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Autore: kenjina    11/06/2012    5 recensioni
Non fu il dolore fisico che gli procurò quello strazio assordante, né la carezzevole consapevolezza che sarebbe morto in pochi minuti. Morire significava liberarsi dal peso opprimente di un fardello che non era riuscito a sopportare e che ora lo stava schiacciando, per lasciarlo finalmente libero dalle angosce e dai tormenti. Aveva sempre immaginato la sua morte e sapeva che sarebbe stato in battaglia. Sarebbe caduto da soldato, davanti le mura della sua amata città, per difendere con onore il suo popolo dalle armate nemiche che giungevano come un'ombra da Est. La sua morte sarebbe servita per salvare le terre che lo avevano visto crescere, per dare una possibilità alle future generazioni di vivere una vita lontana dalle tenebre e dalle paure.
Genere: Drammatico, Guerra, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Boromir, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Foreste di Betulle; giardini di Pietra.'
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Finalmente posso dirmi un po' più libera dagli esami - ho finito gli ordinari, ora mi mancano un paio di recuperi, ma ho più tempo per dedicarmi alla scrittura.

Era ora!

Corro subito a rispondere alle ultime recensioni!

Buona lettura,

Marta.

 

Betulla


09.

11 Marzo 3019 T. E.

 

«Ho superato la prova?»

«Brillantemente.»

Brethil sospirò, lasciandosi cadere su una panca in pietra, nel giardino delle Case di Guarigione. Si sentiva esausta per l'estenuante viaggio, ma ancor di più stanca da quell'infinito pranzo. Aveva dovuto far ricorso a tutte le sue buone maniere, le poche che conosceva, per rispondere educatamente a tutti i quesiti che le venivano posti, anche quelli più eccentrici. Le frecce più pericolose erano quelle che provenivano dalla sua destra e il timore di non essere piaciuta al Sovrintendente le mozzava il respiro. Il perché volesse fare una buona figura agli occhi dell'Uomo, poi, rimaneva un mistero che non aveva intenzione di approfondire.

«Perdona mio padre, non vuole essere cattivo e non si diverte a mettere a disagio i suoi ospiti, anzi.» disse Boromir, sedendosi accanto a lei. «È solo che vuole studiare chi ha di fronte, per capire se si tratti di un nemico o di un amico... per capire se può concedergli la sua stima o meno.»

«Non accuso tuo padre, né il resto dei presenti. Immagino sia lecito, da parte loro, conoscere le motivazioni di tanto femminismo che è ovvio non condividano.» Brethil abbozzò un sorriso stanco. «Sai, anche Éomer la pensava esattamente come loro. Molto spesso abbiamo avuto lunghe conversazioni, anche accese, sul ruolo della donna in battaglia. Ma alla fine si sono sempre concluse pacificamente con risate e battute.»

«Devo ammettere che anche io sono dalla loro parte, Brethil.» confessò Boromir. «Sono stato educato con questa mentalità, non farmene una colpa.»

«Non è mia intenzione. Ma ciò non vuol dire che, sebbene ti abbiano educato così, tu non possa decidere da solo cosa pensare.»

«È vero, nessuno mi vieta di cambiare idea. E dopo aver ascoltato i tuoi racconti credo di essere su quella strada, ormai. Eppure rimango del parere che possano esserci delle eccezioni, ma non interi eserciti di donne. Non sarebbe normale.» Boromir si accorse troppo tardi dell'occhiata risentita della donna, e si affrettò ad aggiungere: «Le città non possono rimanere sguarnite del tutto di difesa, del resto, non trovi?»

Qualunque cosa Brethil avesse avuto intenzione di dire non gli fu concesso saperlo. Brethil era troppo divertita dal salvataggio ortodosso dell'uomo per ribattere. Stettero in silenzio e, nell'osservare quelle nuvole innaturalmente nere che velocemente si avvicinavano sopra le loro teste, tornò anche la preoccupazione.

«Mi domando come stiano gli altri.» disse l'Uomo, sospirando. L'espressione del suo viso divenne grave, nel guardare le montagne oscure davanti ai suoi occhi. «Chissà se Frodo... chissà se è ancora vivo? Faramir ha detto di averlo incontrato con Sam, tre giorni fa... ma non sono più sicuro che possa riuscire ad andare avanti.»

«Sapevi che il compito che gli è stato affidato è un fardello talmente pesante che difficilmente sarebbe andato in porto, Boromir. Lo sapevi tu, e ne era cosciente anche il Consiglio di Elrond. Il luogo dove è diretto non è adatto a nessuno di noi, ma conosco gli Hobbit e so quanto siano tenaci. Non disperare.»

«Non è della loro temerarietà che mi preoccupo, bensì della via che hanno imboccato. Faramir ha detto che Gollum li stava conducendo presso il valico di Cirith Ungol e...»

«Gollum, hai detto? Sono guidati da Gollum?» esclamò Brethil impallidendo e scattando in piedi. Vacillò subito dopo per un capogiro e Boromir la sostenne prima che crollasse in terra.

