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Autore: Angy_Valentine    06/05/2012    9 recensioni
Ma Hisana è il bene più prezioso che ho, la piccola oasi di onesta serenità in questa casa, contro il mondo intero. In questa stanza non esistono ranghi, non esistono nobiltà e doveri, i pareri degli altri potrebbero contare quanto una goccia in un oceano, siamo solo io e lei, Byakuya e Hisana.
[Byakuya x Hisana]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Byakuya Kuchiki, Hisana Kuchiki
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'When the Snow falls'
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E che dire. Un mio primo tentativo di scrivere una Byakuya x Hisana. Amo alla follia questo pair, e... e niente, una sera l'ispirazione è venuta così. E su di loro c'è sempre così poco... quindi ho voluto provare a rimpolpare un po' il fandom di una delle coppie più belle e tristi di Bleach. Sì, lo so, dovrei andare avanti anche con Fire and Ice, ma giuro che sto scrivendo anche quello, in un paio di giorni - se tutto va bene - dovrei riuscire ad aggiornare xD Del resto, c'è poco da fare... quando l'ispirazione viene, è sempre bene approfittarne :'D In questo primo capitolo sarà Hisana a parlare, spero di averla tenuta sufficientemente IC. Al prossimo, ovviamente, la parola passerà a Byakuya. Un ultimo appunto, una piccola parte dei dialoghi è ripresa dal flashback presente in Fade to Black.
Bien, smetto di rompervi le scatole e vi lascio alla lettura. Come sempre, commenti e critiche sono sempre ben accette! :)



When the Snow falls

雪が下がると



Part 1 – I’ll find you





Riapro lentamente gli occhi, la crisi di ieri sera è stata più pesante del solito e mi ha destabilizzata più di quanto mi aspettassi. Mi ritrovo come sempre a fissare i tasselli del soffitto mentre giaccio stesa sul futon, la pesante coperta tirata su fin quasi al mento e la testa immersa nei morbidi cuscini. So già chi è stato ad aggiungerli al normale guanciale e, stupidamente, sorrido al pensiero di tale persona e della sua riguardosa premura.

Ricordo di essermi svegliata quando ho sentito la servitù togliere gli amado dalla veranda, ma la luce non era ancora così forte; seppur appena percettibile, il respiro lento e regolare del nobile Byakuya era ancora al mio fianco e, ulteriore testimone della sua presenza, la sua mano sinistra era intrecciata mollemente alla mia destra. Voltando il capo l’avevo visto ancora profondamente addormentato, o almeno così mi era parso: aveva lavorato fino a tardi e, sebbene non volesse mai dare a vedere la propria stanchezza, il suo corpo necessitava di recuperare le energie per poter affrontare il giorno che gli si prospettava davanti. Ne avevo studiato il profilo per qualche istante, seguendo con lo sguardo i capelli neri che cadevano in morbide onde scure sul cuscino, i ciuffi più corti ad incorniciargli il viso pallido, e mi ero stupita per l’ennesima volta di quanto fosse effettivamente bello.

Ad un certo punto l’avevo visto fare una smorfia nel sonno – ed intimamente ne avevo riso, lui che era quasi sempre inespressivo si lasciava andare solo mentre dormiva o quando eravamo insieme – e muovere le gambe, mugugnando per qualcosa che probabilmente stava sognando, rafforzando per pochi attimi la presa sulla mia mano. Quasi come se ciò l’avesse rassicurato su chissà cosa, aveva sospirato pesantemente e si era quietato, riprendendo a respirare in modo regolare. Con quell’immagine ancora negli occhi, avevo finito con l’addormentarmi anch’io.

Ed ora allungo piano la mano destra, orfana della sua, verso il suo lato del futon matrimoniale che condividiamo, andando a tastarne le lenzuola: sono appena tiepide, segno che il nobile Byakuya se ne è andato da poco. Anche se siamo nel bel mezzo delle festività, il mio premuroso marito ha sempre così tanto da fare… del resto, vista la carica che ricopre, so da me che non potrebbe essere altrimenti. E sarebbe terribilmente egoistico, da parte mia, pretendere che ignori anche per poche ore il proprio lavoro per stare con me.

