Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Shomer    13/05/2012    3 recensioni
Demetrio e Nadia sono amici da tanto tempo e hanno ingenuamente pensato che niente e nessuno potesse dividerli. Allora cos’è successo? Perché sono arrivati a questo punto? Dove hanno sbagliato?
A tre anni da allora posso affermare con certezza che se fossi stata meno egoista e più coraggiosa probabilmente avremmo sofferto di meno, ma posso dire con altrettanta sicurezza che se ti avessi ascoltato e se avessi aperto gli occhi, se non avessi infranto le regole e se neanche tu le avessi infrante, sicuramente sarebbe finita allo stesso modo.
Questa storia si è classificata prima e ha vinto i premi giuria, miglior personaggio femminile, pairing e stile al contest "Love (never) fails - quando anche Cupido sbaglia" di Flaren97.
Seconda classificata al contest "Le sfumature del dolore" di phoenix_esmeralda.
[REVISIONATA]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<    >>
Questa storia è tra le Storie Scelte del sito.
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo cinque

 

Le vie del mondo ti sono aperte, tanto hai le spalle sempre coperte
ed avrai sempre una scusa buona per rifiutarla.
Per rifiutare sei stata un genio sprecando il tempo a rifiutare me
ma non c'è un alibi non c'è un rimedio se guardo bene no non c'è un perché. […]
quando sei dentro vuoi esser fuori cercando sempre i passati amori ed hai annullato tutti fuori che te,
ma io qui ti inchiodo a quei tuoi pensieri, quei quattro stracci in cui hai buttato ieri
persa a cercar per sempre quello che non c’è.

Quattro Stracci – Francesco Guccini

 


 

 

