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Autore: wari    01/07/2012    12 recensioni
Il Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un tombino.
«Ehi, senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio. Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore, mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille» snocciolò, logico e seccato.
Naruto esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto, stordito.
[Attenzione: demenza a catinelle e totale assenza di contenuti erotici nonostante la presenza di contenuti erotici. Chiaro, no? *sviene* Buon compleanno ad annamariz e a scar!]
Genere: Commedia, Demenziale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Altri, Sai | Coppie: Naruto/Sasuke
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun contesto
Capitoli:
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Sarebbe una narusasunarusasunasuras-... Sì, dai, quella roba lì. Sarebbe per fare gli auguri alla prode annamariz (buon compleanno, anna!) e sarebbe in au. Io e le au non andiamo per nulla d'accordo: ne leggo volentieri ma non so scriverne. Ciò detto, evitate di leggere se cercate una trama realistica, perché non la troverete qui. Qui è già tanto trovarci qualcosa che ci somigli vagamente, ad una trama *sviene*





Tu lo conosci Sasuke?
- parte prima -


Era mezzanotte e quarantadue quando Naruto Uzumaki si era soffocato con la birra, nel momento esatto in cui il suo cervello aveva deliberato che quella, potenzialmente, poteva essere una nottata rivoluzionaria. Non che avesse una qualche prova concreta: era una sensazione a pelle, forse dovuta all'alcol, anche se aiutava la consueta indole ottimista, quella d'una persona dotata di sorriso contagioso e la rara abitudine a prendere sempre il meglio delle cose. Non aveva certezze, dunque, ma il suo istinto di rado sbagliava.
Naruto non era abituato alle cotte, alle sbandate da ragazzina, e neanche stava lì a far caso ad ogni esemplare umano che gli svolazzasse nei paraggi, ma beh, evidentemente una volta nella vita doveva capitare pure a lui: e non appena era capitato si era strozzato con la birra.
D'accordo, andiamo con ordine: una sequenza di avvenimenti avevano condotto quello che sarà il nostro eroe a soffocarsi con la birra, primo tra tutti il fatto d'averne presa una ad alta gradazione alcolica, per festeggiare. Festeggiare il nuovo lavoro – fattorino per la consegna di ramen a domicilio – con gli amici di sempre: Sakura Haruno, laureanda in medicina habitué di trenta e lode, sua migliore amica dalle scuole medie; Kiba Inuzuka, età anagrafica ventiquattro, età apparente quattordici, dog-sitter a perdita di tempo, ghigno ferino e ubriacatura allegra; costui era accompagnato dalla di lui ragazza: Hinata Hyuuga, ventidue anni di timidezza annegata in un analcolico, per non contraddire il babbo. Infine, ultimi ma non per amicizia, c'erano Ino Yamanaka, esuberante collega di Sakura, martinimunita e cavallerescamente, sbuffantemente scortata da Shikamaru Nara – professione genio e, per l'occasione, guidatore designato, ai quali si aggiungeva il fido Chouji Akimichi, vocazione amico ideale – virtù ormai decaduta di cui si faceva araldo e patrono dall'infanzia, nonostante le botte sul muso per la crudeltà del mondo.
Insomma, Naruto Uzumaki, in precedenza ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, allegro ma disoccupato era divenuto solo quella mattina, a seguito d'una lunga, sfibrante ricerca durata anni di lavoretti saltuari e sottopagati, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne biondo, arancione, omosessuale alla ricerca dell'anima gemella, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen. Salute! aveva brindato la congrega, facendo cozzare bicchieri e bottiglie per celebrare la mutata definizione giunta gloriosa a scalzare la precedente, ormai vetusta e scomoda. Le patatine fritte di Chouji si erano fatte una passeggiata di mezzo metro quando qualcuno aveva urtato il tavolo col gomito, nell'impeto del momento, suggellando così l'evento con un cocciare solenne.