Probabilmente lo farebbe, anche, se soltanto glielo chiedessi, delegando le varie mansioni del giorno ai suoi sottoposti. Ma so quanto è ligio al dovere, e a me va bene così. In fondo è piacevole anche stare ad aspettarlo a casa, vederlo arrivare quando meno lo si aspetta… ed avere la consapevolezza che ha fatto tutto il tragitto con lo Shunpo perché trova futile perder tempo a camminare normalmente, che ha ripreso un incedere più moderato solo quando è arrivato alle porte della residenza, e che la prima persona che ha a cuore di vedere è proprio la sottoscritta.

Come faccio a saperlo, dite? È stato proprio lui a rivelarmelo, una sera.

Era piuttosto presto, mancava poco più di un’ora al suo solito orario di ritorno quando, all’improvviso, sentii tutta la servitù accalcarsi in corridoio.

«Byakuya-sama, siete già di ritorno?» chiese uno dei servi, andando incontro all’inatteso padrone di casa «Vi sentite male?».

No, non era una battuta, quella dell’anziano servitore. Il suo tono era condito di sincera preoccupazione: non era dal mio nobile marito rientrare tanto presto, al massimo anticipava di cinque o dieci minuti. A fatica mi alzai dal futon, cercando di mettermi in piedi per poter andare ad accoglierlo degnamente.

«No, ho semplicemente concluso con largo anticipo le mansioni odierne.» stava rispondendo lui, il tono di voce che aumentava man mano che avanzava in corridoio «Tornate pure ai vostri doveri.».

Li aveva congedati così e, mentre tentavo di rendermi presentabile lisciando la stoffa del kimono con le mani, gli shoji della nostra stanza erano stati aperti quel tanto che bastava per rendere visibile neanche la metà del suo viso.

«Hisana, posso entrare…?» il suo tono era così dolce e basso, quasi temesse di disturbarmi. Non sapeva che ero così avida della sua compagnia che, anche se mi fosse stato accanto per 24 ore di seguito, la sua presenza non sarebbe mai stata un peso, anzi.

La cosa che mi sorprendeva spesso era che con me chiedeva sempre il permesso di poter fare qualcosa, fosse anche solo entrare in quella stanza che, in fondo, era anche sua. Con gli altri, chiaramente, la sua autorità non veniva mai messa in dubbio, nemmeno per scherzo: il rispetto se l’era guadagnato tramite il proprio operato, non glielo portavano solo perché gli era dovuto. Ciò talvolta mi lusingava, altre mi metteva quasi a disagio: per me era ancora inconcepibile che un uomo effettivamente potente come il nobile Byakuya mi chiedesse il permesso anche per poter entrare nella propria stanza, se anch’io ero presente. Spesso preferivo giustificare tali richieste dicendomi che, probabilmente, voleva evitare di mettermi in imbarazzo, arrivando all’improvviso.

«Byakuya-sama!» dissi, andandogli incontro a passo incerto, sorridendogli al meglio delle possibilità che la malattia mi concedeva.

Lui entrò completamente nella stanza, richiudendosi gli shoji alle spalle ed avanzando con le braccia leggermente aperte, pronte ad accogliermi. In pochi istanti, infatti, mi sentii avvolgere dal suo calore e dalle sue braccia, in una morsa gentile che mi fece posare la guancia contro la morbida e calda stoffa nera del suo shihakusho. Non potevo non adorare i momenti in cui il nobile Byakuya si lasciava andare a quelle pacate dimostrazioni d’affetto: sapevo che per lui era già parecchio difficile, avendo un ruolo che non gli permetteva di ascoltare, neppure con moderazione, le proprie pulsioni, non poteva osare comportamenti ritenuti sconvenienti e men che meno un’eccessiva passione. Era, in fondo, l’educazione che aveva ricevuto fin da piccolo, in previsione dell’importante carica che avrebbe ricoperto una volta divenuto adulto. Ecco perché la sua era una tenerezza che faceva capolino solamente quando eravamo soli, lontani da occhi indiscreti, senza la servitù attorno. E quanta delicatezza c’era ogni volta nei suoi gesti, nei suoi abbracci o nei suoi baci, come se per lui fossi tanto fragile da cadere a pezzi ad un contatto un poco più deciso.