«Stai bene? Non dovresti affaticarti, amica mia.» le domandò, aiutandola a sedersi. Sentì la mano di lei stringersi con forza nella sua.

«Rispondimi, Boromir. Gollum è con loro?»

L'Uomo annuì, e lei si nascose il viso tra le mani. «Che cosa ho fatto? È per questo che quell'essere doveva essere liberato? Per portare alla morte gli Hobbit? Oh, Boromir, voglio morire!»

«Non dire sciocchezze. La profezia che udisti in sogno non diceva forse che doveva essere liberato se il Mezzuomo voleva percorrere la via oscura?»

«Sì, ma niente parlava della sua guida!» Brethil era un fascio di nervi tesi e aveva gli occhi grigi sbarrati e lucidi. Il suo viso sfregiato pareva ancora più martoriato da quell'espressione terrorizzata. «Boromir, quell'essere è meschino, brama una cosa soltanto e sappiamo entrambi di cosa si tratti. Farebbe qualunque cosa, qualunque!, pur di riavere l'Anello per sé. Lo ha tenuto per cinquecento anni, gli ha avvelenato la mente e finché non morirà continuerà a volerlo. Neanche tra un'era riuscirà a disfarsi di questo suo morboso desiderio.»

Boromir rimase in silenzio per qualche istante, poi parlò, sottovoce. «Diventerò anche io come lui? Continuerò a sognare di tenerlo tra le dita per sempre?»

Brethil sollevò lo sguardo su di lui e per un attimo la sua espressione tesa si addolcì. «L'influsso che hai subìto non è stato così forte da corrompere il tuo animo, Boromir. Nemmeno lo hai mai toccato, da quanto mi hai detto. Non diventerai come Gollum, puoi stare tranquillo.»

L'Uomo socchiuse gli occhi e poggiò la fronte contro quella della donna, sospirando. «Mi chiedo come avrei fatto se non ti avessi incontrata, Brethil. Se fossi sopravvissuto, quel giorno, senza il tuo soccorso, sarei comunque morto per i sensi di colpa e la paura.»

Quella vicinanza improvvisa ebbe lo strano effetto di farla arrossire. Brethil trattenne il fiato, per paura di muoversi e di rompere quel piccolo momento di perfezione, e abbassò lo sguardo, per evitare di incontrare gli occhi dell'Uomo. Non c'era niente di sbagliato in quel gesto di amicizia e gratitudine, eppure sentiva che fosse una situazione inopportuna e imbarazzante. Era certa che con Aragorn, o Halbarad, o i gemelli non avrebbe provato nessun senso di fastidio, e la cosa la spaventò. Aprì nuovamente gli occhi e gli accarezzò il viso un po' ispido per la barba che ricresceva, approfittando del sorriso di lui per allontanarsi un poco senza insospettirlo.

«È meglio che vada a studiare le carte che tuo padre mi ha dato, Boromir. Ho il sospetto che questa sera voglia davvero chiedermi consiglio e non vorrei farmi trovare impreparata.»

L'Uomo sembrò accigliarsi, ma il suo tono di voce non cambiò. «Oh, te lo chiederà sicuramente. Gli piace avere una visuale più ampia, se gli è concesso, e approfitterà della tua presenza e della tua esperienza finché gli servirà. Se vuoi possiamo vederle insieme, cosicché possa spiegarti da che parte è probabile che proverranno le forze nemiche e di quanti uomini disponiamo.»

Brethil annuì e insieme tornarono alla sua stanza. Ma prima che giungessero alla porta, la donna lo fermò. «Devo chiederti il favore di attendere fuori, per qualche minuto. Ho il bisogno di togliermi questo abito.»

L'Uomo rise e annuì. «Sì, non ti biasimo certo! Fai pure, chiamami appena finisci.»

La Dùnadan si richiuse la porta alle spalle e sospirò. Doveva darsi una calmata, oltre che una sistemata. Non voleva provare imbarazzo con Boromir, non voleva incrinare quella preziosa amicizia che si era saldata tra loro. Forse era quell'abito che l'aveva fatta apparire un poco più appetibile e Boromir, essendo un uomo, se n'era accorto. Ma lei non era una donna come le altre: non le importava imbellettarsi per qualcuno, non amava sfoggiare vestiti riccamente decorati, né acconciarsi i capelli o indossare gioielli. La sua seconda pelle era quella logora divisa dei Raminghi del Nord, grigia e scarna, eppure regale con quella spilla stellata che fermava il mantello sulla spalla destra. Era così che si sentiva ancora viva, così che poteva aggrapparsi a qualcosa in cui poteva riconoscersi, così da sentirsi protetta dagli sguardi di chiunque, anche di Boromir. Magari, tornando in quelle vesti, quella strana sensazione che aveva avvertito mentre lui la guardava sarebbe sparita.

