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Autore: Walpurgisnacht    12/06/2012    3 recensioni
Ero reduce da tre verifiche, mi ero storto una caviglia e mio fratello mi aveva fatto trovare i pezzi della Play sparsi per la cucina.
Non male per i miei standard.
Avevo appoggiato la cartella sulla tavola, avevo preso del ghiaccio dal freezer e stavo per alleviare un po' le mie sofferenze fisiche quando il campanello d'ingresso mi aveva fatto trasalire.
Ero solo in casa. I miei erano al lavoro, mio fratello sarebbe rimasto dai suoi amici fino a sera. Nessuno poteva farci visita, tranne... lei.
Elisa, la mia ragazza auto-dichiaratasi tale.

[EIP tra Kaos e Nyappy. Maggiori info all'interno!]
Genere: Azione, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Elia, Elisa, Esmeralda: la E Femmina è Malvagia

Attenzione! Questo è un EIP, ovvero un Extreme Improvisation Project, tra Kaos e Nyappy, da un'idea nata da quest'ultima per la tesina di Maturità.
Un pezzo per ciascuno via Skype, senza controllo su storia o grammatica! L'ora tarda può aver influito sulle nostre funzioni cerebrali XD
Buona lettura :D

«Ti do due possibilità.»
Non mi è mai piaciuta questa frase, dato che non presuppone l'esistenza di una via di fuga - e quando questa esiste, di solito è disperata.
Mi sfugge un sospiro. «Sentiamo.»
Elisa, che nemmeno con i tacchi riesce a superarmi, solleva due dita inanellate e si sistema i braccialetti che le sono scivolati dal polso.
Non sta male con i capelli raccolti e quel vestitino nero le sta una favola, ma basta fissarla negli occhi perché tutti i buoni propositi di trattarla in modo carino scompaiano.
Sta cercando di uccidermi con lo sguardo e, beh, non è per niente piacevole.
«Uno.» Muove l'indice, ghignando. «Ti metti giacca e cravatta e mi accompagni al ballo.»
Cosa che non ho assolutamente voglia di fare, dato che mi sono imposto di restare in pigiama e boicottare quell'assurda cena di gala.
Mi stringo nelle spalle. Anche se è giugno, sto gelando. Un soffio di vento mi entra nel pigiama e mi fa rabbrividire. proprio sul pianerottolo doveva bloccarmi...
«Due...»
Intuisco cosa sta per dire. Forse è quello a infreddolirmi, più del vento.
"Due?" chiedo.
"... ti prendo per un orecchio, mi concedi quattro minuti per mettermi comoda e ci guardiamo lo speciale da sei ore sui playoff NBA".
L'ha detto. Lo sapevo che l'avrebbe detto, lo sapevo. Ma brucia come se mi avesse appena condannato a morte.
Io ODIO lo sport. Quasi più di quella noia mortale del teatro, del ballo, qualunque cosa sia quella fuffa a cui voleva trascinarmi.
E lei, invece, è insopportabilmente patita di quegli omaccioni a gambe scoperte e braccia sudate che saltellano come dei ciarlatani dietro a un pallone marrone.
No no no, alt. Nessuna domanda strana. Io sono maschio, lei è femmina. Capisco che i canoni sociologici tendono a dare un quadro piuttosto standard di queste cose, ma noi eccezioni esistiamo e rivendichiamo il nostro diritto a esistere.
"Non puoi obbligarmi. Non hai in mano niente per esercitare un simile, brutale ricatto. Inoltre, se davvero mi amassi, preferiresti spararmi direttamente in fronte invece che sottopormi a quella tortura infinita". Cerco di prendere il toro per le corna mostrando baldanza e sperando di intenerirla.
L'ultima volta che ci ho provato ho rimediato una serie di ematomi da calcio con tacco dieci su tutte le gambe, ma sai mai.
