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Autore: Fabio93    02/05/2012    17 recensioni
C'è un posto, dove vivono Mickey e Miriam, di cui tutti hanno paura, che tutti evitano: la casa del vecchio Norton. Eppure è lì che i due bambini si stanno dirigendo, per dimostrare ciascuno all'altro il proprio coraggio. Ed avranno bisogno di tutto il coraggio e la forza che riusciranno a trovare, per uscirne vivi.
Genere: Horror, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Giochi d'Infanzia


Il bambino pedalava lentamente per il sentiero sterrato, sotto il caldo sole d'Agosto; la giornata era radiosa e il rumore più forte era quello della ghiaia sotto le ruote della sua bici.

Avanzava senza fretta perchè, gli aveva spiegato la mamma, quando il sole batte forte è meglio non sforzarsi troppo se non ci si vuole beccare un colpo di calore, e tuttavia era felice di potersi godere da solo la bellezza della campagna: il sentiero proseguiva dritto per parecchi chilometri, costeggiando un ampio bosco centenario che si voleva rendere un'area protetta; alla sua sinistra c'erano solo i campi spogli e pronti per la semina del grano e, molto più in là, il fiume.

Mickey iniziò a fischiettare, ma si interruppe subito sentendo un fruscio proveniente dal bosco sulla destra; si girò, d'istinto, e vide qualcosa muovere i bassi cespugli scomparendovi dentro.

Incuriosito, poggiò la bicicletta al margine del sentiero e discese verso il bosco, che era un poco più in basso rispetto alla strada.

Arrivò sotto l'ombra degli alberi, dove l'erba cominciava a farsi fitta, ed aguzzò lo sguardo senza però individuare la causa del rumore.

Il fruscio si ripetè più forte proprio alla sua destra.

Il bambino pensò agli avvisi di sua madre sullo stare attenti ai serpenti, in quella stagione, e sentì un piccolo peso gravargli sullo stomaco mentre fissava il punto da dove era arrivato il rumore.

Improvvisamente, il coniglio saltò fuori dal suo nascondiglio saettandogli per le gambe; Mickey finì col sedere per terra per la sorpresa e lo spavento mentre il coniglio fuggiva a tutta velocità verso i campi.

Una risata cristallina si levò alle sue spalle: seduta poco sopra di lui stava Miriam, con un ginocchio incerottato e il vestitino sporco di terra, intenta a deriderlo.

-Mickey, sei proprio un fifone!- disse infine, divertita.

Il ragazzino si rialzò in tutta fretta, rosso in viso.

-Non è vero!- si difese.

-Sì invece! Hai paura dei conigli!-

Mickey le fece la linguaccia e si sedette a fianco a lei, sul terriccio soffice.

Miriam aveva due anni più di lui, vale a dire dieci, ed anche se di solito andavano d'accordo, ogni tanto finivano per prendersi in giro per poi azzuffarsi.

-Anche tu ti saresti spaventata-

Lei scosse la testa, facendo ondeggiare i boccoli dorati.

-Ah, già , tu non ha mai paura- la canzonò lui.

-Infatti è vero!-

Mickey riflettè per un attimo.

-C'è un posto che fa paura a tutti, però...- iniziò ghignando.

-E quale?-

-La casa del vecchio Norton-

Per un attimo la bambina sembrò perdere la sua sicurezza, assieme ad un po' del suo colorito, e ci furono solo i canti delle cicale a continuare il discorso.

-Papà dice che tutte le storie su quella casa sono “fesserie”- disse infine.

-Però a te fa paura lo stesso-

-Non è vero!-

-Sì che è vero!-

Per un attimo la bambina rimase senza parole, come se non potesse esprimere tutta l'indignazione che aveva dentro, poi, di scatto, si alzò in piedi e raggiunse la bicicletta rosa che aveva lasciato sulla strada.

-Allora andiamoci!-.

Mickey rimase impietrito sotto di lei, incapace di rispondere.

Ma diceva sul serio? Nessuno andava alla casa di Norton, soprattutto se era un bambino!

-Allora? Che aspetti? Non è che hai...paura?-

Con l'aria di un'anima alle porte dell'inferno il bimbo si alzò e, dopo essersi tolto le erbacce dal sedere, inforcò anche lui la bici: meglio morti che fifoni.

-Va bene, ci sto- disse serio.

