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Autore: REAwhereverIgo    12/06/2012    13 recensioni
Adesso che il liceo, senza considerare gli esami di maturità, è per me terminato, volevo proporre questo mio sfogo contro quel professore che ha rovinato gli ultimi anni della mia adolescenza.
Colui che mi ha fatto conoscere il terrore.
Spero che vi faccia capire fino a che livello la psiche umana può essere condizionabile, e spero anche di riuscire a comunicare qualche emozione.
Grazie Emma
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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STUDENTESSA ALL’ACCUSA: L’ESPERIENZA DEL PIÙ PURO TERRORE

 

 

“Bertini”

“Presente”

Sì… presente. La scuola è finita, ma io sono ancora qui. Mi riconosce, professore?

Mi rivolgo a lei.

Beh.. anche quest’ultima frase sarebbe da rivedere.

Del lei si dà alle persone a cui si porta rispetto, giusto?

Allora, perché io non mi sento affatto di far questo?

Dovrei dire “Mi rivolgo a te!”. E invece no. Voglio mantenere un velo di serietà, fingere che tutto ciò che c’è stato tra di noi non abbia distrutto ciò che di rispettabile c’era in lei.

 

 

Mi sembra ancora di vedermi.

Il sabato sera, tornare a casa alle 23 per poter studiare.

La domenica sveglia alle 8, studio intenso fino alle 22, uniche pause il pranzo e la cena.

Quante partite della Fiorentina mi sono persa a causa sua, professore.

Il lunedì mattina, quante volte ho saltato la scuola!

Ovviamente, sveglia alle 7 per studiare. Studiare disperatamente decine e decine di pagine in Comic Sans MS 8.

Frasi incomprensibili. Unica soluzione: imparare a memoria.

E le giuro, professore, che io non sono mai stata così. Io ragiono sempre. Ma con lei è impossibile, anche per i più bravi della classe. E se si ricorda di me, io ero una di loro.

Il mio pranzo quei lunedì durava circa 15 minuti. Lo stesso per la cena.

Per scaramanzia più che per effettivo bisogno, la sera dopo cena mi facevo la doccia. Una doccia veloce ma intensa.

L’acqua bollente mi scorreva sul viso, nascondendo le mie lacrime amare e disperate.

La disperazione di sapere che lo studio ostinato dei giorni passati non ha portato ai risultati sperati.

Disperazione nel sapere che con una domanda, tutto l’impegno di mesi e mesi di studio può essere reso vano.

 

 

Non sono scaramantica. Non credo a niente di non dimostrabile. Ma dovevo pur aggrapparmi a qualcosa, per continuare a credere di avere una speranza, non crede?

Dunque la doccia. Il profumo fortunato. La fortunata postazione per l’interrogazione.

Niente di più ridicolo. Ma io ci credevo davvero.

Dopo la doccia, mentre mia madre mi asciuga e spazzola i lunghi capelli neri, cerco di trattenere le lacrime, che di tanto in tanto cadono, goccia dopo goccia, sui miei appunti, che tengo stretti tra le mani.

Niente libri su cui studiare. Solo i suoi appunti. Per seguirla ho dovuto comprare un registratore vocale, e anche così è molto complesso rielaborare i suoi discorsi.

Il suo italiano è alquanto discutibile professore.

 

 

Fino a mezzanotte continuo inesorabilmente a studiare, finché i miei occhi stanchi non si chiudono da soli.

Inutile dire, caro professore, che la storia e la filosofia mi continuano a tormentare anche nel sonno.

Continuo a rigirarmi nel letto, il mio stomaco freme all’idea di che cosa mi aspetta il giorno seguente, la mia mente vaga nei suoi appunti. Finché alle 4 e mezzo la sveglia suona.

E allora eccomi, a ripassare di nuovo, la voglia di urlare sempre più pressante.

Lo stomaco si contorce.

Non posso fare colazione la mattina della sua interrogazione. L’esperienza insegna.

Per le 8 sono a scuola.

La testa mi gira, un po’ per la stanchezza fisica e mentale, un po’ per la paura.

 

 

Non avrei mai creduto, prima di incontrare lei, che mi sarei mai data tanto da fare per un sei e mezzo.

Già, nel primo quadrimestre la sua scala di voti va dal 5 al 6 e mezzo. Perché?

Si.. nel secondo quadrimestre la fascia si allarga: dal 4 al 7. E se l’ultima interrogazione dell’anno riesce in modo impeccabile, naturalmente se anche tutte le precedenti lo sono state, riesce anche a sforzarsi a dare un 7 e mezzo.

