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Autore: kenjina    13/05/2012    6 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Buona domenica, lettori miei!

Inizio col scusarmi per il piccolo ritardo, ma numerosi contrattempi mi hanno tenuta lontana da Word - leggasi esame di progettazione che si avvicina inesorabilmente e calcoli strutturali a non finire.

I prossimi aggiornamenti saranno un pochino più lenti, di una settimana al massimo, perché voglio concludere almeno altri due capitoli prima di proseguire con la pubblicazione.

(per la serie: stiamo lavorando per voi.)

 A presto, e grazie a tutti i fedeli lettori e a chi si prende la briga di recensire ogni capitolo! Siete una gggioia. :)

Buona lettura!

 

Betulla


07.

10 Marzo 3019 T. E.

 

Pipino sbuffò per l'ennesima volta, annoiato a morte e oppresso da quell'aria pesante che giungeva da Est. Sembrava in arrivo un'enorme tempesta, ma come gli aveva spiegato Beregond, non c'era niente di naturale in quel tempo. Il Signore di Mordor si divertiva così, prima di muovere le sue pedine: spediva quelle esalazioni calde e scure, per togliere loro anche la piacevole visuale delle stelle durante la notte e dei raggi del sole nella mattina. Pipino avrebbe dato anche una gamba pur di rivedere il cielo limpido della Contea, la luce che faceva brillare intensamente l'erba fresca della Terra di Tuc, sdraiato sulle morbide colline con Merry, a fumare la miglior erba pipa del Decumano Sud, a ridere e a scherzare, senza lugubri pensieri sulla fine del mondo. Rimpiangeva quei giorni come mai prima di allora. La vista di quelle nere montagne, che nascondevano gli orrori di Mordor, gli opprimeva il cuore. Come potevano sperare di vincere contro quel male così intenzionato a distruggere tutto?

Sospirò nuovamente, poggiato contro il freddo parapetto in pietra, e si chiese che ore fossero. Aveva una fame tremenda e gli sembravano trascorsi giorni da quando aveva messo qualcosa sullo stomaco. Ma il cibo era razionato, in vista della guerra, e non poteva tediare il buon Targon, magazziniere e dispensiere della Compagnia delle Guardie. Un altro buon motivo per rimpiangere le innumerevoli colazioni e i pranzi della Contea, pensò tristemente sentendo lo stomaco brontolare senza ritegno. Si mosse verso la Cittadella, annoiato e abbattuto. Gandalf era sparito chissà dove, Beregond aveva iniziato il suo turno di guardia e sire Denethor, a cui aveva offerto i suoi servigi fino a qualche ora prima, era occupato in riunione con Boromir e i nuovi aiuti giunti dalle regioni vicine. Si sentiva terribilmente solo. Chissà come se la stava cavando Merry?

Attraversò il Cortile della Fontana, ma si fermò appena sentì le voci concitate di qualcuno, più in basso. Si mise in punta di piedi, per sbirciare da una feritoia il livello inferiore, là dove Beregond gli aveva mostrato le Case di Guarigione. Vide due Uomini trasportare qualcuno su una barella, di cui uno gli parve Ingold, l'Uomo che aveva fermato Gandalf al cancello nord del Rammas Echor. Si disse che, non avendo altro da fare, avrebbe potuto avvicinarsi e vedere se avesse potuto rendersi utile in qualche modo. Non voleva continuare a girarsi i pollici, era troppo stancante anche per lui!

Scese una profonda scalinata a chiocciola, situata sotto la bianca Torre di Ecthelion, e attraversò un lungo corridoio illuminato da torce. Fu quasi tentato di svoltare nella porticina laterale che portava alla dispensa, ma prese coraggio e vi passò dritto. Sbucò all'aria aperta in un grazioso giardino, con numerosi alberi e fiori. Pipino, inspirando il profumo dell'erba, capì come fosse possibile guarire almeno nello spirito in un luogo come quello. Gli Uomini con la barella erano spariti nel complesso di pietra, e si diresse verso la porta d'ingresso. C'era un via vai di donne, dai copricapo bianchi e abiti beige e dai grembiuli candidi, che portavano catini d'acqua e panni puliti. Pipino si appiattì contro il muro quando una guaritrice gli passò accanto, senza vederlo e rischiando di calpestarlo.

«E tu chi sei? Levati dai piedi e lasciami lavorare in pace! Non è un luogo per venire a giocare, giovanotto!» sbraitò la donna anziana, che non si preoccupò troppo di spintonarlo senza grazia.

Pipino non seppe se ridere per la situazione o se offendersi per l'affronto di essere scambiato per un bambino. Ma prima che potesse parlare, un Uomo lo riconobbe e gli restituì un po' della dignità perduta.

