Buona domenica, lettori miei!
Inizio col scusarmi per il piccolo
ritardo, ma numerosi contrattempi mi hanno tenuta lontana da Word - leggasi
esame di progettazione che si avvicina inesorabilmente e calcoli strutturali a
non finire.
I prossimi aggiornamenti saranno un
pochino più lenti, di una settimana al massimo, perché voglio concludere almeno
altri due capitoli prima di proseguire con la pubblicazione.
(per la serie: stiamo lavorando per voi.)
A
presto, e grazie a tutti i fedeli lettori e a chi si prende la briga di
recensire ogni capitolo! Siete una gggioia. :)
Buona lettura!
Betulla
07.
10 Marzo 3019 T. E.
Pipino sbuffò per l'ennesima volta,
annoiato a morte e oppresso da quell'aria pesante che giungeva da Est. Sembrava
in arrivo un'enorme tempesta, ma come gli aveva spiegato Beregond, non c'era
niente di naturale in quel tempo. Il Signore di Mordor si divertiva così, prima
di muovere le sue pedine: spediva quelle esalazioni calde e scure, per togliere
loro anche la piacevole visuale delle stelle durante la notte e dei raggi del
sole nella mattina. Pipino avrebbe dato anche una gamba pur di rivedere il
cielo limpido della Contea, la luce che faceva brillare intensamente l'erba
fresca della Terra di Tuc, sdraiato sulle morbide colline con Merry, a fumare
la miglior erba pipa del Decumano Sud, a ridere e a scherzare, senza lugubri
pensieri sulla fine del mondo. Rimpiangeva quei giorni come mai prima di
allora. La vista di quelle nere montagne, che nascondevano gli orrori di
Mordor, gli opprimeva il cuore. Come potevano sperare di vincere contro quel
male così intenzionato a distruggere tutto?
Sospirò nuovamente, poggiato contro il
freddo parapetto in pietra, e si chiese che ore fossero. Aveva una fame
tremenda e gli sembravano trascorsi giorni da quando aveva messo qualcosa sullo
stomaco. Ma il cibo era razionato, in vista della guerra, e non poteva tediare
il buon Targon, magazziniere e dispensiere della Compagnia
delle Guardie. Un altro buon motivo per rimpiangere le innumerevoli colazioni e
i pranzi della Contea, pensò tristemente sentendo lo stomaco brontolare senza
ritegno. Si mosse verso la Cittadella, annoiato e abbattuto. Gandalf era
sparito chissà dove, Beregond aveva iniziato il suo turno di guardia e sire
Denethor, a cui aveva offerto i suoi servigi fino a qualche ora prima, era
occupato in riunione con Boromir e i nuovi aiuti giunti dalle regioni vicine.
Si sentiva terribilmente solo. Chissà come se la stava cavando Merry?
Attraversò il Cortile della Fontana, ma
si fermò appena sentì le voci concitate di qualcuno, più in basso. Si mise in
punta di piedi, per sbirciare da una feritoia il livello inferiore, là dove
Beregond gli aveva mostrato le Case di Guarigione. Vide due Uomini trasportare
qualcuno su una barella, di cui uno gli parve Ingold, l'Uomo che aveva fermato
Gandalf al cancello nord del Rammas Echor. Si disse che, non avendo altro da
fare, avrebbe potuto avvicinarsi e vedere se avesse potuto rendersi utile in
qualche modo. Non voleva continuare a girarsi i pollici, era troppo stancante
anche per lui!
Scese una profonda scalinata a
chiocciola, situata sotto la bianca Torre di Ecthelion, e attraversò un lungo
corridoio illuminato da torce. Fu quasi tentato di svoltare nella porticina
laterale che portava alla dispensa, ma prese coraggio e vi passò dritto. Sbucò
all'aria aperta in un grazioso giardino, con numerosi alberi e fiori. Pipino,
inspirando il profumo dell'erba, capì come fosse possibile guarire almeno nello
spirito in un luogo come quello. Gli Uomini con la barella erano spariti nel
complesso di pietra, e si diresse verso la porta d'ingresso. C'era un via vai
di donne, dai copricapo bianchi e abiti beige e dai grembiuli candidi, che
portavano catini d'acqua e panni puliti. Pipino si appiattì contro il muro
quando una guaritrice gli passò accanto, senza vederlo e rischiando di
calpestarlo.
«E tu chi sei? Levati dai piedi e
lasciami lavorare in pace! Non è un luogo per venire a giocare, giovanotto!»
sbraitò la donna anziana, che non si preoccupò troppo di spintonarlo senza
grazia.
Pipino non seppe se ridere per la
situazione o se offendersi per l'affronto di essere scambiato per un bambino.
