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Autore: Onigiri    23/04/2012    7 recensioni
-"E come dovrei chiamarti?" rispondo, provocandolo con un sorriso furbo. Un freddo improvviso mi fa rabbrividire e subito stringo le gambe al petto "Non mi vuoi neanche dire il tuo vero nome."
Lui sorride a sua volta: probabilmente sta cercando di fare una smorfia dispettosa, ma non gli riesce molto bene.
"Te lo dirò in un'occasione speciale."
Da dietro i ciuffi dei suoi capelli unti riesco a scorgere lo scintillio sbarazzino dei suoi occhi, e come ogni volta mi lascio risucchiare dall'intensità del loro colore:
un criptico, soffocante, stupefacente verde fumo. -
[Trent/Gwen]
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gwen, Trent | Coppie: Trent/Gwen
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale
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What's your name




Attenzione
: approfitto di questo spazietto per chiedere la cortesia, a fine storia, di leggere le note autore.
Buon Proseguimento! ^_^











What's
Your Name?





















<<Ti sei proprio innamorata, eh?>>



Non mi accorgo nemmeno di aver alzato lo sguardo fino a quando non mi scontro col sorriso sornione della donna davanti a me.
La borsa rischia di scivolarmi via dalle braccia, ma non so come la trattengo appena in tempo.
<<C-Come?!>> balbetto, e nel farlo mi sento una perfetta idiota.

Ma brava, Gwendolyn!
, sussurra una vocina antipatica nel mio orecchio: Ora ci manca solo che arrossisci e sarai uguale a quelle tue compagne di classe che passano le lezioni a disegnare cuoricini rosa nel diario!
Questo pensiero mi irrita, e mordendomi il labbro mi sforzo di non arrossire sul serio.
Ma è inutile, le guance iniziano a pizzicare prima che riesca a fermarle.

Per fortuna la commessa non sembra far caso a me: i suoi orrendi occhiali color canarino sono ancora puntati sulle scatolette che sta infilando nella busta. Quando finisce alza lo sguardo, rivolgendomi un altro sorriso reso colloso dal troppo rossetto.
<<Parlo del cibo>> spiega ridacchiando <<Insomma, vieni spesso qui e compri sempre la marca migliore di questi bocconcini. Devi avere una vera cotta per il tuo cane! ...a proposito, comprando questo prodotto solo per oggi hai diritto ad un omaggio.>>


La donna tira fuori dal nulla un osso di gomma, e lo strizza tra le dita provocando uno squeez rumoroso che mi fa quasi sussultare.
Immediatamente sento le mie labbra stringersi in una smorfia: le mani mi prudono con insistenza, tentata come sono dallo strapparle la busta di mano e ordinarle di impicciarsi un po' degli affari propri.
Invece, non so come, mi limito a pagare il conto e a uscire dal negozio di animali borbottando un arrivederci a mezza bocca.







Fuori l'aria è fresca, e subito le mie spalle rabbrividiscono in modo fastidioso. Meccanicamente mi sfrego le braccia, e accelerando il passo controllo l'ora dal cellulare.
Sono le quattro meno un quarto: in perfetto orario per l'autobus, ma un po' in ritardo per l'appuntamento.
Senza contare che oggi è il compleanno di mio fratello, e la mamma vuole che torni a casa presto per aiutarla a preparare la festa.
Sbuffo: significa che oggi l'appuntamento durerà meno del solito.
Vorrei dirmi che non fa niente, che almeno dalla settimana prossima non ci saranno altri impegni a tenermi occupata, e che avrò più tempo a disposizione.
Ma nessuno di questi pensieri mi impedisce di sbuffare un'altra volta.







Quando raggiungo l'autobus lo trovo quasi vuoto, perciò posso scegliermi con calma il sedile che mi piace di più. Se non fosse per un bambino che fa i capricci sulle ginocchia della madre, per tutto il tragitto si sentirebbe solo il quiete rombo del motore.
Annoiata, infilo la busta nella borsa e do un'occhiata al finestrino. È già aprile, eppure Toronto non ha ancora smaltito del tutto l'inverno: fa freddo, e da tempo non c'è mai molta luce. Sulle strade aleggia una nebbiolina leggera e di un insolito, cupo colore grigio, che mi sembra simile a un fantasma.

Mia madre direbbe che è un paesaggio triste, invece a me non dispiace affatto; anzi, per qualche ragione mi tranquillizza -e sì, mi ispira: vorrei avere con me il mio album e del carboncino per buttare giù qualche disegno.
Toronto è piena di verde, e mi sembra che quest'aria grigiastra dia alla città una sfumatura particolare, come se fosse un luogo magico. Una sfumatura di colore che la mia insegnante di arte forse chiamerebbe Giada. Oppure Verde fumo.