Quando entrai in casa, il giorno dopo, mi travolgesti come un uragano. Avevi i pugni stretti e lo sguardo feroce e io non ebbi neanche il tempo di rendermi conto che eri lì, davanti a me, vestito per metà e che probabilmente volevi dirmi qualcosa dopo quattro giorni di silenzio totale, che tu avevi già cominciato ad urlarmi contro, con una faccia che non ti avevo mai visto, con una ferocia di cui pensavo non fossi capace. Avevi la camicia sbottonata e dal tuo collo pendeva la mia collana, quella con la chiave. Probabilmente avevi dimenticato di nasconderla.
«Da quando ti comporti come una ragazzina stupida?» gridasti. «Non capisco proprio chi credi di essere, non sei mai stata così arrogante e presuntuosa. Che senso aveva dire quelle cose a Marlene? Che cosa ti ha fatto?»
Ti guardai un po’, sbigottita per quello sfogo che da te non mi sarei mai aspettata. Lei non sarebbe dovuta venire ad importunarmi in quel modo eppure tu te la stavi prendendo con me.
«Che ti importa?» ti chiesi. «Ho solo risposto alle sue domande. Non mi verrai a dire che tieni a lei?»
«Non è affar tuo sapere a chi tengo io» ringhiasti. «Hai perso il diritto di conoscere gli affari miei molto tempo fa.»
Non mi scomposi. In condizioni normali quelle parole mi avrebbero ferita come una coltellata, ma in quel momento ero talmente arrabbiata che avrei potuto resistere a qualsiasi tua cattiveria.
«Io lo so perché continui a vederla» rivelai, facendo sfoggio di un coraggio che non credevo di possedere. «Continui a vederla per ripicca verso di me. Lei è solo una povera illusa e tu la stai usando. Sei squallido.»
«Sei egocentrica e fastidiosa» sibilasti. «Davvero credi che tutto quello che faccio sia in funzione tua? Prima mi baci e mi dici che devo far finta di niente e dopo ti comporti da fidanzata gelosa, ti comporti come se tra me e te ci fosse qualcosa. Devi deciderti, Nadia, io non ho intenzione di stare dietro ai tuoi capricci.»
«Non ti ho mai chiesto di farlo» risposi, punta sul vivo. «Ma non comportarti come se fossi superiore a queste cose, Dem, perché non mi sembravi dispiaciuto mentre ti baciavo. E hai la mia collana al collo.»
Sussultasti, per la prima volta da quando ti conoscevo. Non mi sentivo vincitrice, però: mi sentivo sporca. Non ero capace di rendermi meschina, come facevi tu, senza sentirmi in colpa.
Abbassasti la testa per guardare il ciondolo e con rabbia te lo staccasti dal collo, gettandolo ai miei piedi.
«Una volta era mio» ringhiasti. «Non avresti dovuto togliertelo. Ma non mi interessa. L’importante è che tu capisca che io ho una vita nella quale tu non condizioni ogni cosa.»
Ancora una volta sapevamo entrambi che stavi mentendo e io lo sapevo più di te; non avresti mai ammesso che molte delle tue azioni fossero in funzione mia, né io volevo fartelo ammettere, perché avrebbe significato arrivare ad un punto in cui sarebbe stato impossibile tornare indietro. Volevo solo che tu capissi che non avresti dovuto comportarti come se io contassi meno di zero, perché ogni tuo gesto e ogni tua parola dimostrava il contrario. Raccolsi il ciondolo da terra e me lo rimisi al collo, dove avrebbe dovuto stare, in modo da averti sempre con me. Sapevo che durante la mia assenza l’avevi preso per lo stesso motivo ma non te lo feci notare, perché sapevi che io l’avevo capito.
«Mi hai detto che dovevo far finta che tu non mi abbia baciato» dicesti, quando ti rendesti conto che io non ti avrei risposto. «Perché sei ancora innamorata di lui, vero?»
Distolsi lo sguardo. Non mi avevi mai chiesto una cosa del genere e io non ero pronta a risponderti con sincerità. Non riuscivo a far luce alla marea di sentimenti che mi inondava l’animo e la testa, ma almeno una cosa la sapevo: non dovevo cedere.
«Sì» risposi, dopo un po’.
Mi guardasti con l’espressione più inquietante e che io avessi mai visto. «Hai esitato» dicesti, con un sorriso storto. «Il giorno in cui sei tornata a casa mi hai detto di essere innamorata di lui senza pensarci due volte. Ora hai esitato.»
«Questo non significa niente» risposi, conscia del fatto che invece significava tutto. «Non importa quanto io abbia impiegato a rispondere, l’importante è ciò che ho risposto. Sono ancora innamorata di lui, nonostante tutto.»
«Non dici neanche il suo nome» sussurrasti. «Vuoi farmi credere di essere innamorata di uno di cui non riesci neanche a dire il nome ad alta voce? Ti ha trattato come una pezza vecchia. Non posso credere a quello che dici.»
«Il fatto che io sia innamorata di lui o no non cambia nulla.»
«Sei come un libro aperto per me» sussurrasti. «Non conta ciò che mi dici. Io so quello che pensi.»
Rabbrividii. C’è stato un periodo nella mia vita in cui le parole mi rimanevano strozzate in gola e tutto ciò che volevo era che le persone capissero ciò che stessi pensando senza il bisogno che fossi io a dirglielo. A quei tempi, invece, facevo di tutto per fare in modo che tu non capissi quali fossero i sentimenti che neanche io avevo ben chiari.
