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Autore: Savannah    17/12/2006    63 recensioni
Attratto dalla dolcezza dello zucchero bruciato, era affondato in quel fango senza trovare nulla a cui aggrapparsi. Non aveva detto nulla, così lei aveva ascoltato solo il suo silenzio, disorientata.
Genere: Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Draco Malfoy, Hermione Granger
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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purify gothic

PURIFY





L’insieme ordinato delle pause che componevano un silenzio era una cosa meno facile di quanto non potesse apparire a prima vista.
Lui al silenzio aveva sempre riconosciuto una quantità di privilegi.
Era la casella dove posava la Regina prima che sulla scacchiera si scatenasse la battaglia all’ultimo sangue; non il porto franco, ma la cala segreta dove, sotto la luna, contrabbandieri nascondevano i forzieri e assassini riempivano di sassi le tasche delle loro vittime.
Requiescant in pace e guardavano affondare le prove.
La confessione era esclusa.
Non si depone contro se stessi: è la regola.
Per questo affermare tacendo era la negazione di ogni regola del dialogo, di ogni legge verbale, di ogni clausola di quel contratto che era il reciproco scambio di opinioni non richieste; il mutuo insulto, la compravendita di frecciate, la spontanea elargizione di inutilità sotto forma di consigli.
Era rimasto in silenzio, la sera prima, quando lei gli aveva chiesto perché la guardava in quel modo, perché l’aveva toccata in quel modo.
Sapeva solo di aver pensato, come spesso era successo negli ultimi giorni, che quella domanda non richiedeva una risposta.
E adesso che si era scottato le labbra e le dita preparando il piatto freddo della vendetta, contemplava pensoso il banchetto che aveva imbandito, domandandosi in quale luogo di quella lunga giornata, si fosse dimenticato lo zucchero.
Infine scrollò le spalle e mise mano alla boccetta di medicina.
Un cucchiaio intero di miele e uno di pozione.
Niente, anche perso nella dolcezza pastosa, dorata e profumata di sole e fiori, restava sempre quel retrogusto amaro.
Che non ne voleva sapere di andarsene via.

*

I cannot fight against myself
No more
Self destruction that I predicted
Not a long time ago


Draco Malfoy sapeva perfettamente che latte e aringhe annaffiate di caffé, a colazione, potevano essere una pessima soluzione dietetica, capace di compromettere, per il resto della giornata, le condizioni del suo stomaco già duramente provato.
Tra le altre cose a lui le aringhe non piacevano nemmeno, così, sedendosi a tavola, rivolse uno sguardo di imparziale disgusto al vassoio occupato dai cadaveri di quelle belve immonde, affogati nel burro, e, sollevando di un millimetro appena gli occhi, al tavolo dei Gryffindor, occupato da un paio di persone che si sarebbe augurato di vedere nelle medesime condizioni al più presto.
- Malfoy, caffé? -
Dato che caffé non ne voleva, non si degnò nemmeno di rispondere, meno che mai di ringraziare, cosa che sarebbe risultata fortemente lesiva della sua reputazione di persona a cui è dovuto tutto e volendo anche qualcosa di più. Inoltre Tiger doveva avere un buon motivo (oltre al fatto di essere un leccapiedi certificato) per essere gentile con lui. Infatti, mentre gli versava il caffé, metà nella tazza, metà sulla tovaglia, disse a voce bassa – Malfoy, non sono ancora riuscito a prendere a Paciock quella maledetta fotografia, dammi ancora un po’ di tempo –
Come volevasi dimostrare.
Malfoy non proferì verbo, mentre si portava la tazza alle labbra e sorbiva un sorso.
Al tavolo di Gryffindor, Weasley si stava stravaccando accanto alla sorella, sistemando sotto il tavolo le gambe da trampoliere e sul tavolo i polsi ossuti che spuntavano dai polsini consumati di una camicia troppo corta per lui.

La Mezzosangue Granger allungò una mano e la posò su uno di quei polsi, con un gesto in apparenza dettato solo dalla foga con cui stava arringando il loro proprietario, il quale sussultò e si dimenò sulla panca, a disagio, tuttavia non spostò il braccio di un millimetro.
Vincent Tiger, vedendo la smorfia di Malfoy e interpretandola come disappunto per le sue scarse virtù da elfo domestico, si affrettò a mettere mano alla lattiera, dividendone democraticamente il contenuto tra la sua tazza di caffé e un vassoio di muffin ai mirtilli che stava lì accanto.
- Che ne dici allora? Posso avere un … -
Tiger incespicò e sollevò un paio di volte le sopraciglia formato scopa, in maniera che, evidentemente, riteneva abbastanza eloquente da rendere del tutto superfluo il completamento della frase.
Del resto, pensò Malfoy, annoiato, non sarebbe certo rimasto col fiato sospeso attendendo di conoscere il Verbo Prescelto tra le innumerevoli opzioni offerte dallo sconfinato repertorio di Tiger. Su cosa sarebbe caduta la scelta, di grazia? Aggiornamento? Rinvio? Differimento? Protrazione? Posticipazione? Dilazione?
Malfoy ti prego di volermi accordare una proroga, causa improcrastinabili impegni da cui sono oberato.
Come no.