Si cambiò con lentezza, ancora stanca nonostante l'abbondante pranzo; indossò gli stretti pantaloni color fumo e gli stivali più chiari sopra; una leggera casacca grigia e poi una più pesante e spessa, da allacciare sul torso, stretta intorno alla vita dalla cintura, dove avrebbe dovuto pendere la sua fedele Celeboglinn, ora riposta con cura nel suo fodero sulla cassapanca. Ripiegò l'abito con poca grazia e lo lasciò sul letto, sperando che qualcuno lo facesse sparire al più presto. Non lo avrebbe rindossato per la cena, non ne aveva la minima intenzione. Avrebbe sopportato lo sguardo perforante del Sovrintendente, quella sera, piuttosto che sentirsi nuovamente costretta in un ruolo che non le apparteneva.

Quando riaprì la porta, trovò Boromir poggiato contro il muro esterno dell'edificio, mentre discuteva con un soldato, che venne congedato immediatamente appena Brethil comparve.

«Sei l'unica donna che conosco che rifiuta un abito come quello per ciò che indossi ora.» disse Boromir guardando il vestito abbandonato sul letto, con una nota di ironia nella voce.

«Non fa per me, semplicemente.» fece lei, stringendosi nelle spalle. «Piuttosto, dovremmo andare in un luogo più adatto, anziché nella mia stanza. Non vorrei che la tua reputazione venisse macchiata da strane dicerie.»

«Oh, non preoccuparti di quello. Non mi curo dei pettegolezzi di nessuno, Brethil. Sto semplicemente studiando delle strategie di guerra con un soldato.»

La Dùnadan si strinse nelle spalle e si sedettero attorno al tavolo, stendendo le carte di Gondor sotto i loro occhi. Boromir le spiegò velocemente da dove venissero i Dignitari che aveva conosciuto quella mattina, e le indicò quali fossero le loro ultime roccaforti ancora in piedi, Osgiliath in primo luogo.

«Era la capitale del nostro regno, tanto tempo fa. Cadde in rovina durante la Lotta delle Stirpi e, successivamente, dopo la Grande Epidemia. Doveva essere bellissima nel suo periodo di splendore, già ora è commovente. Oggi è un avamposto sul fiume molto importante per Minas Tirith. Se gli eserciti da Est decidessero di attaccare, noi lo sapremmo con largo anticipo e potremmo preparare le difese. Ahimè, questa volta il nemico era dieci volte superiore della nostra difesa ed è stata presa. Faramir difficilmente riuscirà a riconquistarla.» aggiunse, preoccupato per le sorti di suo fratello. «Dopo Osgiliath c'è il Rammas Echor, la grande muraglia che protegge Minas Tirith. Circonda tutti i campi del Pelennor per più di dieci leghe. Questo è uno dei cancelli più lontani dalla Città, dista quattro leghe e c'è un fronte elevato che permette una buona vista sui campi e sul fiume. Questo, invece, è il punto più critico, perché è quello più vicino alla città e quello da cui temiamo più rappresaglie, qui a sud-est: dalla muraglia alla fortezza c'è poco più di una lega di distanza. È da questa parte che arriverà l'esercito proveniente da Minas Morgul, ma abbiamo notizia anche di corsari provenienti dal Sud.» Seguitò a parlare per altri minuti e Brethil lo ascoltò con attenzione, memorizzando distanze, nomi e tutte le informazioni che riusciva ad assimilare.

«L'unico fianco che pare coperto è quello nord, dove arriverà Rohan. Saruman non è più un problema, dopo la sconfitta al Fosso di Helm.» disse la donna, pensierosa. «Quanti uomini avete lì?»

«Duecento, pronti a spostarsi in caso di bisogno verso la porta ad Est. Sei sicura che Rohan risponderà alla nostra richiesta di aiuto?»

«Lo farà, sì. Ha subìto numerose perdite, ma non si tirerà indietro. Questa guerra interessa tutta la Terra di Mezzo, non solo Gondor. Quando sono partita Re Théoden stava radunando tutto il suo esercito a Dunclivo. Sarebbero partiti in un paio di giorni.»

«Bene, molto bene.» Boromir prese un'altra carta, quella di Minas Tirith, e le indicò i vari livelli e la posizione delle sette Porte. «Quella d'ingresso è robusta e indistruttibile. Ha resistito per secoli agli attacchi del nemico e del tempo, compresa la prima cerchia di mura. Se dovesse cadere dovremmo spostarci al Secondo Cerchio e difendere l'unica entrata da qualsiasi cosa ci sia fuori.»

«Donne e bambini verranno evacuati prima della battaglia?»

«Sì, i primi quattro cerchi sono già svuotati di civili. Chi rimane sono fabbri e carpentieri, al sesto livello. Si stanno recando verso Sud-Ovest, scortati da trecento soldati.»

«Chi è invece rimasto dove può rifugiarsi? Non esiste una via per la montagna?»

