Attenzione: approfitto di questo spazietto per chiedere la cortesia, a fine storia, di leggere le note autore.
Buon Proseguimento! ^_^
Your Name?
<<Ti sei proprio innamorata, eh?>>
Non mi accorgo nemmeno di aver alzato lo sguardo fino a quando non mi scontro col sorriso sornione della donna davanti a me.
La borsa rischia di scivolarmi via dalle braccia, ma non so come la trattengo appena in tempo.
<<C-Come?!>> balbetto, e nel farlo mi sento una perfetta idiota.
Ma brava, Gwendolyn!,
sussurra una vocina antipatica nel mio orecchio: Ora ci manca solo
che arrossisci e sarai uguale a quelle tue compagne di classe che
passano le lezioni a disegnare cuoricini rosa nel diario!
Questo
pensiero mi irrita, e mordendomi il labbro mi sforzo di non arrossire
sul serio.
Ma è inutile, le guance iniziano a pizzicare prima che
riesca a fermarle.
Per
fortuna la commessa non sembra far caso a me: i suoi orrendi occhiali
color canarino sono ancora puntati sulle scatolette che sta infilando
nella busta. Quando finisce alza lo sguardo, rivolgendomi un altro
sorriso reso colloso dal troppo rossetto.
<<Parlo del cibo>> spiega ridacchiando <<Insomma,
vieni spesso qui e compri sempre la marca migliore di questi
bocconcini. Devi avere una vera cotta per il tuo cane! ...a proposito,
comprando questo prodotto solo per oggi hai diritto ad un omaggio.>>
La donna tira fuori dal
nulla un osso di gomma, e lo strizza tra le dita provocando uno
squeez rumoroso che mi fa quasi sussultare.
Immediatamente
sento le mie labbra stringersi in una smorfia: le mani mi prudono con
insistenza, tentata come sono dallo strapparle la busta di mano e
ordinarle di impicciarsi un po' degli affari propri.
Invece, non
so come, mi limito a pagare il conto e a uscire dal negozio di
animali borbottando un arrivederci a mezza bocca.
Fuori l'aria è fresca, e
subito le mie spalle rabbrividiscono in modo fastidioso.
Meccanicamente mi sfrego le braccia, e accelerando il passo controllo
l'ora dal cellulare.
Sono le quattro meno un quarto: in perfetto
orario per l'autobus, ma un po' in ritardo per l'appuntamento.
Senza
contare che oggi è il compleanno di mio fratello, e la mamma vuole
che torni a casa presto per aiutarla a preparare la festa.
Sbuffo:
significa che oggi l'appuntamento durerà meno del
solito.
Vorrei dirmi che non fa niente, che almeno dalla settimana
prossima non ci saranno altri impegni a tenermi occupata, e che avrò
più tempo a disposizione.
Ma nessuno di questi pensieri mi impedisce di sbuffare un'altra volta.
Quando raggiungo
l'autobus lo trovo quasi vuoto, perciò posso scegliermi con calma il
sedile che mi piace di più. Se non fosse per un bambino che fa i
capricci sulle ginocchia della madre, per tutto il tragitto si
sentirebbe solo il quiete rombo del motore.
Annoiata, infilo la
busta nella borsa e do un'occhiata al finestrino. È già aprile,
eppure Toronto non ha ancora smaltito del tutto l'inverno: fa freddo,
e da tempo non c'è mai molta luce. Sulle strade aleggia una
nebbiolina leggera e di un insolito, cupo colore grigio, che mi
sembra simile a un fantasma.
Mia madre direbbe che è
un paesaggio triste, invece a me non dispiace affatto; anzi, per
qualche ragione mi tranquillizza -e sì, mi ispira: vorrei avere con
me il mio album e del carboncino per buttare giù qualche
disegno.
Toronto è piena di verde, e mi sembra che quest'aria
grigiastra dia alla città una sfumatura particolare, come se fosse
un luogo magico. Una sfumatura di colore che la mia insegnante di
arte forse chiamerebbe Giada. Oppure Verde fumo.
Verde fumo...
Un improvviso pensiero
imbarazzante mi fa sussultare sul sedile, e subito scuoto la testa
contro il finestrino.
Per evitarmi di pensare a qualcos'altro di
stupido concentro la mia attenzione sul bambino poco davanti a me, e
che ora sta piangendo ancora più forte di prima.
Ma non dura
molto, perché la mia fermata arriva prima di quanto mi aspettassi.
Scendo dall'autobus con un
balzo e mi avvio di corsa verso la mia destinazione.
Fin
dai primi passi, i rumori che mi accompagnano sono quelli di
televisori dal volume troppo alto o dello scricchiolio improvviso di
vetri rotti.
