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Autore: TwinStar    22/11/2006    8 recensioni
Sirius si è convinto per chissà quale assurdo ragionamento che la maniera migliore di esprimere ciò che prova sia una lettera d’amore, anche se la stesura non sembra delle più semplici: complici amici, conoscenti nonché una naturale incapacità di fondo.
Una trama sentita chissà quante altre volte.
Del resto è solo un’altra banale dichiarazione d’amore.
Genere: Romantico, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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BGM: Passion – Hikaru Utada

 

SOLO UN'ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D'AMORE

         

Lettera 6 (Epilogo) – Una banale dichiarazione d’amore (Remus Lupin)

 

E’ raro che Felpato faccia la sua apparizione fuori dalla Foresta Proibita.

Gli è impossibile girare per i corridoi della scuola, dà troppo nell’occhio.

In dormitorio c’è privacy ma se può lo evita, gli odori lo stordiscono.

Perché per quanto a fondo gli elfi domestici lucidino la stanza, anche più di una volta al giorno, loro restano comunque un gruppo di vivaci adolescenti ed è normale che ci sia sempre un calzino usato (da Prongs, il quale reputa uno spreco di tempo e fatica lavare i calzini dopo sole tre volte che li si è utilizzati) incastrato sotto le molle di un letto ad attutire un cigolio, il resto di un pasto sgranocchiato di nascosto (di Peter, ufficialmente a dieta) abbandonato poi tra le intercapedini di un muro, per non parlare di qualche esperimento di pozioni (di Remus, che dovrebbe piantarla di incaponirsi tanto e accettare la seppur umiliante verità che in pozioni fa schifo) finito male lasciato ad incrostarsi contro le crepe del soffitto e tra gli arricciolamenti d’ottone delle torce.

Troppi gli odori che Felpato trova interessanti.

Troppa la voglia di balzare giù dal letto e catalogarli tutti.

Il ragazzo invece vorrebbe solo chiudere gli occhi e dormire senza il peso di complicati pensieri umani a turbargli il sonno, ma questo gli è reso impossibile dalla sua condizione bestiale, per non parlare della punta d’acciaio di una piuma d’oca che dispettosa continua a pungergli la nuca tra le orecchie, proprio là dov’è più sensibile.

Un’altra dopo un istante.

Un’altra ancora. Sono a intervalli regolari.

Uno sbuffo stizzito strappa una risata al suo aguzzino.

Una risatina maliziosa, sommessa… Così deliziosamente umana.

Felpato scosta appena la testa premuta sul braccio dell’altro quel tanto che basta perché occhi grigi e tristi incontrino un placido oceano d’ambra sbrecciato da un lampo di divertita malizia.

Un sorriso sghembo lascia scoperte appena le punte dei canini.

“Se vuoi che la smetta perché non la pianti di usarmi come cuscino?”

Il cane solleva la testa di scatto, scotendola da una parte all’altra con forza, e mentre le orecchie gli sferzano le guance producendo schiocchi secchi di frusta qualche goccia di bava gli sfugge dalla bocca colpendo in pieno viso l’umano che gli stava al fianco. La coda percuote un paio di volte la coperta in un lento scodinzolio di trionfo.

“L’hai fatto apposta…”, mugugna l’umano pulendosi la guancia col dorso della mano.

Felpato abbaia soddisfatto, poi gli posa di nuovo la guancia sul braccio.

Chiude gli occhi e un sospiro appagato lo attraversa tutto.

E’ solo lì che vuole stare.

Stretto contro il calore di braccia amiche anche se l’avvicinarsi dell’estate ha reso le giornate così calde che neanche la finestra aperta riesce a dare un po’ di sollievo, e non è la più grossa pensata del mondo starsene pigiati l’uno al fianco dell’altro su un letto a malapena sufficiente a contenerli entrambi.

Alla mercè di dita lunghe e sottili che il più delle volte pungono, pizzicano e fanno dispetti, solo per le rare volte in cui queste si fanno gentili e tenere e dispensano carezze, quando le falangi si piegano e percorrono l’intrico del suo manto in tortuosi ghirigori e le unghie grattano quel punto appena dietro l’orecchio che lo fa uggiolare come un cucciolo.

Lì dove c’è l’odore più dolce del mondo.

