Che dire... Qualcuno mi dia una botta in testa, grazie.
Cortesie
per gli ospiti
(parte
seconda)
Deve
essergli finito un litro di sangue giù per la gola, che schifo.
Ora,
Naruto si ritiene una persona di spirito o comunque qualcuno che
abbia la capacità di ridere anche sulle cose peggiori della vita: ci
campa a questa maniera, da sempre.
Solo
che, al momento, con il naso sepolto sotto un sarcofago di gesso,
seduto tra barelle di gente che sta peggio di lui, nel bianco e
caotico pronto soccorso dell'ospedale di Konoha, non riesce a
sorridere come vorrebbe. Un po' perché il naso gli fa effettivamente
male, un po' perché intimorito dallo sguardo inquisitorio di Ino,
che ha squadrato lui e Sasuke come fosse dotata di poteri oculari.
Per
non parlare di tutte quelle occhiate gravemente perplesse che l'hanno
seguito per l'intero tragitto fino all'ospedale; e non ha ancora
capito se fossero per il suo naso rotto che colava sangue nel panno
da cucina a fiori o per il fatto che fosse accompagnato da Sasuke
Uchiha, i capelli grondanti liquido giallino schizzato persino sul
ventaglio; quel ventaglio che lui insiste ad indossare e che continua
ostinatamente ad occhieggiare
il villaggio, appeso come monito sulla sua schiena
dritta.
Effettivamente
è quello che metà del pronto soccorso sta guardando; qualcuno
sussurra anche, probabilmente impegnato a formulare congetture che
vedono tutte protagonista il povero Uzumaki Naruto, vittima della
crudeltà inaudita e delle sevizie contro natura che hanno luogo ogni
giorno nel vecchio ghetto; ma fortunatamente c'è caos e sono tutti
troppo impegnati nelle loro faccende per poter prestare troppa
attenzione al
pericoloso Uchiha, ritto in piedi con espressione truce al fianco
dell'eroe di Konoha col naso rotto.
Sasuke
osserva Ino maneggiare con sollecitudine un po' casereccia il naso
del compagno; stringe tra le mani il panno da cucina macchiato e
sbuffa: non emette suono, ma Naruto sa che sta sbuffando,
mentalmente, con ogni cellula del suo essere. Per il naso, per essere
dovuto uscire di casa – Sasuke odia uscire di casa – e per
aver dovuto lasciare soli dei potenziali disastri umani quali
effettivamente sono Suigetsu, Karin e Juugo. Per non parlare della
pastella che gli si è solidificata in testa, in faccia e sulla nuca.
Il tutto esponenzialmente
amplificato dall'emicrania oftalmica che gli verrà per aver usato lo
sharingan e aver guardato tanta gente in maniera così truce.
«Ecco
fatto» conclude Ino, contemplando il naso di Naruto con
una certa soddisfazione. «Dato che sei tu, vedrai che tra meno di
tre giorni sarà tornato perfettamente a posto».
Naruto
non può fare a meno di tranquillizzarsi visibilmente: gli pareva che
l'osso fosse rientrato nel cervello, tanto era stato forte il calcio.
Al suo fianco anche Sasuke pare meno rigido e, non appena la dottoressa
si è sfilata i guanti di gomma con un suono umidiccio e li ha gettati
nel
cestino con un perfetto lancio parabolico, lui accenna un passo per
precedere Naruto fuori da quel posto, palesando in tal modo tutta la
fretta trattenuta fino a quel momento; probabilmente era già da
svariati minuti sull'orlo di una crisi nervosa, col mal di testa
pulsante dietro le orbite ed una voglia cieca ed irrazionale di
infierire sui degenti dell'ospedale in maniera randomica.
Naruto
fa quasi per richiamarlo, ma poi tace e si gratta la nuca, lasciando
che Sasuke esca senza degnare nessuno di uno sguardo e si fermi ad
aspettarlo fuori dall'edificio. Ne segue la schiena con espressione
corrucciata finché non si ritrova davanti la faccia di Ino, che lo
osserva con maliziosa curiosità.
«E
allora? Che è successo, si può sapere?» chiede, ma in verità non
le importa se si può o no: lei lo vuole sapere e basta.
«Ma
niente, Ino chan, te l'ho già detto. Mi stavo allenando».
Lei
assume un'espressione scettica
«Tu
e un pugno? Perché questo è un pugno. O come minimo una pedata. O
un qualche oggetto contundente tirato di slancio, comunque».
Naruto
borbotta, vago.
«È
una pedata, sì. Ci stavamo allenando, hai presente» spiega,
strizzando gli occhi quando la dottoressa gli assesta un colpetto
sulla medicazione. «Ahi, Ino!»
Lei
sbuffa e infila guanti puliti, senza distogliere lo sguardo.
«Tu
e Sasuke kun?»
«Io
e Sasuke ku- … io e Sasuke, sì. Chi altri?»
Ino
si guarda attorno, con quell'aria da cospiratrice che Naruto le ha
visto assumere insieme a Sakura quando le due stanno per scambiarsi
un pettegolezzo succoso. Non è una buona cosa, registra il cervello
del jinchuuriki, non è una buona cosa per niente.
«Sai,
girano strane voci, ultimamente» comincia la kunoichi, la gomma che
le aderisce ai polpastrelli con un suono simile ad un risucchio.
«Intendo, strane voci sul tuo conto».
Naruto
smette di incrociare gli occhi per cercare di guardare quella macchia
bianca e sfocata che è adesso il suo naso e porta le pupille su di
lei.
«Ah,
sì?» emette, vacuo. «Non può essere peggio che “ehi, quello ha
un demone in corpo”, credo» ridacchia, leggero. Si cala giù dal
lettino e recupera la sua povera felpa arancione schizzata di sangue.
«Beh, io andrei...»
«Ma
come, non ti interessa?» lo ferma Ino, le mani sui fianchi. Se fosse
stata Sakura, l'avrebbe bloccato assestandogli un diretto nello
stomaco, quindi Naruto non si scompone più di tanto quando lei gli
afferra la manica della felpa e se lo tira vicino, a portata
d'orecchio. «Si dice che tu sia prigioniero in casa Uchiha. Parlano
di rapimento e sevizie!» spiega, deliziata. Beh, almeno lei si
diverte.
«Che
cavolo di pettegolezzo sarebbe?» raglia Naruto, perplesso.
Ino
si stringe nelle spalle, con una certa teatralità.
«Beh,
sai. È risaputo che tu abbia un'ossessione per Sasuke kun» spiega,
tranquillamente. «Molti pensano che tu sia sotto il suo controllo. E
che lui ti maltratti, anche».
Naruto
strabuzza gli occhi, a metà tra lo sconcerto e l'ilarità.
«Sotto
il suo... cosa? Non sono sua moglie, eh!» si sente in dovere di
rettificare un po' ad alta voce, nel caso da quelle parti ci sia
qualcuno di quelli che si è fatto un film luce su ipotetiche
violenze messe in atto da ex nukenin psicopatici.
Ino
sbuffa, trafficando con dei tamponi.