Tiger non avrebbe avuto la capacità di pronunciare la parola “improcrastinabile” senza inciampare almeno tre volte nemmeno se da questo fosse dipesa la sua vita.
- Allora siamo d’accordo – Tiger, sollevato si affrettò a defilarsi prima che lui cambiasse idea.
Malfoy sorbì un altro sorso dalla propria tazza e si limitò a rivolgere uno sguardo gelido all’espressione ribelle che qualcosa aveva acceso sul volto della Granger.
Con ogni probabilità Potter, che si era appena aggiunto a completare il quadro idilliaco, aveva proferito una delle sue Perle di Idiozia, che elargiva con commovente generosità sulle folle adoranti e ansiose di bere dalla purissima fonte della sua (mancanza di) eloquenza.
Bastava, poniamo caso, che Potter si immobilizzasse davanti a una finestra e mormorasse “Dovrei farlo” perché sguardi angosciati corressero tra la gente per poi puntarsi, in un compassionevole unisono, sul Ragazzo (Dio-Solo-Sapeva-Perché) Sopravvissuto, congiunti dal comune strazio nel riflettere su quali pericoli stesse per affrontare per salvare il Mondo Magico.
E magari quello stava solo pensando che era anche il momento di dare una pulita al suo lercissimo manico di scopa. O di supplicare qualcuno di mettere fine ai suoi giorni di castità in modo che, se il Signore Oscuro aveva davvero le intenzioni che andava con discrezione sbandierando ai quattro venti, non dovesse essere ricordato alle folle come San Potter Vergine oltre che Martire – sempre non facendo menzione della sua virtù di arrangiarsi da sé.
In ogni modo fosse andata, morto o meno, santo o peccatore, Potter doveva aver detto qualcosa di una stupidità così esemplare che la Granger aveva chiuso gli occhi nel classico atteggiamento di chi cerca di ricordare a se stesso che le clave, le caverne, i taglioni, gli occhi per occhi e i denti per denti, erano cosa passata e superata e che in quei tempi illuminati occorreva ragionare col proprio prossimo e non piazzargli un’Avada in fronte e chi s’è visto s’è visto.

Petrified

Che cosa sarebbe successo se in quel momento lei avesse aperto gli occhi?
Che il suo sguardo si sarebbe spezzato pur di non piegarsi.

O forse sarebbe fuggito rincorrendo i gufi che riempivano il cielo stregato del soffitto.
C’era da buttare l’anima nella spazzatura per pensieri del genere.
Un crampo gli stringeva il diaframma, così doloroso che gli sembrava di avere ingoiato veleno.
Doveva abbassare lo sguardo, ma quello restava fisso come il pensiero che aveva dietro le labbra,
(pietrificato),
crocifisso dalla spina che portava confitta nella gola, quella che, in certi momenti, faceva male da morire.

Thoughts so far from me
The power of my justice blows me away
It's just the case to repeat
What I've never said to you before

La Granger, che naturalmente aveva un nome, anche se lui non lo pronunciava, continuava a tenere chiusi quegli occhi così grandi e scuri che erano zucchero bruciato e fango nel quale si poteva affondare. Le palpebre delicate e la frangia delle ciglia scure allargate sul pallore opalino della pelle, su quelle tracce bluastre che il sonno disobbediente le aveva lasciato intorno gli occhi.
- Malfoy, cosa stai guardando? Prendi le aringhe? -
Il giorno che Pansy Parkinson avesse badato agli stramaledetti fatti suoi il Cielo si sarebbe aperto e i Cori Celesti avrebbero intonato l’Alleluja con un trasporto adeguato all’evento.
Era davvero necessario rispondere? Cercava di ingoiare un sasso che gli bloccava la gola, in uno di quei famosi momenti in cui gli sembrava impossibile trovare una parola che fosse una, anche a cercare, scavare, spalare in quelle miniere buie dove aveva ricacciato le sue, così in profondità che non ne avrebbe riesumata una intera nemmeno per intercessione di Serpeverde in persona e di tutti i suoi Eredi fino alla settima generazione inclusa.
Riabbassò lo sguardo sul vassoio delle aringhe, in posizione strategica sullo sfondo del tavolo di Gryffindor, poi si rassegnò ad avvicinarlo al proprio piatto.
C’erano smorfie che avevano ragione di essere soltanto se potevano nascondersi contro il petto di qualcuno, così il suo viso rimase del tutto impassibile, mentre il cucchiaio d’argento viaggiava dal vassoio al piatto.
Ron Weasley si alzò da tavola e la Granger con lui, con un movimento del tutto naturale e conseguente al suo. Rimasero fianco a fianco mentre scambiavano le ultime battute con Potter, così vicini che sembrava si toccassero anche se non era così. I volti erano un’eco l’uno dell’altro, chini nella medesima attenzione verso l’amico, come gli occhi di cui si intuì un breve scambio che parlava di una confidenza che si snodava lungo troppi anni per poterlo sopportare.
Draco Malfoy tenne lo sguardo ostinato fisso su un riflesso di sole che gocciolava in una polla lattiginosa sul fianco di un bricco d’argento, poi tagliò col lato della forchetta un pezzo di aringa e, reprimendo un sospiro, cominciò a mangiare.

