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Autore: Emma Wright    25/04/2012    7 recensioni
[dal testo] Il campanello della porta tintinnò, annunciando la sua entrata nell’accogliente locanda di Madama Rosmerta.
In quel luogo, regnava un estremo senso di calore e tranquillità. La solare e gentile proprietaria, nonostante l’avanzare dell’età, continuava a essere una presenza costante nella quotidianità di ogni giorno. Rosmerta, anche se non più giovanissima, manteneva l’innata indole che ne faceva una buona locandiera. Amava avere a che fare con la gente, quella caratteristica le aveva consentito di apparire sempre come materna e affettuosa.
Erano i suoi stessi occhi, ora, a osservare la figura che avanzava a passetti strascicati verso il bancone. Ricordava quella ragazza di sfuggita. O meglio, era difficile tenersi a mente tutti quei nomi di studenti che, nel corso dei loro sette anni a Hogwarts, avevano frequentato il suo negozio.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio, Cho Chang, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Combinazione richiesta: Nocciolo, Piuma di fenice, 11 pollici, Sorprendentemente sibilante
Personaggio: Cho Chang
Tema: Amore
Luogo: Tre Manici di Scopa
Prompt: Cuore

Autore: Emma Wright (EFP)
Titolo: Perché piove sempre su di me?
Caratteristiche della bacchetta: Nocciolo, Corda di cuore di drago, 11 pollici,
Personaggi: Cho Chang, Madama Rosmerta, Nuovi personaggi (Daniel Bennet, Hailee Blair)
Genere: malinconico, romantico
Rating: verde
Introduzione:[dal testo] Il campanello della porta tintinnò, annunciando la sua entrata nell’accogliente locanda di Madama Rosmerta.
In quel luogo, regnava un estremo senso di calore e tranquillità. La solare e gentile proprietaria, nonostante l’avanzare dell’età, continuava a essere una presenza costante nella quotidianità di ogni giorno. Rosmerta, anche se non più giovanissima, manteneva l’innata indole che ne faceva una buona locandiera. Amava avere a che fare con la gente, quella caratteristica le aveva consentito di apparire sempre come materna e affettuosa.
Erano i suoi stessi occhi, ora, a osservare la figura che avanzava a passetti strascicati verso il bancone. Ricordava quella ragazza di sfuggita. O meglio, era difficile tenersi a mente tutti quei nomi di studenti che, nel corso dei loro sette anni a Hogwarts, avevano frequentato il suo negozio.
Avvertimenti: oneshot, het
Note dell’autore: credo di essere leggermente andata nell’OOC. Dunque, ho sempre trovato difficilissimo trattare di Cho, proprio perché è un pg molto difficile da gestire a causa di ciò che le è accaduto eccetera. Ho deciso di parlare non più di quella ragazza, ma di una donna fatta, che ha perso completamente le speranze ma non vuole comunque lasciarsi andare. Ricordare il passato le fa male, per questo cerca di non pensarci, volendo in ogni caso essere ‘diversa’. È una Cho confusa quella che si ritrova a vagare per le strade di Londra incerta, fino a fidarsi di uno sconosciuto. È una Cho felice, tornata alla sé stessa allegra e vivace di un tempo quella che racconta ad Hailee dell’imminente matrimonio, che adesso riesce ad affrontare ciò che è stato. Spero di essere riuscita a valorizzarla per questo.
Poi, i tre asterischi di stacco indicano un salto temporale, a seconda della realtà in cui si colloca. Cho è la protagonista assoluta, ma ad esempio nella prima parte viene vista secondo l’occhio di Madama Rosmerta, solo dopo ogni cosa si focalizza di lei. In seguito, l’attenzione si sposta a un mese dopo, fino al marzo dell’anno successivo.
Ho usato due citazioni, all’inizio e alla fine, e ancora un grazie per la disponibilità. Data la grande confusione che ho fatto con i pacchetti, ho segnato tutto quanto qui sopra :)

 
 
 

Andavo di fantasia, e di ricordi,
è quello che ti rimane da fare, alle volte, per salvarti.
Un trucco da poveri, ma funziona sempre.
(Alessandro Baricco, Novecento)

