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Autore: Asuka Kazama    16/06/2012    0 recensioni
Alessia vive la sua nuova vita da universitaria, ma se a vent'anni scopre di discendere da un'antica e lunga generazione di mistici guerrieri, tutto si complica inesorabilmente. Quando poi scopre che le sue amiche più strette sono creature magiche incaricate di proteggerla...
Genere: Azione, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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The Defender of the Magic
Capitolo 13 – Ciò che non uccide, fortifica

 Una sequenza di sibili echeggiò in tutta la radura.
Jaki stava combattendo da solo, contro un avversario invisibile.
Ingaggiò una rapida sequenza di toccate e parate con movimenti esperti. Deviò una lama avversaria immaginaria in un ampio arco sulla sinistra e affondò in avanti. Fece roteare la spada sopra la testa e la calò di taglio, con una mossa che avrebbe falciato a metà qualsiasi avversario; bloccò la spada a un palmo dal suolo: la lama vibrava nel suo pugno, e contro il verde del prato il metallo azzurro si stagliava lucente, quasi irreale.
Alessia lo guardava incantata.
Non era la prima volta che vedeva Jaki combattere, era già successo il giorno prima quando quel folle di un elfo l’aveva rapita eppure non riusciva a smettere di osservarlo. Ora che Jaki non rischiava la vita, poteva guardarlo tranquilla, senza temere per la sua incolumità. Veloce come il vento, silenzioso come la foresta, aggressivo come il fuoco. Quando le avevano spiegato la situazione e la suddivisione delle sue materie di studio con i rispettivi tutori, non avrebbe mai immaginato che Jaki fosse tanto bravo; lo aveva sospettato è vero, altrimenti non sarebbe stato scelto lui, ma non pensava fino a quel punto.
Era qualcosa di strabiliante.
Sembrava che danzasse. Una bellissima danza omicida.
«Sei in ritardo».
Quelle parole la destarono dal suo sogno ad occhi aperti. «Cosa?».
«Sei in ritardo» ripeté lui continuando a menare fendenti.
«Scusa, non volevo. È solo che ho perso il pullman e ho dovuto prendere il successivo e...»
«Tranquilla» la interruppe Jaki sorridendole. «Non preoccuparti, non è un problema».
Ecco. Qualsiasi cosa Alessia diceva o faceva, Jaki non si arrabbiava mai. Era davvero incredibile.
Più volte Alessia si era ritrovata a chiedersi il perché di quel comportamento tanto strano perché prima o poi capita di arrabbiarsi con qualcuno, per quanto lo si voglia bene è normale che succeda ma lui no. Eppure lo conosceva da tanto tempo, e a differenza delle sue amiche lui non si era mai arrabbiato con lei. Qualsiasi cosa combinasse, lui ci passava sopra incurante della gravità delle sue azioni e quando gli chiedeva scusa per i suoi comportamenti infantili lui le rispondeva prontamente: «Sono io che devo scusarmi per il mio comportamento e ringraziare te perché mi sopporti». Peccato che lui non aveva nulla di cui scusarsi né doveva essere lui a ringraziare lei.
Alessia si concesse un sorriso. Era sempre buono e premuroso con lei.
«Grazie».
Se fosse stato un allenamento con Raziel o Miharu di sicuro adesso sarebbe carne per barbecue. Insomma, due ore di ritardo non è roba da poco!
«Bene, io direi di iniziare subito. Oggi ti insegnerò la sacra arte della scherma. Devi sapere che non c’è posto per le forme di guerra moderne. Pugnali, fioretti, frecce, dardi e grandi spade: queste saranno le tue armi fino alla fine dei tempi. La tecnologia lasciamola ai comuni mortali, queste armi sono più che sufficienti. Non dimenticare: dalla tua parte avrai sempre e comunque i tuoi poteri» spiegò Jaki.
«Il punto fondamentale è scoprirsi il meno possibile» continuò «quindi carica il peso sul piede opposto alla mano con cui impugni la spada, porta avanti l’altro, e avanza e retrocedi, dentro e fuori dalla portata dell’avversario».
All’improvviso Jaki lanciò la spada che aveva in mano e Alessia l’afferrò con grande prontezza di riflessi. Jaki si concesse un sorriso divertito che Alessia non seppe interpretare.