*

Celebrate
I'm alive again
You don't expect from me
This chain reaction

You can't imagine from me
This great affection

Alla prima ora c’era Trasfigurazione, così anche il mal di stomaco era una felice novità se gli permetteva di bighellonare lungo i corridoi del primo piano, raggiungendo l’Infermeria con una pigrizia che, insieme al silenzio, signore del castello quando gli studenti erano tutti stipati nelle aule, era una panacea per l’anima.
I bagliori di un inverno straordinariamente caldo precipitavano dalle alte finestre in lunghi fasci d’oro impolverato da minuscole particelle sospese.
Era un autunno infinito, cominciato in settembre, che, distendendo le sue dita fredde sui mesi successivi, con discrezione, era arrivato raramente a toccare i ghiacci che già solitamente si registravano all’inizio di dicembre.
Lui si fermò per contemplare la giornata fulgida che investiva il parco del castello, di là dai vetri delle finestre.
Nuvole grigie incrociavano veloci, senza arrivare a minacciare davvero il lucore perfetto del mattino. Nuvole ormai a brandelli, così logore da coprire a malapena i segreti del cielo; lame di sole le squarciavano lasciandole cadere in pezzi verso il basso dove restavano impigliate ai rami spogli degli alberi in bioccoli di umidità.
Riflessioni che erano nebbia e stracci.
Forse avrebbero avuto un Natale assolato, pensò, non che gli importasse.
Due giorni prima, in una mattinata ugualmente piena di sole e di pace, aveva incrociato in quello stesso corridoio Neville Paciock ed era successa una cosa che aveva consumato l’intera scorta di pazienza di un mese.
Forse doveva a quello il peggioramento del disturbo allo stomaco che non lo abbandonava da un po’ di tempo e che ora lo spingeva dritto dritto tra le omertose braccia di Madama Chips.
Di tanto in tanto era una fitta che lo lasciava senza fiato, più spesso un dolore costante diffuso intorno alle costole e, a volte, una vampata di calore che saliva da dentro la pancia e si fermava come una nube dorata di api da miele intorno al diaframma o invadeva i polmoni lasciandosi respirare un poco prima di disperdersi nel solito grigiore dei suoi giorni.
Non che in quel periodo fosse particolarmente incline a rendere un inferno la vita del suo prossimo. Non più del solito, insomma, però vedere Neville Paciock tutto rosso in viso che si scapicollava lungo il corridoio del primo piano, sorridendo e tenendo in mano un vaso con una piantina scarlatta, affannato, con la camicia in disordine e il nodo della cravatta sotto l’orecchio, aveva risvegliato in lui un istinto che credeva sopito da tempo. Con ogni probabilità, se Neville Paciock fosse stato un insetto, non si sarebbe nemmeno preso la briga di schiacciarlo, ma guardando l’espressione di dolorosa felicità del suo viso, quella vulnerabilità così esposta, quegli occhi ansiosi e rotondi così dolci, così trasparenti, aveva sentito dentro di sé un ruggito di rabbia e insieme di ribellione.
Senza quasi rendersene conto aveva estratto la bacchetta, ma prima che potesse pronunciare la formula dell’Incantesimo d’Inciampo, Paciock, risparmiandogli il disturbo, si era ritrovato a rotolare sulle pietre fredde e dure del pavimento fino ai suoi piedi.
Lì era rimasto, pallido e senza fiato, e Malfoy aveva visto la sua espressione spezzarsi, mille cocci che cadevano per terra mescolandosi a quelli del vaso, che aveva tentato di proteggere sollevandolo goffamente. La creaturina vegetale si contorceva con spasmi di foglie e rametti, lontano dal suo terriccio azzurro come un pesce fuori dell’acqua, e lui la guardava, impotente, torcendosi le mani sporche di terra azzurra e sbucciate sui palmi.
- Reparo -
La voce che pronunciò l’incantesimo, provocando un immediato, obbediente, ricomporsi del vaso, aveva la tranquilla sicurezza – inaudita maledizione, nessuno poteva permettersi tanto – che aveva imparato ad associare alla sua persona. La sentiva risuonare per i corridoi, acuta e secca, impartendo un ordine, oppure allungarsi in una risata bassa, simile un’ombra nella sera, lungo le pareti spoglie, fino a sfiorare con un segreto l’orecchio di qualcuno.
Non che gli fosse mai successo di voltarsi, quando gli capitava di sentirla.
Non era nemmeno una cosa da prendere in considerazione.
Semplicemente sapeva che era lì.
Adesso Hermione Granger gli stava davanti e lo omaggiava con quel particolare sguardo che, se fosse stato uno con meno pelo sullo stomaco, lo avrebbe indotto a sentire zampette che gli spuntavano da tutte le parti del corpo, insieme con occhi supplementari, antenne e quanto altro era dotazione di una qualsiasi bestiolina pronta a gettarsi a capofitto nella prima fenditura del pavimento.
Ma lui era quello che era e, tra l’altro, decisamente troppo stanco per scomporsi più del dovuto, così si limitò a rivolgerle uno sguardo seccato, il minimo visto che lei gli stava rovinando tutto il divertimento.
La Granger spostò lo sguardo da Paciock, al vaso, a lui, con l’aria di chi ha capito tutto della vita e si appresta a rendere il mondo partecipe della cosa.
- Malfoy -
Seriamente quella fanciulla era un genio e qualcuno avrebbe dovuto farglielo presente. Che diavolo voleva? Anche l’inchino? Dieci punti e un pubblico encomio per essersi ricordata il suo nome?
- E’ appena andato via - le rispose - quando lo vedo te lo saluto, anche se dubito che gli farà piacere ricevere gli omaggi di una Mezzosangue -
- Non chiamarla così! – gridò Paciock, come se potesse suonare meno che ridicolo, con quella faccia arrossata dalla rabbia e il ginocchio stretto tra due mani.
Malfoy soffocò una risata e non lo degnò nemmeno di un’occhiata – Ma lo è – disse, dolcemente – per quanto possa avere una passione per la compagnia dei Purosangue, non riuscirà mai a farsi passare per una di loro –
- E’ un sollievo visto e considerato che fai parte della categoria -
Non sembrava nemmeno arrabbiata, peccato. Quello scambio di battute trite aveva smesso da un pezzo di essere gratificante.
I primi anni di scuola prenderla in giro era qualcosa di assolutamente adorabile, lei arrossiva o impallidiva, continuava a mostrare di non aver sentito, ma il suo sguardo si faceva fisso e distante, le mani fremevano, il broncio si induriva.
Con il procedere degli anni invece l’esercizio del distacco aveva dato i suoi risultati: adesso incedeva per i corridoi, maestosa come un pavone impagliato, col mento alzato e le spalle dritte, nemmeno fosse stata una regina.
Pronta alla completa indifferenza davanti ad un insulto, come se anche solo notare la presenza di certa gente fosse troppo al di sotto della sua dignità, era rapida ad infiammarsi, quando qualcosa toccava le corde fin troppo tese dei suoi ideali.
Certe volte, Malfoy si domandava, ma solo certe volte, quando davvero non aveva niente da fare, se si rendesse conto quanto fosse forzato offrirsi come bersaglio per i colpi più crudeli, quasi non si possedesse sangue da sanguinare, e, invece, insorgere se appena un alito di vento sfiorava i capelli del vicino.
- Granger, cominci ad annoiarmi -
- Un progresso – replicò lei, con un sorriso quantomeno bizzarro – Hai usato il mio nome. Allora ne sei capace, Malfoy? –
Non le rispose perché riteneva di non doverle tanto. La congiura del silenzio, ecco cosa opporre a quel mondo impazzito che parlava e parlava e parlava e parlava.
Se era capace di usare il suo nome.
Stupida.
- Non ti permettere mai più di chiamarla Mezzosangue -
- Per la verità, Paciock, quel termine è appena uscito dalle tue labbra e non dalle mie -
Hermione Granger distolse il capo, con un movimento brusco tanto che lui si chiese se finalmente si fosse arrabbiata, ma dal modo in cui si mordeva il labbro inferiore sembrava stesse facendo una grossa fatica per non mettersi a ridere.
Lui fissò i piccoli denti affondare nella curva rotonda e rosea del labbro e si domandò, colpito, se avrebbe visto quella bocca aprirsi in una risata, per qualcosa che lui aveva detto.
Inaudito.
Lo stomaco gli faceva male, un crampo doloroso lo stringeva come la pressione di un pugno che gli rendeva difficile prendere un respiro intero.
A peggiorare la situazione era sopragiunta Madonna McGranitt. La Vecchia Avvoltoia, aveva puntato i suoi occhietti neri e cattivi su Paciock e poi su di lui, con una carica di riprovazione che sfiorava il disgusto.
- Malfoy sei stato tu? -
Si aspettava che Paciock o la Granger smentissero com’era logico che succedesse, invece quelli rimasero zitti. Lo avevano visto brandire la bacchetta e Paciock era finito a terra, così il dato statistico che, nelle competizioni tra Neville Paciock e una qualsiasi superficie, piana o inclinata che fosse, voleva quest’ultima vincente nove volte su dieci, aveva smesso di essere rilevante.
- Malfoy? – ripeté la professoressa – Sei stato tu? -
Che razza di domande. Se la risposta era implicita nel tono, doveva davvero risponderle? E se sì, che cosa? No, è stato Potter? Magari è stata la Granger per far ricadere la colpa su di me? Si tratta di un complotto?
Paciock è talmente imbranato che dovrebbe seriamente considerare l’ipotesi che sia inciampato sui suoi piedi?
Aveva aperto la bocca, ma prima che riuscisse a prendere fiato per urlare, la McGranitt aveva berciato, cupa – Chi tace acconsente. Nel mio ufficio, immediatamente –
Che razza di mondo, pensò, indignato.
Non ci si poteva fidare più nemmeno dei Gryffindor per avere un po’ di giustizia.