Sono rare le volte in cui gli è permesso farlo, vuole godersene ogni istante.

Anche se gli altri tendono a dimenticare che sotto le parvenze di cane batte comunque il cuore di Sirius Black e non trovano quindi così strana una tale vicinanza, cosa che gli permetterebbe di avvicinarlo senza destare sospetti, Remus non lo tollera: odia i peli di cane sulle coperte e il cuscino, detesta doversi imbottire di Incantesimi Refrigeranti per sopportare l’insostenibile calore del suo corpo, e sarebbe in grado di uccidere chiunque lo disturbi in qualsivoglia maniera, compresa la mera presenza, durante le sue sessioni di studio di fine anno. Anche se studia sempre così tanto che l’idea stessa della parola “ripasso” pronunciata dalle sue labbra ha il sapore di una battuta.

Però a farne le spese è Felpato, che quando ha voglia di coccole e attenzioni viene cacciato via in malo modo, nel migliore dei casi con strilli e  cuscinate.

Una volta è stato colpito al naso col testo di Trasfigurazione.

Invece questa volta gli è stato permesso non solo di stare sul letto, ma di poggiarglisi contro il fianco, col braccio che volta le pagine del tomo che stringe tra le dita a fargli da guanciale.

Senza dubbio quella è una giornata molto particolare.

Sirius ipotizza che si senta in colpa per qualcosa.

A Felpato invece non interessa saperlo.

L’unica cosa che conta è stare lì.

“E’ bello…”

“Cosa?”, risponde distratto l’altro ragazzo, perso tra le pagine di qualche libro dall’aria noiosa al punto da non staccarvi gli occhi di dosso. “Hai detto qualcosa, Sirius?”

Il ragazzo dai capelli neri spalanca gli occhi, volgendoli poi alla mano poggiata sullo stomaco dell’altro in un abbraccio indolente.

Una mano umana.

Trattiene a stento un’imprecazione.

Ormai padroneggia talmente bene la trasformazione in Animagus da passare con naturalezza da uno stato all’altro senza avvedersene, ed è strano se pensa che le prime volte faceva un male d’inferno. Neanche lontanamente immaginabile a quello che patisce Remus ogni mese.

“Niente.”, borbotta con voce arrochita a causa del lungo periodo trascorso come cane mentre stancamente fa leva sul gomito per sollevarsi un po’, interrompendo quel contatto così tenero col braccio dell’altro. “Sono distrutto. Torno nel mio letto.”

“Come vuoi.”

Si stringe nelle spalle con indifferenza.

Ancora non alza gli occhi, come fosse solo nella stanza, anche quando nel disincastrarsi svogliatamente da una posizione che li vedeva fortemente avvinti l’uno all’altro una mano va a sfiorargli l’interno coscia in maniera totalmente (ma non troppo) casuale, benché Sirius senta comunque il muscolo irrigidirsi appena sotto i polpastrelli e i polmoni trattenere il fiato, a disagio.

L’Animagus si alza in piedi a fatica e ciondola fiaccamente nel letto accanto, buttandosi sopra le coperte a peso morto con uno sbuffo stravolto, il viso sprofondato nel cuscino a nascondere un sorriso segreto. Ha ancora addosso l’odore di Remus. Gonfia il petto contro il materasso in un lungo sospiro languido, cercando di abbrancarne quanto più può con le narici prima di strofinare il volto contro la federa fresca di modo tale da avere l’altro oltre la barriera di ciglia pesantemente serrate.

Non serve aprire gli occhi per sapere che quello che ha di fronte è il solito Ragazzo-Che-Guarda-Altrove, con la sua frangia troppo lunga a coprirgli gli occhi attenti e le sopracciglia accartocciate in un gesto di dolorosa concentrazione, le labbra piegate all’ingiù in una piega severa, con la lingua a far capolino da un lato. Le mani devote e carezzevoli attorto ai bordi di un libro di scuola tenuto tra le ginocchia ossute lievemente piegate e le spalle curve contro la testiera del letto e un cuscino ben sprimacciato.

Sospira ancora, stremato.

Resta immobile a controllare il ritmo dei suo respiro.

Troppo stanco persino per trovare la consolazione del sonno.

Sono giorni che non dorme perso in assurde riflessioni, troppo deprimenti per dar loro voce anche al di fuori di quel confine sottile tra veglia e sogno in cui non c’è controllo e i pensieri si ammassano. Però ci sono, e premono comunque per uscire.