«Ti
presenti qui con un naso rotto e Sasuke kun con... era pastella,
quella?» ridacchia, in sollucchero. Da quando Sas'kekun è un
po' sceso dal piedistallo, rispetto ai dodici anni suoi e di Sakura,
Ino ha cominciato a comportarsi con lui in maniera diversa e quasi
inquietante, in un certo senso. Non lo teme e lo considera
esattamente per quello che è: un vecchio compagno d'accademia –
sempre esteticamente piacevole, questo lo ammette senza ombra
di dubbio – che tra le altre cose ha causato un po' troppi guai
alla sua migliore amica e al mondo perché gli sia consentito
rimanere nelle sue grazie. In pratica, a ben vedere, semplicemente
non lo sopporta; sempre cordialmente e in maniera molto più umana del
resto del villaggio, ma non lo sopporta. «Capirai che metà
della gente che vi ha visto sospetta come minimo la lite domestica»
conclude, osservandolo mentre Naruto riesce finalmente a rimettersi
la felpa.
Il
jinchuuriki tenta di ridacchiare, ma intravede un guizzo di chioma
rosa in lontananza e il riso gli muore sulle labbra.
«Oh,
sì. Sakura inizia il turno adesso» conferma subito Ino, seguendo
attenta i suoi occhi.
Ecco,
spiegare approfonditamente a Sakura il perché si sia rotto il setto
nasale non è una buona idea, specialmente se contempla l'ammettere
la presenza di Karin nell'orbita di Sasuke.
«Fronte
Spaziooosa! Guarda chi c'è!» sta cinguettando intanto Ino,
curandosi persino di sventolare una mano ed indicare la testa bionda
di Naruto, che spicca nel bianco asettico dell'ospedale.
Sakura
non fa in tempo a voltarsi che lui è già trasalito e schizzato via,
sparato direttamente in corridoio nella speranza di centrare la porta
al primo colpo.
Ce
la fa: dribbla una vecchina col girello, chiede scusa dodici volte al
tipo cui ha calpestato il piede mentre dribblava la vecchina e si
fionda fuori dall'edificio, il naso che pulsa ancora un po' sotto la
medicazione, anche se è convinto che le ossa si stiano già
rimettendo a posto, a giudicare dal formicolio.
Si
guarda attorno brevemente, attirando l'attenzione di qualche
infermiere impegnato a fumare poco distante dall'ingresso, e
individua quasi subito Sasuke che se ne sta in disparte a reggere la
parete: le braccia conserte, la faccia diligentemente nascosta sotto
la frangia sporca e tutta l'aria d'avere un mal di testa d'importanza
capitale.
«Oi»
fa Naruto per richiamarne l'attenzione; balzella col suo naso rotto
fino a portarglisi davanti e incrocia le braccia dietro la testa.
«Naso a posto. Ma sarebbe meglio se quella tipa la piantasse di
essere così violenta».
Sasuke
solleva lo sguardo e stringe le labbra, a metà tra il seccato e
l'acquiescente. Si stacca dalla parete con uno sbuffo soffocato e
affonda le mani nelle tasche.
«Insomma...
hai idea di quando se ne andranno?» domanda il jinchuuriki,
aspettando che il compagno gli si affianchi.
Lui
lo fulmina con un'occhiataccia.
«L'hai
già chiesto» brontola, prima di precedere la sua replica. «E no,
non lo so».
«Almeno hai provato a domandarglielo?» prosegue l'altro, allungando
il passo quando nota che Sasuke lo sta superando, quasi fosse
infastidito e volesse chiudere lì la conversazione.
Naruto
è indeciso se assestargli una pedata o meno, ma tutto sommato reputa
d'aver collezionato sufficienti ammaccature per la serata. Tituba e
si gratta la nuca, affaticato; sotto la cupola limpida di cielo già
tendente al blu cupo, il suo stomaco emette un sonoro brontolio.
«Senti
un po'...» ricomincia, passandoci distrattamente una mano su, come
per placarlo. «Ma ci tieni davvero così tanto a tenerteli lì?»
azzarda.
Sasuke
ha della pastella in testa ed è nervoso.
Normalmente
con un Sasuke così, con la faccia incazzosa ed in una condizione
d'evidente disagio, ci sono solo due modi per rapportarsi; ma in
mezzo alla strada né pestarsi a sangue né far sesso sembrano al
momento alternative contemplabili: bisogna necessariamente affidarsi
ad una terza opzione. E
poi, per la miseria, è lui quello col naso rotto.
«Insomma,
sono fastidiosi e rumorosi. Tu detesti le persone fastidiose e
rumorose, 'tebayo» puntualizza, gonfiando le guance e sbirciando per
scrutare la reazione dell'altro, che si è fermato a braccia
incrociate.
Sasuke
lo esamina da sotto in su per un lungo secondo, infine inclina la
testa e si ferma sui suoi occhi, stanco.
«Infatti»
conclude con mugugnante sarcasmo ed una sorta di sbuffante
rassegnazione, come avesse appena reso noto qualcosa di assolutamente
palese e in qualche modo umiliante. «Non li manderò via» aggiunge
come chiarimento ad uso e consumo del compagno, prima di riprendere a
camminare.
Naruto
resta immobile per un momento, la bocca ancora aperta, poi gli si
lancia dietro e lo raggiunge con tre falcate nette che risuonano sul
selciato.
«Ma
sono rumorosi! E fastidiosi! E cucinano dorayaki in cucina. Hai
presente? Dorayaki... sono dolci. Tu odi i dolci!» continua,
cercando invano un senso. «E portano falchi pellegrini... a
proposito, che diavolo sarebbe quel-»
«Juugo»
spiega Sasuke, credendosi esaustivo. Sbuffa, quando Naruto fa per
chiedere ancora ed è costretto ad ulteriori delucidazioni. «È un
souvenir da Iwa, o qualcosa del genere. Gli ho già detto che se lo
può tenere e tante grazie» lo rassicura subito dopo, forse notando
l'espressione orripilata dell'altro.
«Va
bene, okay, lasciamo stare...» bofonchia Naruto, rapido.
Lancia
un'occhiata all'ingresso fatiscente del quartiere che si intravede
già da lì, esattamente come il silenzio delle cento case rotte
ammassate in quel che resta del recinto. Si distrae per un attimo a
guardare il drappo con lo stemma del ventaglio che ondeggia
all'ingresso e penzola giù, logoro e appesantito dal tempo.
«Sono
ospiti. Non si cacciano gli ospiti» riprende Sasuke quando ormai
sono le case di Konoha ad essere divenute distanti, i profili ombrosi
nella sera appena scesa.
Naruto
quasi inciampa; si tasta un po' il naso, infastidito.
«Non
ti seguo» ammette con infantile semplicità.
Sasuke
rotea distintamente gli occhi, appena prima di strizzarli, pentito e
dolorante.
«Ospiti,
usuratonkachi. Ci sono delle regole».
«Ah».
Ci
sono delle regole. Quindi un manuale? È qualcosa che si studia
all'Accademia? No, perché se non è qualcosa che si studia
all'Accademia – o anche se lo è: non è che sia mai stato
propriamente attento in classe – Naruto sa per certo di non poterla
sapere, perché nessuno gliel'ha mai spiegata. Certo che almeno Iruka
sensei, Kakashi sensei o l'ero sennin avrebbero potuto: perché se è
una roba inerente al senso comune e la sa persino Sasuke – insomma,
Sasuke! - non è bene che lui non ne sia al corrente.
«Non
delle regole scritte, idiota» mugugna l'ex nukenin, perspicace.
«Sono... regole. Ci sono e basta».
