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Autore: lames76    29/05/2012    0 recensioni
Seconda storia di questa stramba serie. Decisamente meno rossa della prima (anche se stento a pensare alla prima come rossa, era più arancio scuro). Alla fien di questo racconto i miei personaggi hanno deciso di fare una cosa che non pensavo facessero, ma capita così quando la fantasia decide di partire per la tangente.
Comunque, il racconto verte sul seguire gli ordini e sulla follia di pochi che causa tragedie.
Genere: Dark, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Cronache dal Fronte'
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Diario dal Fronte 2

Eseguivamo solo degli ordini


Si abbassò più velocemente possibile o almeno, alla massima velocità che la tuta spaziale gli permetteva. L’esplosione avvenne sopra la sua testa, di pochi centimetri.
Una pioggia di frammenti di roccia gli cadde sul casco, scrosciando come una cascata di gocce di pioggia.
Per un istante, un lunghissimo interminabile istante, pensò a come doveva essere la pioggia. Non l’aveva mai vista né tanto meno sentita cadere sulla propria testa ma aveva sentito più e più volte i racconti degli anziani ed aveva provato qualcosa di simile all’interno delle serre idroponiche.
Qualcosa di simile perché quando ci era andato con il nonno e le prime gocce di acqua erano cadute sul loro capo si era voltato, nella sua ingenuità di bambino, per condividere quella gioia con l’anziano parente.
Ma sul volto del nonno non aveva visto la gioia, aveva visto amarezza ed aveva capito che la pioggia doveva essere ben diversa.
L’auricolare gli trasmise un forte sibilo, che lo risvegliò dai suoi pensieri.
Ailyn aveva sparato con la sua pistola elettromagnetica.
«Sveglia bambolo se non te ne sei accorto siamo sotto attacco!»
Lui non rispose, si maledisse per la lentezza dei suoi riflessi, mentre estraeva a sua volta la pistola e sparò nella direzione dei nemici.
Non era un soldato.
A dirla tutta non sapeva bene come definirsi.
Aveva ricevuto un addestramento in diversi campi, fisica, ingegneria, chimica, storia, ma anche autodifesa, tattica e strategia.
Sapeva tanto, ma non eccelleva in niente.
Sparò ancora alcuni colpi nella direzione del nemico.
«Cessate il fuoco!», tuonò nel comunicatore Ailyn, «Crisi cessata»
Lui azzardò ad alzarsi nuovamente in piedi, stirandosi. La tuta spaziale lo impacciava, ma oramai ci era abituato.
Per fortuna, ancora una volta, nessuno della sua squadra era rimasto ferito.
«Tom finisci le riparazioni e poi andiamo», bene ora toccava a lui.
Il viaggio di ritorno sull’aereo a spinta vettoriale fu tranquillo.
Senza tute spaziali si stava decisamente meglio.
Senza tute spaziali anche Ailyn era meglio.
Il suo comandante era una bella ragazza, nonostante il suo modo di fare brusco e “militare”.
La conosceva fin dall’infanzia.
Beh conosceva praticamente tutti i suoi coetanei.
Nascere e vivere in un ambiente chiuso e ristretto aiutava molto.
La biosfera Monte Olimpo era la più grande di Ellanus II. Sul pianeta erano presenti sei biosfere e diversi laboratori scientifici.
Si accorse di essersi nuovamente perso nei suoi pensieri.
La sua squadra era nel centro briefing ed Ailyn stava effettuando il rapporto al comandante, lo Zeus. Era necessaria un’impostazione militare, almeno per le squadre, visto che Ellanus non era un posto sicuro. Almeno questo è quello che il loro comandante aveva spiegato.
Ma la situazione stava per migliorare.
O almeno così gli avevano detto.
Entro breve sarebbe arrivata addirittura un vascello stellare a dar loro man forte.
Tom si chiese cosa avesse fatto di male il comandante di tale vascello per meritarsi di essere trasferito lì.