*
See the structure of my pride
Wasn't easy to build it away from this

I never walked away from you

I never walked alone

Errore madornale.
- Stai guardando i Gryffindor? –
Chi tace non dice assolutamente niente.
Se poi doveva anche sprecare un monosillabo per rispondere a Pansy voleva dire che si era arrivati davvero al punto del non ritorno.
Così, naturalmente, non disse nulla.
Pansy Parkinson era una ragazza deliziosa, per carità. Capelli scuri, lineamenti non molto poetici, ma non sgradevoli, e una risata pronta a esplodere nei momenti meno opportuni per il suo prossimo, cosa che poteva risultare molto divertente, quando non si era il prossimo in questione, ovviamente.
A lui era sempre stata simpatica, del resto il fatto che avesse cominciato a corteggiarlo già dal primo anno dimostrava che in definitiva, in quella scuola, non avevano tutti problemi di vista e di udito, nonché seri ritardi mentali.
Il guaio serio di Pansy era che, come tutte le appartenenti al genere femminile, passava i tre quarti della sua giornata a testare duramente il suo apparato vocale e quello uditivo di chi le stava intorno.
- Non fare quella faccia Malfoy – gli disse, tutta allegra – Qualsiasi cosa sia successa non può essere così grave! -
Un altro suo difetto era che aveva la tendenza a cercare di sdrammatizzare esattamente quando lui aveva voglia di fare un dramma.
- Allora stai davvero guardando i Gryffindor! -
E che aveva un tono di voce decisamente alto.
Davanti a loro viaggiava effettivamente un gruppetto di individui bardati in oro-e-scarlatto, dimostrazione del fatto che lo zoo del Gryffindor anche quella mattina aveva aperto le gabbie con la solita, inopportuna, puntualità.
Potter si girò per gettare loro un’occhiata diffidente, per poi disinteressarsi subito e riprendere ad ascoltare quello che stava dicendo la Granger. Doveva trattarsi della formula “ramanzina con raccomandazione e attacco ansioso tutto incluso” che le era consueto, a giudicare dal modo in cui la voce si alzava e abbassava in un tono di volta in volta irritato, poi imperioso e, infine, quasi dolce.
Un altro crampo.
C’era poco da fare, la Granger gli dava la nausea, pensò.
Letteralmente.
Pansy lo stava guardando con la coda dell’occhio e, stranamente, taceva.
- Sto tenendo d’occhio Paciock – si sentì costretto a rispondere lui, con voce cupa – Ho una faccenda in sospeso con lui -
Questo naturalmente era il massimo della credibilità, l’espressione stessa della virtù Slytherin, così Pansy, rassicurata, si dedicò a esternare su altri argomenti – attività nella quale era estremamente autonoma - lasciandolo, in ultima analisi, libero di pensare ai fattacci suoi.
La Granger non la finiva di blaterare, tanto che tutto quel chiacchiericcio stava decisamente dandogli sui nervi. Fece cenno a Pansy di deviare a destra per aggirare i Gryffindor, e mentre li superavano vide che Ronald Weasley aveva lo sguardo vitreo che di solito tendeva ad associare alle lezioni del professor Ruf.
Che imbecille, pensò, se gli fosse capitato di essere al suo posto sicuramente non si sarebbe lasciato sopraffare dalla parlantina di una ragazzina logorroica. L’avrebbe fulminata con uno sguardo raggelante, tenendo il viso impassibile per dimostrarle quanto poco lo toccava il suo punto di vista; e lei a quel punto lo avrebbe guardato con rispetto e avrebbe smesso di rimproverarlo rimettendosi in tutto al suo giudizio.
E se avesse deciso di ignorare l’avvertimento insito nel suo sguardo gelido lui si sarebbe limitato a metterle le dita sulle labbra, semplicemente, per sentire sulle punte l’impatto del suo respiro e delle parole che avrebbe arginato con quel gesto.
Soltanto posandole le dita sulle labbra.
A parte essere un Traditore del Sangue e un essere precipuamente inutile, Ron Weasley non era nemmeno capace di gestire una ragazza.
La sua ragazza.