«Non dovresti sforzarti, Hisana. Lo sai che non ti fa bene.» mormorò, le mani grandi ed affusolate che mi massaggiavano discrete la schiena, prive di qualsiasi malizia.

«Perdonatemi, Byakuya-sama. È che… volevo venire ad accogliervi per potervi rivedere il prima possibile.» risposi sinceramente, posando le mani all’altezza del suo petto «Siete molto stanco?».

«Affatto. Mi premeva molto di più rivederti, Hisana.» ammise, intrecciando le dita sulla mia vita e addolcendo lo sguardo.

«Avreste potuto fare ritorno con calma, Byakuya-sama. Sapete che io sono sempre qui ad aspettarvi.».

«Ne sono consapevole. Ma come immagino tu sappia, per certe cose la dote della pazienza non mi è di alcuna utilità.».

Con un colpo di tosse mi tiro a sedere, sfregando la stoffa del kimono da notte a livello del cuore, come a volerlo calmare e scaldare. Mi guardo attorno per pochi istanti, la stanza è illuminata dalla luce del mattino che passa attraverso gli shoji, a conferma del mio ricordo: la servitù deve aver già riposto gli amado nel tobukuro. Ieri il cielo era grigio e prometteva neve, chissà se…

Arrancando piano mi avvicino agli shoji e li apro leggermente. Non posso fare a meno di sgranare gli occhi di fronte allo spettacolo che mi si prospetta davanti: il parco e gli alberi sono ricoperti da un soffice manto bianco, che rende il tutto vagamente surreale. Rimango incantata ad osservare il giardino per diversi minuti, stringendomi sulle spalle il michiyuki per evitare che la fredda brezza invernale mi faccia peggiorare la salute più del solito. Non voglio restare un altro giorno chiusa in questa stanza. Non quando ho la consapevolezza di dover andare a cercare lei… Rukia, la mia piccola sorellina, da me stessa abbandonata in un vicolo dell’immenso Rukongai. Quasi due anni dopo quella mia riprovevole azione, a cui ho cercato, e cerco tutt’ora, di porre rimedio ogni giorno, conobbi il nobile Byakuya. Non è trascorso molto tempo, in effetti, solo sei mesi… ma sembrano passati anni da quando Byakuya-sama mi ha chiesto di diventare sua moglie…

Scuoto leggermente il capo per mettere da parte i ricordi ed infilo meglio il michiyuki, chiudendolo per bene sul petto. Mi tiro in piedi aiutandomi con il bordo dello shoji, stando ben attenta a non rovinarlo, ed esco sull’engawa, diretta alla sala da pranzo. Ho giusto bisogno di un piccolo spuntino, prima di iniziare la mia ricerca. Potrei benissimo passare attraverso i corridoi interni della casa, ma il paesaggio innevato è troppo bello e raro per potersi privare di un tale spettacolo. La differenza di temperatura con la camera è notevole, ma grazie alla veste sopra il kimono non ne soffro più di tanto. Lentamente avanzo lungo la passerella che circonda la casa, posando di tanto in tanto una mano sulla parete che mi è accanto.

«Nobile Hisana!» esclama una serva, venendomi incontro con fare concitato «Che cosa fate qui fuori al freddo? Vi prenderete un malanno!».

Ascolto i timidi rimproveri che mi rivolge, stringendomi le mani chiuse a pugno vicino al petto, così da tentare di trattenere il calore. Alla fine mi lascio convincere a rientrare e percorrere il tragitto interno, al che lei si offre di aiutarmi, porgendomi la mano ed un braccio intorno alla vita a fare da supporto. Sto per accettare di buon grado, quando una voce fa bloccare entrambe.