«Per ora useremo queste per allenarti. Sarebbe un suicidio per te iniziare fin da subito con delle spade vere».
«Non capisco» mormorò confusa la giovane guerriera.
«È semplice. Per quanto possano sembrare vere queste non sono altro che delle spade giocattolo, sono simili a quelle usate nella scherma. Vedi?» gli chiese toccando la lama della spada «non è stata affilata e per di più la punta è arrotondata. Questo impedirà di ucciderti o di farti male seriamente».
Alessia guardò la spada e saggiò la lama. In effetti non era per nulla affilata. Si rigirò la spada nelle mani perché non sapeva come reggerla: litigò con l’impugnatura, incapace di decidere se prenderla nella sinistra o nella destra. Era mancina. Scriveva, mangiava con la sinistra ma quando aveva provato a tenere la spada aveva avvertito una sgradevole sensazione, come se fosse sbagliato reggerla con quella mano. Non sapeva spiegarselo neanche lei.
Senza dire nulla, Jaki si mise alle sue spalle, gli appoggiò il petto contro la schiena, e, praticamente abbracciandola, le prese la mano sinistra, facendole impugnare la spada.
«Nell’uso della spada ero mancino» gli disse.
«Cos’è successo?» chiese incuriosita.
«Sono dovuto diventare ambidestro. E anche tu lo sarai ma più avanti. Adesso è importante che tu sappia usare la spada almeno con una mano».
Alessia era senza parole.
Jaki si chinò in avanti e gli lanciò un’occhiata d’intesa. E mentre gli sistemava la presa sull’impugnatura, Alessia avvertì qualcosa di caldo e tranquillo fluire in lei dalle dita del ragazzo. L’aiutò a disporre le dita sotto la guardia e sull’impugnatura. «Se stringi troppo la lama perderà di velocità, e anche la tua difesa sarà meno rapida. Ma se stringi troppo poco la lama può volarti di mano».
Alessia annuì cercando di memorizzare tutte le informazioni. Non doveva né stringere troppo né poco. Facile a dirsi.
Jaki allentò la presa sulla mano di Alessia e si allontanò da lei la per vedere se riusciva a eseguire quel semplice passo.
Una cosa semplice da fare eppure Alessia si sentiva agiata. Le faceva strano venire addestrata dal suo amico Jaki, era il suo cocco e lei la sua bambolina. Questo non sarebbe mai cambiato fra loro, beh è quello che sperava. Inoltre si sentiva sotto esame, in soggezione. Lui non l’avrebbe giudicata né si sarebbe arrabbiato con lei –non lo faceva mai– eppure aveva paura di sbagliare e di sfigurare davanti a lui.
Strinse l’impugnatura stando attenta a non usare troppa forza ma Jaki scosse il capo.
«Non ci siamo» mormorò portandosi dinnanzi a lei. Estrasse un’altra spada dal fodero legato al fianco sinistro e con un gesto fulmineo menando un fendente laterale verso Alessia, le fece volare via dalle mani la spada e altrettanto velocemente affondò in avanti, toccandola appena sul cuore. Non sentì alcun dolore. La lama l’aveva solo sfiorata.
«Capisci cosa voglio dire?» gli chiese recuperando la spada di Alessia. «Se stringi troppo poco la spada ti volerà di mano e a quel punto sarai un spiedino pronto per essere cotto. Questa non è solo uno strumento di attacco ma può essere anche la tua ancora di salvezza. Se non hai uno scudo con te puoi parare la maggior parte dei colpi se sarai abbastanza agile; bada bene alle mie parole: non tutti ma quasi».
Alessia annuì e prese la spada che Jaki le porgeva.
«Stai stringendo troppo adesso»
«Come lo sai?»
«Le nocche ti stanno diventando bianche» spiegò indicandole la mano.
Ancora una volta Jaki si portò dietro di lei, avvolgendola nel suo abbraccio, le sue dita guidarono ancora una volta quelle di Alessia, stringendole sull’impugnatura dell’arma subito sotto la guardia. Poi, con una mano sulla spada e l’altra sulla spalla, Jaki mosse un passo leggero di lato, abbozzando un movimento.
Alessia annuì.
A quel punto Jaki si posizionò di nuovo di fronte ad Alessia e sorrise.