*

Che Vincent Tiger e Gregory Goyle possedessero un ingegno da aguzzare era un’idea così disturbante che quando gli portarono la foto, Malfoy preferì pensare al classico colpo di fortuna.
Lui era rimasto sdraiato tutto il pomeriggio a guardare il baldacchino del suo letto, oppure osservando distrattamente il flaconcino di vetro scuro che aveva sul comodino.
Madama Chips lo aveva esaminato a lungo prima di voltargli le spalle e avvicinarsi a una vetrinetta dove erano disposte in bell’ordine, fiale, fialette, ampolle e bottiglie. Draco sapeva benissimo che aveva cercato di capire se lui stesse male davvero oppure se stesse fingendo per marinare le lezioni, i compiti, o per dare la colpa a qualcuno.
Infine doveva aver deciso che soffriva sul serio, ma lui aveva il sospetto che dandogli proprio quella medicina avesse inteso ugualmente metterlo alla prova. Infatti aveva un bel colore rosso ciliegia e un profumino squisito, ma al gusto era così amara che inghiottirla gli faceva accapponare la pelle e lacrimare gli occhi.
In ogni caso una volta vinto il disgusto, il suo stomaco sembrava effettivamente avere qualche giovamento, forse in base al principio che il simile si cura col simile, l’amarezza estrema dello sciroppo sembrava mitigare l’amarezza che sentiva dentro.
In tutto il pomeriggio di ozio si era goduto semplicemente il silenzio e i suoi pensieri che, quando era da solo, lontano dal rumore delle emozioni altrui, riuscivano ad assestarsi su una strada tranquilla e nemmeno dolorosa, scorrendo placidi a toccare di tanto in tanto le ripe di qualche idea confortante o di qualche fantasia soddisfacente.
Aveva escogitato almeno venti battute brillanti e divertenti, prestando occhio distratto al ricordo di un sorriso frenato trai denti e le labbra, pericolosamente prossimo a esplodere in una risata.

A pleasure makes me vibe again tonight
I'm just thinking how fine it is to feel myself so fine again

Poi erano arrivati Tiger e Goyle con il piccolo portafotografie da viaggio.
L’oggetto apparteneva a Neville Paciock e serviva per uno scherzo di una malignità talmente edificante che solo idearlo gli aveva regalato del momenti deliziosi. Era qualcosa di così spregevole che sarebbe rimasto per secoli negli annali del cattivo gusto, consegnando il suo nome in eterno agli allori della perfidia.
Insieme alla foto prescelta per lo scherzo, quella che ritraeva Frank e Alice Paciock, sorridenti giovani Auror il giorno delle loro nozze, coi volti dolorosamente pieni di speranze, c’era quella di una vecchia strega con un improponibile volatile impagliato sul cappello e una foto di gruppo, ragazzi sorridenti, abbracciati sotto un bel sole estivo.
Le figure dalla fotografia, che fino a un momento prima si trovavano nella consueta posa delle foto ricordo, braccia intorno alle spalle sullo sfondo dello stadio del Quidditch di Ballycastle, cominciarono ad agitarsi lanciandogli occhiate astiose: Potter gli voltò le spalle e se ne andò, sparendo oltre la cornice e Weasley lo seguì, Paciock gli lanciò uno sguardo tra l’implorante e il rassegnato poi abbandonò a sua volta la scena.
- Anche tu hai intenzione di andartene? -
La figurina di Hermione Granger si immobilizzò, titubante; guardò immalinconita lo stadio del Quidditch alle sue spalle e poi Malfoy. Scosse il capo e allargò le braccia, assumendo un’espressione di rimprovero, poi si lasciò cadere, afflitta, su una panchina, e racchiudendosi il viso tra le mani, i gomiti puntati sulle ginocchia, rimase a ricambiare il suo sguardo, ostinata e indisponente come al solito.
Lui prese la foto e l’appoggiò sul comodino tra il libro di Pozioni e la boccetta dello sciroppo.
Il piano prevedeva di inscenare un autentico sequestro di fotografia a scopo riscatto. Il riscatto per inciso era il divertimento che Malfoy avrebbe ricavato durante le trattative, ma naturalmente questo Paciock non lo sapeva.
Così la mattina, insieme alla colazione, a Neville Paciock cominciarono a pervenire missive minacciose insieme a richieste di scatole di dolci di dimensioni colossali e istruzioni per lo scambio con l’ostaggio.
All’inizio le lettere furono sistematicamente ignorate, anche perché Malfoy le aveva incantate in maniera molto ingegnosa, in modo che esplodessero in una nuvola di fumo circa un minuto dopo essere state aperte, così non restava altra prova da mostrare a un insegnante che uno sbuffo di cenere.
Dopo il terzo giorno, vedere Neville Paciock che cominciava a riempirsi di chiazze e a perdere l’appetito, gli aveva fatto capire di meritarsi una razione extra di cioccolata; quando il quarto giorno si era alzato da tavola senza toccare cibo, il gaudio era salito ai massimi livelli e Malfoy si era abbandonato sul letto, sorridendo, con un enorme bigné alla crema cosparso di granella di cioccolata e nocciole, che aveva sollevato in un brindisi silenzioso alla propria salute.
Il quinto giorno era arrivato il momento di fare ciò che pregustava da quando tutto era cominciato: così Neville Paciock aveva avuto quasi una collasso nervoso quando, aprendo l’ennesima missiva anonima, aveva trovato dentro un angolo della fotografia dei suoi genitori, eloquente promemoria del fatto che, in mancanza di pagamento, l’avrebbe ricevuta un pezzo per volta.