Verde fumo...

Un improvviso pensiero imbarazzante mi fa sussultare sul sedile, e subito scuoto la testa contro il finestrino.
Per evitarmi di pensare a qualcos'altro di stupido concentro la mia attenzione sul bambino poco davanti a me, e che ora sta piangendo ancora più forte di prima.
Ma non dura molto, perché la mia fermata arriva prima di quanto mi aspettassi.







Scendo dall'autobus con un balzo e mi avvio di corsa verso la mia destinazione.
Fin dai primi passi, i rumori che mi accompagnano sono quelli di televisori dal volume troppo alto o dello scricchiolio improvviso di vetri rotti.
Non si può certo definire il quartiere migliore di Toronto, questo: la prima volta che ci ho messo piede è stato per caso, dopo un banalissimo sbaglio di fermata dovuto al sonno arretrato e alla distrazione.
Le facce che circolano in queste strade non sono molto amichevoli, e l'odore di immondizia bruciata che svolazza nell'aria mi dà ogni volta la nausea.
Lo ammetto, la prima volta che sono stata qui ho avuto molta paura.
Ma adesso questo posto non mi disturba quasi più. Ho capito che se cammino con lo sguardo alto nessuno verrà a darmi fastidio, e che è sempre meglio mantenere il passo veloce per non farsi spaventare troppo dai rumori poco piacevoli che sbucano dai vicoli più scuri.
A volte mi ritrovo a pensare che se la mamma sapesse dove vado dopo la scuola, sicuramente non mi permetterebbe più di uscire di casa; ricordarmi della sua quasi esagerata iperprotettività mi fa sorridere un po' .

I miei pensieri passano da lei a mio fratello, alla festa di stasera e al regalo che gli ho comprato: smetto di pensare a queste cose non appena, da dietro un vecchio palazzo, scorgo in lontananza la testa del campanile di mattoni. A questa vista i miei piedi aumentano da soli l'andatura, e mi ritrovo a correre senza neanche sapere quando ho cominciato ad accelerare il passo.





Raggiungo la chiesa col respiro spezzato e il cuore in gola, e pian piano rallento per riprendere fiato.
Alzando lo sguardo, mi ritrovo a sorridere non appena mi accorgo di chi mi sta aspettando da dietro il cancello di ferro.

Subito mi chino sul marciapiede, poggiando la borsa a terra e allargando le braccia.
<<Neuf!>> (*)

Quel birbante non mi da neanche il tempo di chiamarlo per nome, che già si è gettato sulle mie ginocchia cercando di slinguazzarmi tutta la faccia.
<<Smettila, Tontolone!>> scherzo, rimettendolo a terra e guardandolo scodinzolarmi intorno.
Neuf è poco più di un cucciolo, un bastardino dal pelo nero e marrone con una coda sproporzionatamente lunga per la sua piccola stazza.
E' vero, quando l'ho visto la prima volta ho pensato fosse bruttino: adesso, invece, per me Neuf è senz'altro il cane più bello del mondo.

<<Stai buono, guarda cosa ti ho portato.>> tiro fuori dalla borsa l'osso di gomma che mi hanno dato al negozio, e dopo averglielo fatto dondolare un po' davanti al naso lo getto fin oltre il cancello, più lontano che posso.
Immediatamente Neuf si lancia al suo inseguimento, e io lo seguo ridacchiando tra me e me.


Quando varco il cancello e raggiungo il cortile spoglio della chiesa, la prima persona su cui mi imbatto è Padre Simon.
È un uomo abbastanza giovane, sebbene i capelli grigi facciano supporre il contrario: mi sta dando le spalle e non mi vede arrivare, mentre appende un manifesto vicino al portone della chiesa -probabilmente un altro avviso sulla disponibilità di accogliere nuovi membri per il coro liturgico.
Non appena si volta e mi vede da lontano, il saluto che mi rivolge non va oltre a un mite “Buonasera”, prima di recuperare il suo rotolo di scotch e nascondersi dentro la chiesa.
Lo osservo sparire senza far caso al suo comportamento un po' distaccato. So bene che, per qualche ragione, non gli sono mai andata molto a genio; forse per i miei vestiti o la tintura dei miei capelli, che una volta ho sentito giudicare raccapriccianti a bassa voce, convinto che io non lo stessi ascoltando.
Non che a me importi molto: in effetti Padre Simon non è il primo che ha avuto qualcosa da ridire sul mio look, e certi commenti ormai non mi fanno più effetto.


<<Gwen!>>
Qualcun altro mi saluta, e in un attimo mi manca il fiato.






