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Autore: EvilGrin    04/06/2012    1 recensioni
Sono nato per portare questo mondo allo sfacelo, e così sia, venga il Mio Regno, sia fatta la Mia volontà, come in cielo così in terra, vi negherò il pane quotidiano, accrescerò per me i vostri debiti, così che voi sputiate sangue per annullare i miei crediti, prenderò le vostre mogli, schiavizzerò i vostri primogeniti e mi nutrirò della vostra anima, questo per indurvi in tentazione e costringervi nel male. L’Inferno non ha nome, ci camminiamo sopra ogni singolo giorno, nulla ci salverà mai dal conoscere le ceneri del suo suolo.
Genere: Dark, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nathan Hellis Nathan Victor Hellis, Conte di Liverpool, ereditario diretto degli averi del nonno materno, un Duca, e di tutto ciò che i suoi genitori avevano. Avevano, sì, morti, che tragico, ahimé, incidente, ma altre soluzioni non c’erano, che avreste fatto voi al posto mio? Eh? Un esame di coscienza, oh sì, ci ho provato, ve lo assicuro, ma nel momento in cui si viene drammaticamente a sapere che la tua coscienza è oramai nulla, che non t’importa davvero di nulla oramai, allora che ti resta da fare se non dar sfogo alla tua personale natura?

I vizi, i piaceri, gli omicidi, gli usi, i soprusi, la violenza, il lusso, il rendersi conto in maniera irrimediabile che l’unico modo si ha per non apparire colpevoli è diventare dei mostri. L’ira, la gola, l’accidia, l’invidia, l’avarizia, la superbia…la lussuria, sono la fiamma che li alimenta e quella che li distruggerà, sono il sole del mattino e l’ascia che ti negherà la vita. Sono quello che ami e quello che odi, sono solo la rappresentazione carnale di ogni vizio, la mia assenza non porta altro che la consapevolezza che è tutto dannatamente sbagliato.

Volete sapere chi sono realmente adesso? Nathan Victor Hellis, nato a Londra a dire il vero, il 28 Dicembre 1803, lì ho sempre vissuto, per quattordici anni poi, che sono tutto meno che tanti. La mia famiglia, ah, l’adoravo prima di degenerare, avevo con loro un bel rapporto per altro, ma quella che adoravo di più era Tanja, lei non faceva parte della famiglia Hellis, era Russa, ma si sa che durante la Victorian Age Inghilterra e Russia erano nel bel mezzo di aspri conflitti.

A dire il vero mi ricordo che correvo fuori per poter giocare con lei, perché era una delle poche persone che comprendeva che la mia natura non era quella che mostravo e comunque non le importava sapermi un mostro, voleva che mi comportassi come mi sentivo, me lo diceva sempre, mi faceva una così grande tenerezza… la volevo veder soffrire. Io volevo vedere la persona più importante della mia vita soffrire, ma non soffrire per cose da poco conto come un giocattolo, io volevo che soffrisse come non aveva mai sofferto prima, volevo che i suoi genitori finissero in pasto ai leoni, volevo sentirla piangere disperata, chiedermi pietà, perdono e qualsiasi cosa potesse placare la mia ira, questo volevo. Volevo vederla ferita e rantolante a terra che chiedeva scusa per aver mosso male una mano, con le parole impastate per via del sangue misto alla saliva. Quanto avevo? Undici anni? Davvero un ragazzino di undici anni può pensare e provare certe sensazioni?

La guardavo e riuscivo a trattenermi dal fare tutto ciò, ci provavo e più mi trattenevo più ne sentivo il bisogno, ma alla fine riuscì a non farle mai nulla, non la toccai nemmeno con una parola un po’ troppo tagliente, assolutamente nulla. Cosa successe? La trovai morta lo stesso. Me lo ricordo ancora, era stesa a terra, di fronte alla porta di casa sua, il volto tumefatto, le lacrime che si erano seccate su quella pelle, l’abito lilla lacero e macchiato d’amaranto. Mi ricordo che per un attimo avevo provato un forte senso d’appagamento, come se per la prima volta mi sentissi davvero completo. Solo pochi attimi dopo mi resi conto che non c’era più vita in quel corpo, che non era solo come l’avevo immaginata una volta, era morta. Fu quello il punto in cui provai qualcosa di nuovo, una tristezza infinita e fu l’ultima volta che la sentii davvero. Sembra triste, ma l’ho dimenticata in poco tempo, quella che fu la persona più importante della mia vita, dimenticata, come se avessero ucciso un gatto malconcio e non lei. Triste? Crudele? Spietato? Probabilmente sì, ma è quello che sono. Non bisogna mai sottovalutare il significato delle parole, quando vi dico che sono un mostro, vi assicuro che io sono seriamente un mostro.