Non si può certo definire il quartiere migliore di
Toronto, questo: la prima volta che ci ho messo piede è stato per
caso, dopo un banalissimo sbaglio di fermata dovuto al sonno
arretrato e alla distrazione.
Le facce che circolano in queste
strade non sono molto amichevoli, e l'odore di immondizia bruciata
che svolazza nell'aria mi dà ogni volta la nausea.
Lo ammetto, la prima volta che sono stata qui
ho avuto molta paura.
Ma adesso questo posto non mi disturba quasi
più. Ho capito che se cammino con lo sguardo alto nessuno verrà a
darmi fastidio, e che è sempre meglio mantenere il passo veloce per
non farsi spaventare troppo dai rumori poco piacevoli che sbucano
dai vicoli più scuri.
A volte mi ritrovo a pensare che se
la mamma sapesse dove vado dopo la scuola, sicuramente non mi
permetterebbe più di uscire di casa; ricordarmi della sua quasi
esagerata iperprotettività mi fa sorridere un po' .
I miei pensieri
passano da lei a mio fratello, alla festa di stasera e al regalo che
gli ho comprato: smetto di pensare a queste cose non appena, da
dietro un vecchio palazzo, scorgo in lontananza la testa del
campanile di mattoni. A questa vista i miei piedi aumentano da soli
l'andatura, e mi ritrovo a correre senza neanche sapere
quando ho cominciato ad accelerare il passo.
Raggiungo la chiesa col
respiro spezzato e il cuore in gola, e pian piano rallento per
riprendere fiato.
Alzando lo sguardo, mi ritrovo a sorridere non
appena mi accorgo di chi mi sta aspettando da dietro il
cancello di ferro.
Subito mi chino sul marciapiede, poggiando la borsa a terra e allargando le braccia.
<<Neuf!>> (*)
Quel
birbante non mi da neanche il tempo di chiamarlo per nome, che
già si è gettato sulle mie ginocchia cercando di
slinguazzarmi tutta la faccia.
<<Smettila, Tontolone!>> scherzo, rimettendolo a terra e guardandolo scodinzolarmi intorno.
Neuf è poco più di un cucciolo, un bastardino dal pelo
nero e marrone con una coda sproporzionatamente lunga per la sua
piccola stazza.
E' vero, quando l'ho visto la prima volta ho pensato
fosse bruttino: adesso, invece, per me Neuf è senz'altro il cane
più bello del mondo.
<<Stai buono, guarda cosa ti ho portato.>>
tiro fuori dalla borsa l'osso di gomma che mi hanno dato al negozio, e
dopo averglielo fatto dondolare un po' davanti al naso lo getto fin
oltre il cancello, più lontano che posso.
Immediatamente Neuf si lancia al suo inseguimento, e io lo seguo ridacchiando tra me e me.
Quando varco il cancello e
raggiungo il cortile spoglio della chiesa, la prima persona su cui mi
imbatto è Padre Simon.
È un uomo abbastanza giovane, sebbene i
capelli grigi facciano supporre il contrario: mi sta dando le spalle
e non mi vede arrivare, mentre appende un manifesto vicino al portone
della chiesa -probabilmente un altro avviso sulla disponibilità di
accogliere nuovi membri per il coro liturgico.
Non appena si volta
e mi vede da lontano, il saluto che mi rivolge non va oltre a un mite
“Buonasera”, prima di recuperare il suo rotolo di scotch e
nascondersi dentro la chiesa.
Lo osservo sparire senza far caso al
suo comportamento un po' distaccato. So bene che, per qualche
ragione, non gli sono mai andata molto a genio; forse per i miei
vestiti o la tintura dei miei capelli, che una volta ho sentito
giudicare raccapriccianti a bassa voce, convinto che io non lo
stessi ascoltando.
Non che a me importi molto: in effetti Padre
Simon non è il primo che ha avuto qualcosa da ridire sul mio look, e
certi commenti ormai non mi fanno più effetto.
<<Gwen!>>
Qualcun
altro mi saluta, e in un attimo mi manca il fiato.
D'un tratto mi sento come un paio di minuti fa, quando ho corso come un'ossessa per arrivare fin qui: con il respiro spezzato in bocca e il cuore che fa una capriola vertiginosa.
<<Gwen,
ciao!>>
Lui, seduto come sempre
vicino alle scale, mi invita a raggiungerlo continuando ad agitare la
mano.
Io obbedisco: mi
basterebbero comunque solo pochi passi per raggiungerlo, ma mi
accorgo troppo tardi che sto comunque cercando di accorciarli il più
possibile.
Mi fermo solo quando mi ritrovo davanti a lui, fissandolo dall'alto con le braccia incrociate sulla pancia.
<<...ciao.>>
<<Sei
tornata!>>
Lui sorride, e io
inizio a giocare con una ciocca di capelli.