Dunque Uzumaki Naruto, il fattorino, era felicemente seduto con gli amici al pub, circondato da una spumosa aura chiacchierona e affabile, convinto di apprestarsi a trascorrere una serata tranquilla e oltremodo piacevole e invece,
uh! - no, non si era strozzato, non ancora: con calma, ci arriviamo. Ci siamo vicini – più precisamente, ci siamo seduti di fronte. O meglio, Naruto c'era seduto di fronte. Non di fronte come ad una cena di famiglia – quando la mamma vi dice di sedervi di fronte alla zia, quella che vi strappa il mento con la mano unghiuta, no -, di fronte per il destino, per la sorte, per volontà del fato. D'accordo: per l'arido volere della prospettiva lineare: difatti, dietro la bionda, fluente chioma di Ino, tra lei e la mole bonaria di Chouji, si intravedeva un tavolo. Naruto non provava grande attrazione per i tavoli in sé – e quindi non è il tavolo il succo del discorso – ma per l'occupante del tavolo si era ritrovato di colpo investito da un interesse spasmodico. Più esattamente, per gli occhi dell'occupante del tavolo, che avevano incrociato i suoi mentre mandava giù il primo sorso di birra scura direttamente dal vetro freddo della bottiglia. Fu allora, davanti a due iridi nere sospese in lucidi occhi dal taglio allungato, che il nostro eroe si strozzò, tossendo, sputacchiando d'intorno e dando finalmente un senso a questa indecorosa analessi di mezza pagina. E qui, mentre il fedele Kiba gli batteva due colpi sulla schiena, Hinata sgranava gli occhi e Sakura si preparava già alla manovra di Heimlic – benché l'amico non avesse ingerito ancora neppure una molecola di cibo solido – Naruto realizzò che, potenzialmente, avrebbe potuto emendare in una sera sola tutte le voci stonate della sua descrizione: Uzumaki Naruto, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale forse con una botta di colpo di fulmine per il Tizio del tavolo vicino, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen. Suonava allettante.
Fiducioso del suo istinto, nutriva in sostanza buone speranze di guadagnarsi un tentativo – è il tentativo che uccide il rimorso, e a Naruto i rimorsi non erano mai piaciuti -, nonostante stesse rischiando l'asfissia, avesse la laringe in fiamme e fosse circondato da uno stuolo d'amici ansiosi che cercavano di soccorrerlo.
«Sto be-ne!» riuscì infine ad articolare, spezzandosi sotto l'ennesima pacca di Kiba, il quale – era chiaro – perseguiva nell'opera solo per divertimento, non per una reale convinzione che continuare a percuotergli la cassa toracica potesse realmente giovare all'amico.
A sentire la sua voce, roca ma indubbiamente convinta, Sakura rilassò la schiena sulla sedia, seguita a ruota dagli altri.
Naruto si beccò i vaffa di rito, le pindariche previsioni di cosa i carissimi amici avrebbero fatto scrivere sul suo epitaffio – “morì come visse: da coglione”, copyright di Kiba – e poi si riprese allegri a blaterare a briglia sciolta, con Hinata persino più partecipe de solito, forse per la scarica di adrenalina – e se andava in fibrillazione per un amico scemo a cui va giù storta la birra, c'erano un po' di dubbi che riuscisse a davvero a laurearsi in infermieristica.
A clima più disteso, Shikamaru partì con una lamentela su sua madre, che voleva per forza buttarlo fuori di casa, mentre Ino gli si sovrapponeva raccontando del nuovo collega attraente adocchiato al bar dell'università, cercando sostegno in Sakura, che però partì a parlare male del suddetto – tale Sai, pare l'avesse definita racchia. Al che, invece di saltare subito come una iena, con un opportuno «dimmi chi è e gli vengo a spaccare la faccia», come sarebbe stato prevedibile aspettarsi da lui in quanto paladino, migliore amico e personcina dal temperamento non esattamente placido, Naruto annuì, distratto.
Dopo la sua pessima figura con la birra, gli occhi neri gli stavano dando buca, persi a scrutare un alcolico scuro, sollevandosi solo di tanto in tanto per dare un poco di corda al resto del tavolo. Perché sì, Naruto lo realizzò solo allora, dopo aver scannerizzato il viso pallido del ragazzo, i capelli neri improponibilmente ordinati pur nell'assurda capacità di sfidare la forza di gravità nella zona sulla nuca, le dita della mano rilassate attorno al bicchiere... Sì, ci siamo persi.