Ma prima che potesse parlare, un Uomo lo riconobbe e gli restituì un po' della
dignità perduta.
«Vecchia Ioreth, la prossima volta che
parlerai al Mezzuomo riservagli un po' più di rispetto! Egli è Peregrino Tuc,
un Hobbit della Contea al servizio del tuo signore!» esclamò Ingold.
Ioreth sgranò impercettibilmente gli
occhi piccoli e neri, notando solo in quel momento la divisa dello Hobbit, ma
non accennò a nessuna scusa. «Avrebbe potuto essere anche il Re in persona, ma
mi intralciava comunque! Voglio solo fare il mio lavoro, soldato. E ora,
spostati anche tu, sei sulla mia strada!»
Ingold scosse il capo, mestamente; poi
si rivolse allo Hobbit, sorridendo. «Devi perdonarla, è una brava donna che non
sa tenere a freno la lingua, purtroppo. Ma è la migliore, qui.»
Pipino scrollò le spalle. «Non importa,
davvero. Un Hobbit in una città di Uomini: era il minimo che potesse succedere!
Piuttosto, cosa sta accadendo?»
«Ho soccorso una donna al cancello
della muraglia; è giunta al galoppo, stremata. Temo che abbia cavalcato per
giorni senza fermarsi. L'unica cosa che ha detto prima di svenire è stata: Boromir, dove è Boromir? Poi ha perso i
sensi ed è caduta dal cavallo.» spiegò l'Uomo. «Ma temo che dovrà attendere,
almeno finché il Sovrintendente e suo figlio terminano di discutere con i
Dignitari giunti da lontano per aiutarci. La donna, chiunque essa sia, può
aspettare.»
Uno strano senso di inquietudine colpì
Pipino. «Questa donna aveva delle cicatrici in viso?»
Ingold annuì, perplesso. «Sì, quattro
brutti graffi. La conosci? Chi è?»
Ma lo Hobbit era già corso dentro le
Case, seguendo le voci di Ioreth e sbucando nella stanza della Dùnadan. La
vecchia, vedendolo, riprese a sbraitargli contro, ma non poté far nulla per
fermarlo. Pipino guardò il volto pallido di Brethil e le prese una mano tra le
sue.
«Giovanotto, ti ho detto di andartene!»
Pipino mostrò tutta la sua risolutezza,
ed esclamò: «È una mia amica, lascia che le stia accanto!» In realtà non poteva
dire realmente che lo fosse, perché poco aveva parlato con quella donna schiva
che sembrava essere molto unita a Grampasso, ma visto che lui non aveva niente
da fare avrebbe volentieri atteso che si risvegliasse, e magari si sarebbe
potuto prendere cura di lei. Del resto, doveva a quella donna la vita di
Boromir.
Con le mani sui fianchi, Ioreth lo
fissò duramente, poi si arrese. «D'accordo, giovanotto, vedi almeno di renderti
utile. Fatti portare del cibo, temo che questa donna non mangi niente da
giorni.»
«Agli ordini, mia signora!» fece
d'impeto il Mezzuomo, che al solo sentir parlare di cibo si era già fiondato da
Targon. Questo gli preparò un vassoio con pane,
burro, qualche mela e funghi - funghi
freschi, per la Contea! Sperò vivamente che Brethil non amasse i funghi,
l'avrebbe volentieri aiutata a terminarli per non lasciare vergognosi avanzi.
«Potresti mettere qualche altro po' di
pane, per favore? O una mela... a Brethil piacciono molto entrambi.»
Targon
lo guardò scettico, ma non obiettò. Pipino, così, tornò traballante ma
soddisfatto con quel vassoio carico di cibo e lo poggiò sul comodino accanto al
letto.
Ioreth aveva nel frattempo spogliato la
donna di quegli abiti sporchi, infilandole una tunica bianca, e borbottando
qualcosa sulla sua inesistente femminilità. «Porta addirittura delle armi, che
razza di donna è?»
Pipino si avvicinò alla sedia su cui la
vecchia aveva messo arco, faretra, spada e quant'altro avesse trovato. «A
quanto ho capito, è stato grazie a questa donna che Boromir è vivo. Ed è grazie
anche a lei che la mia terra è rimasta libera dal male che voi conoscete bene.»
Sentendo quelle parole Ioreth sussultò.
«È lei la donna di cui parlano tutti? La salvatrice del figlio del
Sovrintendente?» Ad un cenno affermativo Ioreth strillò. «Allora bisogna
avvisarlo subito!»
«Me ne occuperò io, appena ne avrò
l'occasione.» rispose Pipino, sedando i suoi animi. «Ora l'importante è che si
riprenda, Boromir ha molte cose da pianificare per essere distratto.»