«Hisana.».

Riconoscerei questa voce tra mille e, se potessi, non esiterei un istante a correre incontro al proprietario di tale voce. Voltandomi incrocio il volto austero del nobile Byakuya, mentre avanza verso di noi. La serva si prodiga in un inchino, restando a capo chino fino a che lui non la invita a rialzarsi.

«Potete andare, Naoko-san.» soggiunge, con un lento cenno del capo. I tre ciuffi neri separati dal Kenseikan gli scivolano leggeri davanti agli occhi, adombrando le iridi grigie che lentamente si spostano verso le mie.

Rifuggo per un istante il suo sguardo, rivolgendomi a mia volta verso la serva che, in un gesto composto, si sta rialzando.

«Scusatemi, Naoko-san, se vi ho fatto preoccupare.» mormoro, cercando il suo viso per sorriderle «E vi ringrazio per l’aiuto che mi avete gentilmente offerto.».

«L’ho fatto volentieri, Hisana-sama. Se necessitate di qualsivoglia cosa, in qualsiasi momento, vi prego di non esitare a chiamarmi.» replica lei, ricambiando il sorriso «I miei rispetti, Byakuya-sama, Hisana-sama.» aggiunge, rivolgendoci un ulteriore inchino prima di congedarsi e sparire oltre l’angolo della casa.

Restiamo in silenzio per qualche attimo, sebbene non ci sia alcuna pesantezza nell’atmosfera che ci circonda. Lentamente il nobile Byakuya copia il gesto d’aiuto precedentemente compiuto da Naoko, accompagnandomi verso l’interno di un salottino.

«Volevi di nuovo andare al Rukongai?» chiede piano, stringendo maggiormente la presa della mano che mi ha posato sul fianco.

«Sì, mi dispiace, Byakuya-sama.» replico abbassando il capo, timorosa di averlo contrariato. L’ultima cosa che desidero è vedere quest’uomo deluso od infastidito da qualche mio gesto. Forse avrei dovuto evitare di…

«Non devi scusarti, Hisana, non sono arrabbiato.» mormora, fermandosi in mezzo alla stanza per guardarmi «Sono solo preoccupato per la tua salute. Oggi le temperature sono molto rigide, non vorrei che tu ne soffrissi eccessivamente.».

Ricambio la sua stretta, sfregando il pollice contro il dorso della sua mano e sorridendogli.

«Byakuya-sama, vi ringrazio immensamente per la vostra premura. Ho… ho avuto cura di indossare abiti sufficientemente caldi, prima di uscire.».

Lui continua a fissarmi in silenzio, costringendomi ad abbassare lo sguardo: troppa è l’intensità in quelle iridi grigie per permettermi di reggerne ulteriormente il confronto e, nonostante la mia posizione di sua sposa, mi sento sempre come se fossi una sfacciata maleducata ad osservarlo in volto anche per un secondo di troppo.

«Ti accompagnerò, Hisana.» soggiunge ad un tratto, costringendomi a rialzare il viso verso il suo, sorpresa.

La mia espressione dev’essere più eloquente delle parole che non riesco a pronunciare, infatti non perde un secondo a riprendere a parlare.

«Prenderemo uno dei cavalli nelle scuderie. Questo tempo è troppo infido per permettermi di lasciarti uscire, fosse anche con una scorta, e oggi non ho incombenze tali da…».

«Oh, no, Byakuya-sama, non potrei mai chiedervi una cosa simile!» esclamo, interrompendolo. Zittendomi di colpo mi porto la mano libera alle labbra, vergognandomi di aver osato tanto «P… perdonatemi l’avventatezza, Byakuya-sama. Ma non oserei mai chiedervi di rimandare o delegare i vostri impegni per una mia faccenda che, in confronto alle vostre, è una vera e propria sciocchezza.».