«Pronta?»
«Non... proprio!»
«En garde!» esclamò Jaki.
Si studiarono per un momento, poi Jaki si avventò contro di lei, roteando la spada. Alessia tentò di bloccare l’assalto, ma fu troppo lenta. Guaì quando Jaki la colpì alle gambe e cadde a terra.
Senza riflettere, si scagliò in avanti, ma Jaki parò facilmente il colpo. Troppo prevedibile. Allora mirò alla testa di Jaki, ma all’ultimo momento deviò la traiettoria della spada, con l’intenzione di colpirlo al fianco. Il sonoro schiocco del legno contro le ossa. Jaki non solo aveva schivato il colpo, ma aveva anche replicato la mossa di Alessia e a differenza di quest’ultima il tiro era andato a buon fine: infatti, era riuscito a colpirla al fianco. Alessia avvertì un’esplosione di dolore mozzarle il respiro. Crollò come un sacco vuoto, stordita.
Un getto d’acqua fredda la fece rinvenire, le scoppiava la testa. Jaki era in piedi accanto a lei, la spada posata sulla spalla e l’osservava disinvolto.
«Mi hai fatto male» disse Alessia infuriata, alzandosi.
Le gambe le tremavano, faticava a reggersi in piedi.
Jaki inarcò un sopracciglio. «Un vero nemico non ti tratterebbe con i guanti come sto facendo io. Ci sto andando piano con te. Più di così non posso. Non impareresti nulla. Non si insegna con la teoria ma con la pratica e questo può portare dei dolori».
Alessia strabuzzò gli occhi incredula. «Piano? Tu ci stai andando piano? Vuoi scherzare?! Sono svenuta e ho dolori ovunque! Per colpa tua mi usciranno dei lividi grossi quanto una mongolfiera! Sono delicata io! La mia pelle è sensibile!»
«Sempre meglio avere dei lividi che perdere la vita in uno scontro non ti sembra?»
«No, non mi sembra affatto! Per niente! Non ho scelto io di combattere! Io... io non voglio essere una guerriera!»
«Alessia...»
«No! Alessia niente! Sono stufa di tutta questa storia! Nessuno mi ha mai chiesto se accettavo l’incarico, nessuno mi ha mai dato l’opportunità di scegliere, sono stata obbligata!».
Raccolse la spada che Alessia aveva lasciato cadere a terra e disse: «Ancora. En garde!»
Alessia scosse il capo. «No, ne ho abbastanza di tutta questa storia! Me ne vado!» si volse per allontanarsi quando sulla schiena si abbatté un colpo violento, gridò.
Si girò di scatto, le lacrime agli occhi per il dolore.
«Regola numero due. Non devi mai voltare le spalle al tuo nemico, può esserti fatale» disse Jaki. Gli lanciò la spada e ripartì all’attacco. Alessia indietreggiò mentre Jaki continuava a gridare istruzioni; Alessia però non lo ascoltava, ferita e arrabbiata menava colpi alla cieca nel tentativo di ferirlo e allo stesso tempo di schivare i suoi colpi.
«No, no, no! Ti ho detto di piegare le ginocchia!»
«Sta’ zitto!»
«Ti sto insegnando come si combatte!»
«Sta’ zitto!».
Jaki sospirò affondando la spada nel fianco destro di Alessia.
Ancora una volta le si mozzò il respiro e Alessia crollò a terra priva di sensi.
Quando Alessia si risvegliò ormai era il tramonto. L’ultimo raggio di sole danzava tra sottili strati di nuvole. Cercò di mettersi seduta, ma le sfuggì un grido soffocato, il suo corpo aveva qualcosa di strano. Ogni singolo muscolo, osso, cellula, le faceva male. Si sentiva un gigantesco livido.
«Oh, ben svegliata».
Jaki era accanto a lei, seduto sull’erba con un piccolo ramoscello in bocca e osservava il tramonto. «È molto bello non credi? Il tramonto intendo».
Alessia non rispose.
«Forse avremmo dovuto iniziare con qualcosa di più semplice delle spade, come ad esempio il corpo a corpo. Saresti stata di sicuro più agile»
«Tu dici?» chiese sarcastica e allo stesso tempo irritata.  
«Mi dispiace averti riempito di lividi, non era mia intenzione».