Le persone cambiano. Niente resta come prima, mai.
L’aveva imparato a sue spese, davvero troppe volte.
Il campanello della porta tintinnò, annunciando un nuovo ingresso a Madama Rosmerta, proprietaria dell’accogliente locanda.
In quel luogo regnava un estremo senso di calore e tranquillità. La solare e gentile proprietaria, nonostante l’avanzare dell’età, continuava a essere una presenza costante nella quotidianità di ogni giorno. Rosmerta, anche se non più giovanissima, manteneva l’innata indole che ne faceva una buona locandiera. Amava avere a che fare con la gente, quella caratteristica le aveva consentito di apparire sempre come materna e affettuosa.
Erano i suoi stessi occhi, ora, a osservare la figura che avanzava a passetti strascicati verso il bancone. Ricordava quella ragazza di sfuggita. O meglio, era difficile tenersi a mente tutti quei nomi di studenti che, nel corso dei loro sette anni a Hogwarts, avevano frequentato il suo negozio.
La guardò distrattamente, mentre era intenta a servire un cliente piuttosto confuso sulle ordinazioni. Solo quando si fu completamente liberata, passò a occuparsi di lei.
Quella ragazza aveva lo sguardo basso, come a osservare indistintamente un punto impreciso. La lunga frangia di capelli neri, lunghi e lisci impediva a Rosmerta di sapere cosa la manteneva così concentrata. Alla fine, rinunciò a cercare di comprendere il motivo di tanto profondo smarrimento. Qualunque persona nella norma avrebbe fatto lo stesso.
«Salve» esordì Rosmerta con tono pacato, picchiettando con la penna sul taccuino delle ordinazioni. Si riteneva una personalità serena, ma da tale era rispettosa dei suoi clienti. Aveva adocchiato un folto gruppo di persone all’entrata, quindi non poteva permettersi di perdere altro tempo: era piuttosto in ritardo sulla tabella di marcia giornaliera di suo.
«Cosa desidera?».
Indaffarata, si affrettò a rivolgere una fugace occhiata sospettosa a quella giovane donna, immobile davanti al bancone con l’aria di chi ha provato qualcosa di terribile.
«Ah» la sentì sussurrare mestamente «Una Burrobirra, grazie. Non ho proprio voglia di qualcosa di più forte», continuò, scostandosi una ciocca corvina.
Solo dopo quel gesto la proprietaria la riconobbe. L’aveva vista così tante volte. Da ragazza, anche tempo dopo. Non sarebbe stato facile identificarla nel viavai di gente, eppure quel semplice gesto le permetteva di darle un nome, sempre. Un piccolo gesto che valeva più di mille parole.
«Certo, Cho, accomodati pure, ora ti porto la bevanda…» disse la più anziana delle due, indicandole un tavolo libero e appuntandosi l’ordinazione.
I suoi occhi attenti non si staccarono da lei, mentre raggiungeva obbediente l’angolo che le era stato riservato.
Rosmerta non poté fare a meno di lasciarsi sfuggire un rapido sospiro. Non riusciva a capire come mai dovesse andare sempre così, senza esclusioni. Quella scena si ripeteva ininterrottamente una volta a settimana. Sembrava… un rituale. La locandiera era una strega, eppure quell’incanto, definito alle volte legame affettivo, non riusciva a concepirlo.
 