Non funzionerebbe.

Il fruscio lento e pesante delle pagine sfogliate in maniera distratta scandisce il tempo di un assolato mattino d’agosto. Troppo bello per restare chiusi in dormitorio a poltrire, troppo bello per non andare all’ultima gita dell’anno ad Hogsmeade assieme a James e a Peter a fare scherzi, riempirsi le tasche di roba inutile e ingozzarsi di dolci e BurroBirra.

Non capisce proprio come faccia Remus.

E’ l’unica persona che conosca a trovare eccitante l’idea di un giorno in pigiama, mentre lui troverebbe estremamente più eccitante l’idea di un giorno senza pigiama, se proprio la si dovesse passare in casa ad annoiarsi con l’unica distrazione di noiose elucubrazioni. Invece il licantropo sembra perfettamente a suo agio ficcato a fondo sotto le coperte, benché l’arrivo della bella stagione quasi non lo consenta più, e ogni volta inventa una scusa nuova per evitare le gite fuori durante i fine settimana.

Stavolta per esempio era ancora debilitato a causa della luna piena.

Peccato che puzzasse di scusa lontano un miglio, dal momento che era passata una settimana abbondante, ma a differenza delle altre volte, in cui nei casi di emergenza si era stati costretti a trascinarlo giù in mutande, si era deciso di chiudere un occhio.

Sirius non sembrava davvero in condizione di affrontare il mondo, quella mattina, men che mai una gita ad Hogsmeade: aveva chiamato James “mamma”, aveva rischiato di sfracellarsi al suolo scambiando la porta d’ingresso con la finestra, e benché avesse tentato di non rinunciare a quell’ultima distrazione spensierata prima degli esami di fine anno e delle vacanze estive, durante le quali avrebbe dovuto trovarsi un posto tutto suo era riuscito solo a ruzzolare contro il tappeto con un tonfo sordo, in un infruttuoso tentativo di far passare entrambe le gambe da un solo lato dei pantaloni.

“Sirius soffre troppo, non possiamo lasciarlo solo. Noi che siamo suoi amici dobbiamo stargli accanto.”, aveva sentenziato James con la sua solita aria falsamente pragmatica, aiutando l’amico a rimettersi in piedi per poi farlo sedere a letto.

“Remus, tu resti con lui, tanto non hai voglia di venire.”

E si era chiuso la porta alla spalla prima che uno dei due potesse obiettare.

Sirius aveva trattenuto una delle imprecazioni più memorabili della sua vita, stringendola tra i denti assieme alla lingua. Tipico di James trovare la soluzione più comoda per lui riuscendo a spacciarla per il bene comune. Sarebbe stato un vero spreco rinunciare al divertimento tutti e quattro per un semplice calo di pressione. E poi avrebbero pensato a loro con affetto, non aveva mancato di aggiungere Ramoso dal cortile mandando baci, cosa che lo preservava da ogni senso di colpa.

Tanto con Remus non doveva mica restarci lui.

Mi mette a disagio star solo con lui.

Perché è frustrante da morire.

E’ quel genere di persona che dà l’aria di sopportare il mondo con un sorriso solo perché ci si trova in mezzo e deve fare suo malgrado buon viso a cattivo gioco, ma che in realtà potrebbe sbatterti addosso senza notarti affatto.

E’ così innaturale.

Non serve a nulla trasformarsi in Felpato e saltargli sul letto per poi accoccolarglisi al fianco, così come non è mai servito a nulla attirare la sua attenzione nei modi più disparati.

Neanche ballargli nudo davanti in piena Sala Grande servirebbe a qualcosa.

Forse solo a farsi trascinare dal Preside col rischio di una punizione memorabile.

Remus invece mostrerebbe sempre la solita maschera di serena, posata padronanza di sé.

E’ irritante.

Non lo sopporta.

A partire da quel viso candidamente angelico da bravo ragazzo di cui l’ha fornito la natura, falso come i capelli di suo padre, ci sono diverse sue abitudini che lo fanno uscire pazzo, e non in maniera piacevole: il modo con cui si tormenta le dita quando è nervoso, il vizio di spezzarsi con le unghie le doppie punte dei capelli come una ragazzina scema, il modo in cui curva le spalle mentre cammina rasentando i muri per non farsi notare, o la sua incapacità di fissare qualcuno dritto negli occhi, lasciando l’impressione che stia guardando attraverso il proprio interlocutore. E poi quando dorme non russa come tutti i maschi normali di questo mondo.

