiena, e quando Kurt alzò la testa dal suo collo, interrompendo l’ennesimo bacio che vi stava lasciando sopra, lo guardò negli occhi e ci vide dentro, finalmente, tutta la fragilità che aveva tenuto nascosta dentro di sé. Ed era tanta, così tanta, che desiderò soltanto di poterla in qualche modo assorbire del tutto, farla scomparire.

“Cosa c’è? Dimmelo, dimmi di cosa hai bisogno, Blaine” gli sussurrò di rimando, guardandolo dritto negli occhi e rallentando leggermente i suoi movimenti. Blaine sostenne il suo sguardo ma di colpo serrò la mascella, lottando internamente, ancora una volta, per non aprirsi a tal punto, non mostrare la sua debolezza proprio nel momento in cui era già tutto esposto e intimo tra di loro, in cui tutto era lì in bella mostra e non c’era niente da nascondere.

“Kurt, non- io non posso, io-“

“Ci sono io, Blaine. Sono qui, puoi dirlo, non trattenerti, dillo-

“Ho paura.”

Kurt si fermò per un attimo, i muscoli che tremavano per lo sforzo di non fare ciò che il suo corpo voleva ardentemente fare, lo sguardo incatenato a quello di Blaine.

“Di cosa?” gli chiese, le labbra ad un centimetro dalle sue, i loro respiri affannosi fusi insieme.

“Di perderti. Ho paura, ho così tanta paura, Kurt” disse Blaine, inarcandosi leggermente verso l'alto per baciarlo in modo quasi disperato, mordendogli il labbro e cercando la sua lingua per poi far scivolare le mani giù lungo i suoi fianchi e poi sul sedere, supplicandolo in silenzio di dargli ciò che voleva, di aiutarlo a dimenticare e non avere più paura. Così Kurt lo fece.

“Non avere paura, Blaine” gli disse all’orecchio, quasi respirandovi dentro le parole, mentre tutto diventava sempre più affannato, frenetico e sfocato intorno a lui, rendendo i suoi pensieri incoerenti e fusi l’uno all’altro. “Non mi perderai mai, ci sarò sempre, non avere paura, non avere paura…”

Lo disse così tante volte che divenne quasi automatico, come una cantilena, una ninnananna per cullare dolcemente Blaine e rassicurare allo stesso tempo lui e se stesso. E alla fine, in qualche modo funzionò.

Blaine si addormentò quasi all’istante, dopo aver smesso di fare l’amore. Kurt osservò i suoi lineamenti che a poco a poco si rilassavano e distendevano, il suo respiro che rallentava sempre di più mentre si muoveva inconsciamente verso il calore del suo corpo, cercando di attrarlo a sé con un braccio disteso nella sua direzione. Quando Kurt si accoccolò con la schiena contro il suo petto, unendo le loro mani all’altezza del suo stomaco, lo sentì emettere un sospiro quasi soddisfatto alla base del suo collo.

“Va meglio adesso?” gli chiese Kurt, sperando che non si fosse già addormentato.

“Si” sussurrò Blaine, strofinando il naso contro i suoi capelli per poi lasciarvi sopra un bacio, come se volesse dargli la buonanotte in quel modo silenzioso.

E poi, nel giro di pochi minuti, Kurt potè sentirlo rilassarsi completamente intorno a lui ed emise un lungo respiro, quasi liberatorio. Chiuse gli occhi, sistemò meglio la testa sul cuscino, e aspettò che il sonno lo trascinasse nei suoi abissi lasciandosi cullare dai dolci respiri del suo eroe.

 

 

 


 

   
 
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