Alessia non riuscì a trattenere una smorfia sarcastica.
«Sul serio» mormorò lui voltandosi a guardarla. «Non voglio che ti accada nulla di male. Sto solo cercando di prepararti al meglio così da poter affrontare e sconfiggere qualsiasi nemico intralcerà la tua missione. E se per tenerti in vita dovrò riempirti di lividi grandi quanto una mongolfiera, beh allora sarò felice di procurarteli».
Ecco adesso si sentiva un verme. Non sarebbe mai dovuta essere sgarbata con lui. Cercava solo di aiutarla e il fatto che mentre era svenuta lui gli aveva medicato e fasciato le ferite poteva solo significare una cosa. Non voleva il suo male. «Scusa per prima, per... per quello che ti ho detto»
«Non devi scusarti. Va tutto bene».
Ancora una volta lui la giustificava. Quando si comportava così lo odiava a morte. Preferiva di gran lunga ricevere un rimprovero invece che compassione o pena.
«Invece sì» ribatté.
«No. Non devi invece»
Non riuscì più a trattenersi e scoppiò. «Perché? Perché non ti arrabbi mai con me? Perché non mi sgridi come farebbe una persona normale? Perché?!»
«Perché dovrei?»
«Perché? Perché sbaglio sempre con te! Ti ho trattato malissimo! Per una volta, una sola volta vorrei che ti arrabbiassi con me come farebbe una persona normale! Tu non te ne rendi conto ma i tuoi sorrisini, questo tuo modo di comportarti mi fanno stare male!»
«Io non potrei mai arrabbiarmi con te»
«Cosa?»
«Non ne ho la forza, né il coraggio. Qualsiasi cosa tu faccia mi basta guardarti, sentire la tua voce e tutto passa. Non so spiegarti neanch’io il perché. In qualche modo plachi il mio animo e non so se è per via del tuo essere la guerriera mistica o semplicemente perché è una tua specialità»
«È assurdo» bofonchiò Alessia appoggiando i gomiti sulle ginocchia. «Te ne rendi conto?»
«Sì, ma è così. Per qualche strana ragione non riesco ad arrabbiarmi con te. Inoltre...»
«Inoltre?»
«Sei una ragazza molto fragile e non potrei fare mai nulla che ti ferisca»
Alessia arrossì e distolse lo sguardo da lui. Non era la prima volta che si trovava di fronte a simili sentamentalismi. Il settanta per cento delle loro conversazioni finiva sempre in quel modo. E lei non sapeva dire se questa cosa la spaventava oppure le piaceva. I sentimenti, le persone, tutte cose troppo complicate. Quando si trovava in situazioni del genere, non sapendo cosa dire, come reagire preferiva fuggire via oppure cambiare argomento, qualcosa di tranquillo.
«Sei molto abile con la spada» si complimentò lei.
«Ho alle spalle anni e anni di pratica» rispose lui sorridendogli «e un giorno, per quanto possa sembrare incredibile, tu sarai più brava di me».
«Impossibile» bofonchiò sconsolata.
«È vero. Tu possiedi un grande potere, delle abilità che non ti immagini nemmeno. Credimi se ti dico che mi batterai e sarai la più forte di tutti. È il tuo destino. Salvare il mondo dalla distruzione. Devi solo credere in te stessa».
Alessia sbuffò. Autostima. Non sapeva neanche cosa fosse. Se ci fosse stata una gara di bassa autostima non avrebbe partecipato, certa di pedere.
«Non sei sola. Ci sono io con te. E ci sono anche Miharu, Raziel e Lothus»
«Io... io non voglio deludervi»
«Non lo farai»
«Come fai a dirlo?»
«Ti conosco, almeno un pochino. Non ci deluderai. Lo so»
Alessia scoppiò a ridere. «Grazie. Grazie per tutto quello che fai per me»
«Se la metti in questi termini dovrei ringraziarti per due giorni consecutivi per tutto l’aiuto che mi hai dato, anzi mi sa che dovrei ringraziarti un intero anno e, no, non lo farò».
«Però tu sopporti i miei sbalzi d’umore improvvisi, i miei comportamenti infantili e stupidi, ascolti le mie scemenze e non ti lamenti mai»
Jaki scoppiò a ridere. «E tu sopporti la mia insopportabilità: siamo pari».