Miriam esitò per qualche secondo, forse non si era davvero aspettata che lui accettasse, ma ora non poteva tirarsi indietro.

-Bene- rispose, e iniziò a pedalare.

La casa del vecchio Norton non era troppo lontana, in linea d'aria, ma per arrivarci avrebbero dovuto pedalare per un lungo tratto di strada tortuosa, che si snodava su per il bosco, talvolta anche in forte pendenza visto che la casa sorgeva quasi in cima alla Old Hill.

Stando a quanto Stewe, il ragazzo più grande del loro gruppo, aveva raccontato loro, Norton era arrivato nella loro località circa quarant'anni fa.

Aveva detto di essere un amante della campagna, ma era anche un solitario e si era fatto costruire una casa sulla collina.

Era un uomo alto e massiccio, dalla pelle pallida e dagli occhi neri e guizzanti; si faceva vedere ogni tanto in paese per comprare qualcosa, ma per il resto se ne stava rintanato nella sua dimora della quale ogni tanto, di notte, si scorgevano le luci tremolanti.

Tutto era andato avanti come al solito, fino a quando non avevano cominciato a sparire cani, cavalli, mucche...e infine bambini.

Sparivano tutti così, nella notte, senza lasciar traccia e la polizia locale non sapeva più che fare.

In quei giorni, Norton non era più uscito di casa.

Non ci volle molto perchè su di lui calasse il sospetto della comunità e così fu mandato un poliziotto a controllare la situazione.

Non fece più ritorno.

Il giorno dopo lo sceriffo ed un paio di altri uomini fecero irruzione nella casa e ciò che trovarono era il motivo per cui nessuno aveva mai più messo piede in quella casa: al primo piano Norton giaceva morto sul letto, davanti ad un grande specchio; si era tagliato la gola da parte a parte e il sangue era schizzato fin sul soffitto.

Quando Stewe era arrivato a questo punto, Mickey avrebbe voluto non ascoltare più, ma non ne era stato capace.

E poi, non poteva farsi passare per fifone, così aveva ascoltato la storia sino in fondo.

Il vero orrore stava nello scantinato: in quella che pareva una grossa biblioteca piena di libri indecifrabili stavano cadaveri di bambini ed animali, orrendamente mutilati e cuciti insieme a formare abominevoli sculture di carne; al centro, su di un piccolo altare, stava una statuetta, all'apparenza antichissima, ma dalle fattezze così ripugnanti che i poliziotti la distrussero immediatamente.

Così conciati, i corpi dei bambini non poterono nemmeno essere seppelliti decentemente, mentre Norton, lo spregevole assassino, venne sepolto nel cimitero della chiesa.

Per un po' di anni la casa fu una meta del turismo dell'orrore, ma poi la storia venne tenuta in vita solo dai racconti fatti dai grandi nelle notti d'inverno, quando il vento soffia forte sulle case e sembra bussare alle finestre per poter entrare.

Mickey ripensò a tutto questo, pedalando su per la salita alla Old Hill, e la paura e la fatica stavano per farlo rinunciare, quando la casa apparve proprio davanti a loro, come un vecchio relitto che aspettasse di essere riscoperto, al centro di un intricato ammasso di erba spinosa e contorta.

I due posarono le bici.

La luce del sole in quel punto faceva fatica a passare tra le fronde e ne risultava una luce soffusa e verdastra, quasi come un effetto speciale di qualche dozzinale film dell'orrore.

-Bene, eccola lì- disse Miriam -Abbiamo ancora qualche ora di luce, entriamo?-

La proposta fece accapponare la pelle di Mickey: la casa, scrostata e invasa dalle erbacce, somigliava una vecchia e infida mummia, debole e fragile solo all'apparenza e pronta a balzarti addosso se solo ti avvicinavi troppo.

-A me non sembra una buona idea- confessò.

-È solo una casa, Mickey, non è un mostro-

Era vero, era solo una casa, eppure sembrava anche un mostro.

Mickey si mordicchiò il labbro, profondamente indeciso.

-Va bene, ma diamo solo un'occhiata, ok?-

-Ok- rispose la bambina, soddisfatta.

Mickey fece da apripista attraverso la giungla di sterpaglie fino a che non sbucarono nello spazio sgombro della veranda.

La facciata della casa era relativamente integra, seppure recasse evidenti segni dello scorrere del tempo sulle assi che la componevano, tranne che per la porta semiaperta che era priva di serratura e piegata verso l'interno, come se qualcuno l'avesse aperta con un calcio.