Remus Lupin fischia.

Un sibilo lungo e acuto da serpe.

Dal punto di vista caratteriale, poi, il fastidio raggiunge livelli epici.

E’ notoria la sua assoluta incapacità di prendere una posizione chiara, ed è altrettanto risaputo che chiedergli di fare da giudicante per qualsiasi cosa, fosse anche la scelta tra due tipi diversi di dessert per la colazione, equivarrebbe ad aspettare fino all’età della pensione, così come il chiodo fisso di voler fare a qualsiasi costo tutto da solo, compresa la Felix Felicis che fatica a distillare persino quella secchiona della Evans. Per non parlare poi della sua fissa di mettersi libri di scuola e appunti sul comodino accanto al letto in ordine alfabetico, di preferenza o di grandezza a seconda dell’umore, del giorno della settimana, o del colore degli occhi del gatto del Prefetto di Tassorosso, e guai a infrangere questa mistica disposizione.

Le sue assurde abitudini sanitarie farebbero impazzire un maniaco dell’igiene: togliergli la possibilità di fare almeno due docce al giorno equivale a togliergli l’ossigeno e a far passare una pessima giornata ai malcapitati costretti a sentire le sue cagate allarmistiche su germi e batteri in agguato in ogni angolo (la maledizione di un nonno Medimago in pensione).

E’ pigro, noioso, un secchione impenitente.

La cosa che più trova insoffribile, però, è quella sua convinzione arrogante di essere sempre nel giusto, cosa che immancabilmente lo porta a ritenere in torto chiunque non la pensi come lui. Sirius, com’è ovvio, è una di queste persone che finisce con l’essere ritenuto un deficiente, e trattato come tale, con frecciatine sarcastiche e continue prese in giro. Quello sguardo dall’alto in basso con cui lo scruta sempre lo ossessiona, e non in modo piacevole.

Se fosse stato qualcun altro e James, notandone le capacità malandrine, non l’avesse preso sotto la sua ala, l’avrebbe ammazzato da tempo.

Non siamo fatti per stare insieme.

E’ un pensiero che colpisce a fondo come una martellata nelle parti basse e lo costringe ad un sussulto improvviso, come si fosse risvegliato da un incubo. In uno slancio istintivo spalanca all’inverosimile gli occhi, incurante del bruciore lancinante: il grigio dell’iride appare sfocato, spento e opaco contro il rosso liquido della sclera, le ciglia pesano come macigni.

E in un mondo sfocato e annebbiato di sonno il volto di Remus ancora chino sul libro è l’unica cosa che gli appare sempre nitida e chiara.

Remus è la sua certezza.

Siamo troppo diversi.

Eppure, nonostante tutto, vuole stare con lui.

E che Merlino lo aiuti, non può farci proprio niente.

Le labbra si socchiudono in un sussurro rauco e triste.

“Sono fottuto…”, mormora, spingendo più a fondo la guancia contro il cuscino a ricacciare indietro una stupida lacrima, ma viene distratto dalla risata bassa e roca del suo vicino di letto. Sirius solleva un po’ la testa dal suo giaciglio, quel tanto che basta a vedere il licantropo che, abbandonato il libro in grembo, si preme una mano davanti alla bocca per soffocare una risata trattenuta a stento.

“… Che c’è?”, sbotta Sirius seccato. “Ho fatto qualcosa di divertente?”

“No, affatto.”, lo rassicura subito Remus, mettendoci forse un po’ troppa enfasi per poter risultare davvero credibile. Le labbra sono serie, piegate un po’ all’ingiù, il volto imbronciato, ma è impossibile non notare il tremolio impercettibile dei muscoli delle guance e delle spalle, e quel luccichio divertito in quegli occhi inebrianti. Di fronte allo sguardo umiliato dell’altro, il suo sorriso aveva assunto un’aria tenera, quasi comprensiva. “Scusami. Era da un po’ che non ti sentivo imprecare come un commerciante di Notturn Alley. Mi mancava.”

