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Autore: Lory402    28/05/2012    1 recensioni
Non sono molto sicura che sia noir, ma la categoria dark non c'era. È la prima volta che scrivo in questo genere, questo è un testo ideato per l'ultima verifica dell'anno: tema libero. Dopo aver fatto giurare 2 volte al mio prof di non parlare a mia madre delle idee che mi vengono gli ho strappato il permesso di portarmelo a casa per un giorno. Alcune parti le ho leggermente modificate.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA RIVINCITA DELLA LUNA

 

Da sempre il sole è stato il più gradito occupante del cielo. Con la sua luce ed il suo calore ha sempre ispirato all’ umanità i più bei miti. Quest’ astro brilla di luce propria e sveglia il mondo. Ma la luna, non è stata spesso anche lei, protagonista di splendide leggende? Certo, eppure l’ oscurità che l’ accompagna nel cielo è sempre stata motivo di disagio per l’ uomo, che ne sminuisce l’ importanza, dimentico che è la luna da secoli spettatrice silenziosa di fughe dolorose e di amanti ripudiati. Il sole non può vantare la stessa lealtà, esso non si cura di ciò che svela con la sua luce. È vero che il sole dà vita, eppure a me non è mai capitato di elogiarne le proprietà benevole, al contrario, ho sempre preferito la luna, che, con il suo tenue bagliore, vince l’ oscurità, accompagnandola. La madre del cielo è sempre presente per l’ ingrata umanità, donandole, da filantropa, la via di fuga che questa agogna e trova sola nell’ incoscienza portata dal sonno.

Io? Io ho smesso di sognare ormai da tempo, ma la luna, mia eterna e fedele compagna, non mi ha mai abbandonata. Il mio nome non è un’ informazione che posso svelare, il mio lavoro è il più temuto fra tutti, non ne sono orgogliosa, ma sono brava, e nel mio mondo è l’ unica cosa che conta. Perché dalle mie parti, se non si è capaci di fare il proprio mestiere, si può perdere molto più che il posto. Non mi hanno mai presa, ed io sono consapevole del fatto che non è successo solo perché la dea bendata è ancora dalla mia parte.

Il vento mi accarezza le gote con il suo soffio leggero , apro gli occhi, ritrovo coscienza del mio corpo, avverto l’ erbetta appena nata puntellarmi la schiena: sono sdraiata su un prato, non sono addormentata, ma, quando penso, mi estranio dal mondo intero. Per me è un bene. Faccio pressione sui palmi delle mani e riesco a tirare su il busto, mi appoggio sugli avambracci e osservo il cielo: davanti a me una distesa cobalto, mentre il sole infiamma i suoi ultimi raggi alle mie spalle, è ora. Mi alzo e, ancora una volta, punto lo sguardo innanzi a me, i miei occhi ebano scorgono una distesa smeraldo percossa impercettibilmente dalla brezza della sera. Ascolto attenta il sibilo del vento che mi soffia contro. Anche lui mi vuole fermare, ma ormai, la mia vita è questa. Avanzo lentamente, non ho fretta di macchiarmi l’ anima, i miei lunghi capelli biondi vengono scossi dall’ aria di maggio, i miei jeans al ginocchio restano immobili, incuranti di Eolo che scatena la sua furia, così anche la mia camicia bianca senza maniche. Ancora cammino abbracciata dal vento, apro le braccia: mi piace la sensazione che lo spirare gelido dell’ aria mi procura, giro su me stessa e i capelli mi aderiscono al viso, ancora un passo, sono arrivata. Salgo le brevi scale, apro la porta, avanzo, presto raggiungo la camera da letto, mi chino e tiro fuori una valigia da sotto il mio giaciglio, la apro e osservo il suo interno, afferro l’ unico capo d’ abbigliamento che stanzia là dentro e, in fretta, lo indosso. Stringo i lacci del corpetto nero e di pelle come i pantaloni, raccatto da sotto il letto anche gli stivali alti, neri come il resto e senza tacco, mi intralcerebbero. Fisso decisa l’ interno della parte superiore della valigia, estraggo da diversi elastici uno stiletto, un coltello serramanico e uno da lancio, indosso i guanti da motociclista e allungo la mano verso l’ unica arma che non può mai mancare nel mio arsenale: un coltello d’ acciaio ben affilato, alla fine dell’ impugnatura nera un teschio d’ argento con due corna, inciso su un lato il nome greco della dea della sapienza, Atena, ogni volta che il sangue sgorga da una ferita e scivola sulla mia lama le chiedo perdono e imploro Ade di accogliere l’ anima di turno senza infliggergli sofferenza alcuna. Infilo tutto nella cintura e vado. Monto sulla mia Onda metallizzata e sfreccio sulle strade già deserte. Il freddo non mi spaventa. La mia destinazione non è un locale molto raccomandabile, ma si lavora bene. Appena arrivata salto giù dalla moto, la accosto al retro del pub ed entro. Mi avvicino subito alla postazione del barman e batto la mano sul piano di legno.