Odio sentirmi così
agitata come adesso. <<Ovvio>>
sbotto <<...volevo vedere
Neuf.>>
Come ogni volta, mi siedo
per terra, accanto a lui, e apro la borsa per armeggiare con le
scatolette di cibo per cani; richiamato dall'odore del cibo, Neuf mi
raggiunge di corsa lasciando ai miei piedi l'osso di gomma e puntando
il muso verso i bocconcini di carne.
<<Buono.>>
lo ammonisco prima di poggiare la scatoletta per terra e
guardarlo fiondarsi avidamente sul cibo. Gli accarezzo la schiena e
gli gratto le orecchie, e Neuf reagisce alle mie coccole agitando
festosamente la coda.
<<Oggi non posso
restare molto>> spiego, senza
smettere di accarezzare Neuf <<mia
madre mi rivuole a casa per preparare la festa di mio fratello.>>
Sento lui
rispondermi con un un colpo di tosse, e subito alzo il viso per
guardarlo.
Come sempre, non riesco a non restare ammaliata dal suo
profilo.
C'è qualcosa in lui, nei suoi lineamenti, di
interessante.
Non so dargli un nome preciso -Dolcezza,
rabbia, malinconia? Tutte e tre le cose insieme?- , ma di certo
è particolare.
Lo ammetto: è affascinante.
Guardare
lui è come guardare un disegno dai tratti labirintici, e non c'è
una dannata volta in cui riesca a non rimanerne incantata come
una deficiente.
<<Chitarrista,
hai di nuovo quella tosse?>> gli
chiedo.
Lui sbuffa subito e si volta a guardarmi, la fronte ampia
solcata da un'espressione implorante che riesce a strapparmi un
sorriso.
Conosco il Chitarrista
da quasi un mese, ormai: eppure di lui non so ancora praticamente
nulla.
Non so la sua storia, non so la sua età;
accidenti, non
so nemmeno quale sia il suo nome!
Di lui conosco solo la sua
chitarra, il cappotto consumato, la bottiglia di birra che usa per
raccogliere l'acqua piovana, il cappello abbandonato a terra che ogni
tanto gli regala qualche moneta di fortuna.
Tutto quello che io so
del Chitarrista è che
è un musicista squattrinato, un mendicante senzatetto.
<<Ti
prego, Gwen, lo sai già.>>
sospira <<E' un soprannome
ridicolo, ed è abbastanza imbarazzante che tutti qui in chiesa mi
chiamino così. Non ti ci mettere anche tu.>>
<<E
come dovrei chiamarti?>> rispondo,
provocandolo con un sorriso furbo. Un freddo improvviso mi fa
rabbrividire e subito stringo le gambe al petto <<Non
mi vuoi neanche dire il tuo vero nome.>>
Lui
sorride a sua volta: probabilmente sta cercando di fare una smorfia
dispettosa, ma non gli riesce molto bene.
<<Te
lo dirò in un'occasione speciale.>>
Da dietro i ciuffi dei suoi
capelli unti riesco scorgere lo scintillio sbarazzino dei suoi
occhi, e come ogni volta mi lascio risucchiare dall'intensità del
loro colore:
un criptico, soffocante, stupefacente verde
fumo.
<<E quale sarebbe, l'occasione
speciale?>>
<<Non
lo so...>> ammette, distogliendo lo
sguardo.
Le sue guance scavate dalla fame si colorano un po'
sotto la barbetta disordinata che le ricopre.
Neuf richiama l'attenzione di entrambi, leccandosi il muso dopo aver finito il suo pranzo e abbaiando a gran voce. Io recupero l'osso giocattolo e lo lancio da qualche parte, facendolo correre al suo inseguimento.
È stato Neuf a farci
conoscere.
E' successo la prima volta che sono finita in questo
quartiere: l'ho sentito abbaiare da dentro un cassonetto dei rifiuti,
e il Chitarrista mi si è avvicinato e mi ha aiutata a liberarlo -è
vero, ha seriamente rischiato di affogare nei pacchi dei rifiuti: ma
a ripensarci adesso è stata una scena piuttosto divertente.
È
stato lui anche a dargli il nome: Neuf. A quanto sembra il
nove è il suo numero portafortuna.
Mi perdo un po' in questi
ricordi, fino a quando non mi rendo conto che stiamo rimanendo in
silenzio da forse troppo tempo.
Improvvisamente mi sento in
imbarazzo e cerco di dire qualcosa: <<Sai,
uhm... Stamattina il professore di storia ha interrogato>>
racconto, alzando lo sguardo verso il cielo.
