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Autore: xlairef    27/06/2012    3 recensioni
“Lascialo andare! Ha pagato a sufficienza!”
“Secondo i termini della nostra scommessa, la sua anima mi appartiene.” Replicò il dio della morte in tono cattedratico.
“Meg! Salvami!”
“Ti supplico… Farò qualunque cosa, qualsiasi cosa…” Sussurrò Meg, piangendo.
Ade alzò la mano, e l’avvoltoio si fermò.
“Qualunque? Specifica.” Chiese.
La ragazza trattenne il respiro, poi disse, con voce ferma: “Prendi me al suo posto.”
Genere: Avventura, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve! Questa storia era partecipante ad un concorso la cui giudicia si è dissolta nel nulla e non è ancora ricomparsa (il contest implicava l’uso di citazioni da film disney vari e della colonna sonora di alice in wonderland a inizio capitoli). Mi rendo conto di non essere Tolstoj, tuttavia avendo impiegato abbastanza del mio tempo in questo lavoro mi sento autorizzata a pubblicarlo lo stesso. 
Se a qualcuno potrà piacere o risultare di ispirazione ne sarò davvero felice! Buona lettura!
 
 
 
Prologo: La scommessa
 
Asia Minore, qualche migliaio di secoli avanti Cristo
 
La notte prima di una battaglia ogni soldato si comporta in modo diverso.
C’è chi, veterano esperto del mestiere, preparate le armi per l’indomani, si getta sul proprio giaciglio, per sfruttare al massimo le poche ore di sonno a lui concesse. C’è chi non riesce a riposare: per costui la notte trascorre lentamente, contemplando le stelle o ricordando la famiglia che lo attende a casa, motivo per il quale il giorno dopo cercherà a tutti i costi di non morire. C’è chi è alla sua prima battaglia, e attende con gioia il momento in cui potrà provare di essere un vero uomo. C’è chi prega in silenzio, consapevole che potrebbe non vedere la notte successiva. C’è chi cerca una compagna o un compagno di letto, per passare piacevolmente le ultime ore.
Inoltre, ci sono sempre gli idioti.
 