«Vecchia Ioreth, la prossima volta che parlerai al Mezzuomo riservagli un po' più di rispetto! Egli è Peregrino Tuc, un Hobbit della Contea al servizio del tuo signore!» esclamò Ingold.

Ioreth sgranò impercettibilmente gli occhi piccoli e neri, notando solo in quel momento la divisa dello Hobbit, ma non accennò a nessuna scusa. «Avrebbe potuto essere anche il Re in persona, ma mi intralciava comunque! Voglio solo fare il mio lavoro, soldato. E ora, spostati anche tu, sei sulla mia strada!»

Ingold scosse il capo, mestamente; poi si rivolse allo Hobbit, sorridendo. «Devi perdonarla, è una brava donna che non sa tenere a freno la lingua, purtroppo. Ma è la migliore, qui.»

Pipino scrollò le spalle. «Non importa, davvero. Un Hobbit in una città di Uomini: era il minimo che potesse succedere! Piuttosto, cosa sta accadendo?»

«Ho soccorso una donna al cancello della muraglia; è giunta al galoppo, stremata. Temo che abbia cavalcato per giorni senza fermarsi. L'unica cosa che ha detto prima di svenire è stata: Boromir, dove è Boromir? Poi ha perso i sensi ed è caduta dal cavallo.» spiegò l'Uomo. «Ma temo che dovrà attendere, almeno finché il Sovrintendente e suo figlio terminano di discutere con i Dignitari giunti da lontano per aiutarci. La donna, chiunque essa sia, può aspettare.»

Uno strano senso di inquietudine colpì Pipino. «Questa donna aveva delle cicatrici in viso?»

Ingold annuì, perplesso. «Sì, quattro brutti graffi. La conosci? Chi è?»

Ma lo Hobbit era già corso dentro le Case, seguendo le voci di Ioreth e sbucando nella stanza della Dùnadan. La vecchia, vedendolo, riprese a sbraitargli contro, ma non poté far nulla per fermarlo. Pipino guardò il volto pallido di Brethil e le prese una mano tra le sue.

«Giovanotto, ti ho detto di andartene!»

Pipino mostrò tutta la sua risolutezza, ed esclamò: «È una mia amica, lascia che le stia accanto!» In realtà non poteva dire realmente che lo fosse, perché poco aveva parlato con quella donna schiva che sembrava essere molto unita a Grampasso, ma visto che lui non aveva niente da fare avrebbe volentieri atteso che si risvegliasse, e magari si sarebbe potuto prendere cura di lei. Del resto, doveva a quella donna la vita di Boromir.

Con le mani sui fianchi, Ioreth lo fissò duramente, poi si arrese. «D'accordo, giovanotto, vedi almeno di renderti utile. Fatti portare del cibo, temo che questa donna non mangi niente da giorni.»

«Agli ordini, mia signora!» fece d'impeto il Mezzuomo, che al solo sentir parlare di cibo si era già fiondato da Targon. Questo gli preparò un vassoio con pane, burro, qualche mela e funghi - funghi freschi, per la Contea! Sperò vivamente che Brethil non amasse i funghi, l'avrebbe volentieri aiutata a terminarli per non lasciare vergognosi avanzi.

«Potresti mettere qualche altro po' di pane, per favore? O una mela... a Brethil piacciono molto entrambi.»

Targon lo guardò scettico, ma non obiettò. Pipino, così, tornò traballante ma soddisfatto con quel vassoio carico di cibo e lo poggiò sul comodino accanto al letto.

Ioreth aveva nel frattempo spogliato la donna di quegli abiti sporchi, infilandole una tunica bianca, e borbottando qualcosa sulla sua inesistente femminilità. «Porta addirittura delle armi, che razza di donna è?»

Pipino si avvicinò alla sedia su cui la vecchia aveva messo arco, faretra, spada e quant'altro avesse trovato. «A quanto ho capito, è stato grazie a questa donna che Boromir è vivo. Ed è grazie anche a lei che la mia terra è rimasta libera dal male che voi conoscete bene.»

Sentendo quelle parole Ioreth sussultò. «È lei la donna di cui parlano tutti? La salvatrice del figlio del Sovrintendente?» Ad un cenno affermativo Ioreth strillò. «Allora bisogna avvisarlo subito!»

«Me ne occuperò io, appena ne avrò l'occasione.» rispose Pipino, sedando i suoi animi. «Ora l'importante è che si riprenda, Boromir ha molte cose da pianificare per essere distratto.»