- Hey bellezza, sei qui per il tuo show? - Un uomo di colore, sui trenta, mi si avvicina subito con uno straccio ancora tra le mani.

- No Jake, oggi sono qui solo per lavoro. Yoshy? -

- Te lo chiamo - Si allontana. Un uomo spunta poco dopo da dove era sparito prima l’ altro. Anche il suo aspetto è viscido quanto lui: capelli neri gelatinati, camicia scura e calzoni in pelle. Mi si avvicina con un ghigno subdolo stampato sulle labbra sottili. Mi appoggia le mani sui fianchi e immediatamente tenta di baciarmi. Gli sbatto entrambe le mani sul petto e, con un colpo secco, lo allontano.

- La prossima volta che provi a toccarmi ti rompo un braccio - Preciso. Sembra intimorito: sa che lo farei; in breve, però, recupera la sua proverbiale baldanza e risponde:

- Ok piccola, speravo di poter giocare un po’ con te in ricordo dei vecchi tempi ma, evidentemente, sbagliavo. Andiamo di là - Lo seguo in un tugurio che si atteggia a ufficio. Mi fa cenno di sedermi ma rifiuto, si accomoda dietro la “scrivania” e fa scivolare una foto fino a me. La osservo un paio di secondi: ritrae un uomo sui quarant’ anni, bianco, apparentemente alto 1.70, si capisce dagli oggetti che ha intorno. Rialzo lo sguardo sul mio rivoltante interlocutore mettendomi in tasca la foto.

- Senza famiglia, caduto in rovina economica. Entro domani mattina, non mi aspetto meno da te -

- Non avrai di meno, ma anche l’ efficienza ha un prezzo - A queste parole l’ uomo tira fuori dalla tasca un sacchettino di velluto nero e me lo lancia.

- Come sempre… Ora vai - Afferro al volo l’ anticipo che mi spetta e gli volto le spalle, mi dirigo verso la porta. Monto sull’ Onda e giro la foto, l’ indirizzo è scritto nero su bianco, mi ci avvio. La luna è alta nel cielo mentre forzo una finestra del primo piano ed entro come una ladra. O peggio… Mi avvio verso il secondo piano di quel moderno castello chiamato casa: di solito le stanze da letto sono lì. Quell’ uomo non deve aver perso tutto da molto se ancora non gli hanno confiscato la casa. Apro una porta, e poi un’ altra, finché non trovo quella giusta. Un uomo è affacciato a una grande finestra, dà le spalle a un letto disfatto. Quando entro si volta, mi stupisce l’ espressione di dolore che mostrano i suoi occhi come se, insieme ai soldi, avesse perso anche la gioia per la vita. È una cosa che mi disgusta. Rallento il respiro fino a normalizzarlo, ma il cuore mi batte all’ impazzata nel petto. Non mi chiedo perché è proprio lui la mia vittima, non lo faccio mai. Avvicino lentamente la mano al fianco.

- Ho un regalo per te - La mia voce è bassa e innocente. I suoi occhi rimangono spenti e dolenti, afferro il manico del coltello da lancio e con un movimento veloce della mano lo estraggo dalla fodera e riesco a conficcarlo nel petto dell’ uomo, ventricolo sinistro. Un rantolo soffocato fugge dalle sue labbra semiaperte. Aggiro il letto e mi dirigo verso il corpo accasciato al suolo. M’inginocchio innanzi a lui. Con l’ indice sinistro gli sollevo il viso trasfigurato dal dolore e guardo il suo petto, produco una moltitudine di S zittendo i suoi gemiti di dolore. Estraggo il coltellino dal suo petto e afferro il manico del coltello col teschio, velocemente lo ficco al centro del cuore dell’ uomo, non è ancora morto. Un rivolo del suo sangue mi percorre il braccio estremamente lento, estraggo anche questo pugnale, un liquido vermiglio sgorga copioso dalla ferita. Osservo il pugnale, ora rosso, alla luce bianca della luna, me lo porto alle labbra e passo la lingua sulla lama, non curandomi del filo tagliente che mi accarezza maligno. Chiudo gli occhi, assaporando a pieno il gusto metallico di quel nettare diabolico. Ripongo il pugnale e abbraccio l’ uomo, consolandolo; mentre si spegne nell’ agonia, lo guardo negli occhi, il suo sguardo sembra molto più sereno ora che quando la vita gli animava le membra. Lo lascio steso di fianco al suo letto, gli accarezzo le palpebre con l’ indice e il medio, così da chiudergliele. Il mio cuore smette di battere furiosamente nel petto e si normalizza. Mi alzo, me ne vado. Questa è la mia vita. Vissuta all’ ombra della luna.  

 

  
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