Si copre la bocca con una mano e comincia a ridere. Quando succede le si illumina col neon una scritta in fronte: Bamboccio, sei nei Guai.
"Sicuro che non posso? Sicuro sicuro sicuro? Perché non mi racconti cos'è successo martedì scorso, invece di propinarmi fandonie?".
Mi schiaffo una mano sul viso e faccio un passo indietro, tenendole aperta la porta. Entra, entra pure, tiranna.
Hitler le fa un baffo, eccome.
Mi volto e inizio a salire le scale, con le spalle contratte perché il marmo dei gradini è freddo e le mie pantofole sono sotto al letto.
I suoi tacchi echeggiano per tutto l'ingresso, facendomi ricordare quel benedetto martedì scorso.
 
Insomma, era una giornata tranquilla, no? Ero reduce da tre verifiche, mi ero storto una caviglia e mio fratello mi aveva fatto trovare i pezzi della Play sparsi per la cucina.
Non male per i miei standard.
Avevo appoggiato la cartella sulla tavola, avevo preso del ghiaccio dal freezer e stavo per alleviare un po' le mie sofferenze fisiche quando il campanello d'ingresso mi aveva fatto trasalire.
Ero solo in casa. I miei erano al lavoro, mio fratello sarebbe rimasto dai suoi amici fino a sera. Nessuno poteva farci visita, tranne... lei.
Elisa, la mia ragazza auto-dichiaratasi tale.
Ovviamente non le avevo aperto.
Dovevo ancora capire cosa ci trovasse di così speciale in me. Voglio dire, ok, non sono da buttare, ma in classe c'è gente molto più interessante di me, come il misterioro ragazzo arrivato all'inizio dell'anno o il genio che continua a fare assenze.
Sono interessanti, no?
Insomma, non le volevo aprire. Poi mi era tornato in mente un discorso che avevo fatto con mia madre, mi ricordavo una frase che faceva all'incirca: "le donne si devono far attendere" e dato che in quella situazione io stavo facendo la ragazzina timida e lei l'insistente cavaliere, avevo saltellato fino alla porta e le avevo aperto.
Solo che non era sola, più o meno. In una mano stringeva dei trampoli, nell'altra aveva una palla da basket ed indossava una canottiera larghissima e viola di qualche squadra.
«Elia, caro!» Pessimo inizio. Il suo ghigno si allargò. «Mi hanno detto che vuoi iniziare a mettere su un po' di muscoli, mmh?»
Mi colò una goccia di sudore dal lato destro della fronte.
"Cambia pusher, ti spaccia schifezze che ti fanno sentire le voci cosmiche" dissi facendo sventolare una mano di fronte alla mia faccia. Avevo anche già assunto la mia più annoiata espressione, che però non fece altro che ampliare ulteriormente il suo sorriso da psicotica. Impresa quasi impossibile, me ne rendo conto, ma ci riuscì.
"Non dir balle, su. Mettiti qualcosa di comodo, non vorrai mica venire a far footing vestito... così!".
Così come? Che c'era che non andava in com'ero vestito? Camicia sbottonata che faceva intravedere la più classica delle canottiere fantozziane con la macchia di sugo, jeans strappati ma non per chissà quale ricerca fashion ma perché erano vecchi da sbatter via, le ciabattone invernali nonostante quel giorno facesse un caldo affabulante (i bei tempi in cui giugno si comportava da giugno, il mascalzone). E per finire il tocco da maestro: il cappello da baseball sdrucito calato su tre quarti della faccia.
Al museo delle cere di Madama Tussaud non hanno il gusto dell'orrido, sennò questo splendido ritrattino avrebbe avuto tutto il diritto di occupare il suo meritato posto.
"Senti, stalker della domenica. Ti conosco a malapena, hai gli atteggiamenti e la grazia di un gorilla mestruato e non mi stai neanche simpatica. Puoi tornartene sul tuo pianeta di fitness e lasciarmi marcire qui, per favore?". Come minacciatore faccio schifo, lo so.
