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Autore: schwarzlight    14/05/2012    2 recensioni
*Ambientato nello stesso universo di The Heir of the Dragons, ma leggibile indipendentemente*
“Dicono che ci sia un regno oltre le nuvole, il regno dei nostri avi, della nostra specie. Un giorno ti ci porterò, troverò il modo. E non saremo più soli.”
La fine di una guerra, due draghi, gli ultimi, un bambino.
E poi una guardia, un ballo a corte, Lei, il vento.
“È venuto a prendermi.”
[Quarta classificata al contest [Original Scene 2] Il Sonno e... l'Inchino, indetto sul forum degli Original Concorsi e valutato da Harriet]
Genere: Fantasy, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Heir'
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“Dicono che ci sia un regno oltre le nuvole, il regno dei nostri avi, della nostra stirpe.
Pare che l’abbiano sigillato secoli e secoli fa, in seguito a una guerra con gli umani.
Poi il passaggio è stato aperto di nuovo, ma solo per richiamare gli altri rimasti indietro.”
“E noi? Perché noi siamo ancora qui?
Ci hanno dimenticati? Non ci volevano?”
“…Un giorno ti ci porterò, troverò il modo.
E non saremo più soli.”



Nei suoi quasi trent’anni di vita, mai più gli era capitato di trovarsi di fronte a una scena così dolce, così triste.
Era ancora un bambino quando la guerra imperversava ancora attorno a Varadiél, capitale di un impero in rovina. Una guerra inutile e senza scopo, come quelle che l’avevano preceduta, come quelle che sarebbero venute. Era nato durante il conflitto, e non conosceva né comprendeva altre realtà.
Eppure, un giorno la guerra finì. E di quell’ultimo giorno, più che la gioia e l’euforia di una nuova vita, di un nuovo mondo, gli rimase impressa solo la disperazione e l’agonia di quella creatura così fiera, così potente e orgogliosa.
Sotto lo sguardo incredulo e atterrito della popolazione e dei soldati superstiti, sotto l’ultima cinta muraria rimasta intatta, lì giacevano i corpi degli ultimi due draghi rimasti al mondo. Uno di essi era riverso su un fianco, stremato dalla lotta per la difesa della sua città.
Era stanco, così stanco…
L’altro rimaneva accucciato accanto a lui, ascoltando mesto il rantolo sofferente che accompagnava ogni suo respiro, sempre più faticoso, sempre più lento.

“Un giorno verrò a prenderti.”

E poi il silenzio.
Il compagno lo smosse, sollevò una sua ala con il muso, solo per vederla ricadere inerte.
Per lunghi attimi rimase immobile a guardarlo, prima di allargare le ali argentee e ricoprirlo con esse, chinando il muso sul suo corpo.
Era rimasto solo.

E lui, ancora bambino, pianse per loro, pianse per coloro che non erano sopravvissuti e per chi era rimasto solo. E pianse per sé stesso, perché non poteva fare nulla. Sapeva solamente osservare, solamente versare le proprie lacrime per quella creatura devastata da un dolore che non aveva mai visto, un dolore silenzioso e lacerante, che sapeva di solitudine e incredulità.
Il drago rimase immobile per giorni, mentre il cadavere dell’altro si cristallizzava. E lui tornava ogni volta, credendo di alleviare il suo senso di abbandono.

Dopo la decima alba di immobilità, la sua vita cambiò.
All’improvviso, il drago si sollevò sulle possenti zampe posteriori, sgranchendo le ali e distendendole in tutta la loro ampiezza, e spalancò le fauci, urlando al cielo la sua furia. Un misto di rabbia e dolore che fece tremare la terra, terrorizzando l’intera vallata, rimbombando feroce nel torace, invadendo l’anima.
Sempre ruggendo, il drago piombò sulle zampe anteriori, frustando l’aria con la coda e dimenando le ali come impazzito.
L’urlo andò scemando.
Il bambino, stordito dalla voce della creatura, pensò che forse si stava calmando, ma pian piano si rendeva conto che un timbro diverso si stava gradualmente sovrapponendo allo sfogo. Il drago cambiava forma: le dimensioni si riducevano sempre più, le scaglie scomparivano, riassorbite dalla pelle, le ali si ritiravano, così come la coda. La cresta pungente si trasformò in morbide ciocche e gli artigli si ridussero fino a diventare innocui. Candida pelle aveva sostituito la coriacea corazzatura del drago, e ora era una voce femminile a levarsi al cielo, fino a morirle in gola.
Davanti a lui era comparsa una donna, rannicchiata su se stessa, la testa fra le mani, coperte da lunghi capelli ambrati. Non aveva abiti, non aveva lacrime.
Lui prese coraggio e le si avvicinò, posandole il mantello sdrucito sulle spalle.
Occhi di ghiaccio si fissarono nei suoi.

“Resterò io con te.”