Il punto è: Naruto, dopo essersi completamente rimbambito a fissare il tizio in questione, dimentico dei suoi doveri di migliorissimo amico e con un'espressione acuta da baccalà in salamoia, aveva realizzato che beh, contrariamente a quel che gli era parso di primo acchito, il tizio non sedeva in uno spazio vuoto fungendo da fulcro per i moti universali. No: il tizio sedeva davanti ad un tavolaccio di legno - esattamente come quello su cui Naruto teneva i gomiti rigidi -, assieme ad uno sparuto gruppo di compari chiassosi: nella fattispecie un ragazzo dagli assurdi capelli azzurri e dal sorriso aguzzo, che sorbiva birra a garganella e gesticolava vivacemente di volta in volta rivolto al Tizio e all'unica ragazza, leggiadra fanciulla dal medio facile, capelli rosso acceso sfoltiti in un taglio asimmetrico e occhiali spessi che le finivano sulla punta del naso ogni qualvolta si infervorava per una cazzata partorita dall'amico coi capelli azzurri; a concludere il quadretto, un ragazzone alto come un armadio stava placidamente seduto a sorseggiare quello che pareva un innocuo succo di frutta, intrattenendo qualche breve monosillabo con le labbra sottili del Tizio. Tale Tizio, tra l'altro, doveva evidentemente ritenerlo l'unico esemplare umano degno di una qualche considerazione, perché era il solo cui non avesse ancora rifilato almeno un'occhiataccia.
«Na-ru-to» sillabarono cinque dita e un palmo, sventolati più volte davanti al suo naso.
«Eh-eh?» emise il nostro eroe, cercando di mettere a fuoco dopo il brusco cambio di orizzonte.
La mano di Sakura si ritirò per far posto a sei paia d'occhi tutti puntati su di lui. Naruto osservò gli amici un poco stralunato, prima di cominciare a ridere e grattarsi la testa.
«Oh, oi» borbottò imbarazzato. «Scusate! Mi sono distratto. Si diceva?»
«Si diceva di te, che ti stai mangiando con gli occhi il tizio qui dietro» lo rese edotto Ino, senza astenersi dall'esibire la sua famosa faccia da femmina – espressione coniata da Shikamaru, intraducibile in altre parole: bisognava vederla per capire, e comunque sarebbe stato di gran lunga preferibile trovarsi a distanza di sicurezza.
«Il Tizio» sospirò Sakura, lanciando anche lei un'occhiatina trasognata al suddetto e confermando ancora una volta di condividere gli stessi gusti del migliore amico, in quanto agli uomini. Anche Ino, comunque, non era rimasta immune dal fascino del Tizio, solo che per guardarlo le toccava girare con tutta la sedia e, al terzo tentativo, quello si voltò bruscamente per individuare la fonte del fastidioso struscio, le sopracciglia aggrottate e l'aria d'essere tranquillamente disposto a gonfiare di botte anche un irlandese nerboruto alto il doppio della sua statura.
Il risultato fu un sussultò collettivo che spostò il tavolo di due centimetri nello stomaco di Kiba, lasciò il gomito di Shikamaru orfano d'appoggio e costrinse Chouji a sollevare la ciotola delle patatine per evitare che queste si rovesciassero su Hinata; lei trattenne il fiato, grata. Naruto e Sakura si annegarono con le teste dietro l'alcol, nascosti dalla schiena di Chouji, perfetta paratia.
Hinata ridacchiò arrossendo e Kiba scosse forte la testa, per latrare divertito assieme a lei e poi domandarsi a voce alta cosa mai ci fosse di attraente nel Tizio: fu zittito dalla mascella schioccante di Ino e dalle occhiate incredule di Naruto e Sakura – Shikamaru gli batté una confortante pacca sulla spalla e scosse la testa in un modo che Chouji tradusse con un «non possiamo capire», sospirato in divertita, finta afflizione. Poi, mentre Ino già partiva con una filippica su quanto la questione fosse fondata sul senso estetico, piuttosto che sull'orientamento sessuale, e Kiba la ignorava per domandare ad Hinata di spiegargli, da donna, cosa mai ci fosse di attraente in un Tizio simile – che tra l'altro a lui sembrava un po' gay -, Tizio, proprio lui, si alzò in piedi.