«Ma
che razza di regole sarebbero?» protesta Naruto, stralunato. Pare
tanto una sparata atta a prenderlo per i fondelli, o un dialogo tra
due marmocchi di sei anni che stiano speculando sul mistero insito
nella misura del letto matrimoniale di mamma e papà.
Ed
effettivamente Sasuke sembra nient'altro che un bambino di sei anni
quando, mentre già cerca le chiavi di casa in tasca, si limita a
proferire con un certo nervosismo venato però da una sicurezza
ancestrale: «lo diceva mia madre. Un motivo ci deve essere».
Naruto
si acquieta, chiude la bocca e continua a camminargli d'appresso per
un po', pensoso.
Sia
lui che Sasuke sono ormai adulti e vaccinati, ma una madre resta
comunque una fonte autorevole cui attenersi; e può sembrare stupido,
o anche malato in un certo senso, ma Naruto sa che Sasuke ha un modo
tutto suo di onorare certe piccole cose che alle volte lui neanche
capisce, o che gli sembrano irrilevanti finché non afferra quanto
effettivamente siano necessarie all'altro: necessarie come mangiare e
dormire, come respirare. E
anche se l'ostinazione di Sasuke nel conservare gli arnesi per la
rasatura di Fugaku senza neppure usarli può apparire decisamente
fuori di testa, così come tenere i libri ed i rotoli perfettamente
spolverati ma disordinati - secondo un criterio di disposizione
frutto del lavoro solerte ma un poco distratto d'una madre -, Naruto
capisce e accetta senza colpo ferire di condividere un letto troppo
piccolo nella vecchia camera di Sasuke, rinunciando a stanziarsi
sull'enorme matrimoniale che sta nella stanza in fondo al corridoio
del secondo piano, oltre la porta chiusa.
Ci
sono delle ragioni: alcune chiare altre meno, ma ci sono. E finché
servirà a far sentire Sasuke un po' meno perso, lui ha deciso che si
adeguerà, dovesse pure trovarsi costretto a subire Hozuki Suigetsu.
«E
insomma... in che consisterebbero queste regole?» domanda infine il
jinchuuriki, tastandosi distrattamente il naso ancora indolenzito,
mentre Sasuke cerca di capire da che lato vadano infilate le chiavi:
fosse per lui neanche se le porterebbe solo per il fastidio che prova
nel doversi ingegnare ad inserirle nella vecchia serratura
arrugginita.
«L'ospite
è sacro» bofonchia l'ex nukenin, con una certa dubbiosa
solennità, come citando un assioma ineludibile di cui però non
abbia afferrato del tutto il senso.
Naruto
si gratta la testa, perplesso, poi si vede costretto a scrollare le
spalle.
Spera
vivamente che le regole comprendano la possibilità di defenestrare
il sacro ospite, nel caso questi si faccia troppo ingombrante;
parrebbe una clausola ragionevole.
Se
fosse Shikamaru, si abbandonerebbe ad uno sbuffante, liberatorio “che
seccatura!”; non solo ha dovuto sopportare naso rotto e falco
pellegrino: se quelli – quei tre, il falco non è un quarto, il
falco è un coso inquietante che sta lì - decidono di rimanere,
rischia di veder bruciati tutti i suoi poveri, già normalmente
esigui giorni liberi.
«Stupide
regole» bofonchia, fingendo di non vedere Sasuke che sbaglia ad
infilare la chiave nella toppa e impreca ad Hashirama Senju.
Lo
osserva obliquo adoperarsi con una certa stizza a tastare la
serratura con le dita, svelto e seccato.
«Sasuke».
Lui
non risponde: ha appena scoperto di star usando le chiavi sbagliate,
quelle del quadro elettrico generale che si porta sempre dietro nel
caso al quartiere venga la bella idea di precipitare nel buio,
abitudine che ha preso da quando lo shinra tensei di Pain ha
devastato metà dei tralicci.
«Sasuke»
ripete Naruto, e glielo soffia nell'orecchio.
«Che
vuoi» ringhia l'altro, senza neanche girarsi. Una mano di Naruto
scivola a sfilargli le chiavi dalle dita, rapida e precisa. Sasuke
segue il luccichio del metallo nel buio bluastro, lo sguardo già
carico di biasimo, finché le chiavi non si fermano a tintinnare
davanti al sorriso scemo di un cretino con la testa bionda ed il naso
rotto, la medicazione bianca come una macchia chiara in mezzo alla
faccia.
Dato
che quello continua a sghignazzare beatamente, il pugno di Sasuke
parte quasi in autonoma, seguito da tutto il corpo.
Naruto
schiva, zompettando all'indietro; le chiavi tintinnano con lui
«Te
le ridò solo se ho qualcosa in cambio!»
Quando
Sasuke fa per insinuare la morte del suo presunto ultimo neurone,
Naruto ha già afferrato il suo polso - che voleva essere un altro
cazzotto alla sua testa quadra – e lo sta trascinando dietro la
casa, sull'erba oltre il muro crepato che delimita il cortile.
«Nelle
tue regole succede qualcosa se si lasciano gli ospiti a casa da soli
troppo a lungo?» domanda, già appiccicato addosso all'altro; le
chiavi impattano contro un sasso assieme alla tasca e a tutta la
felpa, lasciata cadere in compagnia di altri capi di vestiario
generici, non solo suoi.
«Sicuramente»
ribatte Sasuke aspro, la testa incastrata nella maglietta. Non appena
riesce a liberarsi, avvicina il naso all'orecchio di Naruto,
strattonandogli piano una ciocca. «Ma, visto che il danno è fatto,
suppongo che un po' in più non possa fare differenza» borbotta
regalmente sostenuto, reprimendo invano un brivido quando la schiena
tocca l'erba umida.
In
risposta, Naruto gli sghignazza tra i capelli.
L'erba
punge dappertutto, odora di bagnato e terra smossa, s'infila in ogni
anfratto proprio come fanno i capelli di Sasuke, sporchi di pastella
dolciastra, e la pelle morbida e accaldata premuta contro la sua.
Il
sesso è una gran cosa: Naruto lo ha inserito tra le attività più
piacevoli che conosca, assieme al mangiar ramen e poco altro.
La
prima volta che l'hanno fatto, lui e Sasuke, è stato oh,
imbarazzante. E anche un disastro completo, roba che avrebbe
fatto comodo un manuale d'istruzioni, ma visto che - a parte le
isterie iniziali - non hanno smesso più, non deve esser stato
proprio da buttar via. Magari la prima volta è così per tutti,
chissà.
Adesso
invece funziona alla grande, si fa spesso e quando non c'è manca.
C'è
solo una cosa peggiore dell'astinenza: essere interrotti.
Interrotti
proprio nel bel mezzo, da uno scossone seguito da cacofonia di cocci
a pioggia che dura quasi cinque secondi interi.
Naruto
si perde le prime fasi perché il dolore al naso lo coglie del tutto
impreparato: è un dolore vuoto
e stordente che gli penetra nell'osso e sale su fino agli occhi; il
jinchuuriki strizza le palpebre e annaspa, prima di mugolare e
rotolare su un lato, atterrando sull'erba con disagio e la sonora
sensazione di stare per svenire.
Nella
casa con le luci accese qualcuno sta starnazzando con foga e non è
certo che sia proprio il falco pellegrino: somiglia più che altro
alla voce di Karin, a dir la verità. Naruto emette un lamento
stentato e accanto a lui Sasuke stringe i denti, una mano sulla
fronte; lancia un paio di imprecazioni e poi si volta ansimando, per
inquadrare lui nel buio bluastro.