I due amici iniziarono a ridere e a prendersi in giro, scusandosi a vicenda e mettendo a nudo i loro difetti. Alla fine Jaki risultò un ragazzo egocentrico, taciturno e playboy mentre Alessia una ragazza competitiva, orgogliosa e troppo insicura.
«È meglio se torni a casa. È tardi. I tuoi potrebbero preoccuparsi»
«Hai ragione» mormorò Alessia lanciando un’occhiata al display del cellulare. «Meglio andare».
Alessia mosse alcuni passi quando si voltò indietro a guardarlo.
«Cosa c’è?»
Senza rispondere con due grosse falcate eliminò la distanza che li divideva e si catapultò fra le braccia di Jaki. Per poco lui non perse l’equilibrio e riuscì a restare in piedi. «Ehi, adesso che succede?».
«Nulla, volevo solo salutarti» rispose Alessia con un innocente sorriso.
Jaki la guardò per diversi minuti poi scoppiò a ridere. «Tu sei strana».
«Ma come? Non ero la tua consolazione divina?»
«Mai detto questo!» replicò lui confuso. «Chi l’ha deciso?»
«Io!».
La guardò sempre più confuso poi scoppiò a ridere. «Okay. Su ora va’ a casa»
«Sì. Grazie per l’addestramento»
«Lo sai che devi allentarti ancora per molto tempo? Hai ancora tanto da imparare e... adesso abbiamo solo accennato all’abc»
«Lo so, lo so» rispose sconsolata andando via. «Dobbiamo ancora fare tanto, tanto lavoro! Insomma, io devo ancora finire in ospedale per tutte le mazzate che mi darai in futuro!».
 
 
 
Il mattino seguente Alessia si svegliò piena di lividi.
L’allenamento con Jaki le aveva procurato diverse ferite e ora si sentiva dolorante e indolenzita come se qualcuno le fosse passato sopra con un carro armato. Aveva tentato di spostare la lezione di pozioni ma Lothus non aveva voluto sentire ragioni, confermando dunque la loro sessione pomeridiana. A nulla erano servite le scuse, varie e fantasiose, alcune davvero incredibili  quali un suo possibile rapimento alieno o partenze impreviste per luoghi lontani.
«Mamma, vado a casa di Aida a studiare» mormorò Alessia, infilandosi lo zaino sulla spalla sinistra.
«D’accordo, non fare tardi come ieri»
«Alle otto sarò a casa»
«E vedete di studiare anche un po’. Non perdete tempo con le vostre sciocchezze»
«Credimi mamma» mormorò sbuffando Alessia, «studierò sodo. Lothus non permetterà che mi distragga anche solo un momento».
Alessia si sentiva male a mentire così spudoratamente a sua madre. No che non l’avesse già fatto in precedenza. Semplicemente le sue erano state sempre piccole bugie e se c’era qualcosa dove era vietato mentire era proprio la scuola. La madre infatti, credeva che Alessia andava lì per studiare. In effetti era vero, ma la materia presa in esame era pozioni, non linguistica o qualsiasi cosa aveva a che fare con la scuola.
La madre di Alessia era una donna alta e magra, dai lineamenti duri e severi, e dai capelli corti biondi. I suoi occhi azzurri riflettevano l’apprensione per la figlia. «Sta’ attenta».
«Sì»
«Alessia hai capito?»
«Sì!» sbottò esasperata.
Una mamma sa sempre tutto.
Da quando i poteri di Alessia si sono risvegliati, sua madre è diventata più protettiva e apprensiva nei confronti di sua figlia quasi se avesse avvertito il cambiamento. La donna non sapeva dire in cosa sua figlia fosse cambiata solo che non era più la sua bambina e non aveva fatto domande aspettando che fosse lei a rivelarglielo. Alessia però non aveva aperto l’argomento e aveva finto nonchalance perché una delle regole era mantenere il segreto, anche con la propria famiglia. Non poteva dire di essere la reincarnazione di un guerriero mistico, di dover proteggere il mondo della magia, sarebbe stato troppo pericoloso se qualcuno avrebbe saputo di Alessia, prendendo in ostaggio le persone a lei care per arrivare ai loro scopi malvagi.