D'un tratto mi sento come un paio di minuti fa, quando ho corso come un'ossessa per arrivare fin qui: con il respiro spezzato in bocca e il cuore che fa una capriola vertiginosa.

<<Gwen, ciao!>>
Lui, seduto come sempre vicino alle scale, mi invita a raggiungerlo continuando ad agitare la mano.
Io obbedisco: mi basterebbero comunque solo pochi passi per raggiungerlo, ma mi accorgo troppo tardi che sto comunque cercando di accorciarli il più possibile.

Mi fermo solo quando mi ritrovo davanti a lui, fissandolo dall'alto con le braccia incrociate sulla pancia.

<<...ciao.>>
<<Sei tornata!>>

Lui sorride, e io inizio a giocare con una ciocca di capelli.
Odio sentirmi così agitata come adesso. <<Ovvio>> sbotto <<...volevo vedere Neuf.>>

Come ogni volta, mi siedo per terra, accanto a lui, e apro la borsa per armeggiare con le scatolette di cibo per cani; richiamato dall'odore del cibo, Neuf mi raggiunge di corsa lasciando ai miei piedi l'osso di gomma e puntando il muso verso i bocconcini di carne.
<<Buono.>> lo ammonisco prima di poggiare la scatoletta per terra e guardarlo fiondarsi avidamente sul cibo. Gli accarezzo la schiena e gli gratto le orecchie, e Neuf reagisce alle mie coccole agitando festosamente la coda.
<<Oggi non posso restare molto>> spiego, senza smettere di accarezzare Neuf <<mia madre mi rivuole a casa per preparare la festa di mio fratello.>>


Sento lui rispondermi con un un colpo di tosse, e subito alzo il viso per guardarlo.
Come sempre, non riesco a non restare ammaliata dal suo profilo.
C'è qualcosa in lui, nei suoi lineamenti, di interessante.
Non so dargli un nome preciso -Dolcezza, rabbia, malinconia? Tutte e tre le cose insieme?- , ma di certo è particolare.
Lo ammetto: è affascinante.
Guardare lui è come guardare un disegno dai tratti labirintici, e non c'è una dannata volta in cui riesca a non rimanerne incantata come una deficiente.

<<Chitarrista, hai di nuovo quella tosse?>> gli chiedo.
Lui sbuffa subito e si volta a guardarmi, la fronte ampia solcata da un'espressione implorante che riesce a strapparmi un sorriso.

Conosco il Chitarrista da quasi un mese, ormai: eppure di lui non so ancora praticamente nulla.
Non so la sua storia, non so la sua età;
accidenti, non so nemmeno quale sia il suo nome!
Di lui conosco solo la sua chitarra, il cappotto consumato, la bottiglia di birra che usa per raccogliere l'acqua piovana, il cappello abbandonato a terra che ogni tanto gli regala qualche moneta di fortuna.
Tutto quello che io so del Chitarrista è che è un musicista squattrinato, un mendicante senzatetto.

<<Ti prego, Gwen, lo sai già.>> sospira <<E' un soprannome ridicolo, ed è abbastanza imbarazzante che tutti qui in chiesa mi chiamino così. Non ti ci mettere anche tu.>>
<<E come dovrei chiamarti?>> rispondo, provocandolo con un sorriso furbo. Un freddo improvviso mi fa rabbrividire e subito stringo le gambe al petto <<Non mi vuoi neanche dire il tuo vero nome.>>
Lui sorride a sua volta: probabilmente sta cercando di fare una smorfia dispettosa, ma non gli riesce molto bene.
<<Te lo dirò in un'occasione speciale.>>

Da dietro i ciuffi dei suoi capelli unti riesco scorgere lo scintillio sbarazzino dei suoi occhi, e come ogni volta mi lascio risucchiare dall'intensità del loro colore:
un criptico, soffocante, stupefacente verde fumo.
<<E quale sarebbe, l'occasione speciale?>>
<<Non lo so...>> ammette, distogliendo lo sguardo.
Le sue guance scavate dalla fame si colorano un po' sotto la barbetta disordinata che le ricopre.


Neuf richiama l'attenzione di entrambi, leccandosi il muso dopo aver finito il suo pranzo e abbaiando a gran voce. Io recupero l'osso giocattolo e lo lancio da qualche parte, facendolo correre al suo inseguimento.

È stato Neuf a farci conoscere.
E' successo la prima volta che sono finita in questo quartiere: l'ho sentito abbaiare da dentro un cassonetto dei rifiuti, e il Chitarrista mi si è avvicinato e mi ha aiutata a liberarlo -è vero, ha seriamente rischiato di affogare nei pacchi dei rifiuti: ma a ripensarci adesso è stata una scena piuttosto divertente.
È stato lui anche a dargli il nome: Neuf. A quanto sembra il nove è il suo numero portafortuna.