«Molto bene.» disse la vecchia. «Ora
aiutami a metterle un cuscino dietro la nuca. Tenteremo di farle bere una
tisana calda per farla svegliare; la preparava sempre la mia bis-bisnonna, o
così mi raccontava mia madre. Ora, sia io che le mie sorelle abbiamo ricevuto
in eredità i suoi insegnamenti, ma come immagino tu sappia, molte cose si
perdono e si modificano con gli anni. Così ho deciso di aggiungere un
ingrediente segreto, che la rende più gradevole al gusto e all'olfatto...» E
continuò a parlare senza interrompersi per altri dieci minuti.
Pipino smise di ascoltarla dopo le
prime venti parole. Gli stava venendo un terribile mal di testa. Quando la
vecchia se ne andò, raccomandandogli di farla mangiare subito appena si fosse
svegliata, e di chiamarla quando fosse accaduto, Pipino tirò un sospiro di
sollievo. Prese uno sgabello troppo alto per lui, e si sedette accanto al letto
con qualche difficoltà. Tenendole una mano tra le sue, Pipino rimase a vegliare
su di lei, finché non la vide sbattere le palpebre.
«Mia signora, Brethil? Mi senti?» le
chiese, sporgendosi e passandole una mano sulla fronte. Prese un bicchiere e lo
riempì di acqua, porgendoglielo. «Bevi, ti aiuto.»
Brethil socchiuse le labbra e bevve
grandi sorsi, assetata. Aguzzò la vista, per mettere a fuoco il suo guaritore,
e le parve di riconoscere quel viso simpatico dai capelli riccioluti e castani.
«Messer Peregrino?»
Lo Hobbit annuì, sorridendo gioioso.
«In persona, mia signora! È una fortuna che ti abbia trovata, altrimenti
saresti nelle grinfie di una vecchia pettegola. Sarai affamata, immagino: ho
giusto qui qualcosa che potrebbe piacerti!» disse, balzando giù dallo sgabello
e prendendo il vassoio.
Brethil tentò di mettersi a sedere e,
nonostante fosse fiacca, ci riuscì. Guardò lo Hobbit allegro e zampettante
porgerle il pranzo, e lo ringraziò con un luminoso sorriso.
«Avrei voluto che ti portassero anche
un po' di carne, ma purtroppo con questo brutto affare della guerra il cibo è
contato.» le stava dicendo, dispiaciuto.
«Non preoccuparti, va bene ciò che vedo.»
gli disse, accarezzandogli il capo. «Sono così affamata che non guarderò certo
se la frutta sia fresca o se il pane sia troppo duro. E se conosco la pancia di
un Hobbit, immagino che anche tu sia affamato, quindi non avere problemi a
servirti.» Aiutata dal Mezzuomo, che le spalmò il burro sul pane, mangiò con
lentezza; non voleva rischiare che le rimanesse tutto sullo stomaco, se avesse
ingoiato quel cibo senza masticarlo.
«Posso chiederti come sei potuta
giungere in queste condizioni?» le chiese Pipino, che si era imburrato una
fetta senza quasi accorgersene. «Insomma, devi aver avuto urgenti motivi per
non fermarti nemmeno a mangiare. Il cibo è un ottima ragione per riposarsi. E
dopo viene una bella dormita.»
Brethil si ricordò del sogno e
s'inquietò. «Boromir è in città? Ho bisogno di parlargli.»
«Boromir è in riunione con tante
persone importanti. Appena si libererà andrò a chiamarlo personalmente. Sono lo
scudiero del Sovrintendente, ora.» disse, ammiccando alla sua lucente tenuta.
«Lo vedo, mio piccolo amico! È un
grande onore, quello che hai ricevuto.»
«Sì, immagino di sì. Ma mi chiedo cosa
possa fare per rendermi utile a un così grande signore, oltre a cantare le
poesie inadatte della mia terra?» si domandò Pipino, sconsolato.
Brethil trovò la forza di sorridere.
«Arriverà anche il momento in cui dimostrerai la tua forza, messer Peregrino. E
quasi dimenticavo, ho promesso al tuo amico e cugino di riferirti le sue parole.
"Digli che non deve aver paura e che
sono sicuro che renderà onore all'avventatezza dei Tuc. E che gli voglio bene".»
Gli occhi di Pipino diventarono lucidi
e la ringraziò a più riprese. «Come sta? Bene? Non siamo mai stati così
lontani, io e lui. Mi manca tanto.»
«Lo so. Capisco cosa intendi, ma non
disperare, giovane Hobbit. Questi brutti giorni finiranno, prima o poi.»