«Io vado»
«Ciao e non fare tardi. Ti voglio bene»
«Anch’io te ne voglio».
Arrivare a casa di Lothus era come superare il labirinto senza avere con sé il filo di Arianna.
Tutte le strade della città in un modo o nell’altro ti portavano in un vicolo cieco oppure diventavano così lunghe e intricate da portati all’altro della città. Le correnti aeree poi, rendevano difficoltoso se non impossibile il volo, e uno dei modi per raggiungere quel luogo era il portale, unico mezzo di collegamento efficiente in grado di trasportarti ovunque. Da Shinar a una città umana che possedeva un portale. A renderlo irraggiungibile però c’erano i mezzi pubblici. Il parco infatti, si trovava a diversi chilometri dall’abitazione di Lothus e nonostante la città vantasse di ben cinque autobus ne passava solo uno, e spesso nessuno. Lothus raccontava alle amiche di vivere in una sorta di Alcatraz e quando riusciva a evadere di prigione, prima di raggiungere la libertà, doveva affrontare l’ostacolo dei bus fantasmi.
Era la prima volta che Alessia andava a casa di Lothus. I racconti dell’amica l’avevano incuriosita al punto da convincere la fata a tenere le lezioni a casa sua anziché altrove.
Per evitare ritardi e possibili fughe, Lothus aveva dato appuntamento ad Alessia alla stazione tranviaria e da lì sarebbero proseguite insieme.
Ci volle un’ora –e a detta di Lothus, Alessia era stata fortunata ad aver aspettato così poco- e quindici minuti per giungere finalmente alla dimora della ninfa.
Appena arrivate, Alessia apparecchiò la tavola mentre Lothus cuoceva il pollo al forno. Alessia raccontò nei dettagli il suo allenamento con Jaki lamentandosi delle ferite riportate e Lothus l’ascoltava divertita mangiando il suo pollo.
«Ti rendi conto?» sbottò, e un pezzetto di cibo le sfuggì dalla forchetta cadendo a terra. «Mi ha riempito di lividi! Io sono un livido ambulante!»
«Secondo me stai esagerando» mormorò Lothus mangiando un boccone.
«Esagerando?» ripeté stizzita «esagerare è dire: “ho messo cinque chili guardandolo solo un dessert”! questo non è esagerare»
«Dai, ci è andato leggero»
«Tu dici?»
«Certo, fossi in lui avrei osato di più, soprattutto dopo le tue due ore di ritardo»
«Scusami ma il mio sedere non è d’accordo». Si alzò dal tavolo e le diede le spalle, le mani appoggiate sui lembi della gonna. «Vuoi vedere in quali condizioni è?»
«No, no, no!» si affrettò a dire Lothus «ci credo! Ci credo!».
Alessia si sedette di nuovo imbronciata. Riprese a mangiare lentamente e lamentarsi per il suo primo giorno di allenamento con Jaki.
Quando ebbero finito, Lothus tirò fuori da vari scaffali, ripiani e mobiletti tantissimi oggetti interessanti, provette dalla forma più insolita, barattoli con strani oggetti all’interno –Alessia giurò di aver visto il barattolo pieno di bulbi oculari fissarla e seguire i suoi movimenti- una bilancia da cucina, ciotole trasparanti, contenitori di plastica e un fornello portatile.
«Cosa imparo oggi?» chiese Alessia abbandonando il discorso Jaki per concentrarsi sulla lezione.
«Qualcosa che ti sarà molto utile» mormorò Lothus prendendo altri contenitori dalla dispensa. «Ho pensato  molto alla tua situazione e visto che collezioni ferite su ferite, ti insegnerò a fabbricare la pozione che ti ha guarita. Sono sicura che ti sarà molto utile» ridacchiò.
«Sarà la mia bibita preferita» rise Alessia. «Da dove inizio?»
«Prima di metter mano agli strumenti occorre un po’ di teoria».
«Teoria?! Stai scherzando?!»
«No, affatto. Le pozioni non solo gettare a casaccio della roba in un calderone, no, è molto di più! Una forma d’arte, una...»
«…noia mortale» completò Alessia. «Dai saltiamo la parte teorica e andiamo direttamente alla pratica»
«No»
«Ti prego! Ti prego! Ti prego!» Alessia lanciandole uno dei suoi sguardi tristi e allo stesso tempo dolci. Nessuno poteva resistere a quello sguardo.