L’Animagus lo scrutò di sottecchi, dubbioso.

“Ma se dici sempre che è un’abitudine odiosa e incivile.”

Remus piega la testa di lato, in un moto di giocosa curiosità. “Da quando ascolti quello che dico?”

 

Da quando hai cominciato ad ossessionare i miei sogni e i miei pensieri come una delle sciocche ragazzine ingenue che deridevo: dapprima in maniera tenera e timida, poi sempre di più, a morsi e unghiate, ti sei insinuato con forza irruente dentro di me al punto che estirparti adesso sarebbe mortale come il grido della Mandragora, in maniera così naturale che dichiararmi a te mi è sembrata solo la cosa più ovvia del mondo.

Da quando, a dispetto del mio apparire sfrontato, mi sono scoperto timoroso di un tuo rifiuto al punto da non riuscire quasi più a guardarti in faccia, figurarsi dichiararmi a viva voce, e ho deciso di lasciare tutto nelle mani di un foglio di pergamena, sforzandomi di trovare le parole quando non sono mai riuscito a guardarmi dentro neppure per decidere quale fosse la mia squadra di Quidditch preferita.

Da quando ho cercato di far mie, senza successo, quelle altrui.

E ho capito che voglio qualcosa che sia solo per te.

 

“Remus, scrivimi una lettera d’amore.”

Le parole gli rotolano via dalle labbra impazzite, come dotate di una propria volontà, e prima ancora che si renda conto di cosa ha detto schizzano via libere attraverso le cortine spalancate, fuori dalla finestra. Le dita stringono convulsamente i fogli di pergamena accartocciati che tiene da mesi a scricchiolargli sotto il cuscino, come a cercare conforto nel momento in cui incontra gli occhi di Remus.

Perché non lo fissa con un lampo di gelosia ferina nello sguardo? Perché non storce le labbra in quella smorfia strana che atteggia sempre, come se il mondo intero lo stomacasse?

Preferirebbe ritrovarselo licantropo davanti agli occhi, al momento.

Tutto, pur di non vedergli sul volto quel ghigno saccente.

“Non ci riesci, eh?”

“No.”, ringhia cupo al punto da fare invidia alla sua controparte canina, e il sorriso dell’altro si allarga mentre Sirius si morde le labbra e china lo sguardo sentendosi imporporare le gote nel momento in cui fa scivolare le gambe oltre il bordo del materasso e si solleva a sedere sul letto.

“Non ci riesco.”

“Mi sarei stupito del contrario.”, sbotta il licantropo senza preoccuparsi di nascondere la propria soddisfazione di fronte a quell’ennesima conferma del fatto che Sirius Black, notorio dongiovanni, debba la sua fama al timido, ordinario Remus Lupin, che l’amore l’ha conosciuto solo tra le pagine dei romanzi di sua madre. Con calma, senza abbandonare un certo sogghigno di pingue superiorità, afferra tra le dita la bella piuma d’oca che gli ha regalato Peter per il suo compleanno. Schiude le labbra e le parole scivolano via annoiate, come una lezione da snocciolare a memoria.

“Allora, Felpato, per chi è stavolta?”, domanda mentre si china a prendere una delle sue pergamene dalla borsa, e solo allora Sirius azzarda di guardare nella sua direzione. “Chi è la fortunata che merita le accorate parole d’amore di Sirius Black?”

L’Animagus non risponde annientato dalla crudele ironia della situazione, pur non essendo mai stato un tipo attento a simili minuzie.

“Stavolta è diverso.”, sibila tra i denti con fare minaccioso, in quello che vorrebbe essere un segno d’avvertimento, ottenendo solo una risata amara da parte del compagno.

“Dici così tutte le volte.”

Solo Godric o chi per lui trattiene Sirius dal saltargli addosso per mollargli un pugno.

Godric, e il fatto che sarebbe un sacrilegio deturpare il viso che ama.

E’ vero, ma cosa gli dà il diritto di pensare che stavolta non sarà un qualcosa di davvero diverso? La gente può anche cambiare, checché ne dica la Evans.

Si diverte tanto ad umiliarlo così?