Non ci fu un suono. Un preavviso. Niente.
La sua mano sinistra era un momento a penzoloni sul fianco, il momento dopo avvinghiata ai miei testicoli.
AHIA.
Mi limiterò a questo: AHIA. In maiuscolo. Con un bel po' di punti esclamativi. Con voce strozzata ed acuta. Ed un fiume di turpiloquio poco galante in mente.
In parole povere: mi aveva ridotto sul pavimento in posizione fetale, a dondolarmi come un bimbo spaventato.
Cosa che in effetti ero, considerato il mostro che avevo davanti e che stagliava un'ombra gigantesca sul mio povero corpicino offeso.
Sto esagerando?
Meglio glissare sul resto, ne va del mio orgoglio maschio. Mezz'ora dopo, a dispetto della mia caviglia dolorante, stavo correndo. Inseguito da quella pazza.
Che mulinava i trampoli nel cercare di colpirmi.
Perché queste cose succedevano solo a me?
Ecco. E tutto questo perché lei si era messa in mente che dovessi muovermi un po', per ossigenarmi, guadagnare un paio di centimetri e muscoli. Si era innamorata del ragazzo sbagliato, in quel senso, ma avevo evitato di farlo presente per non peggiorare le mie già precarie condizioni.
E questo è quello che è successo quel famigerato martedì - giornata che si è conclusa all'ospedale, tanto per la cronaca, dato che la caviglia era grossa come la mia testa.
 
Sono davanti alla mia porta, con quel demonietto dietro. Abbasso la maniglia ed entro.
«Ehi! Prima le signore!» mi dice Elisa, tirandomi la manica del pigiama - ma non la ascolto più.
Davanti a me, in corridoio... io...
Aiuto.
Mia sorella Esmeralda. Sì, i miei genitori hanno un orribile gusto per i nomi. Penso l'abbiano ereditato dai nonni, visto che loro si chiamano Romualdo ed Elvira.
Esmeralda, dicevo. Con una mazza da baseball in mano.
Oh, perché mi ero dimenticato della squilibrata di casa distratto com'ero da quella esterna.
Elia Strogrossi ha tre terrori nella propria vita: i ragni al primo posto, gli spazi stretti al secondo e sua sorella Esmeralda che maneggia una mazza da baseball al terzo. Non necessariamente in ordine di importanza.
"Cosa stai combinando, marmocchio? E chi è quella sgualdrinella che ti sta alle spalle?".
Sto per emettere un rantolo di terrore quando la succitata sgualdrinella mi afferra la spalla e mi spinge di lato, facendomi finire sul tavolino dove sta il telefono. Telefono che, ovviamente, cade per terra con un tonfo.
"E tu chi sei? Come ti permetti di rivolgerti così a me? E con che autorità lo fai? Vuoi botte?".
Oh. Oh. OH.
Massaggiandomi la schiena ho una folgorazione divina: le due psicopatiche che si avventano una sull'altra, cominciano a strapparsi brandelli di carne a morsi e si accasciano morte una sopra l'altra.
Due problemi risolti al prezzo di uno, senza consumare una sola stilla di sudore e osservando lo spettacolo con dei popcorn e una lattina di Coca Cola.
"Non sto parlando con te, ma con mio fratello. Se non vuoi ritrovarti gli incisivi in fondo alla gola faresti bene a stare zitta".
Non c'è una reazione vocale da parte della mia dolce innamorata. Si limita a darle un pugno nello stomaco. Quando capirò come fa a possedere la velocità e i tempi di reazione di Kenshiro sarà sempre troppo tardi.
Sorrido.
Lotta tra donne, che spettacolo. Certo, se magari una non fosse mia sorella e l'altra una stalker psicopatica...
Esmeralda incassa con un rantolo e strabuzza gli occhi, sembra una mosca.