Mickey la spinse con cautela e quella ruotò cigolando sui suoi cardini arrugginiti, lasciandoli entrare nell'atrio impolverato.

-Questo posto mette davvero i brividi!- fece Miriam, quasi ammirata, come se si trattasse dell'attrazione di un parco giochi.

L'interno era immerso nella penombra e nel silenzio, rotto da misteriosi scricchiolii che provenivano da ogni angolo della dimora; l'atrio dava accesso a due stanze: una era vuota e piena di polvere mentre l'altra era chiaramente una cucina.

Mickey afferrò un barattolo di latta poggiato sul tavolo della cucina; che recava un'etichetta con su scritto “zucchero”; il bambino lo aprì, ma vi trovò dentro solo uno spesso strato di muffa nera.

Uno schiocco improvviso lo fece girare sui tacchi come un soldato: il cuore gli era risalito rapido in gola ed ogni muscolo nel corpo si era irrigidito, pronto alla lotta o alla fuga.

L'atrio era vuoto.

Un senso d'inquietudine più sottile e strisciante dello spavento di poco prima si insinuò in lui come uno spiffero freddo.

-Miriam...?- chiamò.

Nessuna risposta.

-Miriam!- chiamò ancora, con una nota lamentevole nella voce.

-Sono qui!-

La voce della bambina proveniva da un angolo remoto della casa; Mickey la seguì e trovò l'amica ad aspettarlo in cima ad una rampa di scale.

-Che cavolo fai?! Non ti trovavo più!-

-Scusami, ero salita a vedere ed uno scalino si è quasi spaccato-

-A vedere cosa?-

-Là forse c'è la camera di Norton...dove si è ucciso- spiegò lei indicando una delle stanze del piano superiore -Vuoi venire a vederla con me?-

-No, dai, andiamo a casa: è tardi!-

Miriam mise il broncio.

-No. Io vado a vedere, se sei troppo fifone per venire stai lì- e detto questo scomparì dalla vista di Mickey, ancora fermo al piano di sotto.

Mickey cercò di riflettere: valeva davvero la pena di andare a vedere la camera da letto di Norton?

Assolutamente no, ma non si sarebbe mai sognato di rimanere da solo in quella casa piena di strani rumori.

Così salì di corsa le scale, e per poco un gradino non si ruppe, e raggiunse Miriam.

La camera era l'unica con la porta aperta ed una volta entrato il bambino trovò l'amichetta seduta sul letto al centro della stanza, intenta ad osservare l'ambiente circostante.

La luce del sole morente illuminava le pareti scrostate di un rosso sanguigno, facendo risaltare tutte le ombre che sembravano tante, troppe rispetto ai pochi arredi presenti.

Il silenzio era assoluto, quasi d'attesa, come in un teatro prima dell'atto finale.

Sulla parete davanti al letto stava un enorme specchio incassato in una contorta cornice di legno; era sporco ed ammaccato e restituiva un'immagine distorta e grottesca dei due ospiti.

-È quello lo specchio...?- chiese Michey.

-Credo di sì- rispose Miriam avvicinandosi all'oggetto.

Michey riusciva troppo bene ad immaginarsi Norton, davanti allo specchio, che si portava il coltello alla gola e premeva e tagliava, schizzando sangue ovunque.

-Dai, non mi va più di stare qui! Andiamocene!- disse il bambino con voce lamentosa.

Per un attimo Miriam non rispose, persa completamente nella contemplazione del vecchio specchio, come se potesse scorgere qualcosa dietro quelle croste di sporcizia...ammesso che di sporcizia si trattasse.

-Va bene, andiamo- disse infine.

Il sollievo di Mickey fu immenso.

Si girarono per uscire voltando le spalle agli orrori sepolti fra quelle mura.

 

 -Miriam- 

 

Era stato come un soffio di vento: lieve, appena udibile, ma il richiamo congelò i due bambini sulla soglia della camera.

-Miriam-

Mickey si girò e vide con un impeto di terrore che lo specchio si era come gonfiato e sembrava protendersi verso di loro.

-Vieni-

Ma Miriam si era già mossa, tremante da capo a piedi eppure incapace di resistere a quella voce portentosa.

Ora la luce del sole era rossa più che mai, le ombre danzavano, si dimenavano sulle pareti e la bambina sembrava più piccola ed indifesa che mai mentre avanzava verso il suo destino.