Di lì in avanti il mio scopo fu sbarazzarmi di tutto ciò che era legato a lei, perché non ero stato io a farle del male, no, era stato qualche altro ed io avevo dentro la sensazione repressa di quel sadismo, quando questo non è una parola grossa per farsi “belli” agli occhi altrui, quando questo si dimostra essere una vera e propria malattia mentale. Io sono sadico, profondamente sadico, quello che di sbagliato ho fatto è stato reprimere il mio stesso sadismo per paura di poter fare Troppo male. Quella fu la cosa che mi permise di togliere ogni freno a quello che ero, che mi permise di diventare quello che sentivo, e non fu graduale, fu uno scatto d’ira, seguì il controllo di un momento in cui la mia sottil mente mi permise di entrare in casa loro, sorridere ai suoi genitori, come se nulla fosse mai successo, mentre dentro avevo il desiderio solo di far del male.

Sono nato per portare questo mondo allo sfacelo, e così sia, venga il Mio Regno, sia fatta la Mia volontà, come in cielo così in terra, vi negherò il pane quotidiano, accrescerò per me i vostri debiti, così che voi sputiate sangue per annullare i miei crediti, prenderò le vostre mogli, schiavizzerò i vostri primogeniti e mi nutrirò della vostra anima, questo per indurvi in tentazione e costringervi nel male. L’Inferno non ha nome, ci camminiamo sopra ogni singolo giorno, nulla ci salverà mai dal conoscere le ceneri del suo suolo.

Fu quando lui, il padre, se ne andò di là che potei saltare al collo della sua signora, potevo sentirla arrancare, ma il fiato le mancava anche solo per poter urlare, vedevo i suoi occhi pieni di vera disperazione, l’attaccarsi ultimo a qualsiasi cosa, quella mano che si allunga verso il mio volto, l’altra che si serra con poca forza sul mio polso, i suoi occhi spalancati che mi chiedono perché, di smetterla, e ad ogni muta richiesta io stringevo di più. Nemmeno me ne rendevo conto che sul mio volto non c’era rabbia, c’era esaltazione, ero..esaltato nel vedere quella scena e più la vedevo e più sentivo il corpo fremere e la mente gridarmi di continuare. Un grido continuo che tamburellava il cervello, snervante, che volevo annientare e sapevo che avrei potuto farlo unicamente assecondandola, un ticchettio di un orologio troppo pressante per essere ignorato, troppo pressante per non divenirne un umile asservito. E’ l’orologio che scandisce i secondi che mancano alla morte e più si avvicina più il suo rintocco è forte e prepotente, poi? Poi c’è un ultimo battito, quello che ti fa quasi urlare per il piacere, migliore di un qualsivoglia orgasmo, migliore della droga, migliore di..tutto, e dopo quello il nulla. Solo gli occhi vitrei e spenti di chi hai appena ucciso, e allora te ne penti, te ne rendi davvero conto e ti allontani da quel corpo morto, lo fissi con spavento, ma non hai paura di quello, hai paura di te stesso, di quello che sei e che sei diventato, di quello che puoi fare senza nemmeno rendertene conto.

Fu lo scombussolamento di un attimo, la decisione di rimanere lì per terra a fissare sconvolto la cosa, la forza di mentire all’uomo che la trovò e che mi picchiò, credendomi, senza sbagliare, che fossi stato io. La freddezza e la paura che avevo di me che mi permise di guardarlo negli occhi e dirgli piangendo che non ero stato io, che era stato un mostro, era stato un uomo che non mi apparteneva, era stato qualche altro. Ed ero così convinto di quel che dicevo, che non poté fare a meno di credermi e chiedermi com’era fatto.

“Aveva occhi accesi di un’esaltazione innaturale, il corpo teso, la mente eccitata, un sorriso enorme ed il respiro accelerato di chi sta provando qualcosa di spettacolare per la prima volta. Era un uomo, era moro, aveva gli occhi neri come la pece, le labbra sottili ed il volto deturpato, il suo corpo era muscoloso e le sue mani logore per il lavoro.”

Lo denunciò alle autorità, era un ricercato, era il mio alter ego, così lo definivo, quel mio inconscio descrivere il mio esatto opposto, perché non volevo essere quello, non mi piaceva la prospettiva, sapevo che c’era, ma non lo volevo accettare, non ancora, ero ancora umano, avevo ancora quel briciolo di coscienza che mi imponeva di rifiutare e reprimere quella parte a me legata tanto in profondità.