«Ah!» Elisa si sfrega le mani e flette appena le ginocchia, pronta a rispondere o incassare. Sui tacchi a spillo.
«Brutta...»
Mia sorella non è propriamente fine quando si arrabbia - o quando, come adesso, sta sbavando come un cane idrofobo e rabbioso in contemporanea.
Mi appiattisco contro la parete per dare loro più spazio di agire: distruggetevi pure mentre lo sventurato Elia resta a gusta- guardare.
Mia sorella si ripara lo stomaco con un braccio e porta indietro l'altro, pronta a sferrare un pugno. Troppo tardi, Esmy.
Anche se è in tacchi a spillo, Elisa si getta a destra - verso di me - e raccoglie la mazza da baseball che è caduta all'altra psicopatica.
«Ti do due possibilità» dice. Ops, dove ho già sentito questa frase?
Esmeralda stringe gli occhi e barcolla in avanti, sempre con il pugno caricato.
«Uno: mi guardo i playoff dell'NBA facendo le coccole a tuo fratello mentre tu ti metti il cappotto ed esci per, facciamo, sei ore?»
Che simpatica. Non è poi così male, come opzione - o meglio, non lo sarebbe se Elisa fosse un'altra ragazza e se stesse sorridendo normalmente. Sono circondato da ghigni assassini, poi i miei si lamentano che sono deconcentrato e non studio.
«Due.» Elisa soppesa la mazza da baseball e la guarda con finto interesse. O almeno, spero sia finto, dato che non voglio stragi, non voglio fare da testimone e non voglio andare alla TV per processi di omicidio volontario o colposo, ma comunque premeditato.
"Due. Ti faccio raccogliere le tue gengive, te le metti in tasca e togli il disturbo" risponde Esmeralda piantadole le nocche sul naso.
Geeeeeeeeesù. Senta signor Dio onnipotente, cos'ho fatto di male per meritarmi di essere perseguitato da simili virago fuori di testa. No, non è una domanda. Qualcosa lo dovrò pur aver fatto, presumo. Non è normale.
Però, posso essere onesto ed egoista e scemo? Fisicamente Elisa mi attizza, non lo nego, ed è un peccato vedere il suo bel visino rovinato dall'equivalente di un piccolo carico di dinamite.
No, sul serio. Meglio levarsi. Se mi trovassi sulla traiettoria di uno dei loro regali salto da "casa" a "cimitero" senza neanche passare per "ospedale".
Non sento una sola mano che mi ferma. Sono due. Una sulla schiena e una sul petto.
Quel che sento è agghiacciante: "Dove? Credi? Di? Andare? Tu?". Non tanto il contenuto. Capirai, mi dicono questa frase almeno tre volte al giorno.
No. La cosa tremenda è che Pazza Uno e Pazza Due lo dicono perfettamente sincronizzate.
"E-Esmeralda? L-Lasciami andare, su" la supplico. Nessuna risposta.
Inclino la testa all'indietro e rivolgo la stessa accorata preghiera a Elisa, che invece di dirmi qualcosa si limita a leccarsi il rivoletto di sangue che costeggia le sue labbra.
Bene mondo, è stato un piacere fare la tua conoscenza. Elia Strogrossi, anni sedici, oggi ti saluta definitivamente.
 
La ammazzo. La ammazzo. La ammazzo. La ammazzo. La ammazzo.
Nessuno deve frapporsi fra me e il mio cicciottino. Nessuno. Neanche il Padreterno.
Un ostacolo banale e fastidioso come sua sorella deve implodere su se stessa e farci spazio. Abbiamo dei playoff da vedere, io e lui.
La mazza gli finisce sul cranio - meglio inerte che inerme, no? - e lui crolla a terra come un sacco di patate. E' così... maschio, anche mentre sviene ruotando gli occhi.