<<Te
l'ho detto che è un cretino, vero? Insomma, io ho passato quasi
tutta l'ora di lezione a parlare di Diderot, dell'idea che avevano
del medioevo, dell'âge des lumières eccetera, e mi mette la
sufficienza. E a Juliet... la mia compagna, che praticamente non ha
aperto bocca, dà pure un voto più
alto del mio. Pezzo di
idiota, questo è favoritismo!>>
commento, adirata.
Lo
sbuffo che mi scappa fuori provoca la risata leggera del
senzatetto.
<<Io
invece ho passato la giornata a provare una nuova canzone>>
spiega lui, e accompagna le
sue parole afferrando la chitarra poggiata al suo fianco.
Il suo
viso torna a colorarsi di un adorabile rossore,
e la mano libera corre a grattarsi la nuca <<Hai,
uhm... voglia di ascoltarla?>>
Mi devo portare una mano
sul petto, perché posso sentire chiaramente il mio cuore gonfiarsi
al punto che potrebbe scoppiarmi come un palloncino. Probabilmente
sto per mettermi a sorridere come una stupida, perciò cerco subito
di ricompormi.
<<Se proprio vuoi....>>
mormoro alzando le spalle, con un tono di voce forse troppo
freddo, perché noto che il suo sguardo si è fatto un po'
preoccupato.
<<N-non
ti costringo, se non ne hai voglia...>>
<<Massì,
dai, fammi sentire.>>
Il
modo con cui armeggia la chitarra è magico.
Innegabilmente
magico.
Fin da quando l'ho incontrato la prima volta, mi è
stato chiaro che il soprannome Chitarrista non gli deve essere
stato certo dato per caso.
Le sue dita sporche e ruvide si
trasformano in dieci piccole piume quando sfiorano il suo strumento, e lo accarezzano come se fosse fatto di cristallo. Non so
spiegarlo bene, ma quando suona, quando chiude gli occhi e canta, per
me è come cambiare luogo: come se il mondo si tramutasse in una
specie di bolla di sapone, e mi facesse volare lontano.
Non appena le prime note della chitarra
mi sfiorano le orecchie, distolgo lo sguardo e poggio il mento sulle
ginocchia, fissando il nulla.
La canzone è lenta, dolce, triste;
da oltre i cancelli della chiesa qualche passante curioso si ferma
per ascoltare meglio, ed io li fisso con astio, sperando di cacciarli
via con uno sguardo pungente.
A lui fa piacere che la gente lo
ascolti: a volte scherza dicendo che, chissà, magari tra il pubblico
c'è un produttore musicale che potrebbe dargli un lavoro.
Ma
a me non piace.
Vorrei che quella musica fosse indirizzata solo a
me.
Vorrei che questi momenti fossero solamente nostri, miei
e del Chitarrista al mio fianco, come se tutto il resto del mondo
fosse un luogo a parte rispetto a noi due.
Ma il
piccolo pubblico creatosi esita ad andarsene, e io, trattenendo uno
sbuffo di disapprovazione, torno a guardare la persona al mio
fianco.
Lo ammetto, non m'intendo di musica: o almeno, non mi
intendo di musica che non sia quella spaccatimpani da
discoteca.
Chissà come mai, allora, non riesco a non pensare che
questo sia il suono più bello del mondo.
Ma la
musica si interrompe su un accordo stridulo e sbagliato.
Il
Chitarrista stacca la mano dallo strumento e se la porta alla bocca,
sporgendosi in avanti di fronte a un violentissimo colpo di tosse.
Io
sussulto. <<Ehi, tutto ok?!>>
Avvicino
la mano alla sua spalla, senza però toccarla. Lui tossicchia ancora
e respira pesantemente contro il palmo, mentre la chitarra scivola
via dalle sue ginocchia cadendo a terra con un tonfo stonato.
Dopo
qualche spaventoso secondo, le sue spalle smettono di tremare, e il
Chitarrista alza lo sguardo lucido verso il mio.
Mi
chiedo se non abbia la febbre, e se non sia il caso di provare a
controllargliela.
Non sarebbe un gesto difficile da fare: dovrei
solo allungarmi verso di lui e poggiare la mano sulla sua fronte.
Il
problema sarebbe staccarla.
<<Tutto
ok?>> ripeto, senza osare far nulla.
Vederlo sorridere riesce a tranquillizzarmi un poco.
<<Scusa>>
mormora subito, rimettendosi dritto con la schiena <<Mi
è solo andata... della saliva di traverso.>>
Poi
si accorge della sua chitarra e si affretta a
recuperarla <<Accidenti>>
borbotta, iniziando a controllare centimetro per centimetro che non
si sia rotto nulla.
Neuf torna da me,
sputandomi ai piedi il suo nuovo giocattolo a forma di osso e
aspettando che io glielo rilanci. Ma non ci faccio caso, troppo
occupata a studiare i movimento del Chitarrista e a cercare di capire
se stia davvero bene o se mi ha raccontato una balla per
tranquillizzarmi.