La Alessandro Magno entrò in orbita attorno al planetoide meno di una settimana dopo.
Lo Scooby, il vascello a spinta vettoriale usato durante le missioni diplomatiche fu approntato e, scortato da una squadriglia di caccia, atterrò meno di un’ora dopo nell’hangar della biosfera maggiore del pianeta.
Qui furono ricevuti da un picchetto d’onore in alta uniforme.
Come delegazione, dalla nave, erano scesi il comandante, la sua attendente e due uomini di scorta, i due eroi dell’Unione.
A riceverli l’Ares Ailyn Cross, una bella ragazza molto giovane che indossava una divisa da galà della fanteria ed un drappello di quattro soldati.
Furono condotti senza tanti formalismi fino al centro comando dove conobbero il comandante in capo della colonia, lo Zeus Benjamin Volgon.
L’uomo era la persona più anziana che avevano visto da quando erano sbarcati, indossava una divisa grigio scura un po’ datata ed accanto al simbolo dell’Unione, un pugno chiuso diretto verso il cielo con su sfondo la terra, aveva il simbolo della biosfera, il monte Olimpo sovrastato da una corona di lampi. Il suo modo di muoversi impettito e marziale faceva presagire un carattere autoritario e dispotico.
L’uomo li fece accomodare su delle sedie disposte attorno al tavolo tattico sopra il quale era proiettata una vista tridimensionale del pianeta.
«Vengo subito al dunque», esordì con voce tranquilla ma decisa, «Da quando ci siamo trasferiti qui abbiamo fatto di tutto per diventare indipendenti dal punto di vista del governarci. Ognuna delle nostre biosfere forniva un rappresentante per una consulta con cui decidevamo i modi migliori per governare il pianeta. Ma una decina di mesi fa alcuni residenti della biosfera Nuova Berlino hanno deciso che questo tipo di governo non funzionava e si sono autoproclamati nuovi padroni del pianeta forti del fatto che la loro biosfera era il posto dove alloggiavamo gli armamenti difensivi. Da quel momento si è creato un fronte, quattro biosfere sono con noi ed il governo legittimo, Nuova Berlino e Tre invece si sono schierate contro. E’ guerra aperta»
«Se loro avevano gli armamenti perché non vi hanno ancora distrutto?», il comandante Benson aveva dato voce alla domanda che si facevano tutti.
«La situazione non è così semplice», rispose lo Zeus ghignando, «Loro hanno gli armamenti pesanti, ma noi abbiamo i controlli ambientali ed il controllo degli schermi anti radiazioni»
«Quindi è una guerra di nervi, piccole battaglie combattute tra piccoli drappelli», annuì Kubert, «Vecchia storia»
«Si ma noi giungendo qui abbiamo rotto l’equilibrio», mormorò Colbert, «Ora anche voi avete delle armi e temo che questo spingerà l’altra colonia a fare qualcosa di stupido»
«Bah se lo faranno disattiverò gli schermi anti radiazioni delle loro biosfere», rispose con noncuranza Volgon.
«Ma questo causerebbe la morte di tutti i coloni», esclamò l’attendente Ellis, si accorse che tutti la guardavano ed arrossì.
«Sarebbe solo una colpa loro non mia», continuò lo Zeus.
Tornarono verso lo Scooby sempre scortati dal picchetto d’onore. L’umore non era dei migliori ma nessuno parlava.
«Quel vecchio pomposo ed arrogante!», esplose improvvisamente l’attendente, «Sono sicura che non vedeva l’ora che arrivassimo per poter minacciare gli altri»
«Micol calma», la voce del comandante Benson era tranquilla e paterna, «Hai ragione ma anche le altre due colonie hanno…»
«Secondo i registri, che mi sono premunita di leggere prima di venire, non c’è stato nessun caduto», si rivolse al comandante del drappello, «Dico bene Ares?»