-Mickey! Aiuto!- gridò, piangendo, ma sempre avanzando.

La nota disperata nella sua voce liberò Mickey dalla stretta della paura; il bambino la afferrò per la mano e tirò, tirò con tutte le sue forze per salvare la sua amica , per strapparla a quel potere malefico ed inumano.

Eppure non riusciva a fermarla.

-Miriam! Vieni via!- ora piangeva anche lui.

-Non posso!-

Ormai erano davanti allo specchio, allungò una mano e lo sfiorò.

Il vetro andò in frantumi e schegge affilate aggredirono la pelle del bambino mentre le grida di Miriam si fondevano con quelle della voce inumana e terribile, riempiendo l'aria con una vibrazione straziante.

L'alito gelido del terrore spense in Mickey il lume della ragione: senza guardarsi indietro si alzò e corse via.

Sbattè contro il lato dell'entrata, incespicò, riprese e a correre ed uscì, dirigendosi verso le scale senza nemmeno vedere il corridoio.

Si appoggiò al corrimano e scese il primo gradino.

Poi si fermò.

All'inizio non capì perchè ed anzi, gli ci volle qualche secondo per rendersi conto di essere arrivato alle scale.

Qualcosa era cambiato.

Poi capì: le urla erano cessate di colpo, lasciando il posto al silenzio.

Il bambino lottò contro il suo istinto per non fuggire: forse Miriam stava bene, forse aveva bisogno di lui.

Fece appello a tutte le sue forze e con voce tremante la chiamò, sfidando il silenzio ad una risposta.

-Miriam...?-

La bambina non rispose al suo richiamo; stava per rinunciare, quando sentì le assi del pavimento scricchiolare in lontananza.

-Miriam?- chiamò ancora, più fiducioso.

Una risata gelida, priva di qualsiasi calore umano sì levò nell'aria come un lamento di morte, crescendo di tono trasformandosi in un ululato per poi spegnersi in un gemito.

Quel grido non poteva essere umano.

Mickey abbandonò ogni speranza e si fiondò giù per le scale mentre un'ombra, appena visibile ai margini del suo campo visivo, usciva dalla camera da letto.

Era quasi arrivato al piano terra, quando uno dei gradini cedette sotto il suo peso, addentandogli il polpaccio con acuminati denti di legno.

Il bambino gridò e tentò di liberarsi, prima cercando di non allargare i tagli, poi, quando sentì i passi della creatura avvicinarsi alle scale, ignorando il dolore ed il sangue.

Con un ultimo sforzo riuscì ad estrarre la gamba e ripartì, zoppicando, verso l'uscita.

Per un attimo temette di non ricordarsi il percorso, poi però trovò la strada e si gettò sulla porta.

Quella non si aprì, ma anzi, lo rispedì indietro facendolo cadere a terra.

Mickey lottò contro lo stordimento e si rialzò; i passi si stavano avvicinando all'atrio.

Aggredì la porta con violenza, ma quella non ne volle sapere di aprirsi.

Com'era possibile? Quando erano arrivati non aveva nemmeno la serratura!

In quell'istante capì che la casa era davvero un mostro carnivoro, che non lo avrebbe mai e poi mai lasciato andare.

Ma lui non avrebbe rinunciato alla lotta.

Corse verso la cucina e tentò di aprire una finestra, ma la ruggine tenne ben fissato il telaio, che non cedette.

I passi erano sempre più vicini.

Afferrò il barattolo di zucchero e lo scagliò contro il vetro sporco, frantumandolo.

Con un grido vittorioso si lanciò verso l'apertura...e si rese conto che dietro la finestra c'era una giungla fittissima di arbusti spinati.

Non aveva scelta: ormai i passi erano dietro di lui.

Si gettò fra le piante, cercando di farsi strada attraverso quel groviglio infernale.

Era quasi uscito, quando una mano gelida gli afferrò il piede e lo tirò indietro.

-No!- gridò, aggrappandosi alle piante per resistere.

Ma quella mano era inesorabile e pian piano lo riportava dentro, nella cucina, nella casa.

-NO! MAMMA! AIUTO! AIUTO!-

Poi, il silenzio.

 

 

Lo sceriffo si appoggiò al muro scrostato della casa e si accese l'ennesima sigaretta.

Notò con disappunto, ma senza stupore, che le sue mani erano scosse da un lieve tremore.