Soffia
via le ciocche dalle labbra, con espressione sofferente.
«Idiota?»
C'è
bisogno che Naruto deglutisca un paio di volte, prima di riuscire a
rispondere e, quando lo fa, la sua voce è spezzata e dolorante.
«Mi
hai dato una craniata» fa presente, lacrimando e tirando su col naso
martoriato. Nella casa allo sbraitare di Karin si aggiunge la voce
querula di Suigetsu.
«Sei
tu che mi hai dato una nasata» ribatte Sasuke, altrettanto
stravolto ma esteticamente più composto, nonostante la fronte
arrossata nel punto in cui ha sbattuto contro il setto nasale del
compagno. Si puntella sul gomito in un gemito, per guardarsi attorno
con sospetto.
Prima
che Naruto possa fare alcunché – ad esempio prendersela perché
Sasuke riesce sempre a rigirarsi le frittate e dare la colpa agli
altri – un'ombra grassa, rapida come un proiettile, schizza nella
loro direzione.
Sasuke
quasi non ne distingue i contorni, ma scatta comunque per cercare di
intercettarlo, mentre il jinchuuriki caccia un «oh!» sconcertato e
si mette seduto, sballottando dolorosamente il povero naso.
Arraffato
praticamente ad un pelo da terra sotto gli occhi sgranati dei due
ninja, il proiettile emette un miagolio di terrore.
«Naruto?»
fa Sasuke, retorico. Tiene il gatto per la collottola e se lo fa
dondolare a mezzo metro dalla faccia, interdetto.
Naruto
sbaglia per l'ennesima volta da quando il gatto è stato battezzato a
quel modo indegno e quasi fa «sì?», sentendosi chiamato in causa.
Recupera all'ultimo e si mette anche lui a guardare Naruto Due con
espressione stralunata.
«Che
accidenti...?» inizia.
Ma
non finisce, perché l'istante successivo il brusio che veniva dalla
casa si alza, gli shouji scorrono al suono di soffi rumorosi e ombre
caotiche si riversano in giardino, ciarlando a voce alta.
«Prima
gli distruggi la cucina, poi gli ammazzi il gatto! Lo so io cosa
succederà!»
«Non
gli ho ammazzato niente, racchia. Sarà qui da qualche parte...»
«Sì,
morto d'infarto!»
Naruto
praticamente sente Sasuke irrigidirsi accanto a lui, quasi
tutte le sue ossa si assestassero in uno scricchiolio congiunto per
fargli assumere la sua postura più rigida, quella da furia cieca;
l'eroe di Konoha, in virtù del suo amore per tutte le creature,
decide saggiamente di sottrargli il gatto da sotto le mani prima che
il pericoloso ex nukenin sanguinario lo ammazzi usandolo come
antistress.
Sentire
Suigetsu che chiama «qui, micio micio» farebbe saltare i nervi a
chiunque – e infatti Karin si è già concessa uno sbuffo
esasperato che ha spaventato uno stormo di pipistrelli, quelli
annidati nella casa attigua – e Sasuke non è famoso per il suo
autocontrollo: si alza di slancio seguendo l'impeto del momento e si
erge fiero oltre i cespugli, con tutta l'aria di voler restaurare
l'ordine a furia di occhiate omicide.
È
buio, si vedono solo ombre e riflessi brevi dovuti alla luce che
filtra dallo shouji aperto. Juugo sta proprio lì davanti, a
sporgersi cauto sull'engawa e guardare tutti da lontano; le figure di
Karin e Suigetsu, invece, sono sagome nette in controluce. I loro
occhi sono disabituati all'oscurità e quando Sasuke ringhia i due si
voltano confusi per vedere se ci sia un cane randagio, piuttosto che
guardare nella sua direzione. È per questo che Naruto fa in tempo a
sgranare gli occhi, farsi graffiare dal gatto e registrare come
dovrebbe apparire dall'esterno lo spettacolo di un Sasuke dimentico
della sua nudità integrale, coi pugni stretti e il cipiglio rabbioso
di uno armato di katana per un duello all'ultimo sangue. E invece ha
la pastella in testa, il pisello al vento e l'erba meglio non
chiedersi dove.
C'è
un sussulto di Juugo, lontano, che emette un verso interrogativo
indicando proprio il punto dove un momento prima c'era la testa di
Sasuke; l'attimo dopo è sparito tutto e lui aggrotta le
sopracciglia, meritandosi una lamentela di Karin, che l'accusa di
avere le allucinazioni.
Ecco,
si è pure preso una gomitata nello stomaco, bel ringraziamento.
«Eri
nudo come un verme e spuntavi come un fungo dal cespuglio, testa di
cazzo, che avrei dovuto fare?» mugugna Naruto animoso, quando Sasuke
gli rifila l'ennesima occhiataccia, nell'ombra polverosa della
vecchia casa.
Sono
in un soggiorno, o almeno così sembra. È ampio e coperto da tatami,
come ognuno dei pavimenti delle vecchie case del quartiere, ma le
analogie con l'abitazione di Sasuke stanno tutte nella struttura, per
il resto gli interni sembrano due quadri con lo stesso soggetto
dipinto da artisti diversi. E uno dei due doveva essere un amante
delle storie dell'orrore.
Il
jinchuuriki alza gli occhi al soffitto, e subito dopo si ritrae
perché ha intercettato un'altra ragnatela pendere a grumi dalle
travi e il proprietario di quell'opera architettonica zampettare
enorme e silenzioso proprio nella sua direzione.
Saltella
per infilarsi i calzoni e poi impreca contro la cerniera.
«Abbassa
la voce, idiota» gli sibila Sasuke, rimettendosi i sandali; fuori
Suigetsu e Karin stanno ancora discutendo.
«Merda,
dov'è il destro?» borbotta compreso Naruto, zompettando su un piede
solo.
«Ehi,
ma questa è una scarpa?» fa la voce divertita di Suigetsu oltre le
mura sottili, a pochi metri di distanza.
Sasuke
si trattiene fortemente dal darsi una manata in fronte e opta per
rifilare a Naruto un altro ammonimento silenzioso.
Lui
si offende – è merito suo se sono riusciti a squagliarsela così
in fretta – e mette il broncio; poi recupera il gatto, che è stato
trascinato nella fuga assieme al mucchio scomposto di panni
recuperati in un unico carico disordinato.
«Usciamo
da davanti» delibera Sasuke, precedendolo a passo marziale lungo i
corridoi di quella casa macilenta che fa seriamente accapponare la
pelle: e pensare che praticamente ci dormono vicino da anni. Pensare
che Sasuke ci ha dormito vicino quando forse c'erano meno ragnatele
ma il sangue era più fresco. Meno male che l'ultimo degli Uchiha ha
ancora la pastella in testa, tra i fili d'erba verde, e a guardarlo fa
comunque ridere, anche se il tatami scricchiola in lamenti.
Naruto
ignora con ostinazione degli squarci obliqui sulla porta - sembrano
proprio segni di shuriken - e la oltrepassa, camminando sul suo
sandalo scompagnato e col gatto sottobraccio.