«Spiacente, non attacca. Questa tecnica funziona solo con Miharu e Jaki. Ora se hai finito di recitare iniziamo la lezione».
O almeno quasi nessuno.
Alessia sbuffò rassegnata. «D’accordo».
La ninfa sorrise. «Bene. La caratteristica principale che bisogna avere per preparare bene una pozione è la concentrazione. Le ricette delle pozioni sono spesso complicate e gli ingredienti vanno miscelati con un ordine preciso, quindi è necessario, prima di iniziare, leggere più volte attentamente le istruzioni» spiegò porgendole un grosso libro rilegato in pelle nere. Manuale di pozioni era scritto in oro, al centro del libro.
«Il segreto di una buona pozione è la pazienza. Mescola attentamente e lentamente i liquidi nel calderone»
«Nel calderone? Quale calderone?» la interruppe Alessia. «Questo non è un calderone!» e detto ciò indico il contenitore vuoto davanti a lei.
«Sì, lo so. I tempi sono cambiati. Ho deciso di modernizzare un po’ le nostre lezioni. Devi sapere che questo contenitore ha le stesse qualità di un calderone»
«Sono quelli usati per la chimica?» la interruppe ancora.
«Esatto e...»
«Forte!».
«Questo è un altro motivo del perché ho scelto questi strumenti. Mantengono alta la tua attenzione»
«Sono una scienziata. No, un chimico. No, aspetta! Sono un’alchimista!»
«No, aspetta!» mormorò Lothus «sei una scema»
«Ehi!»
«Continuiamo altrimenti si fa sera. Dicevo? Ah sì. Devi mescolare con attenzione e lentamente i liquidi nel calderone o nel nostro caso, qui dentro. Inoltre dovrai sempre fare attenzione alla modalità da seguire per mescolare. Per esempio, in alcune pozioni, dovrai mescolare prima in senso orario e poi in senso antiorario per un periodo di tempo ben preciso».
Alessia annuì. «Ora possiamo iniziare con la pratica?»
«No» rispose secca Lothus. «Un altro elemento da tenere sottocontrollo è il colore. Nei libri, oltre alla ricetta, troverai anche una descrizione dettagliata sull’aspetto che la pozione può assumere durante le varie fasi di preparazione. Se la pozione ha un aspetto diverso,allora significa che hai sbagliato qualcosa. Un ingrediente mancante o di troppo, il fuoco troppo alto o troppo basso... a proposito di fuoco, quasi mi dimenticavo! Il calderone o nel nostro caso il contenitore, va posto sulla fiamma quando lo dice la ricetta, né prima né dopo. Inoltre, devi fare attenzione anche al calore della fiamma. Le pozioni più difficili richiedono diversi livelli di calore e se sbagli la temperatura o fai bollire la pozioni per più tempo del dovuto... beh, buona fortuna!».
«Ora possiamo iniziare con la pratica?». Alessia era sempre più impaziente di iniziare. La teoria non le era mai piaciuta, qualsiasi cosa fosse, preferiva di gran lunga la pratica.
Lothus sospirò ancora e tentò di non badarci. «Conviene sempre imparare una pozione a memoria o almeno quelle importanti che potrebbero servirti come questa. Se ti trovi in emergenza devi riuscire a fabbricarla velocemente senza avere con te il manuale. Infine prima di usare la pozione devi accertarti che il risultato ottenuto sia effettivamente quello voluto. Magari ricontrollando tutti i passaggi... gli effetti di una pozione sbagliata potrebbero essere nel peggiore dei casi permanenti!».
«Oddio!»
«Già, conosco una ninfa che...»
«C’è anche una pozione che rende invisibile a chi la beve!». Alessia stava leggendo il libro di pozioni mentre Lothus, concentrata com’era dalla sua spiegazione non si era accorta della distrazione della sua allieva.
«Potrei fare un sacco di scherzi divertenti» continuò Alessia. «Oh, guarda! C’è anche una pozione in grado di farti cambiare aspetto! Puoi assumere le sembianze di chiunque tu voglia!».
Lothus le strappò di mano il manuale.
«Ehi! Ridammelo!»