Ray fece scorrere lo sguardo sugli invitati, senza soffermarsi su nessuno, ma analizzandoli tutti. La nobiltà era sopravvissuta. La nobiltà sopravviveva sempre.
Erano peggio delle erbacce… difficili da sradicare.
Spostò la sua attenzione oltre le coppie danzanti che occupavano il centro del salone, vagando senza una precisa ragione in mezzo a quegli altezzosi lord e le loro vanitose dame che esponevano orgogliose i loro gioielli, perdendosi in chiacchiere frivole sulle ultime mode di corte.
Incontrò il gruppo di cortigiane e nobili di alto rango che attorniavano in modo casuale il giovane sovrano e il suo interlocutore, qualcuno di molto, molto importante. E altrettanto poco interessante.
E poi c’era lei.
In vent’anni, lei non era cambiata affatto. Sempre gli stessi capelli color castano dai caldi riflessi ambrati, sempre gli stessi occhi gelidi del colore del cielo. Immutabile. Vuota.
Niente cambiava in lei, né il suo aspetto né la sua espressione. Come una bambola di vetro, osservava il mondo passarle davanti, mentre la storia si srotolava ai suoi piedi senza che ciò la toccasse minimamente.
Tutto le scivolava addosso senza fare la minima presa.
Non aveva più riassunto il suo vero aspetto.
Come aveva promesso, era rimasto al suo fianco, osservando il sonno in cui era piombata, senza sapere come salvarla. Non era più un bambino, ma cosa era cambiato? Di nuovo, si sentiva inutile.
E quindi ecco che si limitava a proteggerla, come sua guardia personale, senza poterle però stare accanto.
Il suo posto era accanto a una parete, fuori da una stanza, a capo della scorta a cavallo, al tavolo dei nobili di basso rango. Gli unici degni di stare al fianco della divinità di Varadiél, l’ultimo drago, appartenevano alla famiglia reale.
E così, Ray continuava a osservare da lontano, ancora una volta.

Verso sera, una raffica di vento scosse i vetri di una delle grandi finestre del salone, facendo sobbalzare gli invitati che vi si trovavano accanto, senza però allarmarli troppo.
In seguito di furono altri tremiti, sempre più forti, sempre più furiosi, finché il frastuono delle vibrazioni non soverchiarono la musica degli orchestranti. Furono chiamati dei soldati e dei maghi, per paura di un attacco nemico, e tutti si allontanarono dalle finestre, terrorizzati da quell’improvvisa violenza di un vento che si era sempre dimostrato mite a Varadiél.
Un ultimo colpo frantumò i vetri in mille frammenti che invasero il salone, graffiando e strappando abiti, venendo trasportati fino al soffitto e poi dritti verso il re. Ma non era lui che volevano.
Raggiunsero lei, senza però sfiorarla, vorticando attorno al suo corpo in una brezza resasi lieve, come un sospiro, una carezza. Il vento si immergeva fra i suoi capelli intrecciati, smuoveva il suo candido abito, un sussurro solleticarle l’udito, mentre frammenti lucenti danzavano attorno la sua figura.
Poi qualcosa cambiò.
Ray vide i suoi occhi risplendere nuovamente di luce, vedere di nuovo.

I vetri ricaddero a terra.
Lei cominciò a correre verso la grande terrazza che costituiva una continuazione del salone, liberandosi dei pesanti gioielli e dei fermagli di pietre preziose, accompagnata dal vento.
Corse fino al parapetto, sul quale si riversò per guardare al di sotto.

- Aspetta!

Si voltò a guardare Ray, fermo a pochi passi da lei.

- Cosa vuoi fare?

Continuò a osservarlo per diversi istanti con un’espressione incerta sul bel viso, per poi mutare in una smorfia che per un attimo si sovrappose all’immagine di lei china sul compagno. Poi si voltò e là, in piedi sulla balaustra, c’era lui, con il suo portamento fiero, i capelli del color del grano e la mano tesa nella sua direzione.

- È venuto a prendermi. – disse con voce rotta.

Salì senza difficoltà sul parapetto, e quando si girò ad affrontare Ray, non c’era più traccia né della bambola vuota, né della disperazione di quella prima volta in cui si erano incontrati.

- Ho vissuto a lungo, anche troppo. Lasciami andare.

La schiena dritta, lo sguardo fermo, il sorriso sicuro incorniciato dai capelli fluenti, liberi.

- Mi spiace solo di non poterti restituire le lacrime che hai pianto per me.

Non rispose. Non c’erano parole che potesse pronunciare senza trovarle inadatte o sciocche.
Così portò la mano destra al petto e chinò la testa, in segno di saluto e rispetto.
Il drago piegò le labbra in un sorriso più dolce e s’inchinò a sua volta, prima di compiere un passo nel vuoto e scomparire alla vista tra le urla e i sussulti delle varie persone che nel frattempo erano accorse.
Ma dal basso salì una corrente ascensionale, prima flebile, poi sempre più potente. E tra lo stupore di tutti, due enormi figure alate sfrecciarono verso il cielo, lasciando dietro di sé una scia di luce.

Ray rialzò la testa. Il vento era morto.





Continuarono a volare, forzando le poderose ali per ottenere più potenza.
Volarono più in alto di quanto non avessero mai fatto.
Volarono oltre le nuvole, volarono oltre le stelle.
Poi il cielo si aprì.
“Siamo a casa.”


















Salve a tutti, grazie per aver letto questa storia imperfetta!=)
Si è classificata quarta al contest [Original Scene 2] Il Sonno e... l'Inchino, indetto sul forum degli Original Concorsi e valutato da Harriet.
Bisognava inserire nella storia due scene, una riguardante l'azione del sonno (riposo, eterno, o anche il momento del risveglio, ecc...) e una un inchino.
In questa storia sono presenti due volte entrambe le scene, all'inizio, con il sonno eterno di uno dei due draghi e l'inchino dell'altro sul cadavere del compagno, e alla fine, con il risveglio dal "sonno del cuore" di Lei e l'inchino di congedo di Ray e, di nuovo, Lei.

Come già scritto nell'introduzione, questa storia è ambientata nello stesso universo di una long attualmente in corso, The Heir of the Dragons, ma totalmente slegata riguardo a personaggi e assetto temporale... anzi, direi che è enormemente successiva XD

Non credo di aver altro da dire, per cui... grazie di nuovo di esser passati e lasciatemi pure un vostro commentino, mi fareste molto, ma molto felice!=D
   
 
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