 
Cho restò in attesa una decina di minuti. Finalmente, un’avvenente cameriera bionda si affrettò a consegnarle un bicchiere di Burrobirra, prima di passare all’incarico successivo.
Ora sorseggiava svogliatamente il caldo liquido, che solitamente le procurava una sensazione davvero piacevole. Avvertiva un leggero formicolio, ogni tanto, poi più niente. La forza dell’abitudine le aveva tolto anche quello.
Svuotò il bicchiere e lo ripose di fronte a sé, giocherellando con uno dei tovaglioli. Quando era molto piccola, sua madre era solita insegnarle un semplice gioco. La prendeva con sé e le mostrava le meraviglie che potevano nascere da un semplice fazzoletto. Si chiamavano origami. L’amore di quella mamma per la propria bambina era immenso, dimostrarglielo anche in quel semplice modo, quasi inutile, faceva bene a entrambe.
Cho non vedeva sua madre da molto tempo, ormai. Aveva smesso di andarla a trovare quando le era stato chiesto come mai fosse così tanta la tristezza che le incupiva il volto, ancora fresco come quello di un fiore di loto.
Come era finita a pensare alla signora Chang?
Cho affondò la testa fra le braccia incrociate, in un gesto di stizza improvvisa. I capelli, mantenuti così in ordine grazie alle cure che riservava loro giornalmente, erano sparsi a ventaglio sulle braccia serrate, dando al tutto uno strano effetto. Reclinò la testa di lato.
I suoi occhi scuri saettarono per tutta la sala, soffermandosi sull’allegra confusione che regnava sovrana nella taverna. Andava lì per cercare di distrarsi un po’. Ascoltava i discorsi altrui, faceva attenzione ad ogni dettaglio. Si considerava una persona molto chiusa, eppure vivere con gli altri le piaceva. Il suo silenzio era puramente interiore.
Bastava che lei passasse inosservata, anonima.
Le sarebbe piaciuto essere invisibile.
Improvvisamente, si alzò. Posò due monete sul suo tavolo, fece un gesto di saluto e uscì dai Tre Manici di Scopa con decisione.
L’aria gelida di fine novembre la accolse, insieme a un’incessante raffica di vento.
Cho fece un lungo respiro per assaporare quel gusto, come se fosse qualcosa di unico, prima di sistemare il cappello e la sciarpa, allontanandosi tra le foglie secche, sulla terra battuta di Hogsmeade.
 

***

 
Londra era bellissima, sempre, anche con la neve a imbiancare i suoi tetti e le strade. Al contrario, quel candore contribuiva a donare alla città un aspetto magico, facendola sembrare… meno Babbana.
Cho si chiuse la porta del Paiolo Magico alle spalle, osservando con aria seccata i fiocchi di neve che continuavano a scendere imperterriti. Normalmente, amava la stagione fredda, tuttavia non poteva fare a meno di sospirare dinanzi agli sviluppi meteorologici. L’appartamento dove abitava ormai da due anni era piuttosto lontano da quel quartiere e tra l’altro si ritrovava appiedata. Era appena rientrata da una serie di acquisti a Diagon Alley.
Tuttavia, non si perse d’animo e provò uno spontaneo senso di gioia nel voltarsi indietro e osservare le proprie orme sul marciapiede imbiancato.
Quella reazione istintiva era dovuta ai ricordi della sua infanzia, probabilmente. Aveva ancora chiari in mente quei momenti invernali in cui veniva spinta di qua e di là, mentre amici e parenti correvano a giocare con la neve, per poi divertirsi a farla volare in alto, prendendola mentre era a un soffio dal cadere.
Fu un attimo, prima che anche quel momento fosse inghiottito dal presente.
Magari fosse andata così, pensò, mentre andava a sedersi su una delle panchine, al riparo della neve. Infatti, ora si trovava sotto una pensilina, immersa nei suoi pensieri, aspettando che tutto quello finisse.
Era caduta, tanto tempo prima.
Solo che stavolta non c’era stato nessuno a prenderla al volo.
 
