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Autore: Dani85    09/05/2012    6 recensioni
“Ehi, in quale mondo ti sei persa!?” la richiamò Luca ridacchiando, Un mondo orribile in cui tu non c'eri!, avrebbe voluto rispondergli lei. Un mondo che aveva imparato ad odiare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Anna Gori, Luca Benvenuto
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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So che tornerai


Il Maggiore Patrizi sbuffò passandosi una mano tra i capelli argentati: decisamente non era giornata! Ne aveva avuto la prova tangibile pochissimi secondi prima quando si era ritrovato a sfogare la sua frustrazione su quel povero agente incrociato in corridoio. Non sapeva nemmeno lui cosa gli aveva rimproverato anzi, ad essere onesti, si rendeva conto di non avergli detto nulla di sensato: gli aveva semplicemente urlato contro! Si chiuse la porta dell'ufficio alle spalle e vi si appoggiò contro sospirando una volta ancora. Quel suo lato un po' fumantino era uno degli aspetti del suo carattere che meno gli piaceva: lo faceva apparire una persona da temere e lui dava a questo un'accezione negativa perché non era il timore che voleva dai suoi sottoposti ma il rispetto e, quelle, erano due cose profondamente diverse. E adesso avrebbe dovuto trovare il tempo per spiegarlo anche a quel poveretto che immeritatamente aveva subito la sua ira. Ma di sicuro non era quello il momento: era ancora troppo arrabbiato per riuscire a scongiurare nuovi scatti di nervi. Si sedette dietro la scrivania e stirò le gambe al di sotto di essa, mentre si massaggiava stancamente gli occhi. Sì, decisamente non era giornata da quando quel dannato foglio gli era capitato tra le mani. Scavalcato. Era esattamente così che si era sentito il Maggiore quando aveva letto quel pezzo di carta. Ignorato, inascoltato, aggirato e... scavalcato. Senza ombra di dubbio quello era l'aggettivo che meglio lo descriveva. Aveva passato gli ultimi dieci giorni a lavorare incessantemente al suo progetto: mettere su una squadra di uomini fidati che fossero disposti a diventare delle ombre, figure senza contorno capaci di farsi strada nelle pieghe più profonde del clan malavitoso e smantellarlo dall'interno. Pezzo dopo pezzo. Uomo contro uomo in uno scontro uno contro uno.
Erano mesi ormai che Patrizi stava su quel caso: i Lauria andavano fermati il più in fretta possibile. L'uomo spostò lo sguardo sulla pila di documenti che occupava parte della scrivania: incredibile quanto materiale fosse già riuscito a mettere insieme su un'organizzazione criminale così giovane. Giovane ma in ascesa, precisò mentalmente, dalle azioni tanto crudeli ed efferate quanto grossolane. Quello era uno dei particolari che gli faceva pensare che si potessero fermare: erano inesperti, disattenti e molto poco propensi ad agire da soli. Ed era qui che la sua idea aveva preso corpo: li avrebbe divisi, isolati e fatti scontrare con chi invece da solo poteva fare la differenza. E ciascuno degli uomini che aveva scelto era in grado di fare la differenza: un uomo per ognuno dei vertici del clan, scelti tra i migliori in servizio alla DIA.

Perché non gliel'ho chiesto prima...” borbottò il maggiore scuotendo il foglio che aveva davanti. Voleva assolutamente che Benvenuto facesse parte della sua squadra: era tanto che accarezzava l'idea di chiedergli di passare alla Direzione Antimafia e quella indagine, quella squadra, quell'incarico erano l'occasione giusta. Nel suo progetto, Luca avrebbe dovuto occuparsi di Vincenzo Lauria, il più piccolo ma anche il più violento dei due fratelli del clan: la ferocia e l'irruenza del giovane boss contro la calma e il sangue freddo del giovane vice questore ed era sicuro che ad uscire vincitore dallo scontro sarebbe stato il secondo. Riponeva grande stima nelle capacità del poliziotto, era convinto avrebbe fatto bene, così come era convinto che non avrebbe rifiutato la sua offerta. In fondo era quasi sottinteso che prima o poi avrebbero finito per lavorare insieme. Patrizi non era facile ai complimenti pubblici eppure aveva pubblicamente sponsorizzato Luca per il ruolo di dirigente del X Tuscolano, ignorando che all’epoca fosse solo un giovane ispettore. Anche per questo le alte sfere erano praticamente certi che ciò presagisse una futura collaborazione in seno alla DIA. Eppure quelle stesse persone che davano per scontata quella prospettiva avevano finito per mettergli il bastone tra le ruote. Trasferimento a Torino con la prestigiosa carica di Vice Questore: una nuova città e una promozione con valenza effettiva a cui lui non avrebbe potuto opporsi, alla faccia della collaborazione tra interforze. Se solo gli avesse fatto la proposta prima di quella decisione del Ministero, avrebbe almeno potuto sperare che Luca ci pensasse e invece... Invece, voleva presentarsi da lui con un dossier minuzioso e dettagliato sull'indagine e così aveva perso tempo, permettendo che il Ministero gli passasse avanti. Un modo elegante per fargli capire che lì, in alto, non gradivano più che reclutasse poliziotti per le sue indagini. Quante volte gliel'avevano detto: Maggiore, lei è un carabiniere, scelga tra i carabinieri. Patrizi sbuffò per l'ennesima volta: lui non aveva mai guardato al corpo di appartenenza ma al valore dell'elemento. E stavolta, invece, avrebbe dovuto starsene buono e rinunciare a parte del suo progetto, perché Benvenuto si sarebbe trasferito a Torino! Con un gesto di stizza, appallottolò il foglio e lo lanciò dall'altra parte dell'ufficio: e adesso chi avrebbe messo al suo posto?