«Molto bene.» disse la vecchia. «Ora aiutami a metterle un cuscino dietro la nuca. Tenteremo di farle bere una tisana calda per farla svegliare; la preparava sempre la mia bis-bisnonna, o così mi raccontava mia madre. Ora, sia io che le mie sorelle abbiamo ricevuto in eredità i suoi insegnamenti, ma come immagino tu sappia, molte cose si perdono e si modificano con gli anni. Così ho deciso di aggiungere un ingrediente segreto, che la rende più gradevole al gusto e all'olfatto...» E continuò a parlare senza interrompersi per altri dieci minuti.

Pipino smise di ascoltarla dopo le prime venti parole. Gli stava venendo un terribile mal di testa. Quando la vecchia se ne andò, raccomandandogli di farla mangiare subito appena si fosse svegliata, e di chiamarla quando fosse accaduto, Pipino tirò un sospiro di sollievo. Prese uno sgabello troppo alto per lui, e si sedette accanto al letto con qualche difficoltà. Tenendole una mano tra le sue, Pipino rimase a vegliare su di lei, finché non la vide sbattere le palpebre.

«Mia signora, Brethil? Mi senti?» le chiese, sporgendosi e passandole una mano sulla fronte. Prese un bicchiere e lo riempì di acqua, porgendoglielo. «Bevi, ti aiuto.»

Brethil socchiuse le labbra e bevve grandi sorsi, assetata. Aguzzò la vista, per mettere a fuoco il suo guaritore, e le parve di riconoscere quel viso simpatico dai capelli riccioluti e castani. «Messer Peregrino?»

Lo Hobbit annuì, sorridendo gioioso. «In persona, mia signora! È una fortuna che ti abbia trovata, altrimenti saresti nelle grinfie di una vecchia pettegola. Sarai affamata, immagino: ho giusto qui qualcosa che potrebbe piacerti!» disse, balzando giù dallo sgabello e prendendo il vassoio.

Brethil tentò di mettersi a sedere e, nonostante fosse fiacca, ci riuscì. Guardò lo Hobbit allegro e zampettante porgerle il pranzo, e lo ringraziò con un luminoso sorriso.

«Avrei voluto che ti portassero anche un po' di carne, ma purtroppo con questo brutto affare della guerra il cibo è contato.» le stava dicendo, dispiaciuto.

«Non preoccuparti, va bene ciò che vedo.» gli disse, accarezzandogli il capo. «Sono così affamata che non guarderò certo se la frutta sia fresca o se il pane sia troppo duro. E se conosco la pancia di un Hobbit, immagino che anche tu sia affamato, quindi non avere problemi a servirti.» Aiutata dal Mezzuomo, che le spalmò il burro sul pane, mangiò con lentezza; non voleva rischiare che le rimanesse tutto sullo stomaco, se avesse ingoiato quel cibo senza masticarlo.

«Posso chiederti come sei potuta giungere in queste condizioni?» le chiese Pipino, che si era imburrato una fetta senza quasi accorgersene. «Insomma, devi aver avuto urgenti motivi per non fermarti nemmeno a mangiare. Il cibo è un ottima ragione per riposarsi. E dopo viene una bella dormita.»

Brethil si ricordò del sogno e s'inquietò. «Boromir è in città? Ho bisogno di parlargli.»

«Boromir è in riunione con tante persone importanti. Appena si libererà andrò a chiamarlo personalmente. Sono lo scudiero del Sovrintendente, ora.» disse, ammiccando alla sua lucente tenuta.

«Lo vedo, mio piccolo amico! È un grande onore, quello che hai ricevuto.»

«Sì, immagino di sì. Ma mi chiedo cosa possa fare per rendermi utile a un così grande signore, oltre a cantare le poesie inadatte della mia terra?» si domandò Pipino, sconsolato.

Brethil trovò la forza di sorridere. «Arriverà anche il momento in cui dimostrerai la tua forza, messer Peregrino. E quasi dimenticavo, ho promesso al tuo amico e cugino di riferirti le sue parole. "Digli che non deve aver paura e che sono sicuro che renderà onore all'avventatezza dei Tuc. E che gli voglio bene".»

Gli occhi di Pipino diventarono lucidi e la ringraziò a più riprese. «Come sta? Bene? Non siamo mai stati così lontani, io e lui. Mi manca tanto.»

«Lo so. Capisco cosa intendi, ma non disperare, giovane Hobbit. Questi brutti giorni finiranno, prima o poi.»