Il cellulare squilla e mi distoglie da queste preoccupazioni.
Rispondo velocemente, senza neanche guardare il numero: dall'altra parte del telefono c'è la voce ansiosa di
mio fratello.
“Dove sei? Mamma è disperata, ha
provato a fare una torta ma le è esplosa nel forno, dice che ti
vuole subito a casa.”
Alzo gli occhi al cielo <<Figurarsi
se non combinava qualcosa. Voi vi siete fatti male?>>
“No,
ma mamma sta piangendo. Vuole che tu vada a comprarmi un'altra torta.
Ehi, me la prendi al caramello? Mi sono rotto del
cioccolato. Ah, e poi servono le candeline, e l'aranciata, te lo ricordi?”
<<Sì, me lo ricordo... dì a mamma di non distruggere la casa. A dopo.>>
Chiudo
la chiamata con uno sbuffo scocciato.
<<Devo
andare>> annuncio, alzandomi in
piedi e battendo le mani sulla gonna per toglierne la polvere. Mi
volto preoccupata <<Tu stai
davvero bene?>>
Il Chitarrista solleva
il volto e mi rassicura con un sorriso <<Mai
stato meglio!>> esclama.
Poi
noto che il suo sguardo si addolcisce un po' <<Torni
domani?>>
<<Domani
non posso, mia madre ci trascina dalla nonna per il
week-end.>>
<<Ah...>>
Neuf
si alza sulle zampe posteriori per aggrapparsi alla mia gamba, e io
mi chino per accarezzargli la testa pelosa.
<<Lunedì...>>
borbotto a testa bassa <<Tornerò
lunedì.>>
<<Davvero?>>
<<Certo...
p-per vedere Neuf!>>
Veloce, raccolgo
l'osso finto e lo lancio da qualche parte, e mentre il cane corre via
anche io scappo con un "Ci vediamo" imbarazzato.
Dietro di me, prima ancora che arrivi a varcare il cancello, il Chitarrista inizia a suonare un'altra canzone.
Il week-end passa
lentamente e noiosamente a casa della nonna, che ha approfittato
della nostra presenza forzata per obbligarci a sfogliare un sacco di
album dalle foto già viste.
Quando suona l'ultima campanella del
lunedì, corro via da scuola col cuore incastrato in gola.
La
giornata è luminosa, splendida come il mio umore: la tortura
famigliare è finita, non mi hanno assegnato compiti per domani e
quindi ho l'intera serata a disposizione.
Nessun impegno, nessuna
emergenza-compleanno: tutto ciò che voglio in questo momento è
arrivare all'appuntamento il più in fretta possibile. Perciò, come
da routine, vado di corsa al negozio di animali e compro due
scatolette di bocconcini al manzo, poi mi infilo nel solito autobus e
aspetto la mia fermata senza riuscire a cancellare il sorriso dalle
mie labbra.
Persino la puzza di spazzatura che aleggia nel
quartiere non mi disturba affatto.
Raggiungo la chiesa di corsa,
con la borsa di scuola piena di libri che rischia di cadermi dalla
spalla più di una volta.
Come sempre, ad accogliere il mio arrivo
è un muso peloso che cerca di leccarmi la guancia.
<<Ciao,
Neuf! Dov'è il tuo osso?>> stringo
il cucciolo al petto e lentamente lo rimetto giù, ma subito lui
cerca di risaltarmi in braccio. Anche Neuf oggi sembra di buon umore:
anzi, dal modo in cui abbaia e agita quella sua lunghissima coda, mi
sembra che sia addirittura più contento del solito di rivedermi. Io
sorrido ancora, e sempre sorridendo varco il cancello della chiesa
con passo veloce.
Come sempre, la prima persona in cui m'imbatto è
Padre Simon, e come al solito mi sta dando le spalle e non si accorge
della mia presenza.
Eppure mi accorgo subito che c'è qualcosa di strano.
Non è sugli scalini della
chiesa ad appendere volantini, o a strappare ogni fiorellino che
spunta fuori dall'asfalto del cortile chiamandolo erbaccia.
Sta come borbottando qualcosa, ritto in piedi proprio davanti al
cantuccio del chitarrista senzatetto.
Vuoto.
Quando il prete si volta e
mi vede arrivare, sussulta e il rosario che stava rigirando tra le
dita gli scivola dalla mano. Mi aspetto di vederlo chinarsi per
raccoglierlo, ma lui non lo fa: anzi, quasi lo calpesta con la scarpa
mentre mi si avvicina con qualche breve, esitante passo.