Stringo maggiormente la sua mano, avvicinandomela alle labbra, sussurrando a pochi centimetri dalla sua pelle lattea «Ve ne prego, Byakuya-sama. Vi prometto che farò attenzione, mi vestirò ulteriormente, se ciò può rassicurarvi e permettervi di assolvere i vostri doveri con l’animo in pace. Non potrei perdonarmi di sapervi lontano dalle vostre incombenze solo per un mio capriccio.».

«Non è un tuo capriccio, Hisana, ma una mia scelta consapevole.» ribatte lui, portando il braccio ad abbracciarmi le spalle per stringermi leggermente «Sai bene che non riuscirei a non pensarci, in ogni caso.».

Senza lasciarmi il tempo di replicare ulteriormente, mi volta e mi accompagna verso il corridoio, lasciando la mia mano per poter aprire il fusuma decorato. Mi lascio così condurre fino alla sala da pranzo, dove consumiamo la colazione, e non posso fare a meno di notare che le porzioni che mi vengono servite sono più abbondanti del solito. Non sono mai stata incline a mangiare molto, ma la povertà e la fame sofferta durante la mia permanenza nel Rukongai mi hanno insegnato a non sprecare mai il cibo che mi viene offerto, motivo per cui consumo diligentemente il mio pasto sotto lo sguardo attento del nobile Byakuya. So bene che presta più attenzione al cibo che lentamente diminuisce sui miei piatti, che non ai documenti che regge in mano o alla quantità di the che gli è rimasta nella tazza.

Una volta terminato raccolgo i piatti, che subito vengono portati via da una serva, ed insieme ci alziamo. La mia mente lavora ancora a briglia sciolta per trovare un modo per farlo restare. So che può suonare paradossale, quando io per prima desidero la sua compagnia, ma non voglio assolutamente che venga rimproverato per esser venuto meno al proprio lavoro per stare con me. Già il Clan non ha mai visto di buon occhio la nostra unione, se poi venisse a sapere che Byakuya-sama ha evitato i propri doveri per seguirmi nel Rukongai…

Siamo oramai alle scuderie, la neve che si è depositata sul sentiero scricchiola sotto i nostri passi. Immergo metà viso nella pesante sciarpa che Byakuya-sama mi ha fatto indossare, e di sottecchi osservo la sua schiena. A quanto pare, è fermamente deciso a fare di testa sua, questa volta, e non ci sono state parole e rassicurazioni sufficienti per fargli cambiare idea. Il fato sembra arridermi quando vedo uno shinigami avvicinarsi a passo spedito, il fiato che forma nuvolette ad ogni suo respiro.

«Capitano Kuchiki!» esclama, fermandosi a pochi passi da noi. Si piega in avanti in un profondo inchino, mentre tenta di recuperare il fiato «Le mie più accorate scuse per il disturbo, Capitano, ma ho una comunicazione urgente per voi. Il Comandante Generale Yamamoto vi manda a chiamare, chiedendovi di raggiungerlo il prima possibile nel suo ufficio.».

Il giovane allunga una lettera, che rapidamente viene letta e ripiegata. Mi stringo meglio nel michiyuki e sistemo la sciarpa, cercando di conservare il più possibile il calore donatomi dagli indumenti, prima di spostare lo sguardo su mio marito. Mi sta fissando con un’espressione così pensierosa che, metaforicamente parlando, quasi riesco a vedere il suo cervello lavorare frenetico per decidere cos’è meglio fare.

«Non fatevi attendere, Byakuya-sama.» mormoro, posandogli una mano sul braccio e sorridendogli «Se il Comandante Generale ha richiesto la vostra presenza con tanta urgenza, non avete un minuto da perdere.».

Lui mi osserva ancora con aria assorta, prima di rivolgersi al giovane Shinigami che, nel frattempo, è ancora a testa china.

«E sia. Fai ritorno al quartier generale, 5° seggio.».