Fanno
un giro largo come due ladri e il jinchuuriki è quasi certo che
venti metri in più siano dovuti al fatto che col buio Sasuke non sa
bene dove stia andando, invece che ad una qualche brillante tattica
di depistaggio; anche perché l'ex nukenin sembra abbastanza ansioso
di scoprire cosa significhi di preciso quel «prima gli distruggi la
cucina» urlato da Karin, piuttosto che essere anche solo
lontanamente turbato dal dover spiegare perché somigli tanto ad una
massa di compost ambulante.
Quando
arrivano davanti alla porta giusta, a giudicare dal vocio, pare che
Karin e Suigetsu si siano spostati di nuovo dentro. Ovviamente senza
dimenticare di star litigando.
«Le
chiavi?» fa Naruto, dopo un intero minuto di ricerca. Sasuke gli
rivolge un'occhiata tagliente e incrocia le braccia.
«Le
avevi prese tu» abbaia secco, le mani ancora nelle tasche.
Naruto
cerca a sua volta, ma svuotarsi le tasche fa solo cadere in terra un
buono pasto di Ichiraku.
«Mi
sa che è pure scaduto...» bofonchia, esaminandolo con perizia
inutile, dato che col buio non serve neanche chiamarsi Sasuke per non
vederci un tubo. «Beh, bussa» risolve infine, distogliendo lo
sguardo dal pezzetto di carta e portandolo sul compagno.
C'è
una pausa densa di biasimo che dura un secondo abbondante e che
significa non ho alcuna intenzione di bussare per entrare a casa
mia, poi la porta si apre da
sola.
«Bentornato»
esordisce Juugo, sintetico, e sembra persino più alto, stretto nel
vano dell'ingresso con la sua tenda e il falco appollaiato nervoso
sulla spalla
Dietro
di lui, Suigetsu viene sgomitato via da Karin, che si sporge per
urlare «è stata tutta colpa di questo coso!», in via preventiva.
E
Naruto li vede, i segnali: i denti di Sasuke digrignarsi sotto le
labbra serrate, lo spasmo lieve del pugno e l'ombra di cupo nulla
distruttore che gli attraversa lo sguardo.
Juugo
scatta di lato quasi d'istinto, per consentirgli di entrare.
Sasuke
avanza senza fretta: toglie le scarpe e le allinea prima di poggiare
i piedi sporchi sul tatami con un crepitio lieve, e nessuno, neanche
Suigetsu, si azzarda a fargli notare che del compost non ha
solo l'aspetto, ma anche l'odore.
Naruto
lo segue schiarendosi la voce perché il silenzio lo turba; si
stringe Naruto Due sotto il braccio e, superato Juugo, sgattaiola al
seguito di Sasuke, trascurando deliberatamente il fatto che Suigetsu
tenga il gemello del suo sandalo in mano.
Sasuke
ha ignorato tutti e si è diretto senza esitazione in cucina, salvo
poi bloccarsi in maniera assai preoccupante sulla soglia.
Suigetsu
e Karin restano zitti e immobili in corridoio, lui a guardare per
aria con espressione innocente, la scarpa di Naruto in mano, e Karin
con le labbra tese e le sopracciglia aggrottate dietro gli occhiali,
in cerca di qualcosa da dire che però le consenta di conservare la
testa attaccata al collo.
Juugo
si avvicina in silenzio a pochi passi da Naruto, come contasse di farne
un efficace scudo umano. Il falcone schiocca il becco e Sasuke
emette uno sbuffo breve dal naso: Naruto lo prende come un tentativo
di calmarsi andato per nulla a buon fine ed è quindi con assoluto
sprezzo del pericolo che non demorde e si avventura fino a
raggiungere le spalle del compagno, per affacciarsi in cucina.
C'è
il tavolo, questo sì.
Il
tavolo sta lì, nel mezzo, e le mura sono in piedi, e ci sono anche
tutti i mobili. Però c'è una credenza – la credenza –
divelta da un'unica, poderosa accettata. Se ne sta rovesciata nel
mezzo della stanza, sopra il pavimento coperto di cocci; cocci
ridotti a scagliette sottili e grossi tranci di ciotole e piatti una
volta ordinatamente, maniacalmente impilati in perfetto ordine nei
loro ripiani, ora stesi a formare un tappeto di schegge da cui emerge
il tavolo basso.
Ci
sono anche dei barattoli di pelata esplosi a chiazze e i biscotti di
Naruto sparsi in giro, ma non è quello il problema. Il problema è
il servizio di stoviglie di Uchiha Mikoto ridotto a brandelli sul
pavimento della cucina di Uchiha Mikoto: ci sono gli estremi per uno
sterminio di massa.
Naruto
non sa che dire. Aiuterebbe volentieri nello sterminio di massa, in
tutta sincerità, ma se non lo ferma lui quello psicopatico di
Sasuke, finisce con tre cadaveri che spurgano sangue sul pavimento
della cucina di Uchiha Mikoto, e Uchiha Mikoto sarebbe altrettanto
contraria, senza dubbio.
«Sasuke...»
inizia, con estremo tatto.
Il
suo tentativo sblocca anche Karin, che si schiarisce la voce e cerca
d'articolare un pensiero che inizia per «questo qui...»
Non
termina.
Perché
Sasuke si volta con lentezza esasperante e resta così, la luce
formicolante della cucina che dona qualcosa di inquietante alla sua
figura in ombra.
«Spiegami»
ordina, in un tono tutto fuorché conciliante.
Le
guance di Karin si colorano di una sfumatura tra il rosso e il
verdastro, gli occhi nascosti dal riflesso delle lenti, ma con
coraggio la kunoichi deglutisce e si schiarisce rapidamente la gola.
«Lui...
lui» comincia, voltandosi agguerrita verso Suigetsu. «È
colpa di quello stupido falco» risolve infine, avvampando.
«Volevamo
preparare la cena» aggiunge Juugo, illogico.
«E
il falco svolazzava» postilla Suigetsu, mimando un nevrotico battere
d'ali con il sandalo di Naruto in mano.
Sasuke
non si muove, in attesa; non è chiaro se stia ascoltando o meno,
così i tre si scambiano sguardi allarmati.
Karin
prende nuovamente il ruolo di portavoce e con sprezzo del pericolo
azzarda un passo in avanti.
«Suigetsu
è stupido» premette, subito secca. Ignora l'occhiataccia del
compagno e continua «Juugo si stava innervosendo per via del falco,
e lui ha utilizzato il metodo più idiota tra quelli disponibili per
risolvere il problema in fretta» conclude, palesando col tono e
l'occhiataccia rivolta a Suigetsu quanto lei stessa biasimi la sua
abitudine di menar di spada senza valide ragioni e sia quindi
completamente dalla parte di Sasuke.
Peccato
che Sasuke non sembri pensarla allo stesso modo: Naruto registra con
ansia lo sbiancare delle nocche del compagno, il tendersi del
ventaglio sulle sue spalle rigide e lo spasmo delle labbra tese. E se
ne accorge anche Karin, perché deglutisce pianissimo e non riesce
più ad emettere sillaba.
C'è
un momento d'attesa in cui sembra che tutti stiano trattenendo il
fiato per un'esplosione imminente. L'aria si ferma, Sasuke stringe
gli occhi e inspira brevemente, dilatando un poco le narici.
Ci
si aspetta una sfuriata, una risata isterica da pazzo, un genjutsu
generale che li ucciderà tutti, e invece, prima che chiunque riesca
ad emettere un solo accenno di fiato, Sasuke produce solo un lieve
sospiro basso.