L’incessante neve era finita, anche se ora pesanti nuvoloni grigi oscuravano il cielo.
Soddisfatta, Cho Chang si alzò, cominciando ad avventurarsi per i viottoli sempre più stretti della metropoli inglese. Dopo un’estenuante camminata, si stava avvicinando sempre di più a quello che era il quartiere in cui abitava. Sovrappensiero, non si accorse di aver imboccato l’incrocio sbagliato, proseguendo senza farci caso per la grande città.
Se ne rese conto solo quando, al posto del suo familiare palazzo di mattoni rossi, le si parò davanti agli occhi un’intera schiera di villette. Dovevano situarsi più o meno verso la periferia.
Cho si portò una mano al petto, più che spaventata. Londra era immensa e perdersi facilissimo. Non sapeva come rintracciare i suoi conoscenti, se non per mezzo di quello strumento essenziale: la bacchetta.
Stava per tirarla fuori, incurante dello Statuto di Sicurezza – avrebbe pensato alle conseguenze in seguito -, quando una voce la riportò alla realtà, facendola sobbalzare.
«Scusi, signorina, ha bisogno d’aiuto?».
La ragazza guardò impietrita l’uomo che si stava avvicinando con fare tranquillo. Che intenzioni poteva avere? Il suo tono era gentile.
Ma Cho aveva imparato a sue spese a non fidarsi mai completamente degli altri.
«Niente, mi scusi. Ho avuto un piccolo problema. Sa dirmi dove ci troviamo, più o meno?».
Mentre lui le spiegava il posto esatto, la giovane trasalì, rendendosi conto di dove era andata a finire, vagando per ore senza una meta precisa. Si era sempre vantata di essere una persona coerente. Le persone coerenti non si perdono solo perché “pensano ad altro”.
«Perfetto» sussurrò «Bene, grazie per l’informazione».
«Ah, si è persa?».
«Non la riguarda» ribatté gelida, prima di osservare un’ultima volta la strada innevata. Confonderla era stato facile, la città era quasi irriconoscibile, in quel modo. Sembrava tutto uguale.
Evidentemente, andare per la Londra non Babbana in pieno dicembre non era stata l’idea più geniale che potesse avere.
«Dalla sua espressione non si direbbe» disse l’altro in tono cordiale, costringendo Cho a voltarsi, quasi irritata, per squadrare dall’alto in basso quel perfetto sconosciuto che sembrava così disposto a socializzare. Una nuova amicizia era l’ultima cosa di cui aveva bisogno Cho in quel momento.
Era piuttosto alto, capelli scuri e disordinati. Anche gli occhi erano dello stesso colore, la carnagione molto pallida. Lo scrutava, scuotendo la testa alla sua aria di chi ha tempo da perdere.
«Posso aiutarti?» chiese.
«Se sai come portare una ventiduenne da qui al centro di Londra…» sbottò acida. La situazione non era delle migliori. Al contrario. Come aveva potuto essere così stupida e immatura?
«Ti posso accompagnare?» lo sentì dire, con tranquillità.
«Cosa?».
«L’hai chiesto tu».
Cho si limitò a ignorarlo, come se stesse avendo a che fare con un bambino, mentre cercava di pensare ad una soluzione. Niente di niente, a meno che non includesse la Smaterializzazione.
E scomparire alla presenza di un Babbano non era certo la scelta migliore, in quel momento.
Incrociò il suo sguardo. Aveva un che di diverso. Quel ragazzo… non avrebbe saputo definire la strana sensazione che scivolò Sembrava innocente, indifeso. Solo uno come tanti altri, tra miliardi di persone nell’intero pianeta. Decise che fare un tentativo non le sapebbe costato nulla.
«E va bene» soffiò. Quelle tre parole sibilarono, disperdendosi, ma apparendo comunque chiarissime.
«Bene, dove abiti?».
La giovane cominciò a spiegargli più o meno la locazione della sua casa, mentre entrava nell’automobile. Si era abituata anche a quel coso, mentre era sicura che anni prima sarebbe rimasta sconcertata davanti a quell’aggeggio che i Babbani usavano per muoversi. Le scope o la Smaterializzazione erano molto più pratiche il suo modo di pensare era quello di una strega.
«Ah, come ti chiami?» le domando, mentre metteva in moto la macchina.
«Cho,» gli rispose con semplicità, mentre continuava a chiedersi per quale ragione fosse arrivata a farsi accompagnare da qualcuno di cui non conosceva nemmeno il nome «Cho Chang…».
«Immaginavo avessi un nome del genere».
Lei annuì. I suoi occhi dal taglio a mandorla non tradivano, come il resto del suo aspetto. Si raggomitolò ancora di più nel cappotto, infreddolita.
In seguito, la ragazza non avrebbe saputo dire cosa l’aveva spinta a non andarsene via cercando di soffocare il nervosismo, per poi Smaterializzarsi, o al limite cercare un taxi. C’era stato qualcosa di strano, di diverso. Non le stava importando delle conseguenze, bastava che finisse in fretta.
«Piacere, Cho, sono Daniel Bennet».
 