«Esiste un sentiero molto antico, ma porta verso la cima del Mindolluin e non è una via facile da percorrere. Nel malaugurato caso che neanche il Quinto Cerchio sia usufruibile chiederò a mio padre il permesso di far entrare quanti più civili possibile nelle Tombe dei Re. Vengono aperte solo nel caso di un funerale, ma niente è stato precisato nel caso di assedio. I corridoi dove riposano gli antichi sovrani di Gondor sono ampi e si snodano per parecchio nel ventre del monte. Vi è un'unica entrata per le cripte e rimane ben protetta.»

Brethil annuì, sperando in cuor suo che non dovessero arrivare a tanto. Non aveva idea di quanto grande sarebbe stato l'esercito di Mordor, diretto come un'onda contro Minas Tirith, ma da ciò che le era stato riferito non era quantificabile. Avrebbero superato quella guerra o sarebbero caduti sotto il potere delle ombre?

Discussero a lungo sulle possibili strategie da utilizzare e le ore trascorsero velocemente. Boromir attendeva da un momento all'altro che il padre lo convocasse, ma ciò non avvenne. Probabilmente, pensò, Denethor era ancora troppo adirato con il primogenito per parlare con lui di guerre e tattiche, tanto da non aver voglia di ascoltarlo. Ciò che invece non lo sorprese fu la convocazione di Brethil, peraltro già annunciata.

Pipino giunse con il fiatone sulla soglia della porta, avvisando la donna che il Sovrintendente desiderava vederla, e lei trattenne il fiato. Si voltò verso l'Uomo, chiedendogli tacitamente di accompagnarla, ma lui scosse il capo.

«Mio padre ha chiesto di te, Brethil, non di suo figlio. Credo che non sia ancora pronto per parlarmi, e anzi, vorrà porti delle domande su quello che successe ad Amon Hen.»

«Non è quello che temo.»

Boromir sospirò pesantemente, capendo le sue paure. «Non sentirti in dovere di raccontargli la storia della tua vita. Non è un interrogatorio e tu non sei l'interrogata. Proverà a carpire qualcosa di ciò che tieni nascosto e tenterà di farti parlare con la sua abile dialettica.» Poi sorrise. «Ma tu hai la lingua lunga, come mi hai dato prova di vedere, non avrai problemi a tenergli testa.»

La Dùnadan non fu molto convinta di quelle parole, eppure ebbero il potere di incoraggiarla. Seguì Pipino in silenzio, chiudendo le mani a pugno, dato che non poteva stringere l'elsa della sua spada. Forse con quella al suo fianco si sarebbe sentita un po' più al sicuro dalle parole taglienti dell'uomo, ma non poteva presentarsi armata al suo cospetto. A meno che non volesse finire dietro le sbarre di un carcere.

La pesante porta d'ingresso alla Sala del Trono venne aperta da due guardie e Brethil camminò con la testa alta e la schiena dritta verso il seggio del Sovrintendente, che l'attendeva in silenzio, scrutandola. Pipino, che le camminava velocemente accanto, le strinse una mano.

I loro passi riecheggiarono leggeri contro i muri scarni dell'ampio salone e, mentre lei si fermò a qualche metro di distanza dall'uomo, Pipino proseguì, avvicinandosi e attendendo ordini al suo fianco.

Fu solo allora che Denethor sorrise e le diede il benvenuto. «Sono lieto che abbia accettato di parlare con un povero vecchio come me.»

La voce le tremò un attimo all'inizio, ma riuscì a mantenerla ferma poco dopo, tentando di non inciampare sulle proprie parole. «È per me un onore avere la possibilità di discorrere con il Sovrintendente di Gondor, mio signore. Ma permettimi di dissentire dalle tue ultime parole, poiché ho conosciuto molti uomini che dicevano di essere vecchi e poveri, e in realtà erano potenti e vigorosi, nonostante l'età avanzata.»

Denethor sembrò apprezzare quella risposta e annuì. «Immagino ti riferisca al nostro amico e alleato Re Théoden, o al saggio Mithrandir.»

«Loro sono solo l'apice degli esempi che potrei elencare, mio signore. Anche chi non ha una corona sul capo o un bastone magico tra le mani, ma solo una spada per difendere la propria terra può essere ritenuto ugualmente saggio e potente.»

 «E lo sono anche le donne guerriere, a quanto pare.» fece lui, notando con piacere il delizioso colorito rosso sulle guance sfregiate di lei. Non fece commenti sul suo abbigliamento, ma Brethil sentiva gli occhi dell'Uomo osservare con interesse ogni centimetro di quegli indumenti, soffermandosi sulla spilla a forma di stella sulla sua spalla. «Mio figlio mi ha raccontato chi sei, ma mi piacerebbe udire la tua storia di persona. Non tutti i giorni mi capita di avere il privilegio di ascoltare una discendente di Númenor.»

«E cosa potrei raccontare per non annoiarti, mio signore?»

«Non credo che mi annoierò. A quanto ho capito la tua vita non è stata così monotona.» disse, ora guardando insistentemente le cicatrici su quello che un tempo era un bel viso.