La ragazza a capo della scorta si voltò verso di lei un tantino sorpresa di essere stata interpellata, «Si ha ragione, nessun caduto, solo qualche ferito leggero»
Ellis si voltò verso il comandante compiaciuta, «Ma l’espressione di quel vecchiaccio mi ha fatto capire che sarebbe ben felice di sterminare tutti i suoi avversari»
La ragazza a capo del drappello stava per protestare ma Colbert anticipò ogni domanda, «Cosa ti rende così sicura?»
«Sono laureata a pieni voti in psicologia ed ho un master PSY di terzo livello», era certa delle sue affermazioni e nella sua voce suonava una nota d’orgoglio.
«Questo le permette di leggere le emozioni delle persone e la rende un po’ esuberante», spiegò Benson sorridendo.
La giovane attendente arrossì, nuovamente.
Quando entrarono sul ponte di comando della Alessandro Magno il maggior Hayes si alzò dalla sua postazione raggiungendoli. Era una bella donna dai capelli castano chiari e che indossava in modo impeccabile la sua divisa della marina.
«Pare che la colonia Olimpo abbia dato un ultimatum a Nuova Berlino e Tre, intimando la resa incondizionata e minacciandoli di rappresaglia in caso contrario», la sua voce era professionale ma sembrava non del tutto contenta di quello che stava dicendo.
«Restiamo in attesa», rispose semplicemente il comandante trovando posto nel suo trono.
Il tempo passò lentamente, come sempre quando si aspetta.
La donna aveva analizzato le comunicazioni tutto il tempo, «Comandante abbiamo un aggiornamento, Tre ha accettato al resa mentre Nuova Berlino accetta a condizione di mantenere il controllo degli armamenti», l’attenzione era tutta su di lei, «Lo Zeus di Olimpo ci comanda di colpire la colonia con un colpo di avvertimento»
«Negativo», rispose Benson, «Avvisi Olimpo che non spareremo a nessuno, visto che si sono arresi»
La donna riferì la comunicazione poi la sua fronte si aggrottò, «Ci comunicano che faranno rapporto al comando»
Richard si scrollò le spalle e la cosa fece sorridere sia Colbert che Kubert.
Ci fu un altro lunghissimo momento di attesa.
«Oddio», mormorò Lisa poi tornò professionale, «Visto che Nuova Berlino rifiutava la resa senza condizioni e che noi ci siamo rifiutati di sparare, la colonia Olimpo ha appena spento i suoi scudi antiradiazioni…»
Benson scattò in piedi, «Timoniere ci porti in linea tra la stella di questo sistema e la colonia Nuova Berlino»
Il tenente Ross eseguì e poi si voltò verso il capitano, «Comandante non servirà a nulla, abbiamo solo ritardato di qualche minuto la loro morte»
L’ufficiale comandante si avviò verso l’uscita, «Brows, Kubert venite con me e prendete le armi»
«Ah bene si sparge del sangue», mormorò il sergente, «Mi mancava la cosa…»
Quando le porte stagne dello Scooby si aprirono Richard, Colbert e Kubert si ritrovarono di fronte il drappello che li era venuti a prendere poche ore prima ma stavolta stava puntando loro contro le armi. I due ex volontari fecero lo stesso.
«Ci hanno ordinato di non farvi passare per nessun motivo», la voce dell’Ares non era per nulla sicura.
«Bella, noi passeremo comunque a fianco o sopra di voi», fu la semplice e minacciosa risposta del sergente. Le canne della sua gaitling ad impulsi iniziarono a girare.
Prima che la tensione facesse scattare il conflitto a fuoco un giovane uomo si frappose fra di loro, rivolgendosi alla ragazza a capo del drappello.
«Ailyn lo Zeus ha disattivato gli scudi di Nuova Berlino», spiegò trafelato, «Non doveva saperlo nessuno ma io stavo manutenendo il computer ed ho visto il comando inviato… stanno morendo…»
L’Ares sbiancò ma rimase immobile.