***
 
Una risata maliziosa.
«Come l’hai conosciuto?» le chiese Hailee, posando la tazza di caffè bollente sul tavolino, per tirare indietro i capelli, corvini e piuttosto crespi. Li raccolse in uno chignon, prima di riprendere la sua bevanda, affondare nella poltroncina e fissarla incuriosita.
Cho aveva stretto amicizia con Hailee Blair più o meno un anno prima, quando aveva cominciato a lavorare presso il Ministero della Magia, nella divisione dell’Ufficio del Trasporto Magico. Colleghe, avevano finito per diventare anche amiche.
«Qui a Londra, tre mesi fa… nella maniera più inaspettata che potessi immaginare. Mi sembra di vivere in una favola, adesso, Lee».
« Lo credo bene» ridacchio lei, tossicchiando per via del caffè caldo, andatole di traverso in un istante di’ilarità. La sua personalità era spigliata, ironica e allegra, le piaceva prendere in giro tutto e tutti. Cho non aveva idea di come un tipo come lei fosse riuscito ad avvicinarsi al falò di idee e novità che era Hailee, ma era successo così, prima ancora che se ne accorgesse. Decisamente, era stata una delle migliori cose che avesse mai fatto.
Hailee era splendida.
Daniel era splendido.
Ciò che riusciva a fare inconsapevolmente la sorprendeva sempre.
«E quindi… questo vorrebbe dire che stai per essere intrappolata per sempre?» le chiese Hailee, sventolandole sotto al naso un elegante foglio di pergamena. «Gentile signorina Blair, siamo lieti di annunciarle che è stata invitata a prendere parte alla celebrazione…» recitò sarcasticamente, parodiando ciò che leggeva in modo teatrale.
«Dai, cerca di essere seria» la interruppe ridendo «Diamine, Lee, mi sposo! Ti rendi conto di cosa voglia dire?».
«Certo che sì, e sono qui per farti rinsavire in tempo. E devo anche cercare un modo per toglierti quel sorriso idiota che hai in faccia da settimane».
«Ah, smettila. A volte penso che sia accaduto tutto troppo in fretta,» disse Cho, posando con delicatezza la tazzina sul tavolino e sistemandosi sulla poltroncina, in quell’elegante salottino dove era solita ricevere le persone nel tempo libero. «Ma mi basta guardarlo», continuò, «Per capire che non è affatto così».
«Se lo dici tu, non posso che esserne felice, anche se ormai è troppo tardi per farti tornare indietro, dato che avete già cominciato a spedire partecipazioni a destra e manca… ma sa che sei una strega, anche nel senso letterale e comune del termine?».
«Simpatica. Comunque sì, gliel’ho detto, mi sembrava molto carina l’idea di comunicarglielo in anticipo».
«Per quanto tu ci possa provare, sei sempre la stessa».
Cho guardò Hailee uscire dall’appartamento, chiudendosi con forza la porta alle spalle.
Percepì quell’improvviso silenzio calare pesantemente tutto intorno. Attraversò il corridoio che conduceva al balconcino di quel “quarto piano’’ che occupava.
Si affacciò pensierosa, riflettendo sulla nuova vita che stava per cominciare da lì a tre settimane.
Le ritornò in mente ciò che aveva intenzione di fare da giorni, ormai. Fece lo stesso percorso al contrario, fino ad arrivare alla piccola sala da pranzo. C’era uno specchio, là dentro.
Avvicinandosi, ebbe modo di vedere meglio la propria immagine riflessa. Osservò con attenzione i tratti del suo volto. Gli occhi scuri sembravano liquirizia. Non molto tempo prima, aveva attribuito loro l’aggettivo di sbiaditi. Ripercorse con un dito i suoi lineamenti, il profilo del naso, le fossette che a volte apparivano quando rideva. Lo faceva sempre più spesso, ormai.
Spontaneamente, sorrise.
Non era più l’ombra di se stessa.
Era stata salvata.
L’amore le aveva consentito di aprirsi una strada che sembrava chiusa per sempre.
Poco importava che adesso la chiave del suo cuore fosse in mano a qualcun altro. Non era mai stato in grado di credere nel lieto fine, proprio perché le era stata strappata la possibilità prima ancora che potesse pensarci.
Aveva avuto un’altra occasione.
Non voleva sprecarla.
Osservò un’altra volta il suo riflesso.
Il futuro la stava aspettando. La prospettiva del passato diventava sempre meno importante, al confronto.
Cho, il mondo è troppo bello per essere guardato da una finestra.
Glielo doveva aver detto sua madre tanto tempo prima.
Non aveva creduto potesse essere vero anche per lei. Non era brava a essere felice.
Si sbagliava.
Il cuore l’aveva portata lontano.
L’amore era tutto ciò di cui aveva bisogno in quel momento.
Aveva smesso di avere paura.