***
I colpi arrivarono uno dopo l'altro e Luca cadde sotto di essi come le foglie secche che il vento scuote via dagli albari. Improvvisamente fragile e debole, ammutolito dalle stilettate di dolore che gli avevano violentemente attraversato il corpo, si ritrovò a terra senza forze. Ci era già passato, gli avevano già sparato e se l’era cavata: sarebbe andata così anche stavolta. Incredibilmente lucido cercò di alzare un po’ la testa per guardarsi intorno ma tutto ciò che vide fu una macchia rosso cupo che si allargava velocemente davanti ai suoi occhi. A Luca girò la testa mentre un liquido viscoso gli riempiva la bocca e, seguendo l’istinto di sopravvivenza, tossì: un rivolo di sangue gli scivolò dalle labbra e lungo il collo. Non era come le altre volte, no: stavolta sarebbe stato molto più difficile cavarsela. E se ne rendeva conto anche lui, intrappolato in una realtà che stava sfumando troppo velocemente ma con il sapore ferroso del suo stesso sangue che a fiotti gli saliva in gola. Nell’incoscienza che pietosamente lo stava avvolgendo Luca si sentì chiamare. Era poco più che un’eco lontana ma la voce sembrava familiare. Per un attimo si sforzò di ricordare a chi apparteneva ma era tutto così dannatamente faticoso che si arrese. Cominciò a scivolare in un buio denso e senza dolore mentre attorno a lui il panico aumentava incontrollato. Ugo continuava a chiamarlo incurante che non ci fosse una risposta, inginocchiato lì a terra tra la polvere e il sangue mentre Barbara premeva con forza sul suo corpo nel disperato tentativo di tamponare le ferite. Pietro invece si muoveva irrequieto avanti e indietro nell’attesa di vedere spuntare la sagoma dell’ambulanza al di là del campo incolto in cui erano. E ci stavano mettendo troppo. Finalmente arrivarono ma lui non si sentì sollevato: lo sguardo che i paramedici si erano scambiati soccorrendo Luca gli era sembrato una sentenza di morte. Ingoiò a vuoto mentre saliva in macchina e si imponeva di star calmo, almeno quanto bastava a riprendere il controllo delle proprie mani ed essere in grado di guidare. “Ce la farà!” esclamò Barbara in un sussurro roco, sul sedile al suo fianco, e lui non ebbe il coraggio di infrangere le sue speranze: si limitò ad annuire, illudendo un po’ anche sé stesso.
-
Le luci al neon donavano al corridoio un’aria pallida e quasi spettrale, così simile a quella che aveva in volto Vittoria segnata da un’espressione incredula e addolorata. Il silenzio disperato della telefonata di Ugo le rimbombava ancora in testa, appesantiva i pensieri e stringeva lo stomaco in una morsa sempre più dolorosa. Le erano bastati quei singhiozzi smorzati per capire che qualcosa era successa. Tanto le era bastato per ipotizzare il peggio, eppure non era preparata quando il collega le soffiò al telefono il nome di Luca. Fu come se una cascata di acqua gelida l’avesse travolta e trascinata via, facendola annaspare tra i flutti, alla ricerca di un’aria che non trovava e che bruciava quando arrivava ai polmoni contratti. Vittoria si era ritrovata ridotta ad un fascio di nervi, tesa ed inebetita, mentre cercava di ricordare quale fosse il numero di Giuseppe. Fino a poche settimane prima le sarebbe bastato voltarsi verso la scrivania accanto alla sua per trovarlo, adesso doveva chiamarlo al cellulare. Ora più che mai odiava la distanza che i nuovi incarichi aveva messo tra di loro e, ancora di più, la odiava perché le avrebbe fatto impiegare tanto, troppo tempo per arrivare da Luca. Parlare con Ingargiola era stato più difficile del previsto perché la voce sembrava le fosse sparita e non ne uscì che un debole e sforzato sussurro. A Giuseppe però fu sufficiente per capire. E una manciata di minuti dopo era già davanti al commissariato in cui lei lavorava, con l’aria cupa e le dita che tamburellavano nervose sul volante. Erano arrivati insieme all’ospedale, ripetendo un percorso conosciuto fin troppo bene, e avevano incrociato lo sguardo liquido di Ugo, quello lucido e spaventato di Barbara e quello abbassato e quasi rassegnato di Pietro. E adesso, dopo un tempo che lei non avrebbe saputo quantificare, minuti o ore, se ne stava in attesa, camminando stancamente per il corridoio. Ogni tanto puntava gli occhi verso la sala operatoria dove ancora si trovava Luca e sospirava: aveva il terrore di dare una qualunque spiegazione al tanto tempo che stava passando lì dentro e, intanto, registrava mentalmente, chi andava e chi veniva. Era passata una donna dai capelli mossi, che aveva parlottato fitto con Pietro, e che doveva essere una dei nuovi arrivi del X e, infatti, lui le aveva chiesto di ritornare al Distretto a seguire le indagini. Vittoria aveva arricciato le labbra in una smorfia: in quel momento non le interessava niente di chi fosse o meno il colpevole, voleva solo che un dannato medico uscisse a dirle che Luca stava bene. Solo quello. Appoggiata al muro, fu la prima a notarli: in fondo al corridoio, oltre le porte spalancate del blocco operatorio, c’erano due uomini.