La media per lei non esiste, no… per lei l’ultimo voto preso è quello che conta.

E dunque, ha capito per quale motivo io, così come la maggior parte dei suoi studenti, sono così terrorizzata dal suo metodo?

Ma tutto ciò cambia radicalmente nel caso in cui lei decida di farci l’onore di provare uno dei suoi compiti. A quel punto, al diavolo le interrogazioni. Il voto del compito sarà il tuo voto in pagella alla fine dell’anno.

E in questo caso puoi prendere dallo 0 al 10.

Prendi tre al compito, e sai già che sarai rimandato a storia, o a filosofia.

E non è difficile prendere meno di 4.

I suoi compiti sono a tempo. La sua sveglia conta i minuti, il ticchettio delle sue dita contro il tuo banco scandisce i secondi. È sfibrante.

Dunque mi dica, professore, se all’ultimo compito di giugno avessi preso meno di quattro, non sarei stata ammessa agli esami di maturità nonostante avessi 8 e 9 in tutte le altre materie? Anche i migliori sbagliano.

 

 

Raggiungendo la mia classe li vedo.

I tredici compagni di classe che saranno con me interrogati in queste due ore da cinquanta minuti. Pallidi, sudati, gli occhi gonfi e rossi.

Qualcuno corre al bagno con una mano sulla bocca, qualcuno sta per svenire.

 

 

Adesso, professore, faccia un rapido calcolo di quanti studenti nella nostra scuola sono quest’anno svenuti, quanti si sono sentiti male.

Beh, il 90 % dei casi, è stata colpa sua.

Si sente in colpa? No.. perché lei lo sa. Farci soffrire, farci piangere ed implorare.

È l’unica cosa nella sua vita che le permette di sentirsi superiore. Temuto..

Il timore non è rispetto, lo sa?

 

 

Lei entra in classe. Con la sua solita lentezza fa l’appello.

Ho sempre pensato che lo facesse apposta per aumentare il nostro livello di tensione. Me lo conferma adesso, professore?

 

“Chi deve venire venga”

Ecco che sette sedie si spostano e si dispongono sul lato sinistro della sua cattedra. In fretta, mi accingo ad occupare la mia postazione fortunata, quella che mi permette di esserle il più vicina possibile.

Di nuovo, con calma piatta, scrive i nomi delle sue vittime sul registro. Poi tira fuori il suo quadernino giallo e, ovviamente, nonostante desideri dal profondo essere la prima a togliermi questo pensiero, decide di chiamarmi per ultima del suo primo giro.

Dopo il verdetto, qualcuno dei miei compagni corre in bagno a piangere, ed io mi sento sempre più vulnerabile.

“Bertini” pronuncia il mio cognome. Esita un attimo prima di pormi la sua domanda.

Il mio cuore batte così forte contro il petto che tutti possono sentirlo.

 

 

Le sue interrogazioni si compongono di una sola domanda a studente. Tempo medio, misurato con il cronometro l’anno passato, 2 minuti e 48 secondi.

Non ci sono quasi mai risultati medi. O bene, o male.

 

 

La sua domanda inizialmente mi spiazza.

Tutta la saliva nella mia bocca è come prosciugata, la lingua si attacca al mio palato, impedendomi di parlare.

Chiudo gli occhi, sento battere il cuore. Mi calmo e inizio a parlare.

Trenta secondi dopo, tutto è finito.

Quattro giorni di sofferenza per trenta secondi di esperienza effettiva.

Me ne torno a posto, compiacendomi del mio 7 e mezzo di fine anno.

Posso ancora palpare il terrore dipinto sui volti delle sette vittime della seconda ora.

 

 

Ci può credere, professore, che per tre anni scolastici, due volte al mese, abbiamo dovuto sopportare tutto questo?

Abbiamo lasciato indietro altre materia per le sue, abbiamo gettato al vento i nostri bisogni da adolescenti, trascurando amici, amori, famiglia addirittura.

Tutto questo a causa sua.

 

 

Da una parte vorrei dirle grazie. Grazie, perché adesso so che nessuna esperienza di studio potrà mai essere più incredibilmente traumatica dei miei ultimi tre anni di liceo.

Al contempo, voglio che lei sappia che tutte le lacrime da me versate a causa sua sono ognuna una goccia di disprezzo a lei dedicata.

Sperando che non riesca a rovinare anni di vita ad altri studenti, e sperando di riuscire un giorno a perdonarla, perché quasi tutti meritano il perdono, concludo la mia accusa.

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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