 

Preferiamo ignorarla, la verità.
Per non soffrire.
Per non guarire.
(M. Grimellini)

 


Questa fanfiction è stata scritta per l'Ollivander's Wand Shop Contest di SimplyMe514, dove si è classificata quarta.
Grazie anche a voi se siete arrivati alla fine di questa storia immensa,. un commento dfa sempre piacere ;)

Riporto qui lo splendido giudizio dell'organizzatrice:


Grammatica e sintassi: 9,62/10 
Stile e lessico: 9,4/10 
Caratterizzazione dei personaggi (IC): 10/10 
Originalità: 9,5/10 
Gradimento personale: 4,8/5 
Utilizzo degli elementi dati: 4,5/5 
Totale: 47,82/50 
 
Grammatica e sintassi: la prima parte è impeccabile, ma più avanti perdi qualche colpo. 
“– avrebbe pensato alle conseguenze in seguito -”. Qui il primo trattino è corretto, mentre l'altro è troppo corto: è un segno “meno” e non il trattino che volevi usare tu. Di solito il computer li corregge in automatico, ma non se subito dopo c'è un segno di punteggiatura, il che è proprio il tuo caso. Un trucco per non doverti andare a cercare il simbolo speciale? Digita il “meno”, poi uno spazio in modo che scatti la correzione, poi cancella lo spazio, metti la virgola e vai avanti.
“lo sentì dire, con tranquillità.”. Questa virgola non è esattamente un errore, ma potrebbe anche non esserci e sarebbe lo stesso. 
“non avrebbe saputo definire la strana sensazione che scivolò Sembrava innocente, indifeso.”. Sembra che alla frase manchi un pezzo. Hai dimenticato il punto che giustificherebbe la maiuscola, e a meno di non usare il termine in senso lato, come fa una sensazione a “scivolare”? Ci vorrebbe un complemento di moto a luogo figurato che sembra essere stato misteriosamente cancellato, altrimenti il verbo significa che la sensazione “scivola” come un essere vivente che, per esempio, casca su una buccia di banana... Sappi che per questa frase sei stata penalizzata un po' anche in Stile, anche se te ne parlo solo qui. 
“Non le stava importando delle conseguenze”. Non è che sia del tutto sbagliato, è che in italiano suona piuttosto male: la costruzione è fin troppo all'inglese, sembra ricalcare un Past Continuous. 
“« Lo credo bene»”. Spazio di troppo tra le virgolette e l'inizio della battuta. 
“«Per capire che non è affatto così»”. Tra questa parte della battuta e quella precedente che qui non ti cito il punto non c'era, quindi questa maiuscola non serve. 
“Attraversò il corridoio che conduceva al balconcino di quel “quarto piano’’ che occupava.”. Non capisco il senso di quelle virgolette: magari sono io a interpretare male, ma fanno sembrare che “quarto piano” sia detto in modo ironico, e capisco che qui stiamo parlando di streghe, ma come può un dato di fatto come la collocazione di un appartamento essere detto con ironia? È come se cercassi di farmi capire che è un “quarto piano” per modo di dire, che c'è qualcos'altro sotto, per esempio, che ne so, che il palazzo è più grande dentro di quel che sembra da fuori per magia... ma è davvero così o sono io che mi faccio i film in testa per via di un paio di virgolette di troppo? 
Stile e lessico: In generale scrivi bene, non ho incontrato particolari difficoltà di lettura, ma ci sono alcuni punti che mi hanno dato delle perplessità. 
“La solare e gentile proprietaria”. Niente di davvero sbagliato qui, ma la parola “proprietaria” c'è già poco prima. 
“ma da tale era rispettosa dei suoi clienti”. Mi pare più corretto “come tale”. 
“era piuttosto in ritardo sulla tabella di marcia giornaliera di suo”. Capisco il senso: intendi dire che se Madama Rosmerta si fermasse a parlare con Cho le si accumulerebbero un sacco di ordinazioni e quindi non può proprio star lì a chiacchierare, ma quel “di suo” mi è parso un tantino troppo colloquiale: prova a toglierlo e a mettere invece un “già” prima di “piuttosto”, il senso è simile e la scorrevolezza è migliore. 