Giuseppe…” chiamò piano, accennando appena i due. Il compagno si voltò e quando li vide si alzò in piedi avanzando di qualche passo. Il dottor Sinatra camminò lentamente verso di loro, le mani a torturare la pipa spenta, mentre il Maggiore Patrizi si fermò subito dopo la porta salutandoli da lontano. Vittoria fece vagare lo sguardo dall’uno all’altro un paio di volte. Non si aspettava di vederli lì anche se, in fondo, non se ne stupiva più di tanto: d’altronde aveva visto con i suoi occhi quanto entrambi stimassero Luca. Così tanto da unirsi silenziosamente alla loro attesa.
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Il caffè dell’ospedale faceva schifo almeno quanto quello della macchinetta della DIA, ma il Maggiore lo buttò giù lo stesso in un unico sorso. Si puntellò contro il muro e tornò a perdersi nei suoi pensieri. Era seriamente e sinceramente preoccupato per le sorti di Benvenuto e aveva perso il conto di quante volte aveva già guardato l’orologio, ma ciò si era rivelato una pessima idea. I minuti parevano non scorrere e il tempo non passava mai. La plastica del bicchierino ormai vuoto scricchiolò tra le sue dita quando quel pensiero si riaffacciò per la seconda volta nella sua mente. Il Maggiore si sentì pervadere da un senso di disagio: non poteva davvero aver pensato una cosa simile. Eppure una parte di sé, quella che viveva sempre in divisa, stava veramente ragionando su quella ipotesi: arruolare Luca alla Dia in gran segreto, ovviamente se si fosse salvato. E quel se lo riportò alla realtà di quel corridoio e all’incertezza che circondava le sorti del giovane poliziotto. Inaspettatamente scoprì che pensarlo al lavoro negli uffici grandi e severi dell’Antimafia gli faceva davvero credere che ce l’avrebbe fatta e quel ritrovato ottimismo era così piacevole in mezzo a tutta quell’ansia, che lui continuò a fantasticare. Il rumore di un piccolo tonfo qualche metro più in là interruppe il filo dei suoi pensieri e Patrizi vide una donna che raccoglieva degli occhiali da terra per poi restituirli ad un uomo. I capelli più bianchi che grigi, le spalle abbandonate e l’espressione smarrita. Se il Maggiore non ricordava male doveva trattarsi di Parmesan, il vecchio archivista del X, l’anima del Distretto come lo definiva Luca. Lo ricordò impettito e fiero in divisa e gli fece un’infinita tenerezza ora, quasi accartocciato su sé stesso su quella seggiolina di plastica dura, mentre strofinava le lenti con un fazzoletto. Si capiva lontano un miglio quanto stesse soffrendo all’idea che Luca potesse morire e, come se improvvisamente vedesse le cose in maniera diversa, riconobbe quella stessa paura in tutte le persone che erano lì. La Guerra continuava a camminare stancamente e ogni tanto spazzava via una lacrima da una guancia mentre Ingargiola la seguiva con lo sguardo, Lombardi – ancora in divisa – fissava il pavimento immobile così come facevano la Rostagno ed Esposito. Di nuovo un fastidioso senso di disagio si impadronì di lui, facendolo sentire colpevole per quello che la sua mente stava architettando. Stava seriamente pensando di inscenare la morte di un uomo? Tutta la sua sicurezza svanì mano a mano che quella domanda trovava spazio nella sua testa e si rendeva conto che non ne sarebbe stato capace. Avrebbe dovuto mentire a tutti, in primis a quelle persone che da ore pregavano perché non succedesse l’irreparabile e sapeva che non ci sarebbe riuscito. Patrizi incrociò per un istante gli occhi vacui di Antonio e si chiese come facevano i tanti suoi colleghi che ordinavano situazioni simili a non cedere di fronte alla disperazione di certi sguardi. Questione di esperienza? D’altronde, per quanto fosse una cosa deplorevole, alla Dia non era raro che arrivassero elementi che ufficialmente risultavano morti. E, se la memoria non lo tradiva, alcuni anni prima, dei suoi colleghi avevano provato a fare una cosa simile proprio con un ispettore del X Tuscolano, quel Belli che campeggiava nelle foto sulla scrivania di Benvenuto e che, purtroppo, non era sopravvissuto all’intervento che aveva cercato di salvarlo. Ricordava la freddezza di quegli uomini, insensibili alle vite che avrebbero stravolto. “È per questo che si preferiscono elementi con minori legami familiari possibili”, gli aveva spiegato una volta un suo superiore e, da questo punto di vista, Luca sarebbe stato perfetto: non aveva nessun legame familiare. Di nuovo il Maggiore osservò le persone in attesa lì e capì che non era così: Luca aveva molti legami familiari, non nel senso stretto del termine, ma li aveva. E come avrebbe potuto guardarli soffrire e disperarsi per una bugia? Ma certo, gli avrebbe detto la verità. In fondo, in determinati casi, i familiari più stretti venivano avvertiti e lui avrebbe potuto agire di conseguenza: del resto non erano che cinque o sei persone, quelle presenti in ospedale, che avrebbero conosciuto la realtà. Uno strappo alla regola del silenzio ferreo che Patrizi avrebbe fatto volentieri. E il disagio come era arrivato se ne andò, sostituito da una vaga euforia. D’un tratto però il corridoio piombò in un silenzio irreale: dal blocco operatorio era appena uscito un medico, in mano la cuffietta sterile e sul volto un’espressione indecifrabile. Sembrava non avere il coraggio di parlare, così come nessuno degli altri pareva avere il coraggio di domandare. Fu Ingargiola, una mano di Vittoria stretta tra le sue, a farsi avanti. “Allora dottore!?” e l’uomo vestito di verde gli puntò addosso un paio di stanchi occhi grigi. E il piccolo mondo che era diventato quel corridoio sprofondò in una dolorosa disperazione.

***

La piccola era crollata esausta già da un po’ e si era lasciata lavare e cambiare senza minimamente protestare, continuando tranquillamente a dormire. Elena aveva ragione quando l’aveva trascinata lì dicendole che l’aria di mare avrebbe fatto bene ad Elisa: in effetti la bambina sembrava apprezzare la calma di quel posto e scandiva le sue giornate tra le coccole in riva al mare e tante lunghe ore di sonno. Esattamente come ora che Anna la stava posando delicatamente al centro del suo letto, circondandola con i cuscini.