Mi perdo un po' in questi ricordi, fino a quando non mi rendo conto che stiamo rimanendo in silenzio da forse troppo tempo.
Improvvisamente mi sento in imbarazzo e cerco di dire qualcosa: <<Sai, uhm... Stamattina il professore di storia ha interrogato>> racconto, alzando lo sguardo verso il cielo.
<<Te l'ho detto che è un cretino, vero? Insomma, io ho passato quasi tutta l'ora di lezione a parlare di Diderot, dell'idea che avevano del medioevo, dell'âge des lumières eccetera, e mi mette la sufficienza. E a Juliet... la mia compagna, che praticamente non ha aperto bocca, dà pure un voto più alto del mio. Pezzo di idiota, questo è favoritismo!>> commento, adirata.
Lo sbuffo che mi scappa fuori provoca la risata leggera del senzatetto.
<<Io invece ho passato la giornata a provare una nuova canzone>> spiega lui, e accompagna le sue parole afferrando la chitarra poggiata al suo fianco.
Il suo viso torna a colorarsi di un
adorabile rossore, e la mano libera corre a grattarsi la nuca <<Hai, uhm... voglia di ascoltarla?>>

Mi devo portare una mano sul petto, perché posso sentire chiaramente il mio cuore gonfiarsi al punto che potrebbe scoppiarmi come un palloncino. Probabilmente sto per mettermi a sorridere come una stupida, perciò cerco subito di ricompormi.
<<Se proprio vuoi....>> mormoro alzando le spalle, con un tono di voce forse troppo freddo, perché noto che il suo sguardo si è fatto un po' preoccupato.
<<N-non ti costringo, se non ne hai voglia...>>
<<Massì, dai, fammi sentire.>>



Il modo con cui armeggia la chitarra è magico.
Innegabilmente magico.
Fin da quando l'ho incontrato la prima volta, mi è stato chiaro che il soprannome Chitarrista non gli deve essere stato certo dato per caso.
Le sue dita sporche e ruvide si trasformano in dieci piccole piume quando sfiorano il suo strumento, e lo accarezzano come se fosse fatto di cristallo. Non so spiegarlo bene, ma quando suona, quando chiude gli occhi e canta, per me è come cambiare luogo: come se il mondo si tramutasse in una specie di bolla di sapone, e mi facesse volare lontano.
Non appena le prime note della chitarra mi sfiorano le orecchie, distolgo lo sguardo e poggio il mento sulle ginocchia, fissando il nulla.
La canzone è lenta, dolce, triste; da oltre i cancelli della chiesa qualche passante curioso si ferma per ascoltare meglio, ed io li fisso con astio, sperando di cacciarli via con uno sguardo pungente.
A lui fa piacere che la gente lo ascolti: a volte scherza dicendo che, chissà, magari tra il pubblico c'è un produttore musicale che potrebbe dargli un lavoro.
Ma a me non piace.
Vorrei che quella musica fosse indirizzata solo a me.
Vorrei che questi momenti fossero solamente nostri, miei e del Chitarrista al mio fianco, come se tutto il resto del mondo fosse un luogo a parte rispetto a noi due.

Ma il piccolo pubblico creatosi esita ad andarsene, e io, trattenendo uno sbuffo di disapprovazione, torno a guardare la persona al mio fianco.
Lo ammetto, non m'intendo di musica: o almeno, non mi intendo di musica che non sia quella spaccatimpani da discoteca.
Chissà come mai, allora, non riesco a non pensare che questo sia il suono più bello del mondo.


Ma la musica si interrompe su un accordo stridulo e sbagliato.
Il Chitarrista stacca la mano dallo strumento e se la porta alla bocca, sporgendosi in avanti di fronte a un violentissimo colpo di tosse.
Io sussulto. <<Ehi, tutto ok?!>>
Avvicino la mano alla sua spalla, senza però toccarla. Lui tossicchia ancora e respira pesantemente contro il palmo, mentre la chitarra scivola via dalle sue ginocchia cadendo a terra con un tonfo stonato.
Dopo qualche spaventoso secondo, le sue spalle smettono di tremare, e il Chitarrista alza lo sguardo lucido verso il mio.

Mi chiedo se non abbia la febbre, e se non sia il caso di provare a controllargliela.
Non sarebbe un gesto difficile da fare: dovrei solo allungarmi verso di lui e poggiare la mano sulla sua fronte.
Il problema sarebbe staccarla.
<<Tutto ok?>> ripeto, senza osare far nulla. Vederlo sorridere riesce a tranquillizzarmi un poco.
<<Scusa>> mormora subito, rimettendosi dritto con la schiena <<Mi è solo andata... della saliva di traverso.>>
Poi si accorge della sua chitarra e si affretta a recuperarla <<Accidenti>> borbotta, iniziando a controllare centimetro per centimetro che non si sia rotto nulla.