Lui annuì, sorridendole di rimando. La trovò bella, bella e severa come Aragorn, nonostante quelle cicatrici. Avrebbe voluto chiederle come se le fosse procurate, ma temeva che fosse un argomento spinoso, quindi evitò. In cambio fu lui che parlò per quasi tutto il tempo, ascoltato con interesse dalla donna. Le raccontò delle disavventure con gli Uruk-hai e della paura che lui e Merry provarono; della fuga e dell'incontro con gli Ent e poi con Gandalf. E improvvisò anche un paio di poesie, su Fangorn e i suoi abitanti, che tanto piacquero a Brethil.

«Potrei cantare questo, a sire Denethor!» ipotizzò Pipino, ridendo con lei. Poi qualcuno bussò alla porta e lo Hobbit corse ad aprire. Ioreth si precipitò dalla donna, rimproverando il Mezzuomo di non averla chiamata, e subito dopo entrò anche Gandalf.

«Peregrino Tuc, ecco dov'eri finito! Un'ora per cercarti e dove ti trovo? Ad importunare una stanca ospite!» Il tono contrariato dello Stregone fu subito dimenticato da un suo sorriso luminoso. «Brethil, amica mia, come ti senti?» le chiese, fermandosi ai piedi del letto e poggiandosi sul suo bastone bianco.

«Ora meglio, Gandalf. Devo ringraziare soprattutto messer Peregrino, mi ha tenuto compagnia e mi ha sfamata.»

«Ma non mi ha chiamata immediatamente! Hai bisogno di ricostituenti, ragazza mia.» sbottò la vecchia Ioreth.

Pipino e Gandalf si scambiarono un'occhiata mesta, ma non commentarono. Appena la guaritrice tolse il disturbo, dopo averle fatto bere uno strano intruglio che le aveva fatto storcere il naso e intimando loro di non stancare la sua paziente più del dovuto, lo Stregone le si avvicinò, sedendosi sul bordo del letto. «Che cosa ti porta qui, Brethil? Il tuo posto non è accanto ad Aragorn, per caso?»

«Lo è, e lo è sempre stato.» Brethil sospirò. «Ma ho avuto una visione. In realtà, più volte. Temo per Boromir, l'ho veduto morire.»

Pipino spalancò la bocca. «Come?»

«Tieni le tue domande per te, Peregrino Tuc, e lasciala parlare.» lo ammonì Gandalf. «Risponderà alle tue curiosità più tardi, se ne avrà voglia.»

Brethil raccontò del suo sogno e lo Stregone la ascoltò con attenzione. «Ahimè.» disse. «Non è la prima volta che mostri di avere doti di preveggenza, amica mia, sebbene non sappiamo quanto lontano si possa spingere la tua mente. Eppure anche io ho veduto un'ombra sul futuro di Boromir, già te lo dissi sulla via per il Fosso di Helm.»

«Devo stargli accanto, Gandalf. L'ho promesso ad Aragorn... e a me stessa. Se dovesse succedergli qualcosa non me lo perdonerei mai.»

Gandalf le sorrise, benevolo. «Bambina mia, Boromir è un soldato, anzi il soldato! È un Capitano e sa bene che potrebbe non tornare dalla guerra. Cosa hai intenzione di fare? Stargli dietro in ogni momento in battaglia? Posso dire di conoscerlo bene, ormai, e non credo che te lo permetterebbe.»

«Non lo intralcerei, se è questo che vuoi dirmi. Gli guarderei le spalle, quando lui non sarebbe in grado di farlo.» mormorò Brethil chinando il capo. Improvvisamente si sentì una perfetta stupida. Era corsa per quattro giorni verso quella città, sapendo che avrebbe dovuto fare qualcosa per aiutarlo e proteggerlo. Ma cosa avrebbe potuto dirgli per non farlo sentire un ragazzino che aveva bisogno della bambinaia? Boromir non avrebbe accettato alcun aiuto, tanto meno il suo. Era un soldato - il soldato, come aveva giustamente sottolineato Gandalf; e lei non era che una donna che aveva intenzione di mettere il bastone tra le ruote alla volontà dei Valar, solo perché così pensava fosse giusto. E se avesse dovuto lasciar correre quel sogno e far sì che le cose si compissero come scritto all'origine di tutto? E se quel sogno fosse semplicemente l'immagine delle sue paure più profonde e fosse rimasto solo tale?

«Brethil.» la risvegliò Gandalf, posandole una mano sul braccio. «Non ti sto dicendo di non stargli accanto, poiché sei la persona migliore ora che possa aiutarlo e consigliarlo. Ti chiedo solo di pensarci bene, prima di agire. Non fare niente che possa offendere il suo orgoglio.»

La donna poggiò la nuca contro la pila di cuscini, sospirando e chiudendo gli occhi. «Forse sarebbe stato meglio se fossi rimasta con Aragorn e Halbarad.»