Bene, ora devo solo pensare a sua sorella. In abito da sera. Sui tacchi. Forse sarebbe stato meglio costringere Eliabello a mettersi uno smoking e trascinarlo a ballare, mi sarei evitata lo spargimento di sangue.
«Bel colpo.» Esmeralda si complimenta con me con un fischio, ma non me la dà a bere. Crede che abbassi la guardia, l'illusa?
«Grazie.» Non posso evitare di sorridere. Mi sta facilitando il compito. Prima si conquistano le sorelle, poi i genitori.
Su, Elisa, ancora un po' e potrai portare il cognome Strogrossi.
«Dimmi un po', tu, cosa ci trovi di tanto speciale in mio fratello?» Esmeralda si avvicina cauta, costeggiando il tavolino tondo che si frappone a noi.
Stringo la mazza da baseball con più forza - che non creda di fregarmi. Prendo un respiro profondo e...
«Ma come, non lo vedi? È tenerissimo e adorabile e così spontaneo, sembra un bambino quando si macchia con la pasta ed è così pigro ma so che potrebbe scalare l'Everest se fosse motivato, e con un po' di muscoli in più ed un po' di abbronzatura non sarebbe magnifico? Magari potrebbe iniziare a fare sport e-»
«Frena.» Sembra che Esmeralda abbia visto un fantasma. «Ma allora a te piace davvero?»
...inizio a dubitare delle sue facoltà mentali. Mi liscio il vestito nero con una mano e le rispondo solo ad opera completata. «Ovvio. Credi che, in caso contrario, avrei fatto tutto questo?» Ruoto la mazza da baseball per indicare la cucina.
Ok, potevo fare di peggio, ma il mio amore con un rivoetto di sangue che gli cola sul viso e la bocca aperta mi sembra più che sufficiente.
I playoff saranno già iniziati, cavolo.
Esmeralda si scrocchia le nocche. «Male. Nessuno. Tocca. Mio. Fratello.» 
E si scaglia contro di me.
Ok tipa, ora hai veramente rotto gli attributi che una sola persona delle tre presenti ha.
Apprezzo lo spirito protettivo nei confronti del mio ragazzo. Apprezzo la voglia di menare le mani. Apprezzo lo scatto felino e la bava da animale con la rabbia.
Ma, ripeto, neanche il Padreterno si frappone fra me ed Elia. E tu, al confronto, sei un insetto.
Posizione di battuta, ginocchia leggermente piegate e occhio della tigre. Movimento all'indietro. Energia che dalle dita fluisce armoniosa alla base della mazza. Movimento in avanti.
STOCK.
Home run.
Mia cognata se la prende direttamente sulla guancia. Con la forza che ci ho messo dovrei...
... non farle nulla?
"E tu chiami questo home run? Oh, so cosa stai pensando. Penso sempre così quando sfascio la faccia di qualcuno. Comunque, ragazzina, questa carezza non avrebbe piegato neanche un panetto di burro".
Mi colpisce in volto con il dorso della mano sinistra, facendomi cadere l'arma e piegandomi la testa di una quarantina buona di gradi.
Io... io... è la prima volta.
Sono sconvolta.
 
Ecco. La poppante ha, forse, capito la differenza che c'è fra me e lei.
Vogliamo mettere tutte le carte in tavola? Se non soffrissi del complesso della sorella maggiore che è gelosa in maniera maniacale del piccolo di casa... beh, ammetto che non mi dispiacerebbe avercela fra i piedi.
La mocciosa è tosta e, considerata l'età, picchia come un fabbro.
E poi, obiettivamente, è molto carina. Ha quel capello biondo corto che portavo anch'io fino a qualche anno fa, anche se io ho sempre preferito tingermi rossa che fa molto femme fatale.
Bene. Mi limito a spaccarle un po' di ossa o mi lascio andare?
Niente deus ex machina, tesoro. Il piccolo Bruno è a nanna nella culla, le unità genitoriali sono fuori a cena e quel pappamolle di mio fratello è svenuto a terra.