Scorsero così i giorni, le settimane ed i mesi, sin quando non ci fu un incidente, il giorno in cui la mia carrozza si ritrovò improvvisamente senza cavalli, si erano staccati per non si sa quali motivi. Sta di fatto che la carrozza si ribaltò, non ricordo dove finimmo, da lì in avanti non avrei ricordato più nulla, c’era solo il buio di un momento e più nessun freno che fermava i miei istinti, nessua etica, nessuna morale, non conoscevo più nulla, l’educazione che mi avevano impartito era andata a farsi benedire. Non avevo più nulla, ero libero. Libero di chiamarmi davvero Nathan Hellis. Libero da quel sottile vincolo che mi impediva di dar libero sfogo alla mia…artisticità!

Et Voilà! Madame et Monsieur! Spero, pubblico di Londra! Che il mio Umile e sconsolato, quanto riluttante e pieno di macabre scene , spettacolo, stenda un velo traslucido e pietoso su questa Mia personalità. Quando amore e sadimso s’incontrano, al bivio, quel! Bivio! Lì c’è la morte.

E la morte segnò in quegli anni per primi i miei genitori, ma non li strangolai, li uccisi in maniera più sottile. Lei? Lei mi divertì a vederla inorridire mentre godevo profondamente del suo dolore mentre la lama di quell’arma le scorreva tra i seni, segnando profondamente la pelle e donandole un dolore mai conosciuto, nessuno l’aveva mai toccata prima e non escludo che la cosa eccitasse anche lei sotto sotto. In fin dei conti la donna è sempre stata la parte passiva della coppia ed in quanto tale per natura masochista, più il maschio si impone, più è prepotente nei suoi confronti, più lei finge di dibattersi, e più si eccita. Alla fine non potei che osservarla mentre il sangue colato a terra diveniva troppo, le ferite troppo profonde e la morte sopraggiungere lentamente. Morì così. Dissanguata. Le ho lasciato il tempo di capire che stava per morire, le ho lasciato la speranza, non sono stato forse misericordioso? Perché tenerle questa premura? Perché l’ho fatto? Se solo lo sapessi…

Lui, lui lo appesi a testa in giù, gli feci delle domande sul mio passato ma non mi aiutò a comprendere molto, so solo che alla fine me lo sono creato da solo, tanto bene che non distinguo più la realtà dalla finzione, è così sottile il velo che oramai lo ho distrutto, forse ho fatto del male anche a me stesso con ciò, forse è stato solo un caso, ma non so più cos’è vero e cosa invece no. Morì soffocato, mi ricordo che lo rinchiusi in una bara legato e messo a testa in giù, mi ricordo che da dietro il coperchio gi chiedevo se era contento, se era orgoglioso di suo figlio, gli assicurai che avrei fatto tantissima strada, che avrei guadagnato e reso onore alla famiglia Hellis molto più di quanto fece lui. E fu così sin quando il peso del corpo non diventò troppo pressante sui suoi plomoni ed alla fine morì, anche lui.

Ebbi il coraggio di dire che erano scomparsi, ebbi il coraggio di piangere come non mai ed allo stesso modo ricordavo di averlo già fatto una volta, ma non sapevo dire quando. Mi credettero anche, ero un quattordicenne in fin dei conti, con un faccino anche piuttosto carino e sapevo essere così carico di disperazione che non mi chiesero più niente per “evitare di turbare la psiche del ragazzo”, così dissero, ma in me ristagnava già la base fangosa dalla quale sarebbe germogliata e cresciuta senza freni la depravazione. Sì, quella c’è in me, depravazione allo stato puro, come pura è la follia che alle volte si scorge dagli occhi cerulei, non sottovalutarla, ma chère, sono sicuro che se tu lo facessi poi non avresti più tempo per pentirtene.

Questa era la sotria, in breve, di Nathan Victor Hellis, gente, c’è chi lo odia e chi è capace anche d’amarlo. Lui, lui non distingue più quello che è odio dall’amore e punisce tutti con la stessa moneta: il suo personale piacere.

Nella villa Hellis, poco fuori Londra, siede, su un trono d’oro e d’argento, colui che della depravazione e dei vizi è il re. Se volete vivere ogni istante della vostra vita nel migliore dei modi, passate a fargli visita. Se volete passare gli ultimi attimi della vostra esistenza nella redenzione, passate a fargli visita. Se volete solo scoprire quale altro nome può avere l’Inferno, passate a fargli visita. Lui è la risposta a tutte le vostre domande, ma ogni risposta ha un prezzo.
  
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