Neuf
smette di abbaiare e si affianca alla mia gamba, affondando il naso
nella stoffa degli stivali e rallentando il suo frenetico
scodinzolare.
Non so spiegarmi il perché, ma d'un tratto è quasi
come se l'aria tiepida attorno a me si fosse ghiacciata tutta di un
colpo.
Io guardo Padre Simon senza capire cosa succede, e Padre Simon prova a parlarmi e sembra non sapere neanche lui che tipo di voce utilizzare.
Un dubbio esplode nella
mia testa come un campanello d'allarme.
<<Non
è vero!>> esclamo, e mi
stupisco di quello che ho detto: Padre Simon non ha neanche iniziato
a parlare, e io non so nemmeno a cosa mi sto riferendo con queste
parole.
Il prete mi fissa, inizialmente sconcertato.
Poi
abbassa lo sguardo, e inizia mestamente a pronunciare qualche parola.
Ma io non voglio ascoltarlo.
<<L'altra
sera... sono tornato alla chiesa perché non ero sicuro di aver
chiuso bene...>>
Non è vero.
<<...che fosse il cane a fare quel verso, così sono andato a vedere. Ma non era il cane...>>
Non è vero.
<<...steso
a terra: quella tosse spaventosa...>>
Non
è vero.
<<...l'ambulanza, ma quando è
arrivata lui sembrava già...>>
Non è
vero.
<<...pregato tutta la notte. Ma la
mattina dopo al telefono...>>
Non è
vero.
<<...e quel medico si è scusato
così tanto per non essere riuscito a...>>
Non
è vero!
<<...in
un posto migliore. Dio perdonerà i suoi peccati terreni per
accoglierlo nel regno dei cieli.>>
Mi da
una specie di pacca sulla spalla, ma solo a malapena mi accorgo di
questo gesto.
Lo guardo negli occhi, cercando una bugia che però
non riesco a trovare.
Non è vero...?
<<E' in un posto migliore>> ripete, con una nota tremante nel profondo della sua voce.
Poi tutto, me compresa, si fa gelidamente sfocato.
Non so ancora se sono in
piedi, o a terra.
Non so ancora se sono zitta, o sto gridando.
Non
so ancora se queste sono lacrime.
Quando riesco a capirlo, c'è un
pensiero particolare che si fa strada nella mia testa, e che esplode,
come una bomba, facendomi urlare:
Non so neanche il suo nome!
*
*
*
Neuf non è più il
cucciolo vivace e giocherellone che ho salvato da un cassonetto dei rifiuti.
Ora Neuf ha delle
piccole chiazze grigie che gli sono cresciute dietro le orecchie, il
suo abbaiare si è fatto più roco, e le sue zampe corte non
sgambettano più come facevano un tempo.
Se fa caldo come oggi,
poi, è come se questo cane invecchiasse ancora di più tutto in una
volta: cammina trascinandosi a fatica e non fa altro che guaire e
dondolare il muso come se fosse stordito da una potente botta in
testa.
Eppure oggi, a un tratto, Neuf smette di lamentarsi, o di
seguire i miei passi con stanca e debole costrizione. Il tempo di
sollevare il muso e annusare il vento, e il cane tira con tanta e
improvvisa forza da sfuggire alla presa leggera della mia mano.
<<NEUF!>>
esclamo, guardandolo correre
via trascinando il guinzaglio con sé, e subito parto al suo
inseguimento.
Di solito non è un cane molto veloce, eppure
ora sguizza tra i passanti come un'anguilla, trovando il fiato
persino per abbaiare a squarciagola. Lo rincorro senza capire cosa
accidenti gli sia preso: avrà visto un altro gatto? O magari ieri
quel maledetto veterinario invece del solito controllo gli ha
iniettato qualcosa di strano mentre non guardavo?!
<<Neuf,
torna qui!>> urlo,
ma invece di ascoltarmi quel piccolo maledetto cane corre sempre più
veloce.
D'un tratto si fionda verso la strada, e una
macchina frena seccamente per evitare di prenderlo, lanciandoci
addosso chissà quali maledizioni. Devo
accelerare bruscamente il passo quando rischio di non scorgerlo più.
Da lontano, lo vedo
puntare una folla di persone, e farsi spazio in un mare di gambe
diverse fino a scomparire completamente dalla mia vista.
Fermandomi
solo un attimo per riprendere fiato, mi avvicino alla folla chiassosa
che mi sta dando le spalle.
Ad ogni passo provo ad alzare il
collo, cercando disperatamente un varco in quel muro di persone. Mi
accorgo che a trovarsi lì sono soprattutto ragazze, e che molte
fanno dondolare in aria dei cartelli fatti in casa.
Riesco a
leggerne solo uno: Love DramaBrothers e
qualcos'altro.