«Halbarad? I Raminghi lo hanno raggiunto?» chiese Gandalf, sorpreso e lieto della notizia. «Questa è un'ottima novella, bene. Molto bene!»

Brethil annuì. «Anche Elladan e Elrohir erano con loro.»

«Benissimo.» Gandalf sorrise e fece l'occhiolino a Pipino, che pur non capendo la bellezza di quelle nuove, venne contagiato dal suo buon umore. «Ma ora andiamo, Peregrino. La nostra amica ha bisogno di riposare e noi la stiamo stancando con le nostre chiacchiere.»

«Non starò chiusa qui dentro con una guerra alle porte, Gandalf.»

Pipino si mise le mani sui fianchi. «E invece starai finché non avrai ripreso le tue energie!» esclamò, in una buffa imitazione di Ioreth - che era entrata in stanza senza che se ne accorgesse e ora stava sbraitando qualcosa contro tutti i Mezzuomini della terra.

 

Boromir guardò i Signori delle terre vicine uscire dalla Sala, incupito e preoccupato. Suo padre sedeva sul suo seggio, ai piedi del trono, con lo scettro bianco del Sovrintendente stretto convulsamente tra le dita; solo Imrahil, Principe di Dol Amroth, restò con loro. Nonostante i suoi sessantaquattro anni, era un Uomo ancora giovane nello spirito e bello, come tutte le genti che avevano sangue elfico nelle vene, dai capelli scuri e gli occhi vispi e grigi.

«Meno di tremila lance sono arrivate.» disse il Capitano della Torre Bianca, muovendo qualche passo e guardando il pavimento. «Meno della metà che speravamo. E molti di loro non sono nemmeno soldati! Allevatori, contadini... cosa possono contro un esercito di Orchi, Uruk-hai e Haradrim?»

Imrahil prese parola. «Sarebbero giunti in molti altri, se solo le città della costa non fossero sotto assedio dai Corsari. Rohan arriverà?»

Boromir annuì. «Sì, Re Théoden è un Uomo che tiene fede alle alleanze e alle amicizie. Verrà. Ma ha molti Uomini sparsi per la regione, a difesa dei confini sotto attacco. Ci vorrà del tempo prima che riesca a riunire tutti i soldati di cui dispone.»

«Tempo che noi non abbiamo.» disse Denethor. «Non possiamo più prenderci la libertà di attendere. La guerra è fuori dalle nostre mura.»

«E cosa suggerisci di fare, padre?»

Il Sovrintendente cadde in un silenzio profondo e Imrahil e Boromir si scambiarono una veloce occhiata. Poi un bambino di dieci anni comparve timidamente davanti a loro, chinandosi rispettoso delle regole.

«Bergil! Cosa ci fai qui?» domandò Boromir.

«Perdonatemi, miei signori, ma... ho visto che la Sala si stava svuotando e ho... ho pensato che la riunione fosse finita.» balbettò il ragazzo, tenendo ostinatamente gli occhi puntati sui suoi piedi. «Mithrandir mi manda a chiamarti, mio signore Boromir. Dice di recarti alle Case di Guarigione, ti aspetta nel giardino.»

«E cosa potrebbe mai volere Gandalf alle Case?» chiese Boromir. Si voltò verso Denethor, che aveva alzato uno sguardo pungente verso il ragazzino, come se fosse colpa sua se Gandalf chiedesse del figlio. «Padre, con il tuo permesso mi congedo.»

«E io con lui, Sovrintendente. Ti lasciamo ai tuoi pensieri.» fece Imrahil, seguendo Boromir e il piccolo Bergil.

Il Principe di Dol Amroth si voltò verso il nipote e gli mise una mano sulla spalla, rassicurandolo. «È una situazione peggiore di quanto non avessi mai immaginato, ma confido nei nostri amici di Rohan. E mi hai parlato di quel Aragorn, figlio di Arathorn, in cui riponi molta fiducia. Non tutto è perduto.»

Boromir annuì, sospirando, e si salutarono. Seguì Bergil alle Case di Guarigione, domandando: «Gandalf ti ha detto qualcos'altro?»

Quello scosse il capo. «So solo che c'è qualcuno sotto le cure della vecchia Ioreth, ho sentito la sua voce fin fuori.»

L'Uomo scese al sesto livello e trovò lo Stregone seduto su una panca con lo Hobbit, entrambi intenti a fumare, e quest'ultimo lo salutò con un sorriso radioso. «Boromir, finalmente! Da due giorni mi trovo qui ma ti avrò visto solo tre volte in tutto.»