Nulla può andare storto.
«Ma cosa...?» La ragazzetta è sconvolta. Forse non sa che Mr. Strogrossi, prima di darsi al body-building, ha fatto l'allenatore di wrestling nella nazione a stelle e strisce.
E io sono la prima figlia, cavia del suo workshop intensivo per bambini sull'autodifesa.
«Guarda e impara, bella.» Quando mi concentro sul pestaggio, è come se il mio cervello diventasse una macchina automatica. Individuo un punto scoperto, carico un pugno, lo seguo e colpisco, e così a raffica. Afferro il polso di Elisa, lo torco e i miei palmi calano sul suo braccio. Non ci sto mettendo troppa forza, forse le spezzerò un osso, forse due, ma nulla di irreparabile. La bimba può crescere bene.
A differenza di mio fratello, quella specie di frignone ultimo modello, non sta piangendo. Ha gli occhi strizzati e continua a gemere dal dolore, ma non mi sta dando questa soddisfazione.
Apprezzo ed odio allo stesso tempo. Che esserini complicati, le donne.
Passo allo stomaco: le sollevo il braccio ed inizio a caricare, un pugno, due, tre.
Non sta nemmeno urlando. Apprezzo, apprezzo. Mi sta quasi simpatica - quasi!
«Ok, bella. Facciamo un patto.»
"Piuttosto mi faccio ingoiare intera da un boa constrictor" sibila, appropriatamente. Con la mano libera e un riflesso da far invidia a un fulmine mi afferra il collo.
Scusa, stai cercando di farmi morire di noia?
Smetto di percuoterla e faccio per togliermi il fastidio dalla gola.
...
...
...
Che cos'è questa presa di acciaio?
Stringe.
Ok Esmeralda, niente panico. Non è la prima volta che cercano di strangolarti. Sei sempre riuscita a fargli ingoiare le dita, a quegli sconsiderati.
Stringe.
Prendo il suo polso fine anche con l'altra mano.
Stringe.
Comincia a mancarmi l'aria. Chi sospettava così tanta forza in un così piccolo corpo affusolato?
Improvvisamente il pavimento non è più a contatto coi miei piedi.
No. Questo è irreale.
Mi sta sollevando. Con una mano sola.
"Te lo ripeto, strega. NESSUNO SI METTE FRA ME ED ELIA. NESSUNO". Non urla, è solo un tono di voce da oltretomba.
Gli occhi le scintillano. Sa di essere passata, inaspettatamente, in vantaggio. Il coltello ha cambiato orientamento e ora il manico sta dalla sua parte e la lama dalla mia.
"Riconosco uno spirito affine. Tu sei come me, solo più vecchia. Una folle a cui piace far roteare le nocche. Cosa stavi cercando di propormi prima che ti dimostrassi la profondità del mio affetto per tuo fratello? Hai tre secondi per rispondermi, poi ti infliggerò una chokeslam accompagnata che, se tutto va bene, ti fratturerà le vertebre cervicali. Parla o muori, la scelta è tua".
«Volevo... stavo...» Sto soffocando. E' intelligente da parte sua chiedermi di parlare mentre mi impedisce di farlo. Meno un punto.
Allenta la presa, ma non ne approfitto. Meglio farle vedere che gioco pulito, almeno per un po'.
«Parla» mi ordina. Piccola nanerottola insolente.
«Dicevo... il patto.» Brava, Esmeralda, brava. Ti sei dimenticata cosa volevi proporle, davvero intelligente. «Se riesci a farmi perdere conoscenza, hai carta bianca con mio fratello e la casa.» La prima cosa che mi è venuta in mente e che, in queste condizioni, è pure poco saggia.
«Se, al contrario, io ti massacro di botte fino a farti svenire, mollerai quel perdente e non ti farai mai più vedere. Chiaro?»