Ci fu un momento di immobilità che ammutolì anche la concitata replica categorica di Ino - impegnata a berciare contro Kiba un esaltato «no, no! Se è gay mollo tutto e mi faccio suora!» -, durante il quale lei per poco non cadde dalla sedia, Hinata distolse lo sguardo con tanta fretta da intingere i lunghissimi capelli nel bicchiere di Chouji e Naruto divenne un blocco di ghiaccio arancione, cristallizzato accanto ad una Sakura altrettanto immobile. Shikamaru, dal canto suo, sollevò placido gli occhi al cielo e approfittò della calma per sorseggiare il suo analcolico, beato: dopotutto uscire con quella manica di debosciati aveva un contorto modo di piacergli; forse perché pareva di ritornare alla ricreazione delle superiori – la ricreazione era sempre stato il momento che preferiva, non a caso.
Lui, comunque, fu l'unico a rilassarsi. Godette dell'istante di stasi e accolse la successiva tempesta con pazienza, lasciandosi sfuggire un unico, solenne sbuffo, prontamente ignorato.
«È andato al bagno!» avvisò Ino, come se il fatto che Tizio avesse appena spinto la porta saloon sotto il discreto ma perfettamente visibile cartello che indicava i servizi non fosse già di per sé abbastanza eloquente.
In ogni caso, l'affermazione sussurrata cadde nel mezzo, come appesa ad un amo.
«Ah! Invidiatemi, perché io posso!» saltò infine su Naruto, alzandosi e scatenando ringhi oltraggiati di Sakura e Ino. Le salutò esibendo un ghigno a trentadue denti e si ingegnò a scavalcare goffo il panchetto, in fretta.
«Naruto, ti odio a morte!» gli comunicò Sakura, quando ormai lui si era già fatto strada tra i tavoli; alle sue spalle, prima che spingesse con le mani sui battenti, udì distintamente Ino masticare imbronciata «tanto non è gay!», prevedibile premessa allo sbuffo soave di Shikamaru.


Nel bagno piastrellato di un anonimo giallino, Naruto indugiò davanti al lavabo per qualche momento, a specchiarsi distratto. Con la vecchia tuta arancione portafortuna – la stessa che indossava quando si era presentato a chiedere lavoro -, gli occhi azzurri annebbiati di un lucido un poco alticcio e la fratta bionda disordinata e smossa, come pettinata dal cuscino – ed effettivamente l'idea corrispondeva alla realtà dei fatti –, non si trovava nelle condizioni più adatte ad attaccar bottone con uno che magari l'avrebbe preso a pizze anche se fosse stato al massimo del suo potenziale estetico; ma la filosofia di Naruto era se non ti piaccio come sono, sei tu che non piaci a me, dunque la preoccupazione al riguardo era pressoché minima.
Deciso e brillo –
decisamente brillo, più che altro -, accolse il rumore dello scarico con trepidazione, per poi ricordare che effettivamente non aveva la più vaga idea di cosa dire. In passato aveva già fatto la prima mossa con qualche tipo attraente, gettandosi a corpo libero con risultati alterni, ma non in un bagno, ecco. Per esempio: a pelle, la domanda “ti accendo l'asciugamano elettrico?” non sembrava avere le stesse accattivanti potenzialità di “ti offro qualcosa da bere?”
Non ebbe il tempo di rimuginarci adeguatamente su: Tizio era appena emerso dal suo cubicolo, diretto al lavandino. Quello davanti al quale stava il nostro dubbioso eroe, stupidamente impalato.
Sotto la luce chiara del bagno, a Naruto parve che Tizio fosse ancora meglio che dalla sua risicata angolazione dietro le scapole di Chouji. Ed era gay, cavolo. Lo era assolutamente. Forse.
Okay, bastava tentare un approccio amichevole: al massimo, a malincuore, avrebbe proposto a Tizio di interagire con le sue frizzanti amiche, sebbene in tal modo avrebbe forse rischiato di instaurare una faida eterna tra Ino e Sakura.
«Ti togli?» cominciò però Tizio, prendendo chiaramente a pugni la parola amichevole e tutti gli annessi lemmi primitivi e derivati col suo tono monocorde e cupo, non troppo vagamente acido.
«Ah, sì» emise Naruto, provvedendo a scansarsi contro il muro. «Con permesso, eh» aggiunse, giusto per puntualizzare: ma puoi anche essere la Venere di Botticelli. Se sei stronzo sei stronzo, e si cerca di fartelo presente.