Nemmeno si vede lì in mezzo” ridacchiò Elena mentre si appoggiava allo stipite della porta ancora avvolta in un grosso asciugamano, “Almeno così non cade!” replicò Anna voltandosi al di sopra della propria spalla per farle una linguaccia, “Ora ho capito! ...è un fortino!” esclamò la Argenti sussurrando all’orecchio dell’amica. Anna rise piano per non disturbare la figlia, mentre il profumo fruttato del doccia schiuma della ragazza le arrivava alle narici. Era dolce e rassicurante, proprio come Elena. “Dai, vatti a lavare tu adesso! Qui resto io a fare la guardia al forte!” fece lei in tono buffo, sedendosi sul letto ai piedi della piccola e spingendo via la Gori. Anna scosse la testa ma docile ed ubbidiente filò in bagno. Non appena l’acqua tiepida cominciò a bagnarle la testa e le spalle, lei si lasciò andare come al solito alle lacrime, quelle infide e bastarde che passavano il loro tempo a pungerle gli occhi in una continua lotta con il suo orgoglio. Lì però, anche se solo per pochi minuti, poteva lasciare che si impadronissero di lei e si mischiassero inosservate all’acqua.
In camera, Elena, ancora stretta nell’asciugamano umido, era pensierosa. Sfiorò appena con le labbra i capelli della piccola e sospirò. “Quanto scommettiamo che la tua mamma sta piangendo sotto la doccia?” bisbigliò mentre si convinceva sempre di più che non si poteva andare avanti così. Bisognava fare qualcosa. E in fretta. Anna stava andando lentamente alla deriva, si stava lasciando trascinare lontano dalla sua vita come se tutto stesse poco alla volta perdendo importanza. Ed era ingiusto: per lei, per Elisa e anche per Luca. Sapeva benissimo che era per lui che si stava distruggendo: per i sensi di colpa, per la mancanza, per il dolore, per il vuoto di lui che le stava divorando l’anima. E poteva capire che l’amica si sentisse in colpa per quella stupidissima lettera – scritta secondo lei in un momento di assoluta follia -, ma non poteva accettare che si sentisse in colpa per quello che era successo poi. Quello, purtroppo, era solo uno dei rischi del loro lavoro. Peccato fosse così dannatamente difficile capirlo ed accettarlo quando il rischio diventava morte. Elena strizzò gli occhi per ingoiare il magone che le era salito in gola. Ricordava come si era sentita lei quando Vittoria l’aveva chiamata per dirle cosa era successo a Luca. Ricordava la violenza con cui aveva scaraventato il telefono contro il muro rompendolo. Ricordava le lacrime che le avevano arrossato e gonfiato gli occhi. E immaginava quanto tutto quello dovesse essere solo la minima parte di ciò che aveva provato Anna. Ed era proprio per distrarla da quella sofferenza, dai quei mesi di dolore, che Elena aveva praticamente obbligato l’amica a passare qualche giorno al mare con lei, nella casa che aveva affittato per le vacanze. Aveva usato la piccola come scusa per convincerla ma alla fine ci era riuscita. Era sincera quando diceva che qualche giorno lì avrebbe fatto bene ad Elisa, d’altronde non le era sfuggito il continuo e sottile nervosismo della bimba che sicuramente percepiva il malessere della madre e, in fondo, sperava facesse bene anche lei. Anzi, era sicurissima che quei pochi giorni avrebbero fatto bene anche ad Anna. Sicurissima. Elena sistemò meglio i cuscini attorno alla piccola e dopo averle fatto una leggera carezza, senza far rumore scappò nella sua stanza a vestirsi.
Anna fissò qualche istante il frigorifero aperto e poi con un’alzata di spalle lo richiuse: Elena doveva essersi presa un’insolazione o qualcosa di simile. Era uscita a comprare latte e panna per fare non aveva capito bene quale dolce, senza accorgersi che già erano in frigo. Va beh, c’avrebbe perso una camminata: fortuna che l’aria di fine agosto era piacevole e per niente afosa. Avrebbe evitato così di sentir lamentare l’amica per la sudata fatta. Ridacchiò e quasi se ne stupì: aveva riso più in quei due giorni con Elena che in tutti gli ultimi sei mesi. Più che il mare, Anna cominciò a pensare che a farle bene fosse la presenza della ragazza e i suoi tentativi gentili e delicati di distrarla. Sapeva che stava provando a farla reagire, ma lei non ci riusciva: non era mai stata brava in questo. Aveva sempre avuto bisogno che ci fosse qualcuno ad aiutarla e quando si era ostinata a far da sola aveva solo fatto un casino dopo l’altro. Quando aveva detto questo ad Elena, lei si era affannata a ripeterle che non era vero eppure non riusciva a crederci: non suonava reale e convincente come quando glielo diceva Luca, quando quegli occhi scuri e dolci la fissavano seri e lei finiva per pensare che avesse davvero ragione. Dio, quanto le mancava! E quanto avrebbe voluto poter tornare indietro e fare che le cose andassero in maniera diversa. Avrebbe dato qualunque cosa e invece, ora, non le restava che imparare a convivere con quei rimpianti che troppo spesso somigliavano a dei rimorsi.
Sospirando lentamente, Anna si piegò a raccogliere da terra le bamboline di pezza che Elena aveva comprato a sua figlia in un mercatino della zona e che la piccola adorava stropicciare e le poggiò su una delle poltrone. Nel farlo, notò con la coda dell’occhio le lunghe tende che si sollevano dal pavimento smosse dal vento, ma non fu quello ad attirarla, quanto l’ombra che aveva scorto. Che fosse Elena? No, lei non sarebbe mai passata della porta finestra: odiava il ciottolato sotto la suola sottile delle infradito. Un animale? Nemmeno: l’ombra era troppo grande, sembrava quella di una persona. Anna non si girò, continuò ad armeggiare con le bambole mentre pensava a cosa fare. Ad istinto si sarebbe girata puntando la pistola dritta davanti a sé, ma erano ormai due anni che non la aveva più. Allora si guardò intorno alla ricerca di una possibile arma: accanto al grande caminetto di pietra c’erano gli alari. Si spostò di poco, fingendo di rassettare il copri poltrona, e con un movimento rapido afferrò l’attizza fuoco e si voltò di scatto puntandolo verso l’ombra. Avrebbe voluto urlare Chi sei?, ma le parole le morirono in gola. Accanto alla porta finestra c’era un uomo. Alto, capelli corti, jeans grigi e una maglietta bianca dalle maniche tirate su. Anna si sentì mancare letteralmente la terra sotto i piedi: ebbe la netta sensazione che il pavimento sotto di lei si stesse sbriciolando e sentì che di lì a poco l’avrebbe inghiottita. Il ferro appuntito le cadde di mano e si schiantò a terra in un suono acuto che la fece appena sussultare, regalandole un attimo di inattesa lucidità. Tutto quello non poteva essere vero. Anzi, sicuramente era uno scherzo della sua mente. Gli somigliava ma di certo non poteva essere lui. Non poteva. Ora avrebbe chiuso gli occhi e tutto sarebbe passato, tutto sarebbe tornato a posto. Quando li riaprì però, lui era ancora lì, fermo nella stessa posizione di prima ma con lo sguardo allarmato. Perché la sua mente era così ostinata? Perché continuava a tormentarla con quell’immagine?