«Troppi affari mi tengono lontano da te, Pipino. Ma ti promisi di mostrarti la mia città e manterrò fede alla mia parola, quando le cose miglioreranno. E devi ancora raccontarmi degli Ent!» rispose, accarezzandogli la testa riccioluta. «Ma dimmi Gandalf, c'è qualche problema?»

«Sì e no, lo vedrai da solo.» disse lo Stregone, sbuffando un po' di fumo e sorridendo enigmatico. Pipino prese per mano l'Uomo, che si fece trascinare dentro l'edificio. Gli intimò di fare piano, portandosi un dito alle labbra e aprendo la porta di una stanza. Boromir si domandò cosa potesse esserci di così importante e non si rese subito conto di ciò che i suoi occhi videro. Era un sogno o Brethil era davvero sdraiata su quel letto? Lanciò un'occhiata indagatrice all'Hobbit, ma questo si limitò a sussurrargli che avrebbe ricevuto tutte le spiegazioni del caso in un altro momento.

Si avvicinò al letto della donna, prendendole una mano tra le sue. Era pallida ma il calore del suo corpo non era svanito. Stava semplicemente riposando. Pipino lo lasciò poco dopo, e Boromir rimase accanto a lei, a guardarla dormire. Si chiese cosa fosse venuta a fare a Minas Tirith, quando gli aveva fatto intendere che non sarebbe venuta con lui; il ricordo del suo abbandono, proprio quando sentiva di aver bisogno di lei, bruciava ancora nella mente, ma in quel momento lo scartò lontano. Ciò che più gli premeva, ora, era rivederla sveglia e in forze, perché non immaginava cosa potesse esserle accaduto in quei giorni. D'un tratto l'espressione rilassata del suo viso si tramutò in qualcosa di turbato e Boromir le strinse la mano. Il sonno sereno della donna divenne angoscioso e la vide corrugare la fronte, agitarsi con debolezza, le labbra che si socchiudevano per dire qualcosa. Boromir le accarezzò il viso, richiamandola per destarla, proprio come lei aveva fatto con lui solo poco tempo prima. Ma quell'incubo era forte e restio a lasciarla andare alla realtà. Cosa si stava muovendo in quella mente già piena di preoccupazioni? Non seppe dirlo, ma immaginò che fosse qualcosa di spiacevole quando vide una lacrima scenderle lungo una guancia.

«Brethil, amica mia, svegliati.» le disse, con più forza.

La Dùnadan sbarrò gli occhi e gridò il suo nome. Poi lo guardò, come se lo vedesse ancora nel sogno, e si buttò tra le sue braccia, piangendo. Boromir rimase scioccato da quella reazione, e la strinse forte, consolandola e sussurrandole che andasse tutto bene. Brethil sembrava ancora scossa dall'incubo e non si rese subito conto che l'Uomo fosse reale e non parte della sua immaginazione. Eppure il profumo della sua pelle sembrava vero, così come il calore del suo corpo, troppo tangibile per essere illusorio. Si allontanò un poco e riconobbe la stanza dove si era svegliata qualche ora prima; poi tornò a guardare l'Uomo e sorrise, grata che fosse reale così come quel sogno fosse fittizio.

«Pare che i ruoli si siano invertiti.» le disse, mentre lei si sistemava nuovamente contro i cuscini, cercando di rilassarsi.

«Oh non credo che tu saresti petulante come Ioreth.» rispose Brethil, facendolo ridere.

«Non ti invidio, infatti. Mi ha costretto a passare qui, al mio rientro, per controllare il mio stato di salute. Ricordo che quando ero piccolo adorava tirarmi le orecchie, quando tentavo di scappare dalla finestra.»

«E non nego di aver avuto la tua stessa idea, Boromir. Odio dover rimanere bloccata su un letto.»

L'Uomo si fece serio. «Come ti sei ridotta così? Pensavo fossi a Rohan, con Aragorn.»

«Non ti sbagliavi. Dopo avervi lasciati ho raggiunto il Comandante Erkenbrand, ai Guadi dell'Isen, dove le forze di Saruman colpivano con grande intensità. Gandalf giunse una notte, per richiedere l'aiuto dell'esercito, diretti al Fosso di Helm. È lì che le truppe di Isengard hanno attaccato con tutta la loro forza. Vincemmo la battaglia e parlai con Aragorn, finalmente. Ma c'era un pensiero che continuava a turbarmi, nonostante la gioia di tutte queste piccole cose.» Brethil esitò, guardando l'Uomo, che ricambiò il suo sguardo con curiosità. «Continuavo a pensare alla guerra, alle persone care che mi avrebbe potuto portar via. Insomma, ti ho visto, Boromir. Ho visto che cadevi e l'idea mi ha terrorizzata.»