Elisa ghigna. Cha carina! «Chiaro.»
Non posso perdere tempo.
Le stringo il braccio con entrambe le mani e con un colpo di reni sollevo il corpo. Come una tenaglia, i miei piedi si stringono attorno al suo collo. Che sublime acrobata.
Mentre ancora sto prendendo un respiro, tendo il mio corpo come una corda di violino e la faccio sbilanciare indietro. Elisa, senza avere il tempo nemmeno di dire: "bah", è accasciata a terra sotto di me.
Ma che brava che sei stata, Esmeralda.
Mi alzo in piedi e mi sistemo i vestiti: per fortuna non si sono strappati, ci tengo a questa maglietta, è il primo regalo del mio ragazzo.
I due sono a terra, svenuti e vicini. Fanno quasi tenerezza, sembra che dormano, se non fosse per il sangue, il sudore e la bava che cola dalla bocca aperta di mio fratello. Chi gli ha insegnato le buone maniere?
Stasera mi sento molto magnanima. Anzi, generosa, filantropa, quasi hippie.
Sollevo mio fratello per le spalle e lo trascino dalla cucina alla sala. La TV è ancora accesa ed illumina la stanza, completamente al buio. Ma si stava guardando il basket?
Lo getto sul divano e torno in cucina a recuperare l'altra.
Al loro risveglio avranno una bella sorpresa. Me li immagino già: Elisa tutta contenta che lo chiama bocconcino ed Elia che cerca di scapparle, mulinando le braccia come un ossesso.
La faccio sdraiare su mio fratello e mi sfrego le mani.
Potrei rimanere nascosta dietro al vaso dei fiori per gustarmi meglio la scena, tra un paio d'ore.
Che brava sorella maggiore che sono.
No, dai. Avranno bisogno di intimità, i piccioncini.
Esmeralda, non pensarli così. Poi le immagini sconce ti assillano per tutto il resto del mese e non sopporteresti di visionarti la scena di tuo fratello che perde la verginità. Rimanendo rigorosamente sotto, da buon debosciato qual è sempre stato. E poi figurati, con una mia versione miniaturizzata non reggerebbe più di mezzo secondo.
Anzi, renditi utile. Vai in bagno a recuperare qualcosa per medicarli, che sono entrambi conciati maluccio. E non preoccuparti per te stessa, sei uscita da risse ben peggiori senza bisogno delle bende della mamma.
Faccio il mio dovere da brava samaritana. Lascio il disinfettante e una generosa scorta di fasciature sul tavolino. Se la caveranno da soli o, più probabilmente, sarà lei a rimetterli insieme entrambi.
Bene, ragazza. È tempo di mettersi il cappottone in pelle di topo e andar fuori a cercare qualche muso da sfondare.
Mi preparo ed esco con molta calma. Buona fortuna, piccolo Elia. Ne avrai bisogno.
 
Ngh.
Signor Von Karajan, vorrebbe smetterla di dirigere l'orchestra dentro la mia scatola cranica? Fa male, sa.
Cos'è successo? Non mi capita spesso di farmi stendere e non ci sono per nulla abituata.
Oh sì, ora ricordo. La sorella di Elia mi ha gonfiata come una zampogna.
Segna, Elisa. Prima o poi qualcuno più grosso e più bravo di te lo trovi. D'altronde ho solo diciassette anni, non posso pretendere di essere arrivata chissà dove.
Ma che divano strano. È... morbido.
Mi sfrego gli occhi. C'è il mio piccipucci sotto di me, con gli occhietti ancora chiusi.
Cognata. A cosa devo l'insperato cambio di programma? Stando ai patti mi avresti dovuta far rotolare giù dalle scale.
Beh, sapete come si suol dire. A Elia donato non si guarda in bocca.
Però, prima, ci vorrebbe un rattoppamento di fortuna. Sono conciata abbastanza male.