Brethil si umettò le labbra prima di parlare. «No, non lo è stata. Mio padre faceva parte dei Raminghi del Nord, così come mia madre e tutta la nostra famiglia. Sono cresciuta con il solo pensiero di difendere i popoli della mia terra e ho ricevuto gli allenamenti di Elfi e Uomini. Mi capitava spesso, infatti, di recarmi a Imladris, dove i figli di Re Elrond sono diventati miei amici e maestri di spada e arco.»

«Un onore immenso, il tuo. Sai parlare anche l'Elfico, quindi?»

«Sì, lo parlo e lo comprendo, mio signore.»

«Notevole, davvero notevole. E quali luoghi hai difeso, se posso saperlo?»

«L'Eriador del Nord, principalmente, e Bosco Atro.»

«Difendevi anche la terra del mio piccolo scudiero?»

«Sì, mio signore. Per anni i Raminghi del Nord hanno difeso la Contea.»

«E per quale motivo una landa dimenticata e sconosciuta ai più ha dovuto circondarsi di Raminghi?»

Brethil rabbrividì notando lo scintillio sinistro negli occhi del suo interlocutore. Scambiò una rapida occhiata con Pipino, che tratteneva il fiato, poi riportò la sua attenzione sul Sovrintendente, sorridendo. «Se fosse possibile descrivere la bellezza e l'integrità della Contea e dei suoi abitanti sarebbe più facile per me spiegarlo, mio signore.»

Lo Hobbit riprese a respirare, ricambiando il sorriso amaramente nel ripensare alla sua terra che tanto gli mancava. Erano mesi che non metteva i suoi grandi piedi pelosi sulla soffice erba di Hobbiville, ma quel luogo era così profondamente fissato nel suo cuore e nella sua memoria che poteva benissimo sentire il profumo dell'aria pulita o il sapore dei funghi appena raccolti.

Pipino cacciò indietro le lacrime di nostalgia, per concentrarsi nuovamente sulla discussione, che ora era volata repentinamente sul giorno in cui Brethil aveva salvato la vita di Boromir. Il Sovrintendente ascoltava con attenzione il racconto della donna, senza osare interromperla, e lei non esitò un istante. Sapeva che Denethor fosse a conoscenza della debolezza del figlio, così come della missione di Frodo e Sam, ma evitò abilmente di nominare l'uno e l'altro. Lei, del resto, sarebbe dovuta rimanere all'oscuro di tutto, estranea alla Compagnia dell'Anello. Denethor capì che sapesse qualcosa, ma non le chiese altro. Quello per lui era un segno di rispetto nei confronti del Consiglio di Elrond e, sebbene non ne condividesse i fini, apprezzò l'abilità di Brethil nel raccontare la sua personale storia, senza accennare all'Anello.

«Boromir mi parlò di un Uomo, suo compagno di viaggio... un Ramingo, come te. Mi ha detto che è un uomo d'onore e un grande capo. Sai di chi sto parlando?»

Lei abbozzò un sorriso mesto, capendo finalmente il filo del discorso. Boromir non sbagliava nel dire che suo padre avrebbe potuto ottenere qualsiasi informazione con l'arte della dialettica. Denethor voleva informazioni sul futuro Re di Gondor, era ovvio. Così come fosse chiaro come il sole che ci fosse una sottile linea di veleno nelle sue parole. «Sì, credo di sì. Grampasso si fa chiamare nel Nord, Aragorn è il suo nome, conosciuto come Estel tra gli Elfi. Che cosa vuoi sapere di lui, mio signore?»

Gli occhi piccoli e penetranti dell'Uomo si assottigliarono. «Una voce mi è giunta, una voce che dice che egli sia discendente di Isildur, unico erede al trono di Gondor.»

«Sapete tutto quello che c'è da sapere, dunque.»

«So che è anziano a sufficienza per aver avuto numerose occasioni di tornare nella sua terra, eppure il trono accanto al mio è ancora vuoto.»

«Non serve una corona per fare di un uomo un Re, mio signore.» rispose Brethil, cortesemente, ma con fermezza. «Come sicuramente Boromir ti avrà riferito, Aragorn attende il momento migliore per prendere ciò che gli spetta di diritto. In un momento critico come questo è bene per Gondor non essere sconvolti dalla notizia del ritorno del Re, per quanto lieta sarebbe, ma bisogna concentrarsi sulla difesa. Cosa che lui stesso sta portando avanti con caparbietà e coraggio.»

«Parli come se lo conoscessi bene.»

«E così è, mio signore. Aragorn è sempre stato una guida per me e per tutti noi. Lo sarà anche per il tuo popolo.»

«Se mai farà ritorno a Minas Tirith.» sussurrò Denethor, chinando lo sguardo sul suo scettro bianco, quasi con risentimento. Poi l'ombra sul suo volto anziano sparì, lasciando spazio ad un sorriso sincero. «Brethil, figlia di Aeglos, è mio dovere ringraziarti ancora una volta per aver salvato la vita di mio figlio. Neanche un'Era di omaggi basterebbe a colmare tutta la mia gratitudine nei tuoi confronti. Quindi, se c'è qualcosa, qualsiasi cosa che desideri, io vedrò di esaudirla.»