Il ragazzo esclama un “Signorsì, Capitano Kuchiki!” deciso, prima di rivolgerci un ulteriore inchino e voltarci le spalle. Lo osservo correre fuori dalle mura della residenza, cercando quanto più possibile di evitare di alzare gli occhi su mio marito. Sì, perché temo quanto sta sicuramente per dirmi.

«Hisana, per cortesia, rientra.» ecco, infatti i miei timori si rivelano fondati «Non mi pare veramente il caso di lasciarti andare nel Rukongai con questo tempo.».

Stringo le mani al petto, mordendomi piano il labbro inferiore, e dopo qualche attimo di incertezza ricambio lo sguardo grigio e preoccupato che mi rivolge.

«Byakuya-sama, ve ne prego…» replico piano, insaccandomi ulteriormente nelle spalle «Come voi non riuscireste a non preoccuparvi per me, io non riuscirei a stare con il cuore in pace sapendo che dovrei essere nel Rukongai a cercarla. Perciò, vi prego…».

Senza che me ne renda conto la mia mano è salita a stringere piano il suo haori bianco da Capitano, venendo presto coperta dalla sua. La sua pelle, sempre così morbida, è anche così fredda…

«Non appena inizierò a sentirmi anche solo vagamente male farò ritorno, lo giuro.» proseguo, non volendogli dar tempo di replicare «A cavallo ci metterò molto meno tempo, ed avere gente al seguito potrebbe rallentarmi e basta.».

Mi sto giocando ogni carta a mia disposizione, snocciolando qualsiasi scusante per impedirgli di dirmi di stare a casa.

«Hisana…».

«Vi prego!» più che un’esclamazione che dovrebbe esser decisa, è quasi un singhiozzo disperato.

Tra noi permane il silenzio ancora per diversi istanti, prima che un suo sospiro infranga quella bolla ovattata che ci aveva rinchiusi.

«Giuramelo, Hisana. Non fare follie.» è il suo unico commento.

Annuendo obbediente, lo ringrazio con un gran sorriso. Un movimento appena percettibile lo porta ad inarcare verso l’alto gli angoli della bocca, in uno dei suoi leggeri e rari sorrisi, e quasi con riverenza posa le labbra sulla mia fronte, dopo avermi scostato il ciuffo nero che, ribelle, non ne vuole mai sapere di stare al suo posto. Lentamente sposta la mano dalla mia tempia al mento, sollevandolo un poco per incrociare le mie labbra con le sue. È un tocco delicatissimo, il suo, quasi reverenziale, come se donare un bacio fosse, per lui, un onore. Oh, non sa che quello è un sentimento che vale per me, ma non deve valere per lui, no.

Il nobile Byakuya mi ha raccolta dalle sudice strade del Rukongai e, oltre ad una casa, degli abiti e del cibo, mi ha fatto dono anche del suo cuore: così ambito da tante nobili fanciulle, così traboccante di dolci sentimenti, seppur repressi dalla carica che porta sulle spalle, così prezioso ed inarrivabile come le cose più belle e proibite. Per quanto mi riguarda, ricambiare al massimo delle mie possibilità i suoi sentimenti, donarmi a lui è ben poca cosa, in confronto a quanto lui stesso ha fatto per me. Il suo amore è così tanto che, talvolta, mi sconcerta, facendomi sentire impossibilitata a contraccambiarlo con la stessa intensità. Non perché non provi un sentimento tanto forte nei suoi confronti, ma perché…. oh, non so veramente come spiegarlo. È come un fiume in piena, ha la stessa forza di un corso d’acqua che, a forza di accumularsi, ha distrutto la diga che lo teneva imprigionato, ed è ora finalmente libero di scorrere senza impedimenti di sorta.

«Hisana.» la sua voce mi tira fuori a forza dai miei pensieri e, guardandolo mi accorgo che mi sta porgendo un sacchettino ricamato. Ma quando l’ha preso? Oh, non serve un genio per capirlo: ha utilizzato lo Shunpo per spostarsi «Porta questo con te, tienilo vicino al cuore. Se ti sentissi male e non fossi in grado di tornare, saprò trovarti, ovunque tu sia.».