Un movimento inconsulto del braccio mi fa urtare contro qualcosa. Una bottiglia di Bialcol.
Ma... ma... ma... ha pensato pure a questo? C'è anche un rotolo di bende, tutto lindo e ordinato, lì vicino.
Sono quasi commossa.
Il Bialcol brucia, ma me lo dovevo aspettare. Le pubblicità mentono sempre sulle cose che fanno male, no? E' un medicinale, leggere le avvertenze e tenere fuori dalla portata dei bambini, in caso di... ecco, e non me lo ricordo più.
Mi fascio il braccio dolorante, tutto chiazzato di viola, e passo a medicare il mio Elia-puccipù.
Che ore sono, poi?
Mi guardo attorno, mentre gli tampono la fronte. Povero piccolo, ha i capelli tutti appiccicati sulla fronte. Per colpa del sangue, ops.
Forse dovrei portarlo all'ospedale? Sarebbe la seconda volta in meno di una settimana. Ah, amare è soffrire.
La TV è spenta, la sala è illuminata solo dalla luna che filtra dalla finestra aperta. Uhm, ecco che iniziano a scorrermi immagini romanticose davanti agli occhi.
Cose tipo abluzioni sotto le stelle e confessioni d'amore eterno tra la brezza ancora primaverile. Tutta colpa dei feromoni, dei feromoni, dico io.
Tutta colpa di Elia.
Gli chiudo la bocca e gli asciugo la bavetta. E'... dolcissimo. Carinissimo.
Lo amo.
Mi sfugge un sospiro. Ecco che iniziano le classiche domande da donnina isterica: "ma lui mi ama? E se non mi ama? E se è tutta un'illusione?"
Beh, io non sono una donnina isterica - non ancora.
Mi chino sul suo viso e gli lascio un bacio leggero sul naso, di quelli che nei telefilm svegliano la bella addormentata e sanciscono il lieto fine.
Svegliati, Elia.
Svegliati.
«Ehi, tu, svegliati!» Lo scrollo e lui si stropiccia gli occhi con un sonoro sbadiglio.
«Che cos- checc'è?» domanda con voce impastata.
«...nulla. Torna a dormire» gli dico, lasciandogli un altro bacio sulla fronte al Bialcol.
Lo amo anche per questo.

Elisa trascorse le successive quattro ore a cullare il corpo privo di sensi di Elia. Fu solo un miracolo che non aveva fatto svegliare il piccolo Bruno, il minore di casa Strogrossi, nonostante l'apocalittico casino scatenato da sua sorella e dalla fidanzata (?) del fratello.
Quando rientrò Esmeralda trovò i mocciosi avvinghiati uno all'altra, ben in profondità nel mondo dei sogni. Si fermò all'ingresso del salotto e li osservò per qualche minuto, persin intenerita dalla dolcezza della scena. Dolcezza che faceva a pugni, è proprio il caso di dirlo, col suo labbro tumefatto e il gonfissimo occhio nero che si portava appresso. Era stata una serata proficua.
Non si pentì di aver cambiato idea. Vedeva nella piccola Elisa se stessa con dieci anni di meno, primavera più primavera meno. Stessa smargiasseria, stesso modo di fare da berserk vichingo, stessa lingua lunga.
Elia era sostanzialmente un bravo fratello, per carità. Ma la irritavano il suo essere lagnoso oltre il dovuto e la sua totale incapacità di poter far proseguire la tradizione di famiglia, che Romualdo ed Elvira avevano inevitabilmente finito con l'addossare a lei. In quanto a Bruno era davvero troppo, troppo piccolo.
Esmeralda si disse che un ulteriore dose di miccia corta e carattere scoppiettante non avrebbero fatto altro che bene per la famiglia Strogrossi. Si rassegnò, con un mezzo sospiro malinconico, ad accettare la presenza di quella ragazzina irrispettosa nelle loro vite. La sua presenza e i suoi pugni.
   
 
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