È
una sorta di miracolo, come se una luce si fosse riversata in
corridoio, spandendo refoli di sollievo tiepido tra i presenti.
Naruto quasi è tentato di mandarlo a quel paese, Sasuke: gli ha
fatto credere di dover liberare la volpe per sventare la strage e
invece niente; un bel sollievo.
Ma anche no. Karin fa appena in tempo a schiarirsi la voce, Suigetsu a
rilassare le spalle e Juugo a decidere che incassarsi nel muro e
svanire non è più necessario, che il falco decide di alzarsi in un
balzello impacciato: svolazza con un fruscio di piume sotto lo
sguardo perplesso di Juugo e si sposta senza fretta, come avesse
deciso da tempo che quello era il momento giusto. Non emette alcun
verso, né schiocca il becco; solo, si libra per un attimo nell'aria,
mentre si dà la spinta, e poi va a posarsi con delicatezza quasi
surreale proprio sulla testa di Sasuke.
Lì,
davanti alle espressioni perplesse di quattro persone e quella quasi
allucinata dell'ex nukenin, lascia un suo indelebile ricordo che va a
sommarsi ad erba e pastella.
È
in quel momento che scatta il Chidori.
Il
manuale, le regole o quel che era, sono andati a farsi allegramente
friggere nell'arco di due secondi.
Uno
speso per crearsi terra bruciata attorno con un Chidori: il chakra è
schizzato come schizza una manata o un pugno, neanche fosse normale
reagire a colpi di saette, e ha fatto strepitare il falco fino a
fargli dare una capocciata al soffitto. Gli astanti, Naruto compreso,
sono balzati tutti due metri più in là, spalmati contro il muro per
evitare di essere raggiunti dalle scariche. L'altro secondo è
servito a Sasuke per cominciare a sillabare un categorico «fuori».
Il
resto è stato un precipitare di eventi che ha visto l'ex nukenin,
luminoso di chakra e con lo sguardo così cattivo che Juugo ha
persino rinunciato a dare segni di squilibrio - come avesse giudicato
l'evidente squilibrio mentale di Sasuke semplicemente troppo:
nulla con cui potesse sperare di competere – intimare a tutti di
uscire da casa sua in un tempo compreso tra subito
e adesso, senza dare
ad alcuno la possibilità di replicare qualsiasi cosa, o anche solo
di ricominciare a respirare.
Né
Naruto né Naruto Due si sono sentiti inclusi nell'invito, anche
perché con Sasuke e il suo chakra friggi mosche davanti alla porta
della cucina non c'erano molte chance
di uscire illesi se non passando dalla finestra; Naruto Due c'ha
provato, ma Naruto se l'è tenuto stretto tra le braccia, troppo
preso dal piccolo dramma domestico per prestargli attenzione. Non
vedeva Sasuke così fuori di testa da quando il gatto aveva avuto la
brillante idea di farsi le unghie sul comodino di Itachi.
«Sasuke»
si azzarda a sussurrare dopo un po', quando la porta d'ingresso si è
chiusa con educata discrezione dietro le spalle di Karin e il
jinchuuriki ha deciso che, almeno per lui, il pericolo sembra
rientrato.
L'altro
non si volta, ma almeno ha smesso di emanare chakra come uno
sciroccato: sta solo in piedi così, le spalle alla cucina e la testa
impiastricciata di schifezze inenarrabili; e meno male che al mercato
non vendono i topi, se no a sapere la fonte sarebbe stato quasi
peggio.
«Sasuke?»
ritenta l'eroe di Konoha, avvicinandosi. I cocci scricchiolano sotto
i suoi piedi e Sasuke si volta di qualche grado, piano.
Rotea
gli occhi davanti al suo viso teso, poi incrocia le braccia e azzarda
un'altra panoramica della cucina, fingendo che il sopracciglio non
stia tremolando.
«Ti
fai male, imbecille» ammonisce roco, in direzione dei piedi scalzi
di Naruto.
Lui
se li guarda e si stringe nelle spalle.
«Ci
pensa quella stupida Volpe» aggiunge, pratico. Sasuke gli lancia
un'occhiataccia truce, ma non dice niente.
Restano
in silenzio per un po', a guardare i cocci rotti. Fuori, Karin e
Suigetsu hanno ripreso a cercare di scannarsi, incolpandosi a vicenda
di aver fatto incazzare quello psicopatico di Sasuke. Li seda
inaspettatamente la voce calma di Juugo, che si impone con un deciso
«basta litigare, abbiamo sbagliato tutti» includendosi con notevole
spirito di sacrificio. Quel che arriva, poi, sono solo borbottii
vaghi troppo bassi per risultare distinguibili.
«Beh,
mh...» comincia Naruto, indeciso.
Sasuke ha finalmente
preso la situazione e la scopa in mano. Ci scaccia prima il gatto –
non con la situazione, beninteso - e quello scivola fuori e va a
rifugiarsi nel buio del sottoscala, in cerca di pace.
I
cocci grattano sul pavimento, sotto i colpi duri delle setole.
Naruto
ha la bruttissima sensazione che stia per partire un Amaterasu. Se
Sasuke avesse il Kamui lo userebbe per risucchiare cocci, cucina e
probabilmente anche Suigetsu, Karin e Juugo; e magari anche lui e
Naruto Due, povere vittime inconsapevoli.
Indeciso
sul da farsi, si guarda attorno in cerca di una scopa supplementare o
di un altro oggetto che gli consenta di rendersi utile; con un lampo
di genio, scavalca saltellando metà pavimento e recupera impacciato
le buste della spazzatura formato cadavere che ha comprato la
settimana scorsa, guadagnandosi una trafila d'occhiate impensierite
da parte dei negozianti – pensano sempre che Sasuke lo voglia
rendere complice di efferati omicidi, quei cari nonnetti del conbini
–, e quasi si impicca cercando di separarne i lembi.
Mentre
concentrato cerca di portare a termine quell'impresa, Sasuke continua
a racimolare cocci con metodo, chiuso in un silenzio preoccupante.
Naruto
trae un sospiro casuale e inizia a raccogliere i frammenti più
grossi a mani nude, lasciando che si sfracellino definitivamente sul
fondo di plastica nera.
«Oh,
questa è intatta!» esclama d'un tratto, estraendo una tazza giusto
un filo sbeccata dalle macerie delle sue compagne distrutte.
Sorride
di rimando all'espressione neutra di Sasuke, che ha interrotto giusto
per un istante il suo spazzare meccanico, ed esamina la tazza
controluce. «Vedi, c'è solo una piccola cre-». Non riesce neanche
a finire che la tazza, sporca di sugo freddo esploso dai barattoli
schiantati, gli scivola via e va a sfracellarsi in terra.
«Usuratonkachi»
scandisce l'ex nukenin, monocorde e cupo; stringe il manico della
scopa e lo guarda dritto negli occhi. «Se il tuo scopo è unicamente
quello di intralciarmi, resta immobile».
Naruto
apre la bocca, guarda per un momento la montagna di cocci, poi la
richiude.
«Stavo
solo...
Non l'ho fatto apposta» cerca di articolare, ottenendo solo di
far contrarre il sopracciglio sinistro di Sasuke in una piega per
nulla rassicurante. «Non prendertela con me» conclude, imbronciato.
Sasuke
non dice niente, lo squadra per un altro lungo secondo con estrema
contrarietà e poi ritorna a dedicarsi alla sua cucina, raggruppando
le schegge schizzate sotto i mobili assieme a sparuti biscotti
sbriciolati.