Lei si chinò. «Sono io a ringraziarvi per la vostra offerta, ma il soggiorno e le cure che mi state dando sono sufficienti. L'unica cosa che desidero ora è rivedere la luce del sole e visitare la tua bella città splendente sotto i suoi raggi e udire le musiche delle trombe d'argento che tanto Boromir ha elogiato.»

«Ahimè, non posso darti quello che chiedi, non senza un'arma nelle mie mani.»

«Il coraggio e l'amore per questa terra sono le armi migliori che abbiamo ora, mio signore.» lo interruppe bruscamente lei, forse troppo bruscamente, si accorse in ritardo, quando sentì l'occhiata irritata dell'uomo.

Denethor fece per parlare, ma rinunciò a qualsiasi controbattuta tagliente. «Sì, hai ragione. Speriamo solo che i nostri vicini alleati di Rohan ci raggiungano per tempo.»

«Lo faranno.»

«Un'ultima domanda, prima di congedarti.»

Brethil si sentì avvolgere da uno strano senso di inquietudine. Perché sentiva che quell'ultima richiesta, prima della liberazione da quell'interrogatorio, sarebbe stata ben più pesante di tutte le domande precedenti.

«Con quale urgenza sei giunta a Minas Tirith, rischiando di perire per fame e stanchezza? Il tuo posto non è forse accanto a Théoden?»

«Il mio posto è accanto ad Aragorn, mio signore. Ma c'erano delle questioni importanti che dovevo riferire a tuo figlio.»

«Questioni di che genere?»

Lei scosse il capo. «Preferirei mantenerle per me, con il dovuto rispetto, mio signore.»

«Riguardano la guerra? I piani del nemico? Perché se così fosse, il mio sarebbe un ordine.»

Brethil scosse il capo, ancora una volta. «Niente di tutto questo, ma altrettanto importanti. Ti prego solo di non domandare oltre.»

Il Sovrintendente allargò le braccia, distendendosi in un sorriso. «Così sia. Va', ora, e riposati. Ti attendo per la cena, dama Brethil. Sarebbe un piacere averti nuovamente accanto. E potremo parlare ampiamente di guerra, se hai studiato le carte che ti ho fatto portare.»

Lei si chinò ancora una volta e salutò Pipino con un lieve increspamento delle labbra. Si voltò e percorse quasi con urgenza la distanza che la separava dall'uscita. Non seppe dire se provò sollievo nel vedere quel cielo innaturalmente plumbeo o se cadde nuovamente nello sconforto, ma quando sentì la porta richiudersi alle sue spalle tirò un sospiro di sollievo. Denethor non era stato poi così crudele nel porle le domande: era cortese ma acuto e sapeva fin dall'inizio quali domande porre per avere le risposte giuste; ma detestava quando gli occhi di qualcuno, soprattutto un estraneo, indugiavano troppo sulle sue ferite, interrogandola silenziosamente, supponendo e immaginando le possibili cause. Eppure lei era pienamente cosciente che avrebbe dovuto sopportare anche quello, nella vita: gli sguardi dei curiosi erano il minimo pegno che doveva pagare per risarcire la Terra di Mezzo del suo gesto.

Si guardò intorno per cercare gli unici volti familiari della zona, ma purtroppo non vide né Boromir tantomeno Gandalf nelle vicinanze. Tornò alle Case di Guarigione, sperando di non incrociare la vecchia e petulante Ioreth, e per una volta la fortuna le fu accanto. Si ritrovò nella sua stanza in pochi minuti e guardò avidamente le sue armi ancora abbandonate sulla cassapanca. Prese Celeboglinn con riverenza e la osservò, riportando alla mente il momento in cui l'aveva toccata per la prima volta. Anche protetta dal fodero poteva percepire la forza della fattura elfica. Legò in vita la cintura della spada e uscì in giardino, un luogo ben riparato dagli sguardi dei curiosi e silenzioso - ottimo per una veloce esercitazione. Se avesse seguito Aragorn magari avrebbe potuto riprendere gli allenamenti con i gemelli di Elrond, ma purtroppo essi erano ben lunghi da Minas Tirith, e lungo un percorso ben più periglioso del suo.

Sospirò mentre estraeva Celeboglinn e l'afferrava con entrambe le mani, assaporando la piacevole sensazione degli intagli sui polpastrelli. Poi chiuse gli occhi e diede inizio alla danza di routine che soleva fare in allenamento. E in quei momenti tutto spariva, per lasciarla in balia di quei movimenti che aveva imparato a compiere meccanicamente ma con grazia, mentre combatteva contro nemici immaginari, fendendo l'aria con forza e spietatezza.