Drama Brothers non mi è
un nome nuovo: da giorni la televisione non fa altro che sparare
notizie su questo gruppo musicale americano che sarebbe venuto a
Toronto per un concerto. Non che a me interessi, visto che non ho mai
ascoltato una sola loro canzone.
Rimanendo ancora indietro, provo
a chiamare Neuf a gran voce, ma più di un centinaio di altre voci
molto più acute della mia mi sovrastano senza alcuna
difficoltà.
<<Al
diavolo!>> sbotto
contro quella parete di schiene. Provo a spingermi tra loro, ma
immediatamente vengo rispedita indietro, ritrovandomi col sedere a
terra e il polso dolorante.
Stringo
i denti e subito mi rimetto in piedi. Facendo appello a tutte le mie
forze fisiche, mi catapulto contro la folla spingendo e sbracciando
con uno sforzo tale da farmi male i muscoli. Farsi largo in questo caos è
terribile, è peggio di quella volta che ho quasi vergognosamente
rischiato di affogare alla festa in piscina di mia cugina.
Eppure,
seppur molto lentamente e con una fatica disumana, continuo ad
avanzare, schivando le bracciate rivolte contro la mia faccia e
pestando i piedi di chiunque mi stia ostacolando il passaggio.
<<Neuf!>>
provo a chiamare ancora,
prima di ricevere una gomitata in mezzo alle costole che mi fa
strizzare gli occhi dal dolore. Una seconda spinta arriva dal fianco,
e una terza dalla schiena: senza sapere come, mi ritrovo catapultata
in avanti fino a sbattere contro il petto enorme di qualcuno.
Quando alzo lo
sguardo, mi ritrovo faccia a faccia con il minaccioso volto di uno
dei boyguard che stanno cercando di contenere la folla.
L'uomo non
dice nulla, ma la sua espressione rude non potrebbe parlare più
chiaro: gira a largo!,
sembra ringhiarmi addosso pur senza aprir bocca.
Ma l'abbaiare
inconfondibile che sento all'improvviso è un motivo sufficiente per
non farmi spaventare.
<<Ehm,
scusi ma...>> provo
a dire, ma di nuovo il chiasso attorno a me sovrasta la mia voce.
Irritata,
raccolgo ogni particella di fiato dai miei polmoni e mi metto a
urlare: <<EHI,
FAMMI PASSARE, DEVO PRENDERE IL MIO CANE!>>
<<Cane?!>>
mi risponde lui, mentre io cerco di recuperare un po' di
respiro.
Lo vedo indurire minacciosamente i tratti del volto
<<Inventatene
un'altra, punkettara! Se vuoi vedere i cantanti comprati un biglietto
per il concerto come fanno tutti.>>
Lo guardo malissimo, tentata di mollargli come minimo un ceffone. Oh certo!, penso con sarcarsmo: con i miei capelli bicolore e i vestiti alla The Adverts devo proprio sembrare una fan sfegatata di questo gruppo per ragazzine oche!
<<Io
non-!>>
<<E' tuo quel cagnolino?>>
Da
dietro il braccio del boyguard si fa avanti una figura che punta su
di me un paio di dolci occhi azzurri. Non riesco a vederla bene, ma
mi sembra un ragazzino: ha i capelli folti acconciati in modo buffo e
i lineamenti morbidi.
L'uomo volta il mento per
guardarlo: <<Signor
Anderson...>>
<<Dai,
Rick, lasciala passare. I Drama Brothers sono sempre disponibili
nell'aiutare graziose donzelle in difficoltà.>>
poi il ragazzino guarda me. <<Tranquilla
piccola, se c'è un problema Master Cody lo
risolve subito!>> e,
detto questo, schiocca la lingua e mi fa l'occhiolino.
Mi
rivolge un'espressione che secondo lui dovrebbe essere seducente, ma
che invece risulta solo molto ridicola. Mi trattengo dallo scoccargli
un'occhiataccia, e ringrazio il cielo quando vedo quel Rick alzare
svogliatamente il braccio per farmi passare.
Dietro di me,
una ragazza con una treccia viola ne approfitta subito per lanciarsi
contro il ragazzino e stringerselo al petto: <<Iiiiih,
CODY, TI AMO!>> urla,
prima di venir rispedita nel mare di gente che mi sono appena
lasciata alle spalle.
Mi ritrovo su un pezzo di marciapiede, tra l'ingresso di un albergo lussuoso e la portiera aperta di un'altrettanto lussuosa limousine. Un ragazzo dal fisico da modello si sta mettendo in posa davanti alle macchine fotografiche, e un altro molto magro e con una ridicola tuta gialla cerca di imitarlo improvvisando delle mosse di karate.
Un terzo ragazzo mi da le spalle, e tiene Neuf in braccio.