“Allora, ti occorrono eroici poemi per una fiera Grifondoro?”, infierisce l’altro con voce svagata. “Struggenti dichiarazioni d’amore eterno per qualche romantica Tassorosso o citazioni colte e sagaci freddure per una brillante Corvonero? Oh, no, ora ci sono” Gli volge una fugace occhiata da dietro la frangia color sabbia prima di dare il colpo di grazia. “A giudicare dal pallore del tuo volto e dal modo in cui ti torci le mani, unito al tuo strano comportamento di questi giorni, stavolta c’è da irretire nientemeno che un’astuta, ammaliante Serpeverde!”

A quella parolaccia Sirius si ridesta dal suo mutilo torpore.

Si leva in piedi con un secco colpo di reni e lo fissa con aria di sfida.

“Serpeverde?”, abbaia, oltraggiato stringendo i pugni, nel tono e nello sguardo un serio cipiglio battagliero. “Nemmeno se l’alternativa fosse la castità a vita.”

Il licantropo nemmeno replica a quella bella frase orgogliosa che puzza di falsità lontano un miglio persino a chi l’ha pronunciata, il quale sa perfettamente che in caso di effettivo bisogno sarebbe in grado di azzardare una mossa anche con sua cugina Bellatrix. Si limita a squadrarlo con calma snervante, lasciando scivolare lo sguardo dall’alto in basso soffermandosi a lungo su quello fuggevole dell’altro, mentre rotola lento su se stesso fino ad assumere una posizione prona.

“Stai insultando la mia intelligenza, Sirius, ma fingerò di crederti per quieto vivere.”, mormora il licantropo mentre fa leva sui gomiti sollevandosi quel tanto che basta da permettergli di accomodare il libro sul cuscino a mo’ di base per la pergamena e di assumere la posizione relativamente più comoda. Il letto non è certamente il posto ideale, ma pur di non alzarsi si metterebbe persino a testa in giù.

“Allora, cosa devo scrivere?”, biascica tediato poggiando una guancia su una mano, roteando la piuma tra le dita dell’altra.

“Quello che vuoi.”, sbotta l’altro, incupito.

Incurante del malumore dell’amico, Remus si stringe nelle spalle e si mette subito al lavoro di buona lena, essendo notoriamente del parere che le lettere in vece di Sirius vadano scritte nel minor tempo possibile, prima che perdano di valore e il superficiale Felpato non vada in cerca di qualche altro “amore della vita”, che assomiglia in maniera inquietante ad un amore del secondo.

Sirius cade a sedere pesantemente sul letto a gambe aperte, i gomiti poggiati sulle ginocchia a sorreggersi il viso, alla stessa penosa maniera di quando da bambini lui e Regulus attendevano che l’elfa domestica finisse di cucinare qualche dolce.

C’è un senso similare di trepidante attesa ad infiammarlo dentro, come il caldo di un biscotto appena sfornato mentre osserva la piuma d’oca volare sulla carta in rapidi ed eleganti svolazzi, guidata da una mano esperta, unito ad un’inspiegabile oppressione all’altezza del petto.

La facilità con cui Remus è sempre riuscito a dar forma ai pensieri e che non l’ha mai toccato più di tanto, non essendo mai stato un tipo avvezzo a simili manifestazioni di cultura, ora lo riempie di un’invidia amara e cupa.

Perché lui vorrebbe dirgli quello che prova, lo vorrebbe davvero.

Ma non so quello che ti piacerebbe ascoltare.

Io non ho niente di interessante da dire.

E’ davvero come tutte le altre volte.

Chi può dire che questa non sia solo una delle tante cotte adolescenziali destinata a infiammarsi al primo sfregamento con una potente, accecante vampata al pari della capocchia di un cerino, per poi spegnersi un istante dopo lasciandosi alle spalle solo un filo di fumo?

Nessuno, e la cosa lo riempie di sgomento.

Si alza ancora in piedi di scatto.

La voglia di strappargli quella fottuta pergamena dalle mani e di stracciargliela davanti agli occhi si fa insistente al punto che quasi riesce a vedersi avanzare nella sua direzione e allungare le dita verso di lui, quasi assapora sulla lingua l’espressione sorpresa del viso dell’altro nel momento in cui frammenti di parole d’amore voleranno fuori dalla finestra.

Ma Remus resta con la testa china a macinare parole su parole, coi capelli da femmina a coprirgli impietosamente la visuale e il grattare della piuma d’oca a scandire i secondi.