Boromir, che l'aveva notata mentre tornava alle Case e l'aveva seguita senza che lei se ne accorgesse, rimase piacevolmente  impressionato da quello strano stile di battaglia che la caratterizzava, poiché mai l'aveva veduta combattere prima di allora. Una donna che sapeva impugnare un'arma era di per sé una novità, ma se a questo sommava l'eleganza elfica che impregnava ogni suo gesto il risultato era stupefacente. Aveva visto la grazia dei movimenti di Legolas nello scoccare una freccia o nell'usare quei suoi pugnali sinuosi e letali, e non pensava certo che un Mortale potesse eguagliarle l'abilità di un Elfo. Eppure in ogni fendente di Brethil, in ogni passo e in ogni giravolta c'era più del sangue di un Uomo: c'era l'abilità forgiata dagli anni, allenata probabilmente dagli Elfi stessi fino allo sfinimento; e non poteva sapere che si fosse avvicinato alla realtà più di quanto avesse ipotizzato.

Brethil mosse due passi veloci, spostando repentinamente la lama prima a destra poi a sinistra, con un affondo. Scartò un invisibile colpo, chinandosi in avanti, facendo leva su un piede e scattando all'indietro. Nella realtà il suo invisibile avversario sarebbe dovuto perire sotto un fendente contro la schiena, ma la sua spada ne incontrò un'altra, facendole sbarrare gli occhi. Boromir aveva estratto la sua e la osservava con curiosità e interesse. La spada dell'uomo, che aveva ritrovato la lucentezza di un tempo dopo una visita dal fabbro, era ben più pesante e grossa rispetto a quella della donna, perfetta per un uomo possente come lui. Brethil liberò la sua lama e fece un passo indietro, portando Celeboglinn dritta all'altezza della sua spalla destra e mettendosi in posizione di attacco. Il suono del ferro contro altro ferro risuonò per l'intero giardino e molti, tra guardie e guaritrici accorsero in preda al panico, temendo che qualche nemico fosse riuscito ad eludere l'estrema sorveglianza della città. In pochi minuti la notizia di una donna guerriera che combatteva contro il figlio del Sovrintendente si diffuse tra il quinto e il sesto livello e presto i due si ritrovarono circondati da una piccola folla di curiosi che aveva momentaneamente abbandonato le proprie mansioni per spiare il loro piccolo spettacolo.

Brethil, sebbene abituata a combattere contro gli Orchi, trovò non poca difficoltà a tener testa ad un uomo come Boromir, ancora debilitata per il suo viaggio e sopraffatta dalla sua forza. Ma era orgogliosa e determinata a farsi valere comunque, nonostante si scoprisse più volte ad arretrare e a difendersi, piuttosto che ad attaccare. Si ritrovò con la schiena contro un albero, la spada puntata verso il basso, obbligata dalla lama di Boromir che la bloccava, e l'uomo che sorrideva. «Dovresti riposarti, Brethil, anziché stancarti inutilmente prima della guerra.»

«Siamo già in guerra. Non è un lavoro inutile il mio.» rispose lei. «E togliti quel sorriso dalle labbra, non hai ancora vinto.»

«Sei spalle al muro.»

«Posso recuperare.»

«Vuoi riprendere un po' di fiato?»

Brethil strinse i denti e, con le poche forze rimaste, lo fece arretrare, più per la sorpresa che per l'effettiva riuscita del suo gesto. I curiosi, intorno a loro, rimasero stupiti e un mormorio modesto iniziò a sollevarsi dalle loro bocche. C'era chi sottolineava la caparbietà della donna, chi la sua maleducazione nel rivolgersi al Capitano della Torre Bianca in quel modo, chi indicava le piaghe che aveva in viso. Ma Brethil non udì una sola parola. Nella sua mente c'era spazio solo per quel piccolo duello che stava portando avanti. Non avrebbe vinto una guerra, ne era consapevole, ma sarebbe stato un grande passo per la sua battaglia personale a favore delle donne che, come lei, impugnavano una spada con la stessa determinazione di un uomo. Ma la sua voglia di vincere non ebbe la meglio sulle forze che scemavano velocemente e Boromir le puntò la spada alla gola.

La ritirò poco dopo, chinandosi e portandosi una mano al cuore, in segno di profondo rispetto. «Mai avrei pensato di alzare la mia lama contro una donna. E così abile, per giunta!»

«Ti ho lasciato vincere.» gli disse, con il fiato corto, guardando il gruppo di spettatori. «Non volevo mettere a dura prova il tuo orgoglio maschile.»

Boromir corrugò la fronte, in un'espressione vagamente divertita e stupita. «Devo ringraziarti, dunque?»

«Sarebbe gentile da parte tua, mio signore

L'Uomo si lasciò andare ad una roca risata, rinfoderando la spada e avvicinandosi alla donna, una mano sulla sua spalla. «Devo congratularmi con te, Brethil, poiché se non ti avessi visto con i miei occhi non avrei creduto neanche alle parole di Aragorn.»

«Sa essere molto convincente, a volte.»

«Non lo dubito, ma sono una persona diffidente, ormai dovresti averlo capito.» Boromir si voltò verso i curiosi e li salutò con un cenno del capo. «Potete anche tornare alle vostre mansioni, gente. Lo spettacolo è concluso.»