«Sei
tu che te li sei voluti tenere in casa» riprende dopo un poco il
jinchuuriki, offeso. «Sono anche ricercati, lo sai. Non è per
qualcosa, ma...»
«Non
è per qualcosa cosa? Sono ricercati, sì, appunto»
sbotta Sasuke, evitando per un soffio di dare una capocciata all'anta
che ha aperto quando si è chinato per raggiungere anfratti più
nascosti.
«Appunto
cosa? Non dovrebbero stare a Konoha, hai presente? Non dovrebbero
proprio!» prosegue Naruto, spazientito. A ogni parola un coccio
finisce a schiantarsi sul fondo della busta.
«E
certo, la tua preziosa Konoha. Infatti non siamo a Konoha, siamo a
c-» ripete Sasuke, tra uno sfracellio e l'altro.
«Ah,
eccolo che ricomincia!» lo interrompe Naruto, svelto. «Questo posto
è nel territorio di Konoha!»
«Vaffanculo»
ribatte l'ex nukenin, con eccezionale coerenza e diplomazia.
Naruto
si trattiene a stento dal tirargli la mezza ciotola crepata che ha in
mano e risolve gettandola nella busta con violenza.
«Vedi
che non ha senso? Non ce l'ha! E quelli non dovrebbero essere qui!»
«Tu
non hai senso, idiota, e piantala di fare baccano!» aggiunge
l'altro, producendo però rumore lui stesso con la montagnola di
cocci che continua a spalare con violenza e senza troppa logica,
facendo cozzare la ceramica contro un angolo.
Sembra
una gara a chi fa più rumore, tra stoviglie già rotte ridotte a
polvere ruvida sotto i piedi, tranci di bicchieri gettati da scopa a
busta che rimbalzano fa un muro all'altro, Naruto che ringhia e
Sasuke che gli sibila contro. Un manicomio, ecco cos'è.
«AAAH!
Basta!» sbraita di colpo Naruto, quando Sasuke prende l'iniziativa
di lanciargli un'ex tazza neanche fosse uno shuriken.
Il
fracasso si blocca di colpo ed entrambi ansimano come avessero corso.
Naruto
fissa il compagno con un cipiglio astioso, paonazzo. Getta
un'occhiata di sfuggita al coccio che si è fracassato alle sue
spalle e poi, senza alcuna logica, si siede sul pavimento.
«Forza,
seduto» sbotta, invitando Sasuke ad imitarlo.
Lui
lo osserva stralunato per un paio di secondi e il jinchuuriki emette un
gemito esasperato.
«Dei,
Sasuke dammi retta per una volta nella vita!»
L'ex
nukenin mugugna e rumina un bellicoso «e quando mai», con
glaciale sarcasmo, ma finisce per obbedire e, senza curarsi di
liberare il pavimento dalle schegge, si siede pesantemente con palese
ritrosia.
Restano
seduti per quasi una mezza dozzina di secondi, Sasuke che fissa in
cagnesco un pezzo della credenza martoriata e Naruto pensoso e un po'
incupito.
«Mi
dispiace per la cucina» comincia infine l'eroe di Konoha, incerto.
Senza
neppure voltarsi, Sasuke aggrotta le sopracciglia e sembra tentare un
breve movimento brusco del capo, come per scacciare una mosca.
«Non
sei tu quello che dovrebbe chiedere scusa» brontola, e non si sta
riferendo a se stesso, ma al trio di dementi che ha appena cacciato.
Naruto
lo sa, che non riceverà mai delle scuse per quella tazza che l'ha
quasi preso in pieno, come per diverse altre cose, e quindi accoglie
con piacere almeno l'essere stato escluso dall'elenco dei colpevoli
di reati contro il clan Uchiha, che – considerato quanti nomi
contiene, almeno secondo l'inquietante, lunghissima lista mentale di
Sasuke – è già qualcosa.
«Non
mi piacciono» riprede Naruto, più deciso e anche in imbarazzo, ora
che ha espresso il pensiero a voce alta. Ignora l'occhiata un poco
perplessa di Sasuke e continua a pulirsi lo spazio tra alluce e
secondo dito, nonostante la schegge che c'erano incastrate siano
precipitate sul pavimento al primo tocco. «Non mi piace che abbiano
avuto a che fare con Orochimaru e non mi piace che quella Karin ti
stia appiccicata » schiarisce un poco la voce, imbarazzato, e si
affetta a proseguire; «o che quel Suigetsu faccia come gli pare e
che quello... No, beh, quello alto mi va bene, ma il suo cavolo di
falco no. Ecco».
Segue
un silenzio abissale in cui si avvertono con chiarezza lo zampettio
lievissimo di Naruto Due in soggiorno, il vento fuori e il ronzio
monotono del vecchio frigorifero.
«E
a me che mi frega?» sbuffa Sasuke, astioso.
La
mano di Naruto si solleva a grattare vaga la zazzera bionda. Scrolla
qualche scheggia anche da lì.
«Che
palle. Sei uno stronzo deficiente» puntualizza, ignorando il
sibilo di risposta. «È solo... te lo dico. Perché se tu ci tieni a
tenerteli qui, allora okay, ma a me non piacciono, tutto qua».
«Tu
non dovresti essere quello che ama tutte le creature?» lo punzecchia
Sasuke, con distacco.
Le
spalle di Naruto crollano.
«Che...
Ma che è 'sta storia? Io amo quello che mi pare e piace e gli
scagnozzi di Orochimaru...»
«Su
Suigetsu e Juugo Orochimaru ci faceva gli esperimenti».
Naruto
si cheta di botto, chiudendo la bocca.
«Oh»
borbotta subito dopo; poi corruga le sopracciglia: «e quella
Karin...»
Sasuke
si stringe nelle spalle.
«Non
che sia affar mio» chiarisce subito, prima di aggiungere «ma non
credo potesse andare e venire a piacimento».
Naruto
lo squadra, indeciso.
«Quindi
a te loro piacciono» conclude Naruto, logico.
A
giudicare dall'espressione che assume - tra sconcerto e vaga
indignazione, neanche fosse stato accusato di chissà quale crimine –
per Sasuke la conclusione è assai meno ovvia. Così, perde tempo a
lanciare un altro paio di occhiate torve al cimitero di cocci e alla
credenza distrutta.
«Ci
sono un sacco di cose che non mi piacciono di te» comincia d'un
tratto, senza senso. E infatti la reazione che ottiene è di far
sgranare gli occhi e pronunciare uno «eh?» sconcertato e un po'
indignato al suo povero interlocutore.
«Che
c'entra, io sono... Insomma, noi... No?» blatera Naruto, e non sa
sentirsi offeso per essere stato tirato in ballo, dato che non ha ben
capito dove l'altro voglia andare a parare.
Lui,
Sasuke, aggrotta lievemente le sopracciglia, a disagio.
«Allora,
ci sono un sacco di cose che non mi piacciono di Sakura» riparte,
più convinto.
Non
ce la si fa. Davvero, ci vorrebbe un dizionario, un interprete. Uno
psichiatra, magari. Uno bravo.
«Che
c'entra Sakura?» domanda Naruto, perso. E Sasuke, dall'alto del suo
mondo metaforico ultrafiltrato, alza gli occhi al soffitto.