Lui annuì, sorridendole di rimando. La
trovò bella, bella e severa come Aragorn, nonostante quelle cicatrici. Avrebbe
voluto chiederle come se le fosse procurate, ma temeva che fosse un argomento
spinoso, quindi evitò. In cambio fu lui che parlò per quasi tutto il tempo,
ascoltato con interesse dalla donna. Le raccontò delle disavventure con gli
Uruk-hai e della paura che lui e Merry provarono; della fuga e dell'incontro
con gli Ent e poi con Gandalf. E improvvisò anche un
paio di poesie, su Fangorn e i suoi abitanti, che tanto piacquero a Brethil.
«Potrei cantare questo, a sire
Denethor!» ipotizzò Pipino, ridendo con lei. Poi qualcuno bussò alla porta e lo
Hobbit corse ad aprire. Ioreth si precipitò dalla donna, rimproverando il
Mezzuomo di non averla chiamata, e subito dopo entrò anche Gandalf.
«Peregrino Tuc, ecco dov'eri finito!
Un'ora per cercarti e dove ti trovo? Ad importunare una stanca ospite!» Il tono
contrariato dello Stregone fu subito dimenticato da un suo sorriso luminoso.
«Brethil, amica mia, come ti senti?» le chiese, fermandosi ai piedi del letto e
poggiandosi sul suo bastone bianco.
«Ora meglio, Gandalf. Devo ringraziare
soprattutto messer Peregrino, mi ha tenuto compagnia e mi ha sfamata.»
«Ma non mi ha chiamata immediatamente!
Hai bisogno di ricostituenti, ragazza mia.» sbottò la vecchia Ioreth.
Pipino e Gandalf si scambiarono
un'occhiata mesta, ma non commentarono. Appena la guaritrice tolse il disturbo,
dopo averle fatto bere uno strano intruglio che le aveva fatto storcere il naso
e intimando loro di non stancare la sua paziente più del dovuto, lo Stregone le
si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto. «Che cosa ti porta qui, Brethil? Il
tuo posto non è accanto ad Aragorn, per caso?»
«Lo è, e lo è sempre stato.» Brethil
sospirò. «Ma ho avuto una visione. In realtà, più volte. Temo per Boromir, l'ho
veduto morire.»
Pipino spalancò la bocca. «Come?»
«Tieni le tue domande per te, Peregrino
Tuc, e lasciala parlare.» lo ammonì Gandalf. «Risponderà alle tue curiosità più
tardi, se ne avrà voglia.»
Brethil raccontò del suo sogno e lo
Stregone la ascoltò con attenzione. «Ahimè.» disse. «Non è la prima volta che
mostri di avere doti di preveggenza, amica mia, sebbene non sappiamo quanto
lontano si possa spingere la tua mente. Eppure anche io ho veduto un'ombra sul
futuro di Boromir, già te lo dissi sulla via per il Fosso di Helm.»
«Devo stargli accanto, Gandalf. L'ho
promesso ad Aragorn... e a me stessa. Se dovesse succedergli qualcosa non me lo
perdonerei mai.»
Gandalf le sorrise, benevolo. «Bambina
mia, Boromir è un soldato, anzi il
soldato! È un Capitano e sa bene che potrebbe non tornare dalla guerra. Cosa
hai intenzione di fare? Stargli dietro in ogni momento in battaglia? Posso dire
di conoscerlo bene, ormai, e non credo che te lo permetterebbe.»
«Non lo intralcerei, se è questo che
vuoi dirmi. Gli guarderei le spalle, quando lui non sarebbe in grado di farlo.»
mormorò Brethil chinando il capo. Improvvisamente si sentì una perfetta
stupida. Era corsa per quattro giorni verso quella città, sapendo che avrebbe
dovuto fare qualcosa per aiutarlo e proteggerlo. Ma cosa avrebbe potuto dirgli
per non farlo sentire un ragazzino che aveva bisogno della bambinaia? Boromir
non avrebbe accettato alcun aiuto, tanto meno il suo. Era un soldato - il soldato, come aveva giustamente
sottolineato Gandalf; e lei non era che una donna che aveva intenzione di
mettere il bastone tra le ruote alla volontà dei Valar, solo perché così
pensava fosse giusto. E se avesse dovuto lasciar correre quel sogno e far sì
che le cose si compissero come scritto all'origine di tutto? E se quel sogno
fosse semplicemente l'immagine delle sue paure più profonde e fosse rimasto
solo tale?
«Brethil.» la risvegliò Gandalf,
posandole una mano sul braccio. «Non ti sto dicendo di non stargli accanto,
poiché sei la persona migliore ora che possa aiutarlo e consigliarlo. Ti chiedo
solo di pensarci bene, prima di agire. Non fare niente che possa offendere il
suo orgoglio.»
La donna poggiò la nuca contro la pila
di cuscini, sospirando e chiudendo gli occhi. «Forse sarebbe stato meglio se
fossi rimasta con Aragorn e Halbarad.»