Brethil ritirò la sua Celeboglinn, non senza notare il particolare interesse dell'uomo verso la sua arma.

«Sembra difficile da maneggiare.» fece Boromir.

Lei scosse il capo. «È solo questione di abitudine. Ho avuto dei buoni maestri.»

«Chi ti ha insegnato?» le domandò, mentre s'incamminavano verso una panchina, per permetterle di riprendere le energie.

«Mio padre fu il primo ad addestrarmi, alla maniera degli Uomini. Quando Aragorn mi consegnò questo dono, subentrarono due amici che forse hai veduto durante il tuo soggiorno a Rivendell. Elladan ed Elrohir, figli di Re Elrond. Essi sono molto amici e compagni di viaggio dei Dùnadan.»

«Sì credo di ricordarli, belli e giovani. Ma si fermarono per pochi giorni, occupati con Aragorn a Nord.»

Il viso di Brethil si addolcì al pensiero dei gemelli. Erano due persone che avevano l'incredibile potere di rilassarla con il solo suono della voce, il loro sorriso e le parole confortanti che riuscivano sempre a reperire nei momenti più difficili. Erano sempre stati una luce nella sua buia vita fatta di battaglie e sangue e le mancavano terribilmente, soprattutto in una città straniera come Minas Tirith.

«Sarei dovuta essere al loro fianco, ora.»

Una fitta di fastidioso dolore colpì Boromir. «Ti penti di avermi raggiunto?»

«No!» esclamò lei, rendendosi conto dell'equivocabile interpretazione della sua frase. «Non intendevo questo, Boromir. Sono felice di essere qui, al tuo fianco. Ma come te, qualche settimana fa, avresti voluto essere in due luoghi contemporaneamente, così è ora il mio cuore. Probabilmente se fosse stata con loro il mio pensiero sarebbe andato a te.»

L'Uomo voltò il capo verso nord, non del tutto convinto delle sue parole. «Non saresti dovuta venire fin qui.»

«Ti chiedo perdono per la mia apprensione.» replicò sarcasticamente lei.

«Brethil.» la riprese Boromir, tornando a guardarla. «Ho già avuto modo di spiegarti che la morte non mi spaventa, non se questa giunge nel momento in cui sto difendendo la mia terra. Non c'è niente che tu possa fare per fermarmi e salvarmi.»

«Abbiamo già affrontato questo argomento.»

«Lo so, ma non capisco perché tu sia qui, al di là del racconto su tuo padre. Preferisci stare accanto ad uno sconosciuto piuttosto che alle persone che ti hanno insegnato a vivere?»

«Preferisco stare accanto ad un amico che ho imparato ad amare, così come avrei preferito percorrere i Sentieri dei Morti con Aragorn, Halbarad e i gemelli.»

Lo sguardo di Boromir s'incupì, senza quasi sentire le sue prime parole. «I Sentieri dei Morti, dici? Aragorn percorrerà quella via? Andrà incontro alla morte!»

Brethil tentò di calmare l'uomo invano. «Non giungere a conclusioni affrettate, lui---»

«Non lo sono, infatti.» L'interruppe Boromir, scioccato dalla notizia appena ricevuta. I Sentieri dei Morti! Aragorn era forse impazzito? Abbandonarli in un momento come quello, quando la sua presenza avrebbe potuto giovare gli animi di numerosi soldati, il suo in primo luogo! Gli aveva promesso che sarebbe giunto a Minas Tirith e come Re avrebbe varcato il cancello d'ingresso insieme a lui, eppure ora quell'immagine idilliaca sembrava svanire davanti ai suoi occhi chiari.

«Boromir, non pensare un singolo momento che Aragorn ti abbia tradito o che voglia scappare per trovare la morte prima di tutti. Nelle sue vene scorre il sangue di Isildur, lo stesso che sconfisse Sauron, lo stesso che maledì i suoi soldati codardi. Lui impugna Andúril, figlia di Narsil, e si farà ascoltare. Solo lui può permettere a quelle anime inquiete di trovare finalmente la pace dopo millenni di limbo, nessun altro.»

L'Uomo rimuginò un poco. Non vi era ragione per cui il Ramingo avesse preso quella strada, se non per la disperazione di trovare un aiuto insperato, proprio come lui aveva visto nell'Anello la soluzione ai loro problemi. Ma in cuor suo si fidava ciecamente di ogni gesto e parola di Aragorn, e non poté far altro che annuire ed incassare il colpo. «Dunque ora si trova avvolto dalle tenebre e dai Morti. Che la sua anima e quella dei suoi compagni non si uniscano a quelle di quei traditori.»

Brethil sospirò ma non parlò a voce alta. Pregò in silenzio per i suoi amici, affinché avesse la possibilità di rivederli, almeno un'ultima volta.

 

 

 

*

 

Grazie a tutti i lettori!

A presto,

Marta.

   
 
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