“Al contrario, quel candore contribuiva a donare alla città un aspetto magico”. Se Cho normalmente trovasse Londra grigia e bruttina, ma pensasse che la neve la renda più bella, allora quell'“Al contrario” sarebbe giustificato, ma se già prima canti le lodi della capitale inglese e poi aggiungi un ulteriore complimento alla sua versione innevata, la contrapposizione dov'è? 
“Dovevano situarsi più o meno verso la periferia.”. Non è un vero e proprio errore, ma quel poco comune “situarsi” non mi è piaciuto: un “trovarsi” sarebbe stato più immediato. 
“tra miliardi di persone nell’intero pianeta.”. Anche qui il senso si capisce, ma sarebbe meglio “sull'intero pianeta”, dato che stiamo parlando della superficie della Terra e non delle migliaia di gradi del suo nucleo. 
Caratterizzazione dei personaggi (IC): qui permettimi di fugare tutte le paure di OOC che avevi espresso nelle note. La tua Cho mi è piaciuta molto proprio perché non è la ragazza piagnucolosa che mezzo fandom detesta: non poteva mica rimanerlo per sempre! Se i tuoi timori stavano nel non aver mai nominato apertamente la tragedia di Cedric e/o il naufragio della storia con Harry, rilassati: chi conosce l'opera originale sa perché Cho è ridotta così anche se non lo dici. Forse per qualcuno completamente a digiuno di HP sarebbe confusionario, ma per il lettore di fanfiction medio non lo è. Particolare soddisfazione nel notare che non l'hai fatta sembrare una stupida: è uno dei personaggi più frivoli della saga, o viene ritratta come tale solo perché diventa importante proprio in una fase in cui gli ormoni la fanno da padroni, ma è pur sempre un orgoglioso membro della Casa più intelligente, e certe osservazioni quali “Si era sempre vantata di essere una persona coerente” calzano a pennello. Piccolissima perplessità, per cui poi ho deciso di non penalizzarti perché, chissà, forse faceva parte del modo in cui tu hai immaginato il tuo Daniel, per il passaggio improvviso dal “lei” al “tu” nel loro dialogo; ma, ripeto, era un modo per sbloccare la situazione tra i due, e magari lasciar cadere le formalità nella speranza che anche lei lo faccia per imitazione è una cosa che lui farebbe con chiunque – io non conosco questo Daniel Bennet, è una tua creazione. 
Originalità: prendere l'informazione di JKR che Cho sposerà un Babbano e farne questo meriterebbe quasi sicuramente un 10, soprattutto per aver saltato a piè pari la ragazza dalla lacrima facile ed esplorato invece una fase della sua vita completamente sconosciuta, ma... c'è un ma. Del parametro “Originalità” fa parte anche una trama ben costruita, e la tua lo è, tranne per una frase che sembra contraddire tutto il resto. Eccola: “Evidentemente, andare per la Londra non Babbana in pieno dicembre non era stata l’idea più geniale che potesse avere.”. Io credevo che invece fosse proprio la Londra Babbana, altrimenti non vi avrebbe incontrato un futuro compagno di vita senza una goccia di sangue magico nelle vene. Probabilmente ti è solo scappato un “non” di troppo, magari perché – che so? – hai riformulato più volte la frase o qualcosa del genere, ma è un'evidente contraddizione. 
Gradimento personale: quasi il massimo ma non proprio, in parte per la contraddizione di cui sopra e in parte per uno scivolone su un termine potteriano: si chiama Statuto di Segretezza, non di Sicurezza. 
Utilizzo degli elementi dati: i primi tre ci sono tutti, mentre per il prompt prendi il “punto presenza” che ti tocca per aver usato la parola, ma solo metà di quello che avresti avuto se le avessi attribuito molta importanza: dove c'è l'hai usato molto bene, entrambe le frasi in cui compare mi hanno colpita molto, ma sono per l'appunto soltanto due e per giunta verso la fine.

Devo dedicarmi alle correzioni, lo so bene, ci penserò il prima possibile C:
Emma



   
 
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