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Autore: _aspasia_    01/06/2012    0 recensioni
Dovrei studiare, voi non sapete quanto. Ma proprio non ce la facevo così ho buttato giù questa one shot, finita 5 minuti fa. Spero piaccia.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Si dice che l’ambiente che circonda un essere umano lo caratterizzi, che lo renda una persona di un certo tipo. Ambiente, famiglia, cultura plasmano il carattere. Pensavo fossero solo cavolate, dette da  scrittori che dovevano far credere che loro, della vita, avevano capito tutto. Forse però, lo avevano capito veramente.
Non ci avevo mai pensato ma in effetti il mio cuore è fatto da montagne, da quelle montagne e dal mare, quel mare che vedo raramente ma che mi resta dentro, che graffia e che mi fa tornare inesorabilmente da lui, a farmi lambire i piedi dai suoi flutti.
E forse non sono nemmeno l’unica che nel cuore porta quelle montagne; forse dalle mie parti siamo tutti un po’ così, schivi, ritrosi eppure orgogliosi della nostra storia, della nostra lingua e delle nostre tradizioni.
Nel nostro cuore spiccano i Monti Pallidi. Le dolomiti.

Sono cresciuta con storie di gnomi, principesse, fate e coboldi.

Due erano, e sono le mie preferiti. Raccontano i due lati delle Dolomiti, quello notturno e quello al tramonto.
Monti Pallidi, Rosengarten: il giardino delle rose.
Incredibile cosa faccia l’amore, fin da piccoli ci insegnano ad amare quelle vette orgogliose, che sono di quei colori particolari proprio a causa di quel sentimento.
Argentate nella notte.

I nani tessero fili d’argento per ricoprire il colore naturale di quelle montagne. La sposa del re veniva dalla luna e malata di nostalgia rischiava di morire, il marito disperato chiese l’aiuto di un re potentissimo, una volta imprigionato. Il re dei nani, un mago potente, in cambio dei monti argentati, avrebbe donato a lui e al suo popolo la tanta agognata libertà, che un giorno era stata tolta dagli umani. I nani tessero senza fine e alla fine i monti grigi divennero argentati e la regina guarì vivendo felice al fianco del suo amato.

Per un amore disperato le Dolomiti si tingono di Rosso. Rosengarten, il giardino delle Rose, Catinaccio. Una montagna da diversi nomi, come la gente da noi ha diverse lingue; ma il cuore rimane lo stesso.
Il Re dei nani, quello che in seguito avrebbe aiutato l’umano, viveva in uno splendido palazzo all’interno delle vette, un giardino immenso di rose rosse ricopriva tutto il suo regno. Re Laurino decise di prendere parte ad un torneo, in cambio per il vincitore la mano della principessa Similde, la più bella. Egli venne escluso a causa della sua natura, un nano non poteva prendere in moglie una principessa umana. Ma Laurino era innamorato, prese il mantello dell’invisibilità e la rapì portandola nel suo regno, per farne la sua regina.
Dopo anni gli uomini trovarono un modo per arrivare al regno di Laurino, ma scoprirono che non aveva una rocca bensì meravigliose rose a fare d’araldo alla sua reggia; venne in contro a quei soldati la bella Similde spiegando come il Re dei Nani l’avesse sempre trattata con garbo e rispetto. Re Teodorico decise di porre un accordo tra lui e quel re dall’animo nobile e vennero organizzati dei banchetti per sugellarlo. Di notte tuttavia quando tutti dormivano, un soldato dal nome Vìtege decise di trovare la via per il castello di Laurino dove erano nascoste grandi ricchezze e cominciò a distruggere le rose, così amate dal sovrano. I nani accorsero per fermarlo, Teodorico sentito il fracasso pensò ad un imboscata e andò a combattere. I nani avevano delle armature che li rendevano invisibili, ma Similde divisa dall’amore per i nani e la sua famiglia consegnò degli anelli fatati agli uomini rendendoli così in grado di vedere gli avversari e per i piccoli guerrieri la fine arrivò. Molti perirono sotto il ferro degli umani e i pochi sopravvissuti vennero fatti prigionieri dagli umani e ridicolizzati giorno dopo giorno, per lunghi anni. Fino a che una notte i carcerieri erano ubriachi e re Laurino riuscì a fuggire, a tornare alle sue montagne.
Ritrovò il suo giardino immutato, splendido come lo aveva lasciato quella notte orribile. Ammirando le sue rose pensò a come fosse stolto l’animo umano incapace di comprendere la bellezza, presente in ogni cosa, in ogni corpo, anche se piccolo e tozzo come quello dei nani. Gli Uomini gli avevano tolto tutto: l’amore, il regno, persino la dignità. In un ultimo impeto di collera decise di cancellare per sempre quelle rose, un tempo la sua gioia più immensa, erano state loro a dire ai soldati dove si nascondeva il suo regno. Sarebbero scomparse, tramutate in pietra, e nessuno avrebbe mai visto il loro antico splendore né di giorno né di notte. Ma nel suo sortilegio re Laurino si dimenticò di nominare il tramonto. Ed ecco che in quel breve lasso di tempo le Dolomiti ritornano rosse, come le rose che le avevano ricoperte, ritorna l’Enrosadira.
 
Siamo cresciuti con queste storie, siamo cresciuti amando quel rossore che tinge tutto. Lo stesso rossore che imporpora le guance delle ragazze al loro primo amore. Lo stesso rossore delle labbra di un amante.
Siamo come le nostre montagne: pallidi, orgogliosi, schivi ma capaci di amare con tutto il cuore.
Ovunque vado porto con me l’orgoglio delle nostre vette, la storia di una terra di confine, aspra e pericolosa ma bella da togliere il fiato. Persino in ogni paesino vi è una storia di streghe, o di giganti o di gnomi. Da noi la natura è così forte, così ammaliante che nessuno si stupirebbe di trovare uno gnomo nel giardino.
È un canto quello delle Dolomiti. È il canto del vento che scende dalle vette e si intrufola nelle valli, ululando come un lupo e facendo sbattere le imposte. È il gorgoglio dei nostri torrenti impetuosi, stretti che erodono la roccia e non perdonano nessuno. È il soffice silenzio della neve che cade a fiocchi, che grandi e bambini cercano di prendere con la lingua. È il rumore di tre lingue diverse: tedesco, italiano e ladino. Che convivono. Come hanno sempre fatto. Come faranno.
È il canto della gente di montagna. È il canto dei nostri nonni che combattevano per l’impero d’Austria. È il canto dei nostri padri che giuravano fedeltà all’Italia. È il canto dei Bumsen, quando buttavano giù i tralicci della luce per l’Autonomia.
È il nostro canto.
Quello delle Dolomiti.
 
 
 
Nota dell’autrice:
ci sono tante versioni delle leggende del trentino, in particolar modo per quella del Rosengarten. La mia preferita è molto più lunga e molto più complicata, sta in un librone enorme che mia nonna mi regalò per i tredici anni. Quella che ho riportato è quella di una recente edizione con dei bellissimi disegni ad acquarello tra l’altro, che ho regalato alla mia coinquilina (che viene da Pescara). È delle Edizioni Baldo ed è a cura di Carlo Signorini, se siete interessati.
Se lasciate una recensione, o un commento farete molto felice una ragazza disperata causa esami universitari.
 

  
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