Neuf torna da me, sputandomi ai piedi il suo nuovo giocattolo a forma di osso e aspettando che io glielo rilanci. Ma non ci faccio caso, troppo occupata a studiare i movimento del Chitarrista e a cercare di capire se stia davvero bene o se mi ha raccontato una balla per tranquillizzarmi.

Il cellulare squilla e mi distoglie da queste preoccupazioni.
Rispondo velocemente, senza neanche guardare il numero: dall'altra parte del telefono c'è la voce ansiosa di mio fratello.
Dove sei? Mamma è disperata, ha provato a fare una torta ma le è esplosa nel forno, dice che ti vuole subito a casa.”
Alzo gli occhi al cielo <<Figurarsi se non combinava qualcosa. Voi vi siete fatti male?>>
No, ma mamma sta piangendo. Vuole che tu vada a comprarmi un'altra torta. Ehi, me la prendi al caramello? Mi sono rotto del cioccolato. Ah, e poi servono le candeline, e l'aranciata, te lo ricordi?”
<<Sì, me lo ricordo... dì a mamma di non distruggere la casa. A dopo.>>

Chiudo la chiamata con uno sbuffo scocciato.
<<Devo andare>> annuncio, alzandomi in piedi e battendo le mani sulla gonna per toglierne la polvere. Mi volto preoccupata <<Tu stai davvero bene?>>
Il Chitarrista solleva il volto e mi rassicura con un sorriso <<Mai stato meglio!>> esclama.
Poi noto che il suo sguardo si addolcisce un po' <<Torni domani?>>
<<Domani non posso, mia madre ci trascina dalla nonna per il week-end.>>
<<Ah...>>

Neuf si alza sulle zampe posteriori per aggrapparsi alla mia gamba, e io mi chino per accarezzargli la testa pelosa.
<<Lunedì...>> borbotto a testa bassa <<Tornerò lunedì.>>
<<Davvero?>>
<<Certo... p-per vedere Neuf!>>
Veloce, raccolgo l'osso finto e lo lancio da qualche parte, e mentre il cane corre via anche io scappo con un "Ci vediamo" imbarazzato.

Dietro di me, prima ancora che arrivi a varcare il cancello, il Chitarrista inizia a suonare un'altra canzone.










Il week-end passa lentamente e noiosamente a casa della nonna, che ha approfittato della nostra presenza forzata per obbligarci a sfogliare un sacco di album dalle foto già viste.
Quando suona l'ultima campanella del lunedì, corro via da scuola col cuore incastrato in gola.
La giornata è luminosa, splendida come il mio umore: la tortura famigliare è finita, non mi hanno assegnato compiti per domani e quindi ho l'intera serata a disposizione.
Nessun impegno, nessuna emergenza-compleanno: tutto ciò che voglio in questo momento è arrivare all'appuntamento il più in fretta possibile. Perciò, come da routine, vado di corsa al negozio di animali e compro due scatolette di bocconcini al manzo, poi mi infilo nel solito autobus e aspetto la mia fermata senza riuscire a cancellare il sorriso dalle mie labbra.
Persino la puzza di spazzatura che aleggia nel quartiere non mi disturba affatto.
Raggiungo la chiesa di corsa, con la borsa di scuola piena di libri che rischia di cadermi dalla spalla più di una volta.
Come sempre, ad accogliere il mio arrivo è un muso peloso che cerca di leccarmi la guancia.

<<Ciao, Neuf! Dov'è il tuo osso?>> stringo il cucciolo al petto e lentamente lo rimetto giù, ma subito lui cerca di risaltarmi in braccio. Anche Neuf oggi sembra di buon umore: anzi, dal modo in cui abbaia e agita quella sua lunghissima coda, mi sembra che sia addirittura più contento del solito di rivedermi. Io sorrido ancora, e sempre sorridendo varco il cancello della chiesa con passo veloce.
Come sempre, la prima persona in cui m'imbatto è Padre Simon, e come al solito mi sta dando le spalle e non si accorge della mia presenza.

Eppure mi accorgo subito che c'è qualcosa di strano.

Non è sugli scalini della chiesa ad appendere volantini, o a strappare ogni fiorellino che spunta fuori dall'asfalto del cortile chiamandolo erbaccia. Sta come borbottando qualcosa, ritto in piedi proprio davanti al cantuccio del chitarrista senzatetto.
Vuoto.