«Halbarad? I Raminghi lo hanno
raggiunto?» chiese Gandalf, sorpreso e lieto della notizia. «Questa è un'ottima
novella, bene. Molto bene!»
Brethil annuì. «Anche Elladan e Elrohir
erano con loro.»
«Benissimo.» Gandalf sorrise e fece
l'occhiolino a Pipino, che pur non capendo la bellezza di quelle nuove, venne
contagiato dal suo buon umore. «Ma ora andiamo, Peregrino. La nostra amica ha
bisogno di riposare e noi la stiamo stancando con le nostre chiacchiere.»
«Non starò chiusa qui dentro con una
guerra alle porte, Gandalf.»
Pipino si mise le mani sui fianchi. «E
invece starai finché non avrai ripreso le tue energie!» esclamò, in una buffa
imitazione di Ioreth - che era entrata in stanza senza che se ne accorgesse e
ora stava sbraitando qualcosa contro tutti i Mezzuomini
della terra.
Boromir guardò i Signori delle terre
vicine uscire dalla Sala, incupito e preoccupato. Suo padre sedeva sul suo
seggio, ai piedi del trono, con lo scettro bianco del Sovrintendente stretto
convulsamente tra le dita; solo Imrahil, Principe di Dol Amroth, restò con
loro. Nonostante i suoi sessantaquattro anni, era un Uomo ancora giovane nello
spirito e bello, come tutte le genti che avevano sangue elfico nelle vene, dai
capelli scuri e gli occhi vispi e grigi.
«Meno di tremila lance sono arrivate.»
disse il Capitano della Torre Bianca, muovendo qualche passo e guardando il
pavimento. «Meno della metà che speravamo. E molti di loro non sono nemmeno
soldati! Allevatori, contadini... cosa possono contro un esercito di Orchi,
Uruk-hai e Haradrim?»
Imrahil prese parola. «Sarebbero giunti
in molti altri, se solo le città della costa non fossero sotto assedio dai
Corsari. Rohan arriverà?»
Boromir annuì. «Sì, Re Théoden è un
Uomo che tiene fede alle alleanze e alle amicizie. Verrà. Ma ha molti Uomini
sparsi per la regione, a difesa dei confini sotto attacco. Ci vorrà del tempo
prima che riesca a riunire tutti i soldati di cui dispone.»
«Tempo che noi non abbiamo.» disse
Denethor. «Non possiamo più prenderci la libertà di attendere. La guerra è
fuori dalle nostre mura.»
«E cosa suggerisci di fare, padre?»
Il Sovrintendente cadde in un silenzio
profondo e Imrahil e Boromir si scambiarono una veloce occhiata. Poi un bambino
di dieci anni comparve timidamente davanti a loro, chinandosi rispettoso delle
regole.
«Bergil! Cosa
ci fai qui?» domandò Boromir.
«Perdonatemi, miei signori, ma... ho
visto che la Sala si stava svuotando e ho... ho pensato che la riunione fosse
finita.» balbettò il ragazzo, tenendo ostinatamente gli occhi puntati sui suoi
piedi. «Mithrandir mi manda a chiamarti, mio signore Boromir. Dice di recarti
alle Case di Guarigione, ti aspetta nel giardino.»
«E cosa potrebbe mai volere Gandalf
alle Case?» chiese Boromir. Si voltò verso Denethor, che aveva alzato uno
sguardo pungente verso il ragazzino, come se fosse colpa sua se Gandalf
chiedesse del figlio. «Padre, con il tuo permesso mi congedo.»
«E io con lui, Sovrintendente. Ti
lasciamo ai tuoi pensieri.» fece Imrahil, seguendo Boromir e il piccolo Bergil.
Il Principe di Dol Amroth si voltò
verso il nipote e gli mise una mano sulla spalla, rassicurandolo. «È una
situazione peggiore di quanto non avessi mai immaginato, ma confido nei nostri
amici di Rohan. E mi hai parlato di quel Aragorn, figlio di Arathorn, in cui
riponi molta fiducia. Non tutto è perduto.»
Boromir annuì, sospirando, e si
salutarono. Seguì Bergil alle Case di Guarigione,
domandando: «Gandalf ti ha detto qualcos'altro?»
Quello scosse il capo. «So solo che c'è
qualcuno sotto le cure della vecchia Ioreth, ho sentito la sua voce fin fuori.»
L'Uomo scese al sesto livello e trovò
lo Stregone seduto su una panca con lo Hobbit, entrambi intenti a fumare, e
quest'ultimo lo salutò con un sorriso radioso. «Boromir, finalmente! Da due
giorni mi trovo qui ma ti avrò visto solo tre volte in tutto.»