Anna…” mormorò appena l’uomo rompendo il silenzio. Un soffio leggero, dal tono basso e caldo. Ora era arrivata anche la sua voce a tormentarla. E in quel preciso istante, Anna realizzò di essere completamente impazzita. Era accaduto quello che ormai temeva da tempo: la sua ragione si era arresa e le aveva concesso quell’illusione che aveva disperatamente implorato. Vederlo di nuovo. Ancora una volta. Per l’ultima volta. Eppure per quanto dolorosamente avesse pregato per quello, ora aveva paura. Le mancò il fiato mentre la gola le si serrava: non era come aveva sperato, non era dolce e consolante come i sogni in cui si rifugiava di notte. Al contrario, si rendeva conto che tutto quello non era normale e la consapevolezza che ciò che rimaneva del suo traballante equilibrio si fosse definitivamente spezzato la spaventava a morte.
Lui si mosse di un passo tendendo una mano verso di lei: l’ultima cosa che voleva era terrorizzarla più di quanto già non lo fosse. Ma ancora una volta lei agì per istinto, anche perché in quel momento era quello l’unica cosa a muoverla. Nei suoi sogni, quando se lo trovava davanti, gli correva incontro e tutto sembrava improvvisamente più bello. Invece lì, ora che era sveglia e la sua mente la prendeva crudelmente in giro, faceva solo più male. No, davvero non era consolante come aveva immaginato! Spaventata e tremante, Anna si mosse di riflesso al passo accennato dall’uomo. Indietreggiò strisciando con il corpo contro la poltrona e senza rendersene conto urtò il mobiletto ad angolo che separava la seduta dal divano. Fu un attimo e lei si ritrovò a terra, bagnata dell’acqua dei fiori che le erano caduti addosso e con il mobiletto che ancora le oscillava vistosamente accanto. Lui scattò non appena la vide cadere e le si accucciò davanti ma Anna urlò. Spaventata dalla caduta o dal fatto che un’illusione potesse rivelarsi così realistica, non lo sapeva, ma sentiva ogni fibra del suo essere tremare.
Anna…” la chiamò di nuovo e lei sussultò: cominciò a scuotere violentemente la testa mentre strisciava all’indietro per allontanarsi da quell’immagine e i vetri del vaso in frantumi le ferivano le mani e le gambe nude. “Anna, ti prego sta calma…. Sono io…” provò a chiamarla ancora una volta con un tono volutamente calmo, “Non puoi essere tu… non puoi… non puoi… tu sei morto…” balbettò lei continuando a strisciare sulle mani, “Tesoro, lo so ma non è come sembra!” replicò l’uomo.
Luca si sentì molto stupido mentre pronunciava quella frase. Era ovvio che lei reagisse così, del resto lo aveva creduto morto per sei mesi e non poteva aspettarsi nulla di diverso. Sapeva fin dall’inizio che razionalmente la sua mente non avrebbe potuto accettare una cosa simile e immaginava che la sua presenza lì sarebbe stata interpretata come un’illusione o un sogno ad occhi aperti. In quel momento però, Anna sembrava trovarsi di fronte al suo incubo peggiore e lui non sapeva come comportarsi perché qualunque cosa facesse pareva spaventarla ancora di più. Si inginocchiò a terra di fronte a lei che aveva nascosto la testa tra le braccia appoggiate sulla ginocchia. Una bambina spaventata rintanata in un angolino che sperava non le facessero del male: ecco cosa sembrava Anna adesso e lui si sentì stringere il cuore. Gli faceva male, molto male, vederla così. Molto lentamente poggiò le mani sulle sue braccia accarezzandola mentre lei si stringeva sempre di più in sé stessa. “Lasciami in pace…” mormorò tra le lacrime senza alzare la testa, “Credimi, se lo vorrai, ti lascerò davvero in pace ma prima fammi spiegare…” rispose lui rafforzando la presa delle mani su di lei. E quelle mani che scorrevano sulla sua pelle erano così calde e forti che Anna cominciò a dubitare... di sé stessa, della pazzia in cui era sicura essere precipitata, di tutto. A poco a poco però sentiva crescere la fiducia verso quelle mani, verso quelle carezze che tentavano di tranquillizzarla. Titubante alzò la testa dal nascondiglio delle braccia e lo vide, lì di fronte a lei, che la fissava con occhi preoccupati. All'improvviso le parve di essere tornata indietro di anni, a lei in lacrime rannicchiata alla sua scrivania al X con lui che le chiedeva di fidarsi. E si era fidata: per la prima volta in vita sua aveva lasciato che un estraneo le guardasse dentro vedendo tutto il male che le avevano fatto. Ed era stata la svolta della sua vita, aveva rischiato e aveva vinto. Aveva trovato qualcuno per cui valeva la pena pensare che non tutte le persone facessero schifo ed era una delle cose di cui più era grata a Luca. Ora, faccia a faccia, sul pavimento di una casa al mare, lui le stava chiedendo di fidarsi un'altra volta e lei voleva tanto poterlo fare. Anche se significava scivolare definitivamente in una pazzia senza ritorno. Timida ed insicura alzò una mano e la allungò verso di lui, la fermò a mezz'aria per un attimo quasi si stesse pentendo di quel gesto ma poi, trattenendo il fiato, si arrischiò a toccarlo.
Ma non può essere vero…” mormorò più a sé stessa che a lui quando si ritrovò ad accarezzarlo. La sua pelle era reale, vera, mentre se fosse stata un’illusione sarebbe scomparsa al suo tocco, come una nuvola che si dissolve nell’aria. E invece Luca era lì e lei lo stava davvero toccando. Era questa la realtà che si rincorreva sempre più veloce nella sua testa mentre le mani passavano senza sosta dal viso alle braccia in un bisogno crescente di sapere che tutto quello non era un sogno. “Ora ci credi che sono io? E che sono vivo?” chiese tranquillamente Luca e Anna scoppiò a piangere, ma era un pianto completamente diverso dai tanti di quegli ultimi mesi. Era un pianto misto a riso, incredulo ma pieno di gioia.
Sai che forse avevi ragione Lu’? Sarebbe stato meglio se le avessi parlato prima io!” esclamò Elena abbassandosi alla loro altezza, “Cosa!? Vuol dire che tu lo sapevi!?” le chiese Anna ad occhi spalancati, “Ehm, sì tesoro ma se te lo avessi detto io mi avresti presa per pazza…” si giustificò lei passando a Luca l’ovatta e il disinfettante che aveva in mano, “E così hai preferito che fossi io a credermi pazza?” e la domanda ebbe un tono shoccato e lievemente stridulo, “Pensavo che vedertelo direttamente davanti sarebbe stato più utile di mille parole… purtroppo avevo sottovalutato la tua reazione” confessò una colpevole Elena.
Oddio, io non capisco…” ammise esausta Anna, mentre senza opporre resistenza lasciava che l’amica valutasse in che condizioni erano la sua mano e la sua gamba destra dopo aver strisciato sui vetri rotti del vaso. “E’ una storia lunga ed è difficile da spiegare…” cominciò Luca, “Lo è sempre se c’è di mezzo la DIA!” commentò Elena, “La DIA? E’ per questo allora che tu lo sai…” fu la logica conclusione della Gori, consapevole del recente passaggio dell’altra all’Antimafia. Elena infatti annuì. “Sì ma lo so da nemmeno due mesi ed è stato uno shock anche per me!”.