Lo Stronzo gli rispose con un'occhiataccia strafottente – da stronzo, appunto – e lavò le mani con comodo, incupendosi un poco quando scoprì l'assenza del sapone. Naruto se ne rimase lì a guardarlo passare le mani sotto il getto e, non appena lui lo spense, domandò candido: «ti accendo l'asciugamano elettrico?» col tono che chiunque avrebbe adottato per “ti offro qualcosa da bere?” o anche “ti va di venire a casa mia?”, che poi il novanta percento dei casi è il sottinteso della seconda domanda.
Tizio Stronzo parve recepire l'antifona e rimase un momento a guardarlo, ancora un poco piegato verso il lavabo, le maniche tirate sugli avambracci.
«No, faccio a modo mio» rispose telegrafico e tronfio, distraendo Naruto con un sorriso storto chiaramente malvagio. E difatti subito dopo le sue mani fradice andarono a strofinarsi direttamente sull'amata tuta di Naruto, che sgranò gli occhi e trattenne il fiato, la pancia a contatto con l'acqua gelata.
«Che cazz- Ma sei scemo?!» riuscì a berciargli dietro, quando Tizio Stronzo era già in corridoio, davanti alla porta saloon.
«Se stai zitto va bene, ma se urli mi toccherà lamentarmi per il servizio, alla cassa» replicò pronto, con quella dannata espressione altezzosa. Naruto ebbe l'improvviso impeto di fargliela scivolare via con una capocciata – o un bacio: la parte brilla del suo cervello stava ancora decidendo se da zitto e fermo, forse da svenuto?, il Tizio fosse comunque accettabile. Quello in ogni caso non gliene diede il tempo: mentre lui concludeva l'ultima sillaba di «stronzo!», unica risposta che gli era parsa opportuna, Tizio era già filato via, di ritorno nel chiacchiericcio del locale.


Aveva rinunciato in fretta a cercare di asciugare alla buona la felpa sotto lo stupido asciugamano elettrico e infine, stizzito, Naruto si era lasciato la porta del bagno ad ondeggiare nervosa alle spalle, per poi rimettersi a sedere imbronciato. Fu accolto da un silenzio tronco di chiacchiere interrotte, finché Sakura non si azzardò a spiargli in viso, cauta.
«Beh?» chiese, apprensiva.
«È gay» sentenziò Naruto, diretto. Kiba fischiò «l'avevo detto!» e Ino emise un gemito prostrato. «Ed è uno stronzo» chiosò Naruto, per dare un perché alla mancanza di entusiasmo per quella sicurezza.
Sakura gli sospirò accanto, battendogli una mano sulla schiena senza aggiungere altro e intimando a Ino di smetterla di mugugnare affranta e piuttosto ricordarle gli orari delle lezioni del lunedì seguente, in un chiaro tentativo di cambiare alla svelta argomento. In breve, infatti, si ricominciò a blaterare di questioni random e Kiba ebbe anche il tempo di mettersi a costruire omini con patatine e stuzzicadenti per far ridere le ragazze, infastidire Shikamaru e aiutare Chouji con la dieta – a sua insaputa.
Naruto, però, non riuscì a rallegrarsi del tutto. Era un'impuntatura stupida, un capriccio non da lui. Insomma , sapeva d'essere un cocciuto, ma nel perseguire obiettivi concreti, non nell'attaccarsi ossessivo-morbosamente al faccino gradevole d'un Tizio Stronzo qualunque. Tizio Stronzo era solo Tizio Stronzo, si disse: qualificazione per nulla bastevole a giustificare un interesse più approfondito di dieci minuti; non con una cricca d'amici e una birra davanti a reclamare la sua completa attenzione.
«Naruto, guarda!» lo riscosse la voce graffiante di Kiba, brusca. Lui si voltò a sinistra, staccando di malavoglia le pupille da una nuca irta di capelli neri e, davanti all'amico con due cannucce ficcate nel naso, si strozzò di nuovo con la birra.
Ripresosi – Sakura stavolta si era alzata e gli aveva urlato contro che, se non la piantava di strozzarsi, con quelle stupide cannucce gli avrebbe praticato una tracheotomia -, Naruto aveva infine deciso risolutamente di ignorare quello spillino acuto agli angoli degli occhi, che finiva sempre per riportare il suo sguardo verso il tavolo in fondo e così ricominciò a godersi la serata, partecipando attivamente alla sgangherata proposta di andare al cinema nel fine settimana seguente, a vedere non si sa quale film dalla trama poco interessante che però faceva brillare gli occhi ad Ino, Sakura e persino ad Hinata. Il suo tentativo di convincerle a comprare piuttosto i biglietti per l'ultimo film d'azione – americanata con contorno di ninja – fu bocciata senza appello dai ringhi di Ino.