«Lasciateci passare e forse metteremo fine a questa follia!», intervenne il comandante.
Il volto della giovane si contrasse, poi le sue spalle caddero e parve come perdere ogni forza.
I tre della nave Alessandro Magno passarono oltre correndo per giungere fino al luogo in cui avevano incontrato lo Zeus. Quando vi giunsero trovarono il vecchio intento a ridere in modo sguaiato guardando, attraverso delle telecamere di sicurezza, delle persone agonizzare a terra.
«Riattiva gli scudi», la voce di Colbert era tremenda.
L’uomo si voltò verso di loro in modo sprezzante, «Io sono lo Zeus! Io faccio quello che voglio!»
«Se non lo fai non sarai più niente», gli ruggì contro Kubert, «Anzi mi correggo, smetterai di essere uno Zeus e diventerai un cadavere»
L’espressione dell’altro mostrava che non era intimorito, «Farò rapporto contro di voi al comando dell’Unione!»
La gaitling del sergente tornò a roteare.
«Francamente me ne fotto del rapporto e dell’Unione!», esplose il comandate Benson facendosi avanti, «Riattivi quei dannati scudi!»
L’uomo sospirò poi estrasse una pistola.
Il resto avvenne come al rallentatore.
Kubert e Colbert fecero fuoco contro l’uomo, I proiettili della gaitling ad impulsi del sergente crivellarono il corpo dello Zeus mentre i raggi laser dell’arma dell’altro gli amputavano gli arti.
Prima di morire, l’uomo che si riteneva un dio, fece fuoco, ma non lo fece contro coloro che lo stavano uccidendo ma contro il computer principale.
Il vecchio cadde a terra in un lago scarlatto mentre il pannello colpito iniziò a sfrigolare emettendo scintille e fumo, poi si accesero delle luci di emergenza.
«Emergenza!», la meccanica voce del computer risuonò negli altoparlanti, «Scudi anti radiazioni disattivati. Emergenza!»
Gli uomini della Alessandro Magno si guardarono l’un l’altro poi si sentirono spostare da dietro. Il ragazzo che aveva interceduto tra loro e le guardie si fece largo nella stanza, represse l’orrore della vista del cadavere e si mise a controllare il computer.
«Maledizione!», batté le mani sulla consolle con frustrazione, «I controlli sono distrutti, l’unica alternativa sarebbe accedere a quelli manuali ma sono dall’altra parte del complesso e non faremo mai in tempo!»
«Evacuiamo», ordinò semplicemente il comandante, «Tutti allo Scooby»
«Ma in questo modulo ci siamo solo noi, Ailyn e le guardie. Tutti gli altri sono in altri moduli non faremo in tempo a salvarli», la voce del ragazzo era supplicante.
«Sergente, prenda il ragazzo, Colbert fai salire le guardie e l’Ares sullo Scooby ce ne andiamo», Benson pareva molto distante ma determinato.
Mentre l’aeronave prendeva il volo videro il guscio della colonia Olimpo crollare sopra i suoi abitanti, assumendo una forma molto simile a quella di Nuova Berlino.
Quando tornarono sul ponte di comando della nave il volto del comandante, mentre riprendeva il suo posto, era scuro.
Si formò una coltre di silenzio nella stanza, come se nessuno osasse parlare.
«E’ colpa nostra», mormorò Benson.
«La gente muore ogni momento», Kubert aveva una voce roca ma fiera, «Così che vanno le cose»
«Ma il sangue di quelle persone è sulle nostre mani», incalzò ancora Richard.
«Eseguivamo solo degli ordini», Colbert non era così convinto delle sue parole.
«Quante guerre sono state giustificate da queste parole? Quante morti? Quante stragi? Quante atrocità?», il comandante strinse i pugni forte. Molto forte.
«E quindi cosa proponi?», il sergente pareva tra il divertito e l’interessato.
«Non lo so», mormorò lui frustrato, «Non lo so»
   
 
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