Maggiore, mi devo preoccupare?” chiese Elena notando l’evidente nervosismo dell’uomo, “No, è solo che devo parlarle di una cosa molto importante…” spiegò Patrizi, “Così importante da chiudere la porta a chiave?”, “Sì!” rispose solamente lui e lei si sentì invadere da un sottile senso di disagio, “No no, non si preoccupi però, la prego! Già so che girano voci che fossi contrario alla sua assunzione qui, non vorrei pensasse anche peggio…”si affrettò a precisare l’uomo, “Se è di quello che vuole parlarmi, lasci stare. Sono abituata a non dar retta alle voci!”, “Beh, mi fa piacere ma vorrei spiegarle ugualmente!” insistette lui mentre, fermo ma gentile, le indicava la sedia di fronte alla sua. Elena si sedette in silenzio, aspettando dunque che parlasse.
Mi spiace che si sia sparsa voce che ero contrario al suo ingaggio! La verità è che averla qui mi impone di metterla a conoscenza di un fatto che, almeno per ora, dovrebbe restare avvolto dalla più totale riservatezza” le spiegò Patrizi con parole lente e misurate,”Non credo di seguirla molto, Maggiore…” fu la sincera risposta di Elena, “Ha ragione Argenti e mi rendo conto che messe così le mie parole sembrano senza senso eppure…” sospirò “è proprio così! Sto per dirle una cosa che a cui sono sicuro non riuscirà nemmeno a credere”. Elena aggrottò la fronte, tentata per un momento di pensare ad un’improvvisa voglia di scherzare del Maggiore, ma lo sguardo grave dell’uomo le fece capire che era serio. “Senta Patrizi, a costo di sembrarle stupida, ma io continuo a non capire… cosa vuole dirmi? Si tratta di lavoro?, una missione segreta?” ipotizzò e quello era il massimo dello strano e segreto che la sua mente analitica riuscisse a concepire. “Più o meno… Non è tanto la missione ad essere segreta in realtà, quanto l’identità della persona a cui l’ho affidata!” precisò il carabiniere alzandosi in piedi, “Oh, ora penso di avere le idee più chiare… però se è così segreto perché dirmelo?” domandò ovviamente lei, “Perché lo conosce!”, “Oh, un mio ex collega? E vabbè Maggiore, qual è il problema? Non lo dirò a nessuno se è questo che teme!”, “Argenti, il problema è che lei questo ex collega lo considera morto!” esclamò deciso Patrizi.
Elena si sentì gelare. Poteva essere una metafora? Certo, poteva esserlo ma non per lei. Per lei era una frase da interpretare letteralmente e immediatamente il pensiero andò a Luca, all’aereo preso per un soffio dopo avere litigato con l’hostess che non voleva farla salire perché in ritardo, alla corsa all’obitorio per vederlo almeno una volta ancora, a quella bara già chiusa. “I medici hanno preferito così!” le aveva spiegato Vittoria con la voce rotta dal pianto e lei era troppo sconvolta per chiedersi il reale motivo di quella bara chiusa con così tanta fretta.
Dalla sua faccia, credo che lei abbia capito di chi parlo...” esclamò Patrizi mentre a passi lenti si dirigeva verso la porta laterale del suo ufficio. Elena nemmeno l'aveva notata quella porta eppure ora la fissava quasi ipnotizzata. “Oddio!” fece rotolare tra i denti quando lo vide. Completo e camicia scura, Luca la fissava a pochi metri di distanza e bastò un attimo. Bastò che lui tendesse le mani perché lei le afferrasse e si lanciasse ad abbracciarlo. Era assurdo, una di quelle cose che si vedono nei film e che anche lì, sullo schermo, paiono tirate per i capelli eppure era tutto vero. Luca non era morto, o meglio era morto ma solo perché lo aveva voluto la DIA. Elena si sciolse in un rumoroso pianto con il volto nascosto contro il collo di Luca mentre lui le accarezzava lentamente i capelli e la schiena affinché si tranquillizzasse.