Quando il prete si volta e mi vede arrivare, sussulta e il rosario che stava rigirando tra le dita gli scivola dalla mano. Mi aspetto di vederlo chinarsi per raccoglierlo, ma lui non lo fa: anzi, quasi lo calpesta con la scarpa mentre mi si avvicina con qualche breve, esitante passo.
Neuf smette di abbaiare e si affianca alla mia gamba, affondando il naso nella stoffa degli stivali e rallentando il suo frenetico scodinzolare.
Non so spiegarmi il perché, ma d'un tratto è quasi come se l'aria tiepida attorno a me si fosse ghiacciata tutta di un colpo.
Io guardo Padre Simon senza capire cosa succede, e Padre Simon prova a parlarmi e sembra non sapere neanche lui che tipo di voce utilizzare.


Un dubbio esplode nella mia testa come un campanello d'allarme.
<<Non è vero!>> esclamo, e mi stupisco di quello che ho detto: Padre Simon non ha neanche iniziato a parlare, e io non so nemmeno a cosa mi sto riferendo con queste parole.
Il prete mi fissa, inizialmente sconcertato.
Poi abbassa lo sguardo, e inizia mestamente a pronunciare qualche parola.

Ma io non voglio ascoltarlo.


<<L'altra sera... sono tornato alla chiesa perché non ero sicuro di aver chiuso bene...>>
Non è vero.
<<...che fosse il cane a fare quel verso, così sono andato a vedere. Ma non era il cane...>>
Non è vero.
<<...steso a terra: quella tosse spaventosa...>>
Non è vero.
<<...l'ambulanza, ma quando è arrivata lui sembrava già...>>
Non è vero.
<<...pregato tutta la notte. Ma la mattina dopo al telefono...>>
Non è vero.
<<...e quel medico si è scusato così tanto per non essere riuscito a...>>
Non è vero!

<<...in un posto migliore. Dio perdonerà i suoi peccati terreni per accoglierlo nel regno dei cieli.>>
Mi da una specie di pacca sulla spalla, ma solo a malapena mi accorgo di questo gesto.
Lo guardo negli occhi, cercando una bugia che però non riesco a trovare.
Non è vero...?
<<E' in un posto migliore>> ripete, con una nota tremante nel profondo della sua voce.


Poi tutto, me compresa, si fa gelidamente sfocato.


Non so ancora se sono in piedi, o a terra.
Non so ancora se sono zitta, o sto gridando.
Non so ancora se queste sono lacrime.
Quando riesco a capirlo, c'è un pensiero particolare che si fa strada nella mia testa, e che esplode, come una bomba, facendomi urlare:

Non so neanche il suo nome!










*



*



*







Neuf non è più il cucciolo vivace e giocherellone che ho salvato da un cassonetto dei rifiuti.
Ora Neuf ha delle piccole chiazze grigie che gli sono cresciute dietro le orecchie, il suo abbaiare si è fatto più roco, e le sue zampe corte non sgambettano più come facevano un tempo.
Se fa caldo come oggi, poi, è come se questo cane invecchiasse ancora di più tutto in una volta: cammina trascinandosi a fatica e non fa altro che guaire e dondolare il muso come se fosse stordito da una potente botta in testa.
Eppure oggi, a un tratto, Neuf smette di lamentarsi, o di seguire i miei passi con stanca e debole costrizione. Il tempo di sollevare il muso e annusare il vento, e il cane tira con tanta e improvvisa forza da sfuggire alla presa leggera della mia mano.

<<NEUF!>> esclamo, guardandolo correre via trascinando il guinzaglio con sé, e subito parto al suo inseguimento.
Di solito non è un cane molto veloce, eppure ora sguizza tra i passanti come un'anguilla, trovando il fiato persino per abbaiare a squarciagola. Lo rincorro senza capire cosa accidenti gli sia preso: avrà visto un altro gatto? O magari ieri quel maledetto veterinario invece del solito controllo gli ha iniettato qualcosa di strano mentre non guardavo?!

<<Neuf, torna qui!>> urlo, ma invece di ascoltarmi quel piccolo maledetto cane corre sempre più veloce.
D'un tratto si fionda verso la strada, e una macchina frena seccamente per evitare di prenderlo, lanciandoci addosso chissà quali maledizioni. Devo accelerare bruscamente il passo quando rischio di non scorgerlo più.

Da lontano, lo vedo puntare una folla di persone, e farsi spazio in un mare di gambe diverse fino a scomparire completamente dalla mia vista.
Fermandomi solo un attimo per riprendere fiato, mi avvicino alla folla chiassosa che mi sta dando le spalle.
Ad ogni passo provo ad alzare il collo, cercando disperatamente un varco in quel muro di persone. Mi accorgo che a trovarsi lì sono soprattutto ragazze, e che molte fanno dondolare in aria dei cartelli fatti in casa.
Riesco a leggerne solo uno:
Love DramaBrothers e qualcos'altro.