E chi non sarebbe stato turbato dopo una giornata come quella?

Osservò i suoi uomini sradicare le ultime erbacce nella radura e montare le luci per allontanare il buio della notte, approfittandone per riordinare i pensieri.

I bambini erano scomparsi da una settimana, ormai, quando avevano deciso di ispezionare la vecchia casa sulla montagna.

L'idea non era andata a genio a Will, lo sceriffo: cercare lassù era come abbandonare ogni speranza, sapeva di sconfitta, di morte.

E le sue paure si erano rivelate fondate: il cadavere del giovane Mickey Brown era stato ritrovato nella cucina; la sua testa, invece, in mezzo alle erbacce, gettata via come una lattina di birra vuota.

Era stato uno spettacolo orribile, tanto che Will non aveva nemmeno bisogno di chiudere gli occhi per riviverlo come fosse la prima volta.

Gli si accapponò la pelle.

Il suono dell'ambulanza che veniva a prelevare il corpo del bimbo precedette di poco le luci blu su per il sentiero appena praticabile.

Chi lo avrebbe detto alla madre? Dopo la morte del marito aveva avuto solo più lui...

-Sceriffo...?- la voce del suo assistente lo distolse dai suoi lugubri ragionamenti.

-Hai trovato tracce di Miriam, Al?- domandò con voce stanca.

-Sì, anche se ho dovuto stare attento a non compromettere la scena del crimine per la scientifica- iniziò, evidentemente a disagio -È una cosa parecchio strana: ci sono le sue impronte per tutta la casa, e spesso sono assieme a quelle del piccolo Mickey; penso che abbiano cercato di fuggire insieme dall'aggressore-

Fece una pausa, incerto, e si grattò la nuca con nervosismo.

Will attese, paziente.

-La cosa che non riesco a spiegarmi e come sia possibile che non si siano le impronte dell'assassino: ci sono quelle dei bambini, ma non le sue, maledizione! Non ha senso! Non può mica averlo ucciso Miriam!- disse infine, alzando le mani in segno di impotenza, trattenendo a stento la sua disperazione per quello che sembrava un vicolo cieco.

-Se è per questo io non mi spiego nemmeno come sia possibile che esista qualcuno capace di fare una cosa simile ad un bambino- commentò Will.

Il suo assistente annuì con aria grave, e lui gli mise una mano sulla spalla.

-Ma noi lo prenderemo, puoi contarci- disse fissando il compagno dritto negli occhi, per infonderli della sicurezza che nemmeno lui provava veramente -Miriam è ancora dispersa, può darsi che sia ancora viva e che noi la possiamo salvare. La cosa più importante, adesso, è non arrendersi e continuare le ricerche, intesi?-

-Certo, sceriffo-

Will lo fissò ancora per qualche secondo.

-Bene, allora raduna gli uomini: facciamo un giro per setacciare la zona-

Al si allontanò in fretta, forse felice di aver qualcosa da fare, qualcosa che lo distraesse almeno per un po'.

Will fece qualche passo in direzione della foresta, meditabondo.

Chissà dov'era finita quella povera bambina.

Pregava Dio di scoprirlo prima che fosse troppo tardi.

D'un tratto, gli parve di vedere qualcosa muoversi fra i cespugli a poca distanza da lui.

Si irrigidì, improvvisamente vigile ed aguzzò lo sguardo verso il buio impenetrabile del bosco.

Nulla si mosse.

Aveva davvero visto qualcosa?

Non ne era già più certo, eppure il suo sesto senso gli diceva che qualcosa c'era, lì fra le ombre.

-Miriam...?- chiamò con poca convinzione.

Per un attimo temette, ebbe quasi terrore di ricevere una risposta dall'oscurità.

Ma la risposta non venne.

Si rilassò e rise di sé stesso.

Come poteva andare avanti con le indagini dando la caccia alle ombre?

Probabilmente era stato un animaletto, forse un coniglio...o forse era tutto frutto della sua immaginazione.

Sarebbe stato comprensibile, visto lo stress accumulato.

Schiacciò la sigaretta sotto il tacco, desiderando di poter fare lo stesso con le sue preoccupazioni, e tornò dai suoi uomini, senza riuscire ad impedirsi di guardarsi alle spalle mentre si allontanava dalla vegetazione silenziosa.

 

 

Una settimana dopo sparì il terzo bambino.

 

 


 

   
 
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