Lui rimase in silenzio, il viso indurito da chissà quale pensiero. «Hai visto la mia morte?»

«Credo di sì. Io...» Inspirò profondamente, nascondendo il viso tra le mani; poi prese coraggio e gli raccontò del sogno, senza omettere alcun particolare.

Boromir ascoltava, gli occhi fissi sui suoi, mentre dentro di lui si muovevano timore, orgoglio e molte altre emozioni. Quando la donna terminò, lui sorrise e le strinse le mani. «Non devi aver paura, Brethil. Morire in guerra non è un disonore, né mi spaventa. Se serve per restituire a Gondor la sua pace, allora sono pronto.»

«Continui ad essere egoista, se pensi che morire non sia un male.» ribatté lei. «C'è chi ti ama, Boromir. Non pensi a loro?»

«Costantemente.» Le accarezzò una guancia, rassicurandola. «Ma sono maturi abbastanza da capire il pericolo che corro. Nessuno andrebbe in guerra per difendere la propria patria se si pensasse alla famiglia che si lascia a casa. Hai mai avuto paura che Aragorn, o qualcuno dei Raminghi morisse? Tuo padre, per esempio?»

«Ho temuto ogni giorno per la loro vita, oltre che per la mia. Non sono una donna che non teme la morte, Boromir, e so bene cosa significhi mettere in pericolo la propria salvezza per quella degli altri. Lo capii anche quando mio padre morì. Ma ciò non implica che l'abbia accettato con leggerezza, né che non abbia mai sentito la sua mancanza.»

L'Uomo sospirò e scosse il capo, senza capire. «Allora dimmi, perché sei venuta qui? Per darmi il tempo di salutare i miei cari, con la consapevolezza che probabilmente non tornerò a casa? O che rimanga tra la sicurezza della Cittadella, sperando che la guerra non la raggiunga?»

«Voglio starti accanto, Boromir. Come ho fatto in quei giorni, come ho promesso ad Aragorn e a me stessa. Non mi sono perdonata facilmente di averti lasciato, solo perché sono stata troppo codarda da non riuscire ad affrontare i miei problemi. Voglio combattere al tuo fianco e sostenerti, Boromir. Permettimi di farlo.»

«Non ho bisogno di una bambinaia, Brethil.»

«Non è questo che voglio essere, infatti.»

«Ma è ciò che farai. Perché tu sai quando accadrà, come e dove. E vorrai essere lì per tentare di salvarmi, ancora una volta.» Boromir si alzò dal letto, contrariato. «Questo sarebbe disonorevole, per me, Brethil. Se è il mio destino soccombere innanzi alle mura della mia città lo accetto. Non c'è nessuna profezia che parli della mia salvezza, niente che mi possa impedire di morire. E non sarai tu a ridicolizzarmi davanti ai miei soldati.»

La donna non riuscì a credere a quelle parole. Limitava tutto davvero ad una mera questione di orgoglio? «Ma non capisci?» esclamò, le lacrime che tornavano a bagnarle gli occhi e il viso sfregiato. «Voglio starti accanto quando accadrà, se mai accadrà! Voglio che abbia una persona vicino, non l'alito di un Orco che non aspetta altro se non strapparti la pelle dal corpo per il piacere della sua gola!»

Boromir raggelò sul posto. E poi capì, rabbrividendo di raccapriccio. «Tuo padre...»

«Mio padre morì da solo, senza che gli fossi accanto.» disse atona, asciugandosi le lacrime con rabbia. «Trovarono il suo corpo mutilato dai morsi due giorni dopo. Non era rimasto altro che ossa e vestiti. E io non ero con lui, né io né nessun altro.»

«Mi dispiace.» sussurrò, avvicinandosi nuovamente a lei e comprendendo ora cosa la preoccupasse maggiormente. «Brethil, mi dispiace davvero.»

«Smettila di dispiacerti.» sbottò lei. «Dammi solo il permesso di combattere al tuo fianco. Se non vorrai, lo accetterò.»

«Così sia, se è ciò che desideri. Perché anche io vorrei averti accanto, Brethil. La tua presenza è di grande conforto per me, dovresti saperlo, ormai. E sono felice che tu sia qui.»

Quelle parole e quella voce ebbero il potere di tranquillizzarla e un sorriso disteso apparve sul suo viso martoriato. «Grazie, Boromir.»