<<Neuf!>>
Immediatamente
gli strappo via il mio cane e me lo stringo al petto, sentendomi così
sollevata che quasi mi viene da piangere.
<<Non
farlo più.>> sussurro
contro il pelo del suo collo. Neuf non si ribella alle mie coccole,
ma continua a tenere il muso puntato verso la persona che lo stava
tenendo in braccio fino ad ora.
Quando sento di essermi calmata mi
guardo attorno, rendendomi conto che molte telecamere e macchine
fotografiche si sono appena puntate su di me.
Ecco, ci
mancava questa!
Ma prima ancora che riesca a trovare un buco dove fuggire, qualcosa mi trattiene.
<<Aspetta!>>
Una
mano sconosciuta poggiata sulla mia spalla mi fa voltare di scatto.
Davanti
a me c'è il tipo che prima stava abbracciando Neuf. Con la mano ancora a
mezz'aria, sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non emette un fiato. Io
inarco un sopracciglio e lo squadro da capo a piedi: ha degli eleganti
abiti firmati, una pettinatura dall'aria costosa e dei Ray Ban scuri
che gli coprono gli occhi.
Mi viene da storcere il naso, perché io odio
questo tipo di abbigliamento.
<<S-scusa,
io...>> farfuglia,
con una voce un po' impacciata. Si avvicina di un passo, e
meccanicamente io indietreggio.
<<Scusa>>
ripete; continua a tendere le
mani verso di me, senza però mai toccarmi. Solo a un certo punto,
con una mossa veloce, mi afferra il braccio per impedirmi di
indietreggiare ancora.
<<Scusami,
però tu... tu sei... p-per favore, come... qual'è il tuo nome?>>
Neuf
abbaia, come se volesse rispondere al mio posto.
Dal canto mio,
invece, stringo le labbra con stizza: sarà il caldo, sarà lo
spavento che ho preso quando Neuf è scappato, sarà la situazione
assurda in cui mi sono appena cacciata.
Non so l'esatto perché,
ma prima di potermelo impedire inizio a vederci rosso.
<<Che
diavolo te ne importa?!>>
sbotto, acida, cercando di liberarmi
dalla sua presa con uno strattone; ma lui continua a tenermi
testardamente il braccio, e io per risposta gli lancio uno sguardo
carico d'odio.
<<Ma
mi vuoi lasciare, eh? Che accidenti vuoi da me?! Non sono una tua
fan, dannazione, non so neanche come ti chiami!>>
Contro
qualunque mia aspettativa, il ragazzo davanti a me mi regala un
sorriso.
Un sorriso impacciato e luminoso che, non so il motivo,
ma blocca all'istante il mio aspro fiume di parole.
Sembra
che stia per dire qualcosa, ma di nuovo si blocca; con la mano libera
si toglie gli occhiali da sole e mi si avvicina di un altro
passo.
Irritata, alzo il mento con stizza e lo fisso negli
occhi.
Quello che vedo mi spezza il respiro.
Verde fumo
<<...Trent. Mi chiamo Trent!>>
°°°
(*) Neuf è "nove" in francese (frantasia, portami via! xD): inizialmente ero indecisa se dargli il nome Nine, poi ho scoperto che in francese mi piace di più. Ecco tutto u.u
Attenzione: Importante Note Autore!
Ok... immagino che a questo punto ci vogliano delle spiegazioni.
Muhahaha, ma vi pare che facevo davvero morire il mio Trentuccio?! °O°
*Coungh*, dicevo, voi tutti vi starete chiedendo perché prima ho scritto di questa tristissima morte, e subito dopo che è vivo vegeto e famoso. °-°
In realtà una spiegazione razionale ci sarebbe. Solo che, da una parte, non l'ho scritta perché mi sembrava già abbastanza lunga come shote >>; dall'altra ho pensato che magari sarebbe stato più carino se ognuno cercava da sé la spiegazione che preferiva.
...sì, ecco, sono ancora molto
indecisa su questa cosa u//u: per questo, carissimo lettore che sei
arrivato fin qui (sì, proprio tu, con quel *ehm* grazioso pomodoro in mano pronto a lanciarmelo ^^") , ti vorrei chiedere:
La storia va bene anche finita così, o la dovrei cancellare e
liberarvi da questo obbrobbrio, o dovrei scrivere una specie di sequel
per far capire cos'è successo davvero nella storia?
Detto questo... grazie ancora a chi ha letto questa cosa (il mio primo, vero tentativo di srivere in prima persona *_* ! Ok, non c'entra niente...) : credo che Gwen sia uno dei personaggi di Total Drama in cui riesco a immedesimarmi di meno, quindi è molto probabilme che sia incappata nell'OOC -Dhu!
Comunque sia, grazie, grazie tantissimo >////>!
*fugge*