«Troppi affari mi tengono lontano da
te, Pipino. Ma ti promisi di mostrarti la mia città e manterrò fede alla mia
parola, quando le cose miglioreranno. E devi ancora raccontarmi degli Ent!» rispose, accarezzandogli la testa riccioluta. «Ma
dimmi Gandalf, c'è qualche problema?»
«Sì e no, lo vedrai da solo.» disse lo
Stregone, sbuffando un po' di fumo e sorridendo enigmatico. Pipino prese per
mano l'Uomo, che si fece trascinare dentro l'edificio. Gli intimò di fare piano,
portandosi un dito alle labbra e aprendo la porta di una stanza. Boromir si
domandò cosa potesse esserci di così importante e non si rese subito conto di
ciò che i suoi occhi videro. Era un sogno o Brethil era davvero sdraiata su
quel letto? Lanciò un'occhiata indagatrice all'Hobbit, ma questo si limitò a
sussurrargli che avrebbe ricevuto tutte le spiegazioni del caso in un altro
momento.
Si avvicinò al letto della donna,
prendendole una mano tra le sue. Era pallida ma il calore del suo corpo non era
svanito. Stava semplicemente riposando. Pipino lo lasciò poco dopo, e Boromir
rimase accanto a lei, a guardarla dormire. Si chiese cosa fosse venuta a fare a
Minas Tirith, quando gli aveva fatto intendere che non sarebbe venuta con lui;
il ricordo del suo abbandono, proprio quando sentiva di aver bisogno di lei,
bruciava ancora nella mente, ma in quel momento lo scartò lontano. Ciò che più
gli premeva, ora, era rivederla sveglia e in forze, perché non immaginava cosa
potesse esserle accaduto in quei giorni. D'un tratto l'espressione rilassata
del suo viso si tramutò in qualcosa di turbato e Boromir le strinse la mano. Il
sonno sereno della donna divenne angoscioso e la vide corrugare la fronte,
agitarsi con debolezza, le labbra che si socchiudevano per dire qualcosa. Boromir
le accarezzò il viso, richiamandola per destarla, proprio come lei aveva fatto
con lui solo poco tempo prima. Ma quell'incubo era forte e restio a lasciarla
andare alla realtà. Cosa si stava muovendo in quella mente già piena di
preoccupazioni? Non seppe dirlo, ma immaginò che fosse qualcosa di spiacevole
quando vide una lacrima scenderle lungo una guancia.
«Brethil, amica mia, svegliati.» le
disse, con più forza.
La Dùnadan sbarrò gli occhi e gridò il
suo nome. Poi lo guardò, come se lo vedesse ancora nel sogno, e si buttò tra le
sue braccia, piangendo. Boromir rimase scioccato da quella reazione, e la
strinse forte, consolandola e sussurrandole che andasse tutto bene. Brethil
sembrava ancora scossa dall'incubo e non si rese subito conto che l'Uomo fosse
reale e non parte della sua immaginazione. Eppure il profumo della sua pelle
sembrava vero, così come il calore del suo corpo, troppo tangibile per essere
illusorio. Si allontanò un poco e riconobbe la stanza dove si era svegliata
qualche ora prima; poi tornò a guardare l'Uomo e sorrise, grata che fosse reale
così come quel sogno fosse fittizio.
«Pare che i ruoli si siano invertiti.»
le disse, mentre lei si sistemava nuovamente contro i cuscini, cercando di
rilassarsi.
«Oh non credo che tu saresti petulante
come Ioreth.» rispose Brethil, facendolo ridere.
«Non ti invidio, infatti. Mi ha
costretto a passare qui, al mio rientro, per controllare il mio stato di
salute. Ricordo che quando ero piccolo adorava tirarmi le orecchie, quando
tentavo di scappare dalla finestra.»
«E non nego di aver avuto la tua stessa
idea, Boromir. Odio dover rimanere bloccata su un letto.»
L'Uomo si fece serio. «Come ti sei
ridotta così? Pensavo fossi a Rohan, con Aragorn.»
«Non ti sbagliavi. Dopo avervi lasciati
ho raggiunto il Comandante Erkenbrand, ai Guadi dell'Isen, dove le forze di
Saruman colpivano con grande intensità. Gandalf giunse una notte, per
richiedere l'aiuto dell'esercito, diretti al Fosso di Helm. È lì che le truppe
di Isengard hanno attaccato con tutta la loro forza. Vincemmo la battaglia e parlai
con Aragorn, finalmente. Ma c'era un pensiero che continuava a turbarmi,
nonostante la gioia di tutte queste piccole cose.» Brethil esitò, guardando
l'Uomo, che ricambiò il suo sguardo con curiosità. «Continuavo a pensare alla
guerra, alle persone care che mi avrebbe potuto portar via. Insomma, ti ho
visto, Boromir. Ho visto che cadevi e l'idea mi ha terrorizzata.»