“Ed eccolo, signori, un altro sette!” I dadi ricaddero sul tavolo formato dagli scudi dei soldati radunati attorno al fuoco. Illuminati dalla luce delle fiamme, i capelli dell’uomo che aveva parlato sembravano formare un’aureola attorno al suo viso esultante.
Voci impastate dal vino si levarono a protestare. “Non è possibile!”
“I dadi sono truccati!”
Hyperion si spazientì. “Calmate gli animi, amici: questo è il quinto paio di dadi con cui giochiamo… Osereste credere che tutti i dadi del battaglione siano truccati?” Concluse levando platealmente gli occhi al cielo.
Uno dei compagni immediatamente si portò alle sue spalle, scuotendo la testa.
“Su, ragazzi, non sospetterete che Hyperion, il nostro Hyperion, la stella degli eserciti corinzi, l’eroe a cui tutti dobbiamo la vita grazie al suo valore e al suo coraggio leggendari, sia un vile baro, una canaglia?”
L’indignazione di Damocle ebbe l’effetto di riportare seduti a terra i deretani dei commilitoni.
“Allora” Sentenziò il più anziano tra di loro “E’ senza dubbio opera delle divinità infernali!”
Hyperion e Damocle si guardarono l’un l’altro, per poi scoppiare a ridere, imitati dal resto della truppa, resa audace dall’alcool.
“Divinità infernali!” Boccheggiò Damocle. “Andiamo, Laerte, non esagerare!”
“Non prenderti gioco degli dei, ragazzo!” Ruggì il vecchio Laerte, ma un attacco improvviso di tosse gli impedì di aggiungere altro, con grande divertimento dei suoi compagni.
“Non mi dirai che credi ancora che gli dei si interessino alle nostre vite?” Sogghignò un soldato, indicando la cavità che aveva recentemente preso il posto del suo occhio destro. “E questo allora, come lo spieghi? Devo rendere grazie agli dei anche di questo? O piuttosto renderò grazie alla mia spada, che mi ha concesso di sbudellare quel persiano prima che si prendesse anche il resto della mia testa?”
“Gli dei…” Laerte si rizzò in piedi, furente. “Gli dei esistono! Non sfidare mai un dio, se non vuoi perdere la tua vita.”
“Nessuno qui vuole sfidare gli dei, Laerte.” Intervenne Hyperion, per calmare le acque. “Soprattutto non alla vigilia di una battaglia come quella di domani. Ad ogni modo, non credo che le divinità infernali si abbasserebbero mai a un gioco come questo.” Fece saltare i dadi nella sua mano.
“Non ne sarei così sicuro.”
La voce, bassa e roca, proveniva da un punto oltre le luci del campo.
“Gli dei infernali!” Sussultò Laerte, rovesciando inavvertitamente un boccale di vino sulle fiamme, che si spensero sfrigolando.
Hyperion si alzò, seccato. “Adesso basta con questa storia. Riaccendete il fuoco, e tu, straniero, se sei un amico, vieni avanti senza timore; se sei un nemico, non uscirai vivo da quest’accampamento.”
“Ehi, vacci piano con le minacce.” Una figura alta, avvolta da un mantello scuro, avanzò fino al gruppo di soldati. “Sono solo uno a cui piace il gioco d’azzardo.”
“Da dove vieni? Non ti ho mai visto tra le truppe…” Indagò sospettoso Damocle.
“Diciamo che è difficile fare caso a me, prima e dopo una battaglia… E, in fin dei conti, credo che nessuno muoia dalla voglia di fare quattro chiacchere con me…” Qui lo straniero scoppiò a ridere, come per una battuta particolarmente spiritosa, ma nessuno lo imitò.
“Beh? Che vi succede, avete il morale sotto terra?” Si stupì lo sconosciuto.
“Abbiamo visto tempi migliori…” Hyperion tornò a sedersi, tranquillizzato: quel tale non aveva l’aria di essere una spia, aveva troppa parlantina; più probabilmente era uno dei tanti accattoni che vivevano vendendo quel che l’esercito lasciava dietro di sé dopo gli scontri, oppure uno dei lenoni dei carri delle puttane.
L’ultima ipotesi era la più plausibile, rifletté Hyperion.
Lentamente, il gruppo di soldati tornò a sedersi. Solo Laerte restò in piedi, accanto al fuoco riacceso, ad una buona distanza dallo straniero.
“Allora, amico…” Domandò Hyperion. “A che gioco vuoi giocare?”
“Quei dadi vanno benissimo.” Rispose quello. “Solo che… Ti va se alla posta in gioco aggiungiamo una scommessina?”
“Che tipo di scommessa?”
Lo sconosciuto si sfregò le mani, eccessivamente secche e avvizzite.
“Mah, non saprei… Supponiamo io non ritenga possibile che il numero sette esca di nuovo sui tuoi dadi, e che io mi giochi sette anni di schiavitù completa e totale nel caso il sette esca ancora…”
“Continua.” Hyperion guardò in tralice Damocle, che annuì lievemente con il capo, per rassicurarlo.
“Mi domandavo… In tal caso, saresti disposto a scommettere la tua anima, nel caso il sette non esca?”
Laerte sbiancò di colpo. “Comandante, allontanati! E’ senza dubbio uno spirito venuto dagli Inferi!”
“Non agitarti Laerte!” Lo liquidò Hyperion, e si sporse avanti, interessato. “Vediamo di capire: se vinco io, tu diventi mio schiavo per sette anni. Se vinci tu, io dovrei cedere a te la mia anima? E come faresti a prendertela?” Ridacchiò divertito, convinto di aver a che fare con un pazzo.
“Ho i miei metodi.”
Hyperion scosse la testa. “Non si può fare: vedi, io ho già consacrato la mia anima ad Ares, il dio della guerra. Nessun avversario su questa terra può battermi, e quando morirò, andrò ad unirmi alle schiere del mio signore Ares. Questa è la ragione delle continue vittorie di Corinto qui in Asia, dico bene, truppa?”
I soldati risposero con un urlo di approvazione.
“Capisco.” Lo straniero non si dette per vinto. “Allora, facciamo così: se mai verrai battuto da un avversario in combattimento, nonostante la protezione di Ares, io avrò potere sulla tua anima, ci stai?”
“Non accettare, comandante!” Urlò Laerte, ma Hyperion aveva già stretto la mano tesa dello sconosciuto.
“D’accordo!” Accettò Hyperion, gongolando al pensiero di guadagnare un nuovo schiavo con così poca fatica.
 Certo che per essere vestito con vesti così pesanti, lo straniero aveva delle mani incredibilmente fredde, ma Hyperion non fece in tempo a riflettere sullo strano fenomeno.
“Lancia i tuoi dadi, giovane… Qual è il tuo nome?”
“Hyperion, come il figlio del Sole!” Si vantò l’uomo. “Hyperion di Corinto. Posso sapere il tuo?”
“La gente mi chiama in molti modi…” Lo straniero gettò il cappuccio dietro le spalle, rivelando un volto grottesco, illuminato sinistramente da fiamme azzurre in luogo dei capelli. “ Ecco, vedi… A differenza di quel che crede la maggioranza degli umani, noi divinità infernali sappiamo giocare, e discretamente bene, direi.”
Tutti i soldati impallidirono e si fecero indietro. “E’… E’…”
“E’ Ade!”
“Ti avevo avvertito di non provocare la collera degli Inferi, comandante!” Singhiozzò Laerte.
“Andiamo, Raggio di Sole: non avrai paura di una scommessa?” Sghignazzò Ade.
Hyperion, riacquistando il suo sangue freddo, ritornò a sedersi.
“Dunque, se vinco io, avrò il dio della morte mio schiavo per sette anni… Mi sta bene!” Asserì deciso: Damocle aveva truccato ogni dado presente nella guarnigione, il giorno prima, per cui la vittoria era assicurata…
Con gesto sicuro, lanciò in aria i due dadi, e attese che ricadessero sugli scudi.
Clinck.
Un cinque.
Clinck.
Un tre.
Otto.
“Hai perso, Raggio di Sole.” Sussurrò Ade. “Arrivederci…” e scomparve, sciogliendosi in lingue di fumo blu, illuminate dai primi bagliori dell’alba che sorgeva a Est.
 
Note al capitolo: Ares: dio della guerra
                                  Ade: dio dei morti
                                  Hyperion: figlio del Sole, rubò il carro del padre per compiere lui il tragitto del sole diurno
                                                         ma venne sbalzato fuori e morì schiantandosi sulla Terra
  

  
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