Drama Brothers non mi è un nome nuovo: da giorni la televisione non fa altro che sparare notizie su questo gruppo musicale americano che sarebbe venuto a Toronto per un concerto. Non che a me interessi, visto che non ho mai ascoltato una sola loro canzone.
Rimanendo ancora indietro, provo a chiamare Neuf a gran voce, ma più di un centinaio di altre voci molto più acute della mia mi sovrastano senza alcuna difficoltà.
<<Al diavolo!>> sbotto contro quella parete di schiene. Provo a spingermi tra loro, ma immediatamente vengo rispedita indietro, ritrovandomi col sedere a terra e il polso dolorante.

Stringo i denti e subito mi rimetto in piedi. Facendo appello a tutte le mie forze fisiche, mi catapulto contro la folla spingendo e sbracciando con uno sforzo tale da farmi male i muscoli. Farsi largo in questo caos è terribile, è peggio di quella volta che ho quasi vergognosamente rischiato di affogare alla festa in piscina di mia cugina.
Eppure, seppur molto lentamente e con una fatica disumana, continuo ad avanzare, schivando le bracciate rivolte contro la mia faccia e pestando i piedi di chiunque mi stia ostacolando il passaggio.

<<Neuf!>> provo a chiamare ancora, prima di ricevere una gomitata in mezzo alle costole che mi fa strizzare gli occhi dal dolore. Una seconda spinta arriva dal fianco, e una terza dalla schiena: senza sapere come, mi ritrovo catapultata in avanti fino a sbattere contro il petto enorme di qualcuno.
Quando alzo lo sguardo, mi ritrovo faccia a faccia con il minaccioso volto di uno dei boyguard che stanno cercando di contenere la folla.
L'uomo non dice nulla, ma la sua espressione rude non potrebbe parlare più chiaro:
gira a largo!, sembra ringhiarmi addosso pur senza aprir bocca.
Ma l'abbaiare inconfondibile che sento all'improvviso è un motivo sufficiente per non farmi spaventare.

<<Ehm, scusi ma...>> provo a dire, ma di nuovo il chiasso attorno a me sovrasta la mia voce.

Irritata, raccolgo ogni particella di fiato dai miei polmoni e mi metto a urlare: <<EHI, FAMMI PASSARE, DEVO PRENDERE IL MIO CANE!>>
<<Cane?!>> mi risponde lui, mentre io cerco di recuperare un po' di respiro.
Lo vedo indurire minacciosamente i tratti del volto
<<Inventatene un'altra, punkettara! Se vuoi vedere i cantanti comprati un biglietto per il concerto come fanno tutti.>>
Lo guardo malissimo, tentata di mollargli come minimo un ceffone. Oh certo!, penso con sarcarsmo: con i miei capelli bicolore e i vestiti alla The Adverts devo proprio sembrare una fan sfegatata di questo gruppo per ragazzine oche!
<<Io non-!>>

<<E' tuo quel cagnolino?>>



Da dietro il braccio del boyguard si fa avanti una figura che punta su di me un paio di dolci occhi azzurri. Non riesco a vederla bene, ma mi sembra un ragazzino: ha i capelli folti acconciati in modo buffo e i lineamenti morbidi.
L'uomo volta il mento per guardarlo:
<<Signor Anderson...>>
<<Dai, Rick, lasciala passare. I Drama Brothers sono sempre disponibili nell'aiutare graziose donzelle in difficoltà.>> poi il ragazzino guarda me. <<Tranquilla piccola, se c'è un problema Master Cody lo risolve subito!>> e, detto questo, schiocca la lingua e mi fa l'occhiolino.

Mi rivolge un'espressione che secondo lui dovrebbe essere seducente, ma che invece risulta solo molto ridicola. Mi trattengo dallo scoccargli un'occhiataccia, e ringrazio il cielo quando vedo quel Rick alzare svogliatamente il braccio per farmi passare.
Dietro di me, una ragazza con una treccia viola ne approfitta subito per lanciarsi contro il ragazzino e stringerselo al petto:
<<Iiiiih, CODY, TI AMO!>> urla, prima di venir rispedita nel mare di gente che mi sono appena lasciata alle spalle.

Mi ritrovo su un pezzo di marciapiede, tra l'ingresso di un albergo lussuoso e la portiera aperta di un'altrettanto lussuosa limousine. Un ragazzo dal fisico da modello si sta mettendo in posa davanti alle macchine fotografiche, e un altro molto magro e con una ridicola tuta gialla cerca di imitarlo improvvisando delle mosse di karate.

Un terzo ragazzo mi da le spalle, e tiene Neuf in braccio.