Lui rimase in silenzio, il viso
indurito da chissà quale pensiero. «Hai visto la mia morte?»
«Credo di sì. Io...» Inspirò
profondamente, nascondendo il viso tra le mani; poi prese coraggio e gli
raccontò del sogno, senza omettere alcun particolare.
Boromir ascoltava, gli occhi fissi sui
suoi, mentre dentro di lui si muovevano timore, orgoglio e molte altre
emozioni. Quando la donna terminò, lui sorrise e le strinse le mani. «Non devi
aver paura, Brethil. Morire in guerra non è un disonore, né mi spaventa. Se
serve per restituire a Gondor la sua pace, allora sono pronto.»
«Continui ad essere egoista, se pensi
che morire non sia un male.» ribatté lei. «C'è chi ti ama, Boromir. Non pensi a
loro?»
«Costantemente.» Le accarezzò una
guancia, rassicurandola. «Ma sono maturi abbastanza da capire il pericolo che
corro. Nessuno andrebbe in guerra per difendere la propria patria se si
pensasse alla famiglia che si lascia a casa. Hai mai avuto paura che Aragorn, o
qualcuno dei Raminghi morisse? Tuo padre, per esempio?»
«Ho temuto ogni giorno per la loro
vita, oltre che per la mia. Non sono una donna che non teme la morte, Boromir,
e so bene cosa significhi mettere in pericolo la propria salvezza per quella
degli altri. Lo capii anche quando mio padre morì. Ma ciò non implica che
l'abbia accettato con leggerezza, né che non abbia mai sentito la sua mancanza.»
L'Uomo sospirò e scosse il capo, senza
capire. «Allora dimmi, perché sei venuta qui? Per darmi il tempo di salutare i
miei cari, con la consapevolezza che probabilmente non tornerò a casa? O che
rimanga tra la sicurezza della Cittadella, sperando che la guerra non la
raggiunga?»
«Voglio starti accanto, Boromir. Come
ho fatto in quei giorni, come ho promesso ad Aragorn e a me stessa. Non mi sono
perdonata facilmente di averti lasciato, solo perché sono stata troppo codarda
da non riuscire ad affrontare i miei problemi. Voglio combattere al tuo fianco
e sostenerti, Boromir. Permettimi di farlo.»
«Non ho bisogno di una bambinaia,
Brethil.»
«Non è questo che voglio essere,
infatti.»
«Ma è ciò che farai. Perché tu sai
quando accadrà, come e dove. E vorrai essere lì per tentare di salvarmi, ancora
una volta.» Boromir si alzò dal letto, contrariato. «Questo sarebbe disonorevole,
per me, Brethil. Se è il mio destino soccombere innanzi alle mura della mia
città lo accetto. Non c'è nessuna profezia che parli della mia salvezza, niente
che mi possa impedire di morire. E non sarai tu a ridicolizzarmi davanti ai
miei soldati.»
La donna non riuscì a credere a quelle
parole. Limitava tutto davvero ad una mera questione di orgoglio? «Ma non
capisci?» esclamò, le lacrime che tornavano a bagnarle gli occhi e il viso
sfregiato. «Voglio starti accanto quando accadrà, se mai accadrà! Voglio che
abbia una persona vicino, non l'alito di un Orco che non aspetta altro se non
strapparti la pelle dal corpo per il piacere della sua gola!»
Boromir raggelò sul posto. E poi capì,
rabbrividendo di raccapriccio. «Tuo padre...»
«Mio padre morì da solo, senza che gli
fossi accanto.» disse atona, asciugandosi le lacrime con rabbia. «Trovarono il
suo corpo mutilato dai morsi due giorni dopo. Non era rimasto altro che ossa e
vestiti. E io non ero con lui, né io né nessun altro.»
«Mi dispiace.» sussurrò, avvicinandosi
nuovamente a lei e comprendendo ora cosa la preoccupasse maggiormente.
«Brethil, mi dispiace davvero.»
«Smettila di dispiacerti.» sbottò lei.
«Dammi solo il permesso di combattere al tuo fianco. Se non vorrai, lo
accetterò.»
«Così sia, se è ciò che desideri.
Perché anche io vorrei averti accanto, Brethil. La tua presenza è di grande
conforto per me, dovresti saperlo, ormai. E sono felice che tu sia qui.»
Quelle parole e quella voce ebbero il
potere di tranquillizzarla e un sorriso disteso apparve sul suo viso
martoriato. «Grazie, Boromir.»