“Ecco, non ho dato di matto come te, ma come vedi è stato comunque uno shock anche per me trovarmelo davanti!” concluse Elena interrompendo il racconto mentre Anna buttava distrattamente un occhio ai cerotti sul piede e sul polso graffiati. “Giuro che mi dispiace aver creato tutti 'sti casini...” si intromise Luca passandosi una mano tra i capelli, imbarazzato, “Mmm sì, ti credo! Infatti non me la prendo con te ma con Patrizi: è da quando l'ho scoperto che sto pensando ad un modo per fargliela pagare. Peccato che siano tutte cose illegali!” fece lei scrollando le spalle e trascinando Luca in una leggera risata. Anna li guardò interessata e un po' invidiosa, quasi gelosa dell'affiatamento che aveva percepito tra di loro e che a lei, invece, non apparteneva più.
“Ok, direi che fatto il mio dovere da infermiera, vado a dare un'occhiata ad Elisa di là. Vi lascio! Tanto voi due avete molte cose da dirvi!” esclamò ancora lei congedandosi dal salone.

Fu Luca, dopo poco, a rompere il silenzio. “Mi spiace per prima, davvero: ho provato a non spaventarti ma...”, “No” lo bloccò Anna “sono io che non sapevo più cosa pensare e anche ora, ad essere onesta, fatico a crederci!” ammise raccogliendo le gambe contro il petto. Ora che era un po' più lucida e si rendeva conto poco alla volta di quello che era davvero successo, aveva una gran voglia – oltre che il bisogno – di capire come erano andate realmente le cose.
E quindi... è stato Patrizi ad inscenare la tua morte...” esclamò piano con appena un filo di voce, “Già... diciamo che un poliziotto morto può essere più utile per una missione segreta di uno vivo!”, “Oddio, ne parli come se fosse una cosa normale...” protestò allibita lei, “No, non è normale, lo so! È solo che in sei mesi ti abitui all'assurdità della cosa o per lo meno ti ci rassegni!” fece ancora lui con un'alzata di spalle, “E ti abitui anche a sapere che gli altri stanno soffrendo da cani e che sono ad un passo dalla follia?”. Anna si morse le labbra subito dopo aver pronunciato quelle parole. Si era subito resa conto che era risuonata come una frecciatina ed era la prima a sapere che Luca non se lo meritava. “Non è dipeso da me: non ho potuto evitarlo...” rispose ovviamente lui, “Sì lo so, non avrei dovuto... scusami!”.
Comunque, per rispondere alla tua domanda: no, non ci si abitua a quello! Se avessi potuto avrei volentieri evitato che altri stessero male per colpa mia!” sospirò Luca dopo un attimo di silenzio, “Beh, ora è diverso, no!? Puoi dire la verità! Vittoria, Antonio, gli altri... ora possono sapere...”. L'entusiasmo delle parole di Anna però cozzò violentemente contro i ripetuti no che Luca disegnava scuotendo la testa. “Non posso ancora uscire allo scoperto! Sono in missione per la DIA da poco più quattro mesi e non è ancora finita... Solo quando la cosca sarà smantellata completamente, potremo dire la verità!” spiegò lui in tono freddo e professionale, “E parliamo di quanto!? Un mese, due, tre!? Magari un anno!? Più tempo passa e più la verità sarà devastante!” esclamò lei in tono sofferto, “Oddio Anna, credi non lo sappia? Credi che non mi metta ansia immaginare tutto il clamore in cui mi ritroverò? Ma ormai ci sono dentro e non posso mollare tutto perché mi sono stancato: del resto dovresti sapere di cosa parlo! Sei stata infiltrata anche tu e non mi pare di ricordare che le cose fossero così diverse da ora...” ribatté Luca piccato e stavolta furono le sue parole ad echeggiare come frecciatine. Anna incassò il colpo a testa bassa mormorando solamente un flebile “Ma io non ti ho fatto credere di essere morta!”, “No, ma vivevo costantemente nella paura folle che ti uccidessero da un momento all'altro... credimi, non era così diverso!” precisò lui passandosi le mani sugli occhi. Anna avrebbe voluto dirgli che se tutto quello era stata una specie di vendetta per il suo coinvolgimento coi Russi, allora gli era davvero venuto bene. Ma non lo fece. Aveva paura che lui si arrabbiasse e decisamente non aveva voglia di litigare ritirando in ballo quella storia. Era così felice che lui fosse lì che poteva lasciar passare tutto il resto in secondo piano. Tutto tranne ciò che riguardava i loro amici.
Davvero non puoi dire nulla agli altri?” riprovò lei senza alzare lo sguardo dal pavimento e perdendosi così l'occhiata dolce che Luca le riservò, “Per ora no, nel senso che non posso parlargli e avvicinarmi! Comunque, l'essenziale – ovvero che sono vivo – lo sanno!”, “Cosa!?” esclamò sorpresa girandosi di scatto, “Erano in ospedale quando Patrizi ha ordinato al medico di dichiarare la mia morte in qualunque modo andassero le cose...Ha visto quanto stessero soffrendo e ha deciso di fare un'eccezione all'obbligo della segretezza”, “Ma... al funerale... io c'ero e... erano tutti disperati... Vittoria era in lacrime e...” le frasi di Anna erano sconnesse, non poteva credere che Vittoria e Antonio soprattutto avessero lasciato che si disperasse su una bara vuota. “Il giorno del funerale non ero ancora fuori pericolo e hanno sciolto la prognosi solo parecchi giorni dopo... la loro era una disperazione sincera...” spiegò dolcemente e un po' imbarazzato lui, giustificando il comportamento degli altri, mentre gli occhi della ragazza si riempivano di lacrime. Lei non aveva fatto parte di quell'eccezione perché lei non era lì. Aveva voluto recidere i legami del suo passato? Bene, quella era stata una delle conseguenze, né più né meno che una conseguenza. Con una lettera aveva perso qualsiasi diritto su quella che era stata in assoluto la persona che più aveva contato per lei ed era per questo che ora singhiozzava. “Non fare così, ti prego!” sentì dire a Luca e solo allora si accorse di essere stretta a lui, con il viso sepolto contro il suo petto e le sue labbra che le sfioravano la fronte. Nonostante tutto, lui era ancora lì che la abbracciava anche se, in fin dei conti, non se lo meritava.
Mi dispiace Luca... mi dispiace per tutto... per le promesse non mantenute, per quella lettera, per averti imposto le mie scelte, per...”, “Sht... lascia perdere, ormai è andata! Io... io l'ho capito che in fondo, al di là di tutto, al di là del silenzio che hai voluto mettere tra noi, tu hai continuato a volermi bene e... l'importante è questo perché quello che davvero non riuscivo a sopportare era che tu mi avessi cancellato così facilmente dalla tua vita!” ammise lui interrompendo le sue scuse, “Io non ti ho cancellato...”, “Beh, ti assicuro che l'impressione era quella, ma queste” e con le mani le spazzò via le lacrime dalle guance “dicono tutt'altro e mi basta!”. Questa volta fu Anna a negare con la testa facendo ondeggiare i capelli decisamente più corti di come lui li ricordava.
No cosa!?” domandò allora Luca con quel suo tipico sguardo a metà tra il perplesso e l'incuriosito, “No che non può bastarti... anzi, non deve bastarti... io ho un sacco di cose da dirti: perché ti ho scritto quelle cose, perché ho scelto di allontanarti completamente...”, “Perché abbiamo avuto tempi diversi, Anna! Tutto qui! Possiamo dirci tutto quello che vogliamo ma il punto è questo... siamo andati avanti a velocità diverse e non ci siamo trovati pronti allo stesso momento... Fa male ma è così...”.
Luca aveva ragione e Anna lo sapeva. Lei era sempre stata un'impaziente, una da tutto e subito, mentre lui... lui era un riflessivo, uno da ogni cosa a suo tempo. Ma non era questo che lei voleva dirgli. No, lei voleva dirgli che aveva sbagliato, che aveva capito che quel distacco non aveva allontanato i pensieri di loro due dalla sua testa così come aveva creduto in un primo momento. Voleva dirgli che il futuro sereno che quel ragazzo le aveva fatto intravedere si era sciolto come neve al sole quando lui aveva smesso di chiamare, quando in segreteria non aveva più trovato i suoi messaggi, quando aveva realizzato che in un modo o nell'altro lui se n'era fatto una ragione. E lei si era sentita tradita, quasi che una minuscola parte di sé sperasse di vederselo comparire davanti a sbatterle in faccia quella dannata lettera. E invece lui si era fatto da parte come lei gli aveva chiesto, rispettando la nuova famiglia che lei aveva creato e inconsapevolmente legittimandola, fugando ogni minimo dubbio di Anna.
Ehi, in quale mondo ti sei persa!?” la richiamò Luca ridacchiando, Un mondo orribile in cui tu non c'eri!, avrebbe voluto rispondergli lei. Un mondo che aveva imparato ad odiare. Un mondo in cui si era ritrovata da sola con Elisa, senza quel compagno che era riuscito a sopportare tutto tranne che la sua donna piangesse tutte le sue lacrime per un uomo che non era lui. E in fin dei conti non lo biasimava perché aveva ragione: più che di lui, lei si era innamorata di quello che le aveva fatto vedere, ovvero di quel quadretto felice in cui aveva immaginato il loro futuro. Quello che non avrebbe mai avuto con Luca. Un mai che adesso le appariva sfocato ed indefinito. “Allora, mi vuoi dire a che pensi?” insistette lui richiamando la sua attenzione con un pizzicotto sul braccio., “A quanti danni ha fatto la mia fretta!” esclamò istintivamente, mentre per la prima volta dopo due anni tornava a puntare gli occhi nei suoi.
Ehi, non chiamare danno la mia nipotina!” li sorprese improvvisamente la voce di Elena, sbucata in sala con una bimba in braccio, “Ma ti pare che mi riferivo a lei!?” protestò Anna inarcando un sopracciglio, “Va be', era per precisare... No, perché di danni effettivamente nei hai fatto un casino, roba che se facciamo un elenco domattina stiamo ancora qua, ma lei è l'unica cosa buona che ne è venuta fuori!” disse schioccando un sonoro bacio alla piccola, “Grazie eh! Sei sempre gentilissima!”, “Figurati! Allora Lu', avevo ragione o no a dirti che era in un pessimo stato?”. Anna passò lo sguardo tra i due senza capirci molto se non che Elena e Luca avevano parlato di lei.
“Ok, dopo questo simpatico intermezzo, direi che io e lei ce ne usciamo. Ce ne andiamo al parco e speriamo ci sia anche il papà di Stefano...” ammiccò Elena, “ELE!” la richiamò shoccata, “Eh, che c'è!? Guarda che un padre separato, quindi single... non faccio nulla di male! A dopo!” e con uno svolazzo della mano salutò per poi uscire di casa. “Sta andando a rimorchiare?” rise Luca indicando la porta oltre cui l'amica era sparita, “Eh, così pare!” rise anche Anna scuotendo divertita la testa e resistendo alla tentazione di confessargli che la sua risata era una delle cose che più le erano mancate. Fu lui dopo qualche secondo, a rompere il silenzio che li aveva avvolti. “È veramente bellissima... sì, la bambina intendo, non Elena...” commentò lui ridacchiando e lei gli sorrise intenerita: immaginava senza problemi come la piccola non dovesse rappresentare un argomento semplice. “Grazie! Penso anch'io che sia bellissima ma sai, essendo la madre, non credo di essere del tutto obiettiva!”, “Ti somiglia molto!” aggiunse Luca stavolta con una tranquillità disarmante, “Ehm sì, ha i miei colori...”, “E i tuoi occhi!” e nel tono leggero di Luca non c'era più traccia di disagio o imbarazzo e Anna ne fu incredibilmente sollevata.
È con la scusa che un po' di mare avrebbe fatto bene a lei che Elena mi ha convinto a venire qui, sai? A questo punto però, immagino che sia stato tutto un espediente per questo incontro, vero?” e la sua più che una domanda parve una semplice constatazione, “Sì, direi di sì! Dovevi vederla una settimana fa, quando Patrizi mi ha richiamato in sede: dire che era euforica era poco. Era talmente su di giri che come minimo sembrava aver fumato qualcosa di strano!” raccontò Luca e la sua spiegazione strappò ad Anna una fragorosa risata. “Guarda, io non sapevo se ridere più per lei o per la faccia del Maggiore: era stremato! Ho la sensazione che Elena sia stata particolarmente insistente in merito al farti sapere la verità...”, “È grazie a lei che Patrizi ti ha permesso di venire qui?” domandò Anna con un filo di voce, già estremamente grata all'amica, “Sì, credo che lui abbia ceduto pur di non sentirla più... Conosci Elena, no? Quando si mette in testa una cosa può diventare insopportabile!” esclamò allegro lui. Ma Anna non lo stava più ascoltando, troppo presa dal pensare che, in quel muro di segretezza, era stata fatta un'altra eccezione. Un altro strappo alla regola. E stavolta solo per lei. E indirettamente era la prova che era rientrata nella vita di Luca. Per restarci. Per sempre.
Ehi...” sussultò lui quando se la ritrovò addosso, le braccia strette al collo e il viso premuto contro il suo. “Mi sei mancato enormemente!” gli sussurrò accanto all'orecchio e beh, non aveva molto senso nel discorso che stavano facendo ma quello slancio d'affetto, che Luca ricambiò restituendolo l'abbraccio, aveva molto più senso di quanto si potesse immaginare. Era il loro nuovo inizio. Senza mollare la presa, Luca si stese sul divano portando Anna con sé mentre lei lo guardava con aria spaesata. “Luca...” lo chiamò quando si fu aggiustata bene contro di lui, “Sht, non dire niente! Stiamo solo così...” la zittì di nuovo lui stringendola un po' di più. “Ti prometto che se vorrai parlare, parleremo! E di tutto quello che vuoi! Ma stasera siamo solo così!”. Anna era stordita: dalla situazione, dal calore del corpo di Luca e dal suo profumo, dal fatto di essere di nuovo con lui e tanto le bastò per decidere di starsene zitta. E in silenzio si abbandonò alle sue carezze sulle braccia.