Mi prende una mano e ci posa sopra il sacchettino di stoffa, portando le mie dita a chiuderlo nel pugno. La stringe per pochi attimi, facendomi percepire che all’interno vi è qualcosa, prima di fare un passo indietro.

«Ora devo andare. Fai attenzione, Hisana, mi raccomando.».

«Anche voi, Byakuya-sama.» replico in risposta, sorridendo ulteriormente per rassicurarlo.

Un ultimo cenno del capo, prima di vederlo voltarsi e dirigersi verso i cancelli della residenza. Aspetto di vederlo oramai oltre le mura, infine entro nella scuderia. L’ambiente è notevolmente più caldo dell’esterno, un soffuso sbuffare dei cavalli si leva non appena chiudo il portone alle mie spalle. Avanzo piano tra le due file di recinti da cui sbucano i musi incuriositi degli animali, fermandomi davanti ad uno dal manto nero, con una singola macchia bianca in mezzo alla fronte.

Quello fa per avvicinarmi il grande muso alle mani che gli ho teso, in cerca di una carezza. Sfrego piano la mano sul pelo e la criniera corvina e serica, prima di adoperarmi per farlo uscire dal recinto. So che i suoi occhi neri non mi si staccano di dosso, mentre prendo da un ripiano una delle coperte e gliela adagio, accuratamente ripiegata, sul dorso. È poi il turno della sella, di una piccola sacca che vi allego e delle redini, che afferro per accompagnare fuori l’animale.

Lo sento sbuffare quando gli zoccoli schiacciano la neve, come se non si aspettasse che fuori facesse così freddo. Lo accarezzo un’altra volta sul muso con entrambe le mani, lisciando il pelo con i palmi, per poi portarmi al suo fianco e salire lentamente. Mi chino verso il suo orecchio, mormorandogli poche parole, e insieme ci dirigiamo verso l’uscita.

Fortuna vuole che con una mano riesca senza problemi a tenere chiuso il michiyuki e la sciarpa, e con l’altra a reggere le redini del cavallo, che procede a passo abbastanza spedito, ma non al trotto.

Ben presto attraversiamo i cancelli che separano la Seireitei dal Rukongai, e la differenza tra le due parti è quasi deprimente. La zona più umile della Soul Society emana un fetore di povertà e morte che fa stringere il cuore. Le strade pulite e piastrellate della Corte vengono sostituite da strade lerce e in terra battuta, gli edifici imbiancati e lindi lasciano il posto a catapecchie in rovina. Ancora non riesco a credere di avere la fortuna di vivere nella Seireitei, sebbene io non possieda il benché minimo potere spirituale, sposa dell’uomo più buono e dolce che mi potesse capitare di incontrare, e ancora mi chiedo cos’abbia fatto di tanto giusto per meritarmelo.

Percorriamo rapidi il selciato, deviando per le strade esterne del distretto: tempo addietro mi ero fatta fare una mappa approssimativa dei più di 300 distretti che compongono il Rukongai, e ho segnato con una croce quelli già controllati. Mi dovrò allontanare un po’ di più del solito dalla Seireitei, stavolta, per cui è bene affrettarsi. Il cavallo segue diligente le istruzioni che gli do, aumentando di propria iniziativa l’andatura in maniera molto sensibile.

Di quando in quando controllo la mappa per accertarmi di non andare oltre la zona che dovrò ispezionare e, quando finalmente giungo al confine, tiro leggermente le redini per far rallentare il cavallo. Poche sono le anime che si vedono in giro, la maggior parte di esse sono raccolte a piccoli gruppi vicino a dei focolari di fortuna, pochi e leggeri stracci a proteggere i corpi denutriti e tremanti dal freddo. Rivedo tali immagini, e una volta in più mi convinco di non esser degna della fortuna che mi è capitata.