I suoi piedi restano inchiodati sul posto.

Vigliacco. Gli ripete all’infinito una voce nella testa.

Sei la vergogna dei Grifondoro. Ed è strano che somigli tanto a quella di sua madre.

Questo mantra avvilente viene interrotto da un improvviso frusciare di carta sotto al naso. Remus ha già finito di scrivere la lettera, glielo legge dallo sguardo soddisfatto che segue il completamente riuscito di ogni lavoro.

Assurdo e ridicolo.

Pochi minuti per una cosa che a lui ha portato via mesi.

Si sente così gonfio di rabbia dentro, rivolta verso se stesso e anche un po’ nei confronti del suo scrittore di fiducia che esploderebbe, ma fuori atteggia i muscoli del viso a un sorriso smargiasso dei suoi, per non destare sospetti. Afferra con disinteresse la pergamena che gli porge l’altro e butta un’occhiata casuale a quella grafia fin troppo conosciuta.

Sottile e regolare, artistica.

A passi lenti e calcolati raggiunge la finestra, di modo tale da voltare le spalle all’altro. Non vuole che Remus lo veda troppo entusiasta e cerca di assumere un atteggiamento di pigro disinteresse, ma sa che gli occhi invece brillano come quelli di un bambino e lo tradiscono.

“Sarà meglio che stavolta tu ti sia superato.”, biascica burbero.

“Ne rimarrai entusiasta.”, sorride l’altro.

 

***

 

 

 

 

“E’ strano se ci si pensa come la gente, anche se dotata di poteri magici, nutra un piacere quasi perverso nel complicarsi la vita.

Per esempio, ora potrei dirti semplicemente che ti amo. Non è come se rischiassi davvero un rifiuto da parte tua, so bene di non esserti indifferente. E questo non perché io sia provvisto dell’Occhio Interiore o di un sesto senso femminile, come potrebbe insinuare qualche maligno. E’ solo che sei dannatamente ovvio. Temo però che una frase così diretta sarebbe troppo banale e non esprimerebbe, nel pratico, ciò che voglio dirti.

Quante volte ho sentito pronunciare quelle parole a vuoto intorno a me, ormai ho perso il conto.

Dimmi, hanno un qualche significato per te?

Non so neanche se ce l’hanno per me.

Il che è assurdo dal momento che non so neanche se chiamare amore ciò che sento o se piuttosto non dovrei definire la mia nulla più che una pia speranza: ho pensato a lungo ai miei sentimenti, senza mai venirne davvero a capo. Non sono molto bravo a leggermi dentro, non ci sono abituato. So che quello che provo per te è frutto di un processo che potrei definire solamente naturale, anche se ben pochi ne converrebbero; è maturato in maniera graduale, con la spontaneità di una cosa che sembra appartenermi da sempre e che fa parte di me e dell’ambiente che mi circonda, come la vita che mi è stata data o l’aria che respiro.

Sembra una cosa così facile da dire, adesso.

Se qualcuno mi avesse detto che avrei finito col mettere su carta pensieri così imbarazzanti, o se anche solo avesse insinuato che avrei provato per te qualcosa che andasse oltre un’educata tolleranza, come minimo gli avrei riso in faccia: non sei propriamente quella che chiamerei la mia anima gemella, e di sicuro sei l’ultima persona che avrei mai immaginato di voler vedere al mio fianco. Del resto la mia vita è già abbastanza difficile così com’è. Anche tu sei difficile: soprattutto ami mettere sottosopra la vita degli altri mentre io ho sempre cercato prima di tutto stabilità. Ma non è solo questo, anche se sarebbe più che abbastanza per lasciar perdere. Io e te siamo per natura e carattere agli antipodi, opposti che si attraggono come nel più banale dei clichè romantici, ma abbastanza disincantati e pratici da sapere fin dall’inizio che un’eventuale relazione non sarebbe la scelta più sensata. Non dovrei nemmeno amarti, a dirtela tutta.

Sarebbe decisamente più logico.

Invece è così, e mi sta bene.

Semplicemente.

E se l’amore non è questo, se non è il coraggio di combattere e di andare avanti nonostante tutto, pur nella piena coscienza di ciò che avverrà, io non so proprio cos’altro potrebbe essere.