«Dei,
che fatica» sibila, devastato. Lui, eh.
L'eroe
di Konoha, con eroico sforzo – appunto – trae un profondo
respiro.
«D'accordo,
diciamo che li sopporti» conclude e ritiene d'aver azzeccato
la giusta espressione, dato che Sasuke non si oppone con sibili e
altri versi contrariati. «Li sopporti... come sopporti me? O
Sakura?» tenta, cercando di ricostruire un filo logico. «Quindi
sono come me e Sakura. Sono come me, Sakura e Kakashi sensei!» mette
insieme, dando fondo a tutte le sue energie psicofisiche.
«Era
un esempio. Non allarghiamoci» replica solo Sasuke, senza
guardarlo. «Sono meglio di Orochimaru» concede sostenuto,
pronunciando quell'Orochimaru come equivalesse a peste
bubbonica.
E
detto da Sasuke praticamente è da considerarsi un complimento o
quantomeno una dichiarazione di stima non troppo dissimile
dall'affetto. Tanto più che, a sentire quel «non allarghiamoci»,
il cervello di Naruto ha arbitrariamente decretato un Team seven:
uno, Team Hebi: zero, cosa che l'ha reso ben più benevolo nei
confronti di tutte quelle creature per le quali dovrebbe
presumibilmente provare amore.
Rallegrato,
il jinchuuriki quasi si lascia sfuggire uno sbuffo divertito.
«Li
hai cacciati a colpi di Chidori» fa presente, ridacchiando come una
volpe.
Sasuke
emette
un indecifrabile
mugugno.
«Per
poco non li ammazzavi» prosegue l'altro, ilare.
«Pare
sia la prassi, fossi in loro mi sentirei lusingato» ribatte l'ex
nukenin, caustico.
Naruto
si lascia sfuggire definitivamente una risata, ammonticchiando
cocciame con i piedi, rumoroso.
«Sei
una merda, davvero. Una vera merda!» lo insulta allegro. «Prima mi
fai due palle te e le leggi sull'ospitalità...»
«Io
non ho mai parlato di leggi» bofonchia Sasuke, contrariato al
massimo ma decisamente più calmo.
Naruto
lo ignora bellamente.
«E
poi entri in casa e cerchi di ammazzare tutti. Sei completamente
fuori, dattebayo!» conclude, tirandogli una mezza pedata complice cui
Sasuke reagisce con l'ennesimo sbuffo poco partecipe.
Naruto
resta a ridacchiarsene per un altro po', le mani sulla pancia, e
infine sospira, scorrendo lo sguardo sulla devastazione generale che
va dal pavimento, alla credenza fino a Sasuke stesso coperto di
pastella, erbacce e guano di falco pellegrino.
«Li
richiamiamo?» si azzarda a proporre, guadagnandosi una faccia
sconcertata.
«Dai,
almeno per quella cosa delle regole. Pareva importante» prosegue il
jinchuuriki, luminoso e conciliante, irrimediabilmente eroico e buono da far venire il diabete
mellito.
«Valgono
finché non si fa a pezzi la casa» replica Sasuke, in un sibilo
piccato.
«Ma
non ti dispiace averli cacciati così?»
L'occhiataccia
di sufficienza di Sasuke farebbe desistere chiunque dal proseguire
l'avanzare di simili illazioni, ma Naruto sa di essere il migliore
dizionario, interprete e anche un po' psichiatra che ci sia sulla
piazza, quando si tratta di Uchiha Sasuke. E nel fondo di iridi
burrascose d'indignazione e rabbia – la roba di Mikoto, per la
miseria. Sarebbe stato meglio se avessero fatto a pezzetti il tatami
di tutte le stanze – Naruto rinviene con sicurezza una punta
abbastanza intensa di dispiacere per aver spedito fuori a calci -
veramente a colpi di Chidori, che è quasi peggio - tre
tizi che in fondo sono comunque meglio della peste bubbonica.
Sasuke
squadra Naruto a lungo, esamina riottoso il cadavere della credenza
spiaggiata e infine si tira in piedi, spolverandosi con sdegno i
calzoni dai frammenti di ceramica.
«Prima
mi faccio il bagno» delibera infine, come avesse appena emanato un
editto regale. «E poi si vede. Se mi gira storto muoiono fuori, sia
chiaro».
«Se
lo dici tu» conclude Naruto, contento, prima di alzarsi a sua volta
e tallonarlo in corridoio e poi al piano di sopra, beccandosi un
rimbrotto per l'eccessiva vicinanza che per poco non li fa inciampare
entrambi nei gradini.
«Che
cazzo, idiota, non starmi incollato» fa il pericoloso ex nukenin con
una scintilla seriamente pericolosa nello sguardo.
Naruto
la ignora bellamente e schizza in avanti. Si infila in bagno,
saltando dentro la vasca ancora vuota, i vestiti buttati in
giro nell'arco di tre passi. Armeggia
col rubinetto, concentrato, e si lagna quando l'acqua esce
caliginosa, tendente al marroncino.
Sasuke
si pianta a braccia incrociate lì davanti, a fissarlo con astio, e
non solo perché si è di nuovo ficcato nella vasca senza prima
lavarsi – non imparerà mai, c'è solo da rassegnarsi.
«No,
non hai capito: prima io» mugghia sdegnato, pretendendo chiaramente
che lui si alzi, chieda scusa e gli lasci il posto.
Naruto
solleva il mento dal getto ora un po' più decente, si gode per un
attimo lo spettacolo della faccia incazzosissima di Sasuke, sotto
quel cumulo di sozzura che ha in testa, il culo di papera ridotto ad
una fratta variopinta e oleosa, e ridacchia sornione.
«Sei
tu quello che non ha capito, idiota» sghignazza, facendogli il
verso e ignorando i lampi
d'odio emanati dall'intera figura di Sasuke. Ma prima che l'ex
nukenin gli rifili un altro Chidori, stavolta con l'intento di
uccidere, aggiunge: «adesso tu ti spogli, vieni qui e si riprende da
dove ci hanno interrotto!»
Tra
il tonfo soffice dei panni buttati a terra e lo sciacquio nella
vasca, quando Sasuke lo raggiunge, nel bagno risuona chiaramente un
«usuratonkachi» masticato con sobrio stoicismo.
Nda
Sì,
continua! Ve ne fregava? *ride*
Comunque:
una “nasata” è una botta data col naso, uno “sfracellio” è
il rumore che fanno le cose quando si sfracellano e il “cocciame”
è un mucchio di cocci ùù
*viene giustamente stordita da uno Zingarelli
volante*
Non
saprei in che lingua chiedere scusa per questa roba (considerato
anche che quella italiana evidentemente mi ha abbandonata già da un
po'). Intanto ho alzato il rating, perché questi ninja sono degli
sboccati (loro, mica io. Io sono un lord inglese).
Tra
l'altro, l'avevo praticamente finita, solo che poi il quadernaccio su
cui stava scritta è
stato inglobato da qualche oscura entità - forse il mio armadio. Vabbè,
il succo è che non lo trovo, ergo non trovo il
finale (non me lo ricordo. Era stupido: è scivolato giustamente via
dal mio cervello liscio), ergo i tempi d'aggiornamento sono lunghi
ere geologiche: lì in fondo c'è la clava per percuotermi come merito.
Per
fortuna non c'è suspense, altrimenti potrei persino sentirmi in
colpa. Dormiamoci su.