All’improvviso, da una delle stradine più strette, si leva forte e chiaro il pianto di una bambina. Mi affretto a deviare in quella direzione, il cuore che batte come impazzito mentre la voce si fa sempre più forte. Una volta svoltato l’angolo, mi trovo davanti alla sua fonte: una neonata piange disperata tra le braccia di quella che probabilmente è la madre, la quale la stringe forte in un debole tentativo di proteggerla dal freddo, sussurrandole parole dolci condite di tristezza per tentare di farla smettere. È qualcosa che mi ferisce più di una pugnalata al cuore, come se me lo stessero letteralmente strappando dal petto. Se soltanto avessi avuto anch’io un tale coraggio…

Avvicino ulteriormente il cavallo, lentamente, per non spaventarla. Lei mi guarda con tanto d’occhi, e definirla terrorizzata e sorpresa sarebbe un eufemismo. Scendo facendo attenzione, stringendomi nel michiyuki per impedire che voli via. La giovane si ritrae addossandosi alla parete che ha alle spalle, come se temesse chissà quale aggressione da parte mia.

«Perché non siete vicine ad uno dei focolari…?» chiedo piano, chinandomi vicino a loro.

La vedo stringere maggiormente il fagotto piangente che ha tra le braccia, mordendosi le labbra e lasciando scorrere le lacrime lungo le gote pallide e scarne.

«La… la bambina li infastidisce. Hanno detto che se ci avviciniamo… se…».

Oh, non c’è bisogno di dire altro. So cosa intende dire, cosa non ha il coraggio di ripetere. Se ci avviciniamo, ci ammazzano a bastonate. Quante volte ho assistito a barbarie del genere, prima di incontrare il nobile Byakuya… Poveracci che cercavano un po’ di calore da quel focolare di fortuna venivano letteralmente massacrati solo perché avevano invaso una zona che non gli apparteneva. Purtroppo, nel Rukongai non esistono leggi, a parte quella del più forte. I deboli, chi non sa o riesce a difendersi, o le donne stesse rischiano costantemente di finire schiacciati da altri. Anche nell’Inuzuri, il distretto dove ho vissuto per tanto tempo, era così.

Il pianto della bambina mi riporta fuori da quel flusso di ricordi. Lei e la madre stanno letteralmente gelando, e non hanno possibilità di avvicinarsi al fuoco. Voglio… voglio fare qualcosa per aiutarle. Mi rialzo piano e, una volta avvicinatami al cavallo, gli tolgo la coperta che ne copre il dorso. Sento gli occhi scuri dell’animale osservarmi attenti, forse con una punta di disappunto, ma non ci penso più di tanto. Il calore del suo corpo ha reso la coperta tiepida, ed è abbastanza grande da coprire entrambe senza grossi problemi. Me la acciambello tra le braccia, tornando verso la giovane che mi osserva come se avesse davanti un fantasma.

«Vi prego, prendete questa.» mormoro «Non sarà molto e mi dispiace veramente non poter fare di più, ma riuscirete a trovare un po’ di ristoro, forse.».

Lei singhiozza piangendo più copiosamente, stringendo la bambina al petto.

«K-Kami-sama, signora, ne siete davvero sicura?» farfuglia incerta «Noi non…»

«Ve ne prego. Non voglio nulla in cambio, nemmeno ringraziamenti. La mia potrebbe essere un’azione egoistica, ma per cortesia, proteggete voi stessa e la vostra piccola dal freddo, dalla barbarie di questo luogo.» allargo la coperta e gliela faccio cadere leggera sulle spalle, accucciandomi di nuovo per sistemargliela addosso ed osservarla in viso a pari livello «Va bene così, dico davvero.».

I suoi ringraziamenti si mischiano ai suoi singhiozzi, mentre si stringe nella coperta come se questa fosse calda come il fuoco. Che egoista sono. Inutilmente tento di convincermi di non averlo fatto perché una situazione analoga mi era inquietantemente familiare. Ma quel pensiero è fisso, martellante, doloroso. Sono solo una schifosa egoista che non merita certo tutta la fortuna che ha.

   
 
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