 

Ti guarderò leggere questa pergamena nella speranza che tu ti accorga finalmente che quella che stai stringendo tra le dita è solo un’altra stupida, banale dichiarazione d’amore.”

 

 

 

***

 

SOLO UN’ALTRA BANALE DICHIARAZIONE D’AMORE

 

FINE

 

Note di Fine Fanfiction (in tutti i sensi)

 A cura di una persona che non ha eccessiva voglia di farle ma a fine fan fic credo siano doverose. Dunque, mi sento di ringraziare, a parte le anime sante che sono riuscite a sopportare la mia graforrea fin qui con fedeltà e audacia (sembra che stia parlando del cane Balto), Sirius e Remus che venendo contro tutti i principi a cui li ho educati dopo anni di fic romantragiche come Godric comanda a suon di turpiloquio e mazzate si sono prestati a una commedia romantica con un (brrrrr, rabbrividiamo) lieto fine.

Non me lo perdoneranno mai finché campano.

Hanno già pronta la frusta e la cera bollente.

Appena arriva Draco con il Daiqiri e le maschere di ecopelle cominciamo una festa come sappiamo farne noi, per compensare la dolcezza a cui ci siamo sottoposti per settimane.

Spero che qualcuno sia arrivato alla fine senza annoiarsi.

Spero che abbia gradito almeno un po'.

Spero che lasci un commentino.

Spero tante cose, e da qualche parte tra il desiderio di conoscere (possibilmente in maniera biblica) Gary e il riuscire a trovare un fidanzato che compensi gli esseri raccattati finora trova spazio anche la speranza di un mondo senza guerre.

Un inchino e un saluto condito di un abbraccio forte forte.

 

Risposte personali

 

Meggie: Oh, chi si rivede, ciao!!! ^.^ Aaaah, sì, avresti dovuto lasciare una recensione tempo fa, vergognati e pentiti, per punizione giù 20 flessioni e poi a recensirmi tutte le fic che non hai affrontato!!!!! XDDD Scherzo, naturalmente, sono contenta che ti sei fatta risentire, m'eri mancata! ^_^ E m'erano mancati i tuoi complimenti che carina!!!! XD Non so se sentirmi molto figa e camminare a 3 metri da terra o sentirmi in colpa per le altre WolfStar (ecco perchè come coppia ora è poco letta! XD). Propendo per il sentirmi figa che male non fa mai! XDDDD Arrossisco come una bimba e ti ringrazio tanto per aver apprezzato questo lavoro decisamente più puccioso della media. Se l'hai trovato originale e interessante al pari degli altri che posso dire se non grazie dal profondo del cuore? Un bacione! ^.^

 

Skiblue: Ti ringrazio molto, sono molto affezionata al personaggio di Lily, quindi che venga apprezzato mi riempie di gioia. La mia Lily è sempre un po' atipica, mi dicono, proprio per questo suo affrontare le cose di petto quando di solito è la mater che sempre sorride e sempre dolce consola. A me, dico la verità, una lily così sta antipatic!!! XDDD Preferisco la mia sarcastica e malandrina creatura.

Al fianco di James ci sta da dio.

Il primo pezzo, oooooh, l'hai notato, che bello!!! ^.^ Che fa parte in realtà di questo ultimo capitolo (avrai notato l'uso del presente in entrambi i casi). Sì, hai ragione, Sirius ormai è veramente fuori. Se prima l'aveva presa un po' anche come un gioco, ora non può più dirlo davvero. Per questo pian piano ho abbandonato la dimensione giocosa prima ancora che se ne rendesse lui che fosse vero amore. Sirius è veramente fregato, non c'è scampo! XD Proprio una cosa tutta commedia non riesco a farla, sono impossibilitata! XD Anche perchè un amore fatto solo di battutine e frasette allegre è un po' superficiale invece a me piace pensare che Sirius e Remus provino qualcosa di decisamente più serio.

Anche se meno simpatico.

I riferimenti all'olfatto sono autobiografici, anche io faccio un sacco caso agli odori, annuso tutto, anche il veleno per topi (ora si spiegano molte cose! XD). Io ti ringrazio davvero tanto, sinceramente, di avermi seguita fin qui alla fine di questa storia. Un pochetto mi dispiace che sia finita, mi hai dato tante soddisfazioni. ^_^ Un bacione anche a te.

  
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