Celebrate
I'm alive again

*

- Vuoi le aringhe? -
No, non le voleva le dannate aringhe. Ma era mai possibile che per anni interi quella gente lo avesse seguito a tavola, pronta a carpire ogni idiozia elargita dalle sue labbra per farla echeggiare di risate nella migliore tradizione della barzelletta da capoufficio e nessuno si fosse accorto che le aringhe le detestava?
In mancanza di risposta, tutta premurosa e dolce, Pansy gli rovesciò nel piatto un cadavere di aringa. Ora del decesso – a giudicare dall’odore – risalente forse all’era geologica precedente e causa del suddetto, affogamento nel burro fuso.
Il suo stomaco cominciava a dare segni di protesta, così per cercare di allontanare il pensiero dell’aringa, cosa piuttosto complicata visto che quella si decomponeva nel burro sotto il suo naso, concentrò la sua attenzione su un vasetto di marmellata di more.
Dalla prospettiva con cui il tavolo del Gryffindor appariva sullo sfondo delle cibarie che imbandivano quello di Slytherin, sembrava che Ron Weasley stesse appoggiando il gomito proprio sul vassoio delle uova, che smisero all’istante di avere un aspetto appetitoso. Paciock non c’era, Potter che aveva la testa ciondoloni per il sonno, crollò in corrispondenza della zuppiera dei pomodori arrostiti e si riaddormentò: Malfoy fantasticò oziosamente che tutto quel tripudio di rosso fosse il suo sangue.
- Pomodori? -
Pansy mandò un po’ del sangue di Potter a fare compagnia al cadavere di aringa, poi ricominciò a dedicarsi alla sua colazione lasciandolo misericordiosamente in pace.
Lui ricominciò a fissare con insistenza la marmellata di more. Sul soffitto, stracci di nuvole grigie sul cielo sereno, si aprivano lasciando precipitare al suolo tesori di pioggia, gocce turgide e dorate di sole, monete liquide, colore e identico potere inebriante del whisky più puro.
Ai margini del suo campo visivo, accanto alla marmellata di more, Hermione Granger stava distendendo sul tavolo un rotolo di pergamena.
Intercettò i suoi occhi lanciandogli uno sguardo singolare e lui rimase leggermente stupito perché sapeva che non stava guardando lei bensì la marmellata. Dimenticò subito quella piccola obiezione dei suoi pensieri, concentrandosi sullo zucchero bruciato e affondando nel fango, paralizzato e incapace di reagire. Poi lei distolse gli occhi riabbassandoli sulla sua pergamena.
Malfoy sospirò, irritato, e con un gesto che era diventato consueto, si tastò la tasca dove portava la medicina per lo stomaco.
Con una manovra che sarebbe anche potuta sembrare casuale, Ronald Weasley tolse il gomito dal vassoio delle uova e si sporse sulla spalla della Granger, attaccando il braccio al suo.
Per copiare i compiti, pensò Malfoy, rigirandosi pensosamente tra le mani la bottiglietta della medicina.
Ne misurò un cucchiaio d’argento che aveva riempito in parte di miele e lo inghiottì.
Il sapore restava sempre amaro.

It's time to turn the page and start
And then
Don't you think that it's time
To convince yourself it's over?

*

- Sei stato tu? -
Grandioso.
E a fare cosa? Con un’accusa generica pensava per caso di indurlo a confessare le malefatte perpetrate negli ultimi sei anni? Sì, sono stato io a truccare lo specchio di Eloise Midgen perché le urlasse “racchia” con la voce di Nott che è la sua passione da cinque anni; confesso: ho fatto cadere Ginny Weasley per due rampe di scale e ho anche perso dieci galeoni perché avevo scommesso che si sarebbe rotta il polso invece di slogarselo semplicemente.