<<Neuf!>>
Immediatamente gli strappo via il mio cane e me lo stringo al petto, sentendomi così sollevata che quasi mi viene da piangere.
<<Non farlo più.>> sussurro contro il pelo del suo collo. Neuf non si ribella alle mie coccole, ma continua a tenere il muso puntato verso la persona che lo stava tenendo in braccio fino ad ora.
Quando sento di essermi calmata mi guardo attorno, rendendomi conto che molte telecamere e macchine fotografiche si sono appena puntate su di me.

Ecco, ci mancava questa!

Ma prima ancora che riesca a trovare un buco dove fuggire, qualcosa mi trattiene.


<<Aspetta!>>
Una mano sconosciuta poggiata sulla mia spalla mi fa voltare di scatto.

Davanti a me c'è il tipo che prima stava abbracciando Neuf. Con la mano ancora a mezz'aria, sembra che mi voglia dire qualcosa, ma non emette un fiato. Io inarco un sopracciglio e lo squadro da capo a piedi: ha degli eleganti abiti firmati, una pettinatura dall'aria costosa e dei Ray Ban scuri che gli coprono gli occhi.
Mi viene da storcere il naso, perché io
odio questo tipo di abbigliamento.

<<S-scusa, io...>> farfuglia, con una voce un po' impacciata. Si avvicina di un passo, e meccanicamente io indietreggio.
<<Scusa>> ripete; continua a tendere le mani verso di me, senza però mai toccarmi. Solo a un certo punto, con una mossa veloce, mi afferra il braccio per impedirmi di indietreggiare ancora.
<<Scusami, però tu... tu sei... p-per favore, come... qual'è il tuo nome?>>

Neuf abbaia, come se volesse rispondere al mio posto.
Dal canto mio, invece, stringo le labbra con stizza: sarà il caldo, sarà lo spavento che ho preso quando Neuf è scappato, sarà la situazione assurda in cui mi sono appena cacciata.
Non so l'esatto perché, ma prima di potermelo impedire inizio a vederci rosso.

<<Che diavolo te ne importa?!>> sbotto, acida, cercando di liberarmi dalla sua presa con uno strattone; ma lui continua a tenermi testardamente il braccio, e io per risposta gli lancio uno sguardo carico d'odio.
<<Ma mi vuoi lasciare, eh? Che accidenti vuoi da me?! Non sono una tua fan, dannazione, non so neanche come ti chiami!>>


Contro qualunque mia aspettativa, il ragazzo davanti a me mi regala un sorriso.
Un sorriso impacciato e luminoso che, non so il motivo, ma blocca all'istante il mio aspro fiume di parole.

Sembra che stia per dire qualcosa, ma di nuovo si blocca; con la mano libera si toglie gli occhiali da sole e mi si avvicina di un altro passo.
Irritata, alzo il mento con stizza e lo fisso negli occhi.
Quello che vedo mi spezza il respiro.

Verde fumo


<<...Trent. Mi chiamo Trent!>>
























°°°

(*) Neuf è "nove" in francese (frantasia, portami via! xD): inizialmente ero indecisa se dargli il nome Nine, poi ho scoperto che in francese mi piace di più. Ecco tutto u.u


Attenzione: Importante Note Autore!

Ok... immagino che a questo punto ci vogliano delle spiegazioni.
Muhahaha, ma vi pare che facevo davvero morire il mio Trentuccio?! °O°

*Coungh*, dicevo, voi tutti vi starete chiedendo perché prima ho scritto di questa tristissima morte, e subito dopo che è vivo vegeto e famoso. °-°

In realtà una spiegazione razionale ci sarebbe. Solo che, da una parte, non l'ho scritta perché mi sembrava già abbastanza lunga come shote >>; dall'altra ho pensato che magari sarebbe stato più carino se ognuno cercava da sé la spiegazione che preferiva.

...sì, ecco, sono ancora molto indecisa su questa cosa u//u: per questo, carissimo lettore che sei arrivato fin qui (sì, proprio tu, con quel *ehm* grazioso pomodoro in mano pronto a lanciarmelo ^^") , ti vorrei chiedere:
La storia va bene anche finita così, o la dovrei cancellare e liberarvi da questo obbrobbrio, o dovrei scrivere una specie di sequel per far capire cos'è successo davvero nella storia?

Detto questo... grazie ancora a chi ha letto questa cosa (il mio primo, vero tentativo di srivere in prima persona *_* ! Ok, non c'entra niente...) : credo che Gwen sia uno dei personaggi di Total Drama in cui riesco a immedesimarmi di meno, quindi è molto probabilme che sia incappata nell'OOC -Dhu!

Comunque sia, grazie, grazie tantissimo >////>!

*fugge*








   
 
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