***

“Allora, che faccio!? Cioè, secondo te, lo devo chiamare o no? Certo non subito, sennò pensa che sono una disperata che non aspettava altro, ma tra un paio di un giorni... così, per una pizza e quattro chiacchiere... che dici?”. Elena parlò piano alla piccola Elisa che se ne stava appoggiata alla sua spalla e si stropicciava gli occhi, assonnata. “Mmm, non sei molto convinta vero? Stai pensando che anche se è un padre single ha comunque una ex moglie, giusto? Hai ragione, e io con le ex ho già dato...” concluse seria accartocciando il bigliettino con il numero di telefono del padre di Stefano. “Non è cosa...” borbottò mentre infilava la chiave nella serratura di casa, riferita un po' a quell'uomo e un po' al fatto che stesse parlando con una bambina di un anno mezzo che non poteva risponderle, ma che sicuramente stava pensando che lei era fuori di testa. Sbuffando aprì la porta e e la scena che si trovò davanti le fece sgranare sorpresa gli occhi. Sul divano, addormentati, c'erano Anna e Luca. E dopo tutto quello che erano stati i mesi passati, l'immagine di loro due sereni e stretti in un abbraccio che sapeva di tempo da recuperare, gli sembrava una delle cose più belle che avesse mai visto.

Sono bellissimi, vero? Eh sì... Ah, amore non fare mai l'errore della zia Ele: non pensare mai che un amore sia impossibile! Luca e la tua mamma dimostrano che nessun amore lo è... Ora, tutto sta nel farlo capire a loro...”, esclamò Elena fissando negli occhi Elisa, che ricambiava lo sguardo particolarmente attenta. “Che dici, ci pensiamo noi? Glielo facciamo capire noi a quei due testoni che si amano?” e il sorriso della piccola da dietro al ciuccio, per la ragazza fu un sì. “Lo sapevo che saresti stata d'accordo! Concluse dandole un bacio sulla fronte mentre la bimba tornava ad appoggiarsi alla sua spalla.
M....ma” mugolò indicando Anna, quando furono davanti al divano, “Sì tesoro, la mamma... e sta facendo la nanna: non svegliamola!” bisbigliò Elena oltrepassando gli amici quasi fusi in quella stretta in cui dormivano e davvero, non faceva fatica ad immaginare quanto dovessero esausti per essere crollati già a quell'ora. Tra le sofferenze di quei mesi, la missione sotto copertura di Luca e le emozioni di quella giornata avevano molto per cui essere stanchi. E così, in punta di piedi per non far rumore, Elena imboccò il corridoio per portare anche la bambina a letto. Si voltò un'ultima volta sulla porta della sala, buttando un'occhiata dall'aria vagamente diabolica ai due ragazzi sul divano.
“E da domani scatta l'Operazione Cupido, Eli! E se va bene, tu ci guadagni un papà strafigo e io un ruolo da testimone in un matrimonio che non salta!” esclamò convinta e nel buio della stanza che si lasciava alle spalle, non vide l'enorme sorriso di Luca mentre stringeva così tanto Anna a sé da sentire il suo cuore battere proprio lì, accanto al proprio.

Non importa se
Nell'ombra aspetterò
Ad aspettare chi... non c'è
Perché lo so che tornerai
E ricomincerai
Con me

[Non importa se –
Fausto Leali]


 

Note dell'autrice
Dunque, qualche precisazione mi sembra sia d'obbligo! La One-Shot – per nulla shot, perdonatemi XD – risale alla scorsa estate e questo spiega il perché della dinamica diversa del ferimento di Luca rispetto poi a quello che è stato in DdP11. E in parte spiega anche il perché della trama che ho scelto! Diciamo che fino alla fine ho cercato qualche spiraglio di speranza per Luca, qualcosa che non fosse la morte e il risultato è stata questa trama: un po' forzata e nemmeno tanto originale, visto che è stata tirata in ballo spessissimo per un eventuale rientro in scena di Mauro Belli. Non credo nemmeno di aver centrato l'obiettivo di creare anche solo un minimo di suspance ma spero che la storia sia comunque passabile.

Grazie a chi sarà arrivato qui in fondo a leggere =) 

  
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