You don't expect from me
this chain reaction
you can't imagine from me
this great affection

Con quella bacchetta e quegli occhi puntati al cuore, dare una risposta sarebbe stato già abbastanza difficile pur avendole l’intenzione e lui non l’aveva.
- Lasciami passare, Granger -
- Devi restituire a Neville le sue fotografie –
- Il “devi” non esiste – replicò, calmo – Esiste, semmai, il “per favore Signor Malfoy” e, in ogni caso, la risposta sarebbe no –
- Allora sei stato tu –
- Questa volta, sì –
Lei ebbe la buona grazia di arrossire mentre incassava, ma gli occhi sfrontati rimasero fissi nei suoi. Inutile, essere Gryffindor includeva necessariamente il non avere vergogna.
- Così ti stai vendicando? - domandò lei, abbassando la bacchetta senza però metterla via – E cosa pensi di ottenere? -
- Credimi, sei l’ultima persona che metterei a parte dei miei pensieri –
Pensieri che erano un labirinto scuro e senza uscita; e dentro quel labirinto con ogni probabilità lui ci sarebbe morto di fame e di sete, perdendosi dietro l’angolo di un’elucubrazione o seguendo nei budelli oscuri e senza aria il fantasma di una soluzione. Le disquisizioni inutili che duravano notti intere e si sostituivano al sonno, i discorsi senza voce rinchiusi nei confini angusti del suo silenzio, si fermavano a un passo dall’uscire, mentre fissava la sua immagine allo specchio, quando si diceva: per l’amore di Dio, Malfoy, taci, e poi spegneva la luce prima di chiudere la porta, domandandosi che diavolo riflettesse uno specchio nel buio.
Le girò intorno, deciso a lasciarsela alle spalle una volta per tutte e scendere nel suo sotterraneo a seppellirsi tra le pietre, quando sentì il guinzaglio sottile e tenace di uno sguardo ancorargli la nuca e allora si voltò.
- Che cosa vuoi, ancora? -
- Devi restituirgli la sua fotografia –
Era stravolta in viso, constatò, lievemente stupito. Eppure a differenza di tanti momenti simili, lui non aveva sentito l’aria crepitare di ostilità quasi fosse una polveriera che attendeva solo la scintilla di uno sguardo o di una parola.
Lei però tremava per l’ira o forse tremava e basta.
- No - rispose, semplicemente, stupito che ancora credesse nell’utilità di fargli una richiesta o di dargli un ordine.
- Che cosa vuol dire? –
Anche la voce le tremava, poteva sentire le parole naufragarle in gola e lottare per riemergere trai vortici, nella risacca di un pianto di rabbia.
- E’ l’unica foto che ha dei suoi genitori, uccisi da gente come i tuoi – urlò lei – Questa è la cosa più miserabile, meschina, disgustosa che potevi fare. E’ talmente in basso che quasi nemmeno tu potevi raggiungerla -
Gli stava sputando quelle parole in faccia come veleno e lui ebbe quasi l’impulso di alzare una mano e pulirsi il viso, prima che cominciassero a corrodergli la pelle.
- A quanto sembra, ho potuto -
Vide le mani della ragazza contrarsi ad artiglio, le dita intorno alla bacchetta sbiancare al punto che si domandò se avrebbe visto il legno spezzarsi e schizzare da tutte le parti; vide le palpebre abbassarsi e le ciglia fremere, una vena pulsare sulla tempia e all’interno di un polso.
Il sangue che correva in quelle vene era sangue sbagliato.
La guardò, lei stava riaprendo gli occhi, zucchero bruciato e fango.
Era lui che aveva qualcosa di sbagliato, pensò, disperato.
La bacchetta che cadeva per terra produsse un rumore strano, fievole. Si perse nel rumore dei pugni che lei gli sbatté sul petto. Lui franò all’indietro, sbalordito, il piede che affondava in un passo falso. Riprese l’equilibrio a fatica, mentre i pugni gli martellavano sul petto così forte da coprire il rumore del suo cuore.
Facevano male, colpi secchi e duri di mani raggomitolate strette, ossa e pelle bianca, che avevano una forza inaspettata.
Con quegli occhi e quei pugni che gli sbattevano sul cuore non avrebbe trovato nulla da dire anche se avesse voluto.
E non voleva.
Le afferrò i polsi e lei li divincolò con una violenza tale che rischiò di spezzarseli e di spezzargli le dita. Non si preoccupava nemmeno di farsi male nel tentativo di fare del male a lui e Malfoy si domandò come non riuscisse a rendersi conto che a lui succedeva la stessa cosa.
Ogni volta che si feriva, ogni volta che feriva.
Il dolore alla testa era lei che gli urlava contro. Frasi sconnesse che avevano l’unica coerenza nell’odio senza argini, un fiume carico di detriti, sassi trascinati nel fango di una piena, che graffiano braccia che tentano di nuotare.
Non le avrebbe nemmeno detto di tacere.
Non le avrebbe detto nulla, pensò.
Per l’amore di Dio, Malfoy, taci e chiudi quella porta, e pensa che per fortuna la stanza è buia e il riflesso sullo specchio non si vede.
La tenne ferma immobilizzandole le braccia con le braccia, le mani e il respiro contro il proprio petto. Lei riuscì a liberare una mano e la sollevò con una violenza che era solo il preludio del colpo che gli avrebbe inferto.
Poi lo guardò e lui non avrebbe mai saputo che cosa vide, perchè di colpo perse ogni colore e ogni traccia di collera e abbassò lentamente la mano come se si fosse anche dimenticata di averne una.
Allora lui la zittì posandole le dita sulle labbra e non aveva importanza che lei avesse già smesso di parlare. La zittì comunque, e invece della sua voce ascoltò il suo respiro sulle dita e il silenzio carico di parole dei suoi occhi.
Zucchero bruciato e fango.
- Domani sera – disse – Vieni e ti darò quelle foto -

*
Lui aveva voluto aspettare un giorno per poter toccare un’altra insonnia e vedere se fosse meno dura di quella a cui era abituato.
A
veva attraversato la notte come una strada, smarrita da qualche parte, per arrivare al mattino. In un sotterraneo non c’erano finestre da cui cercare stelle da seguire nella mappa del cielo, così era rimasto a guardare nel buio, ricordandosi che intorno a lui non c’era il vuoto e non stava davvero galleggiando nel nulla. Nel freddo dell’alba si era alzato a sedere e aveva guardato in direzione dello specchio, angosciato. Alla luce morta di una candela aveva ascoltato i propri occhi poi aveva distolto lo sguardo.
Per l’amor di Dio, taci, spegni quella candela, ché senza luce non esiste riflesso e anche lo specchio è costretto a stare zitto.