«E sentiamo» dissi, con aria di sfida. «Cosa starei pensando?»
«Stai pensando che quello non era solo un bacio» sibilasti, facendoti sempre più vicino a me mentre sentivo le mie viscere contorcersi. «E hai paura.»
Assottigliai gli occhi, furente di rabbia per essere stata scoperta, perché tu avevi detto esattamente quello che io pensavo da giorni. Non l’avrei mai ammesso. «Forse è il caso che torni con i piedi per terra» dissi.
Sorridesti con un amarezza che non ti avevo mai visto. Quella sensazione di inquietudine che non provavo da tempo nel guardarti ritornò, più forte che mai, più forte di quella che provai il giorno della mia partenza quando mi dicesti di restare.
«Sei cambiata, Nadia» dicesti, senza guardarmi. Ti accendesti una sigaretta e ti affacciasti alla finestra, dandomi le spalle. «Sei debole. Un tempo non eri così.»
«Siamo cambiati entrambi» sussurrai, percorrendo con lo sguardo la linea della tua schiena, ben visibile anche da sotto la camicia.
«Io non sono cambiato» dicesti, deciso. «Quando voglio qualcosa me la prendo. L’ho sempre fatto e lo farò anche questa volta. Quando ti ho conosciuta, quattro anni fa, anche tu eri così. Ora invece aspetti che qualcosa o qualcuno faccia il lavoro sporco per te. Tu non sei innamorata di Marc: la tua è un’ossessione. Sei ossessionata da lui perché ti ha umiliata. Stai solo aspettando che in qualche modo se ne vada dalla tua testa, perché tu non sei capace di scacciarlo, perché non puoi fare niente per curare il tuo orgoglio.»
Sussultai quando pronunciasti il suo nome. «Non eri così chiacchierone, prima che partissi» dissi, ignorando tutto ciò che avevi detto perché ammettere che avevi ragione mi faceva troppo male.
«Tu non sei mai stata così silenziosa, invece» sussurrasti, sempre dandomi le spalle. «Avrei voluto che le cose andassero diversamente.»
Sapevo che non ti riferivi a ciò che non ti dicevo e che comunque non ti avevo mai detto. Nonostante cercassi in tutti i modi di restare da sola nella mia bolla, nonostante provassi e riprovassi a fare in modo che tu non decifrassi ogni mio singolo pensiero, tu mi leggevi sempre; anche se ero silenziosa, come dicevi tu, alla fine ce la facevi. Mi resi conto che probabilmente non eri tu a non volermi far entrare nel tuo mondo, ma ero io a tirarmi indietro, perché avevo paura.
Durante tutti i momenti passati con te, sapevi sempre ciò che mi passava per la testa. Perché ormai ti eri abituato a capirmi.
Io, invece, non ero capace di capirti con un semplice sguardo. Tu non me l’avevi mai permesso.
In quel momento capii che erano successe troppe cose, che avevamo detto troppe parole sbagliate e avevamo tenuto dentro quelle che invece avremmo dovuto dire; capii veramente che dopo tutto quello che era successo, io e te ci facevamo male a vicenda solo guardandoci, ma non avremmo mai potuto fare a meno l’uno dell’altro.
«Dem» ti chiamai, e tu ti voltasti verso di me. «Credi che riusciremo mai a superarlo? Tutto questo, intendo,»
Non mi rispondesti. Ti avvicinasti a me e mi prendesti per le spalle. Poi mi baciasti. Non ci fu l’attimo in cui i visi si avvicinano timorosi e gli occhi si chiudono piano, in cui le mani si sfiorano e il respiro si fa più pesante. Posasti le tue labbra sulle mie velocemente e con forza, dandomi un bacio prepotente e disperato.
Non mi opposi. Sapevo che non avrei dovuto farlo, sapevo che questo, il nostro secondo bacio, era il punto di non ritorno. Ma avevo capito che non aveva senso resisterti, avevo capito che più ti respingevo, più mi incatenavo a te. E mi incatenavo a te così tanto che non avrei più potuto tornare indietro, così tanto che i tuoi sbagli diventavano i miei sbagli, le tue paure diventavano le nostre paure, i tuoi difetti diventavano solo miei.

 

 

«Che cosa apre quella chiave che porti al collo?»
«Eh?»
«Hai un ciondolo con una chiave. Le chiavi di solito servono per aprire qualcosa. Quella che cosa apre?»
«Stai cercando di fare del romanticismo su una stupida collana? Non apre proprio un bel niente. E’ solo un ciondolo.»
«E chi te l’ha dato?»
«Non ne ho idea. Ce l’ho da quando ero bambino. Forse i miei genitori o qualche parente, non mi ricordo. Non mi è mai interessato.»
«A me interesserebbe sapere da dove viene qualcosa che porto sempre. Altrimenti non ha significato.»
«Io la porto per abitudine. Non mi interessano i significati nascosti.»
«Se lo dici tu…»
«Senti, facciamo così: questa stramaledetta collana la prendi tu, così potrai portarla
conoscendo l’identità di chi te l’ha data e potrai attribuirgli tutti i significati che vuoi.»

 

   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Shomer