«Hai ascoltato una sola parola di quello che ti ho detto?»
«Certo».
La ninfa inarcò un sopracciglio.
«Soprattutto quando hai detto quella cosa riguardo l’altra cosa e eccetera eccetera» spiegò nervosa.
«Di solito quando qualcuno aggiunge eccetera eccetera alla fine di una frase è per nascondere una bugia»
«Non so di cosa tu stia parlando» mentì Alessia. «E ora... il manuale prego».
Per nulla convinta, la ninfa le restituì il libro. Velocemente Alessia lo aprì e prese a sfogliarlo febbrile e ancora una volta la sua attenzione fu rapita da una pozione in particolare.
«Guarda! Un filtro d’amore! Voglio impararlo! Ti prego Lothus! Insegnami a fare questo oggi! Non vedo l’ora di usarlo!»
Lothus ridacchiò. «E così vuoi usare un filtro d’amore eh?»
«Tutte le ragazze vorrebbero usarlo se potessero» fu la riposta di Alessia.
«E sentiamo su chi vorresti usarlo? Jaki?»
«Cosa?!» sbottò. «No, assolutamente no!»
«Certo come no!» replicò maliziosa la ninfa «vuoi solo usarlo su Jaki!»
«Ti dico di no!»
«Ah già, non ne hai bisogno. Siete già cotti l’uno dell’altra» ridacchiò.
«No, non è affatto vero!».
«Sì certo, se lo dici tu...»
«Sì, lo dico io!» sbottò sempre più inviperita Alessia. «Possiamo iniziare questa maledetta pozione?!»
«Come desideri principessa» e così dicendo Lothus le spiegò il lungo procedimento. A detta della ninfa era una pozione semplice ma lunga e richiedeva tempo, pazienza e concentrazione. Si voltò un attimo per prendere il succo di frutta in frigo quando la cucina fu invasa da una nube di fumo verde acido e un sibilo potente. Non si sa come, Alessia era riuscita a far esplodere il recipiente, e la pozione, colando sul pavimento evaporava, emanando quel fumo.
«Ma che diavolo hai combinato?!» sbottò Lothus mentre correva a prendere gli strofinacci per pulire il pavimento dalla pozione. «Suppongo che tu abbia aggiunto le foglie di eucalipto prima di togliere dal fuoco. Non è così?».
Alessia si limitò a ridere imbarazzata, grattandosi la nuca.
Lothus sospirò e gli lanciò uno strofinaccio.
«Cosa dovrei farci con questo?»
«Rimedi al pasticcio che hai combinato cosa se no?».
Senza dire una parola la ragazza iniziò a pulire.
«Dovremo iniziare tutto da capo... ti prego, questa volta non fare saltare in aria la cucina!»
«Tranquilla, ma non posso iniziare con qualcosa di più semplice?»
«Più semplice della pozione guaritrice?» chiese scettica
«Beh qualcosa ci sarebbe... l’ho letto prima sul libro...»
«E cioè?» la ninfa aveva inarcato un sopracciglio.
«La pozione che rende invisibili!»
«Scordatelo è pericolosa»
«Ma...» provò ad opporsi Alessia ma non ci fu verso di convincere Lothus.
«Scordatelo. Rifarai questa pozione da zero finché non imparerai».
Sconsolata si arrese. Ci vollero circa altri cinque tentativi prima che Alessia riuscisse a fabbricarla correttamente.
«Bene, per oggi abbiamo finito»
«Finalmente!»
«Avrei voluto insegnarti altre due pozioni ma non immaginavo impiegassi così tanto… siamo in ritardo sulla tabella di marcia...»
«Perché non hai voluto insegnarmi la pozione che rende invisibili?»
«Perché è molto pericolosa» rispose Lothus seria in volto.
«Cos’ha di così pericoloso?»
«Te lo dirò solo se farai dei progressi, adesso è troppo presto per svelarti tutto».
«Segreti, segreti! Sempre e solo segreti!» sbottò Alessia.
«Ti accompagno».
Il ritorno a casa fu più rapido. Uno dei pullman stranamente passò puntuale senza far attendere le due ragazze e Alessia riuscì a tornare a casa in tempo per la cena, sotto gli occhi sbigottiti di Lothus che non poté fare a meno di imprecare contro quei bus. 
   
 
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