See the structure of my pride
wasn't easy to build it away from this
I never walked away from you
I never walked alone

La sera era arrivata e lui aveva ascoltato il cuore e le suole delle scarpe sbattere contro il pavimento del corridoio, il respiro infilarsi nelle fenditure dei muri sui quali si era fermato per posare il palmo umido della mano.
Stava malissimo, il dolore che sentiva al torace era talmente forte da impedirgli quasi di respirare, ma nemmeno una doppia dose di medicina era riuscito a calmarlo.
Per la verità accoglieva quelle fitte come meritati schiaffi sulla faccia, la mancanza di vergogna doveva avere un limite e certe volte lui aveva l’oscura certezza di averlo superato da un pezzo.
Sperava solo di non fare qualcosa di così poco dignitoso come avere un crollo davanti a quella Mezzosangue.
Gli sembrava quasi di sentirlo, il colpo violento dietro le ginocchia che lo avrebbe costretto sul pavimento a guardare gocce di sudore freddo cadere sulle pietre senza avere la forza di alzare il viso.
Gettò indietro le spalle e sollevò il mento, preparandosi a superare l’ultima svolta del corridoio, dietro la quale lei lo stava aspettando.
Poi, senza nemmeno sapere come, si ritrovò con le spalle appoggiate al muro, ad ascoltare un sospiro nervoso proveniente da dietro l’angolo; guardò il soffitto incrociando le mani dietro la nuca e rimase zitto senza decidersi a compiere l’ultimo passo.
- Malfoy? –
Silenzio.
- Perché mi guardi in quel modo? -

*

Non le aveva risposto e abbassando gli occhi dalla volta di pietra del soffitto si era ritrovato davanti i suoi. Attratto dalla dolcezza dello zucchero bruciato, era affondato in quel fango senza trovare nulla a cui aggrapparsi.
Non aveva detto nulla, così lei aveva ascoltato il suo silenzio, disorientata, mordendosi le labbra, come se fosse troppo e stesse per supplicarlo di tacere, da un momento all’altro.
Le aveva dato le fotografie ed era rimasto a fissare la parete sopra la sua testa ricciuta, mentre le controllava.
Non aveva detto nulla, nemmeno lei.
Nulla sul fatto che ne mancasse una.
Così durante la nuova notte che era arrivata, lui era rimasto sveglio nel buio, senza accendere la candela per non vedere la fotografia incastrata tra il libro di Pozioni e la boccetta della medicina, dove, sullo sfondo dello stadio dei Pipistrelli di Ballycastle, non c’era nessuno, solo un uccellino che volava, solitario, nel ritratto della canicola estiva
.
E adesso poteva attraversare quella nuova giornata, come un fiume in piena da guadare, contro una corrente troppo faticosa da risalire.
Nella sua mente la mano che non si era mutata in uno schiaffo, un polso esile e uno sguardo arrabbiato e fragile.

Era una nuova mattina ricolma di sole, in un inverno che ingannava se stesso. Il ronzio dolce e sonnolento del sole che crollava davanti alla minaccia di banchi di nuvole dense, sotto la volta del soffitto incantato. I vetri delle finestre, incastonati in complicati riccioli di ferro battuto, erano dighe aperte da cui fiumi di luce entravano a inondare i corridoi tra i tavoli delle Case.
La polvere si spargeva in oro puro nell’aria satura del calore, di voci e sbadigli nel primo mattino; intorno a lui qualcuno studiava, altri curvavano le spalle e lasciavano ciondolare la testa sui compiti, sfogliarsi di pagine simili petali di un fiore raccolto per caso e poi dimenticato a seccare in un libro.

Lui aveva la medicina stretta in una mano e il cucchiaio che si abbassava sulla tovaglia linda della colazione.
Pietrificato rimase a fissare, al di là degli scherzi della sua vista, occhi scuri che si erano alzati, con la tranquilla sicurezza di sorprendere i suoi.
Un cucchiaio di miele amaro.
Qualcuno le posò una mano sul gomito, un gesto distratto che l’avrebbe guidata fuori dalla traiettoria dei suoi occhi, ma lei non si mosse.
Non prima di uno sguardo incerto, lasciato cadere, di soppiatto, tra la struttura fragile di una vendetta e la superficie fredda del silenzio che gli scottava le labbra.
Zucchero bruciato e fango.

Celebrate
I'm alive again

Lacuna Coil, Purify

Fine

Eccomi di nuovo qui. Volevo ringraziare tutti coloro che ancora leggono e recensiscono le mie storie, anche se praticamente è passato un secolo dall’ultima volta che ho pubblicato qualcosa.
Così, se vi capita di aprire questa, sappiate che vi sono molto grata per le recensioni e le e mail che mi avete mandato.
Colgo l’occasione per augurare a tutti uno splendido Natale e un felicissimo inizio del nuovo anno.
Al solito questa storia è dedicata al trio di pazze:
Chiara che si strappa i capelli non riuscendo a capacitarsi di come io possa preferire Malfoy a Ron Weasley (il fatto che molta gente lo capisca alla perfezione non la sfiora nemmeno), ma che comunque continua a leggere con santa pazienza e spirito di abnegazione.
Euridice che qualsiasi ship le rifili è sempre felice purché qualcuno si levi la camicia e che, questa volta, ha trovato tutti vestiti, purtroppo. Auguri tesoro!
Opalix che non si scompone per faccende di poco conto come le ship, ma che ha altro da badare come per esempio ascoltare musica improponibile.
   
 
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