Lui scosse il capo. «Non sei tu quella che deve ringraziare nessuno. Ora però riposa, ti ho stancata fin troppo, e ti chiedo perdono. Magari questa notte cenerai qui, se non ti senti in forze per unirti al mio tavolo, ma vorrei che domani ti rimettessi un poco. Vorrei presentare a mio padre la donna che ha salvato la vita di suo figlio.»

«Ne sarei onorata, ma non credo di avere gli abiti né il portamento per pranzare con un Uomo importante come tuo padre.» rispose lei, sentendosi in imbarazzo. Aveva pranzato molte volte con Re Théoden, ma egli era una persona benevola e gentile, che non badava all'abbigliamento né ai modi dei suoi commensali. Ma sire Denethor, per quanto sapesse poco di lui, era di tutt'altra famiglia: era amato, rispettato e temuto anche, Uomo saggio e abile stratega, furbo e sveglio nonostante l'età che avanzava. Cosa avrebbe pensato di una donna con quel volto orribile, che al solo pensare di indossare un abito inciampava sui propri piedi e temeva di aprire bocca per non risultare scortese?

«Mio padre può sembrare severo e incutere timore, ma non metterà a disagio la mia salvatrice.» E aggiunse con un sorriso: «E poi, ci sarò io a proteggerti dalla sua lingua. E anche Gandalf.»

«Il Mezzuomo?»

«Lui solitamente si reca alla mensa della Terza Compagnia della Cittadella, dove mi ha detto si sia fatto alcune amicizie. Non credo si unirà con noi, parleremo prevalentemente di guerra e non voglio abbassare ulteriormente il suo morale con piani di difesa e quant'altro. Ora riposa, anche se non mi hai ancora spiegato come ti sia ridotta in questo stato.»

Brethil arrossì. «Ho cavalcato tanto e mangiato poco.»

«Ottima ricetta dopo aver combattuto due battaglie.» commentò con ironia l'Uomo. Si chinò su di lei, dandole un bacio sulla fronte. «Dormi ora, e mangia appena senti il bisogno. Mandami a chiamare per qualsiasi motivo, d'accordo?»

Lei annuì, coprendosi fin sopra le spalle con la calda coperta in lana. Lo guardò uscire dalla stanza e chiuse gli occhi, ora più serena.

Quando Boromir lasciò l'edificio, notò che Pipino fosse rimasto da solo e si sedette accanto a lui. Lo trovò incredibilmente tenero, con quel viso perso e triste e le corte gambe che dondolavano nel vuoto, sebbene quella panca fosse bassa anche per un Uomo.

Appena lo Hobbit lo scorse lo salutò con un gran sorriso. «Boromir! Come sta la nostra amica?»

«Bene, direi; ma è molto stanca, ancora. Mi ha chiesto se cenerai con lei, questa notte. Ne sarebbe felice.»

«Davvero?» domandò, stupito e contento lo Hobbit.

In realtà no, non era vero. Ma Boromir voleva che Brethil avesse un po' di compagnia, e non immaginava nessuno migliore di Pipino per metterla un poco di buon umore. «Sì, messer Hobbit. Questa notte la affido a te, mi raccomando.»

«Sono lo scudiero di sire Denethor, non dimenticartelo.» ammiccò lo Hobbit, facendolo sorridere. Ma ogni riso fu interrotto dal gelo improvviso che li pietrificò sui loro posti. Conoscevano bene quel grido, Pipino soprattutto. Non aveva dimenticato il terrore che si diffondeva per tutto il suo corpo e che lo portava solo ad accasciarsi in terra, coprendosi le orecchie.

«I Nazgûl! È già giunta l'ora?» si domandò Boromir, paralizzato da quelle grida acute. Erano in cinque e sui loro giganteschi destrieri alati roteavano sui Campi del Pelennor, come avvoltoi attratti dalle carcasse. Vide dei puntini neri che si muovevano velocemente e capì che fossero dei cavalli. Il sangue gli si gelò nelle vene. «Faramir!» gridò, dopo aver udito il suono della sua tromba richiamare aiuto.

«Gandalf! Dove è Gandalf?» esclamò Pipino, terrorizzato. E come se invocandolo avesse avuto il potere di comparire, una figura bianca e splendente si avvicinò di gran carriera ai cavalieri, e una luce si sprigionò contro quelle ombre di morte. Udirono un ultimo grido straziato e la voce del Cavaliere Bianco riecheggiare potente per tutti i campi. Gandalf era riuscito ad allontanarli.

Quando Pipino si voltò per cercare Boromir, l'Uomo era già sparito, diretto verso la Cittadella in attesa del ritorno del fratello.

 

 

 

 

*

 

Grazie a tutti i lettori!

A presto,

Marta.

   
 
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