Lui scosse il capo. «Non sei tu quella
che deve ringraziare nessuno. Ora però riposa, ti ho stancata fin troppo, e ti
chiedo perdono. Magari questa notte cenerai qui, se non ti senti in forze per
unirti al mio tavolo, ma vorrei che domani ti rimettessi un poco. Vorrei
presentare a mio padre la donna che ha salvato la vita di suo figlio.»
«Ne sarei onorata, ma non credo di
avere gli abiti né il portamento per pranzare con un Uomo importante come tuo
padre.» rispose lei, sentendosi in imbarazzo. Aveva pranzato molte volte con Re
Théoden, ma egli era una persona benevola e gentile, che non badava
all'abbigliamento né ai modi dei suoi commensali. Ma sire Denethor, per quanto
sapesse poco di lui, era di tutt'altra famiglia: era amato, rispettato e temuto
anche, Uomo saggio e abile stratega, furbo e sveglio nonostante l'età che
avanzava. Cosa avrebbe pensato di una donna con quel volto orribile, che al
solo pensare di indossare un abito inciampava sui propri piedi e temeva di
aprire bocca per non risultare scortese?
«Mio padre può sembrare severo e
incutere timore, ma non metterà a disagio la mia salvatrice.» E aggiunse con un
sorriso: «E poi, ci sarò io a proteggerti dalla sua lingua. E anche Gandalf.»
«Il Mezzuomo?»
«Lui solitamente si reca alla mensa
della Terza Compagnia della Cittadella, dove mi ha detto si sia fatto alcune
amicizie. Non credo si unirà con noi, parleremo prevalentemente di guerra e non
voglio abbassare ulteriormente il suo morale con piani di difesa e quant'altro.
Ora riposa, anche se non mi hai ancora spiegato come ti sia ridotta in questo
stato.»
Brethil arrossì. «Ho cavalcato tanto e
mangiato poco.»
«Ottima ricetta dopo aver combattuto
due battaglie.» commentò con ironia l'Uomo. Si chinò su di lei, dandole un
bacio sulla fronte. «Dormi ora, e mangia appena senti il bisogno. Mandami a
chiamare per qualsiasi motivo, d'accordo?»
Lei annuì, coprendosi fin sopra le
spalle con la calda coperta in lana. Lo guardò uscire dalla stanza e chiuse gli
occhi, ora più serena.
Quando Boromir lasciò l'edificio, notò
che Pipino fosse rimasto da solo e si sedette accanto a lui. Lo trovò
incredibilmente tenero, con quel viso perso e triste e le corte gambe che
dondolavano nel vuoto, sebbene quella panca fosse bassa anche per un Uomo.
Appena lo Hobbit lo scorse lo salutò
con un gran sorriso. «Boromir! Come sta la nostra amica?»
«Bene, direi; ma è molto stanca,
ancora. Mi ha chiesto se cenerai con lei, questa notte. Ne sarebbe felice.»
«Davvero?» domandò, stupito e contento
lo Hobbit.
In realtà no, non era vero. Ma Boromir
voleva che Brethil avesse un po' di compagnia, e non immaginava nessuno
migliore di Pipino per metterla un poco di buon umore. «Sì, messer Hobbit.
Questa notte la affido a te, mi raccomando.»
«Sono lo scudiero di sire Denethor, non
dimenticartelo.» ammiccò lo Hobbit, facendolo sorridere. Ma ogni riso fu
interrotto dal gelo improvviso che li pietrificò sui loro posti. Conoscevano
bene quel grido, Pipino soprattutto. Non aveva dimenticato il terrore che si
diffondeva per tutto il suo corpo e che lo portava solo ad accasciarsi in
terra, coprendosi le orecchie.
«I Nazgûl! È già giunta l'ora?» si
domandò Boromir, paralizzato da quelle grida acute. Erano in cinque e sui loro
giganteschi destrieri alati roteavano sui Campi del Pelennor, come avvoltoi
attratti dalle carcasse. Vide dei puntini neri che si muovevano velocemente e
capì che fossero dei cavalli. Il sangue gli si gelò nelle vene. «Faramir!»
gridò, dopo aver udito il suono della sua tromba richiamare aiuto.
«Gandalf! Dove è Gandalf?» esclamò
Pipino, terrorizzato. E come se invocandolo avesse avuto il potere di
comparire, una figura bianca e splendente si avvicinò di gran carriera ai
cavalieri, e una luce si sprigionò contro quelle ombre di morte. Udirono un ultimo
grido straziato e la voce del Cavaliere Bianco riecheggiare potente per tutti i
campi. Gandalf era riuscito ad allontanarli.
Quando Pipino si voltò per cercare
Boromir, l'Uomo era già sparito, diretto verso la Cittadella in attesa del
ritorno del fratello.
*
Grazie
a tutti i lettori!
A
presto,
Marta.