Due giri di alcol dopo, al momento di pagare, Naruto si sentiva ormai felicemente brillo e quasi mancò di infilare correttamente in tasca il suo Gamakichi – il portamonete a forma di rospo – alla cassa; quantomeno però lui non ridacchiava a voce così acuta come invece stava facendo Ino da quasi mezz'ora, appesa al braccio di uno sbuffante Shikamaru – non troppo contrariato, in verità.
«Diograzie domani è domenica» soffiò Sakura, non appena misero piede fuori dal locale, nell'aria ancora fredda di aprile. «Se avessimo avuto lezione Ino si sarebbe addormentata di nuovo sugli appunti» aggiunse ridacchiando all'indirizzo dell'amica, mentre quella ondeggiava tre passi più avanti per invitare un imbarazzato Chouji a ballare un lento sotto il lampione.
Naruto, che invece aveva appena realizzato come non sentisse freddo perché la macchia d'acqua lasciatagli dal Tizio Stronzo si era ormai asciugata da un bel pezzo, l'ascoltò con poca attenzione, arricciando il naso all'odore ora un po' sgradevole di birra e legno umido proveniente dall'Irish pub.
«Gente, credo sia il caso di portare Ino a casa» concluse Shikamaru, annuendo convinto accanto a Naruto, mentre Kiba rideva a crepapelle per la danza improvvisata dalla bionda fanciulla – che sapeva essere bella e divertente anche mezza ciucca, come chiaramente testimoniava l'espressione di Shikamaru, impegnato a guardarsela trasognato.
Naruto gli batté d'istinto una pacca sulla schiena senza misurare per niente la forza, tanto che il genio andò diretto tra le braccia dell'Ino danzante: lei l'accolse per coinvolgerlo in un ardito waltzer.
«Sì, meglio andare» commentò Hinata compita, avvertendo poi Kiba che, anche se gli scappava – come lui aveva già comunicato al vicinato con voce troppo alta – sarebbe stato più opportuno aspettare di arrivare a casa.
Con un ultimo congedo durato altri venti minuti – frammezzati dal volo di una scarpetta nella fontana della piazzola – Naruto, che abitava a meno di cento metri in una strada a senso unico e divieto per i non residenti, rimase a guardare gli amici che si sistemavano in auto inscatolati in maniera da infrangere un paio di norme della strada: Ino a piedi nudi stretta tra Sakura e Kiba, con Hinata appollaiata sulle sue ginocchia; Chouji nel sedile anteriore, in compagnia delle scarpe di Ino - una delle quali bagnata come il suo braccio destro fino al gomito - e alla guida il sobrio Nara, proprietario della povera vettura. Naruto aveva già levato una mano sorridendo contro il vetro, quando Sakura quel vetro cominciò a colpirlo a pugni.
«Girati, girati!» sillabò, le labbra quasi coperte dal suo stesso fiato condensato, tanto che per un momento Naruto captò un «gelati! Gelati!» che aveva ben poco senso, così salutò con la mano ricambiato dal braccio di Shikamaru fuori dal finestrino e attese che la vecchia carrozzeria fosse sparita dietro l'angolo, prima di voltarsi davvero.
Dietro di lui non v'era traccia di gelati: solo un ghiacciolo con i suoi occhi bui e la sua faccia da schiaffi che parlava coi tre compari, appena fuori dal pub. Naruto rimase un attimo come un pesce lesso, bagnato di grazia discendente dal lampione sulla sua testa; stette in silenzio per un lungo momento, perso, e si riebbe solo quando, dopo aver spento un mozzicone contro la suola, il ragazzo dai capelli azzurri si voltò proprio verso di lui, lanciandogli un'occhiata di indecifrabile divertimento; poi la fanciulla dovette decidere che si era fatto tardi, perché gli arpionò un bracciò e prese a tirarselo dietro con falcate da corridora, subito tallonata dal ragazzone nerboruto. Invece, con sommo smarrimento di Naruto, Tizio Stronzo, rimasto solo, accennò qualche passo nella sua direzione, mani nelle tasche e l'atteggiamento di chi si crede il padrone dei metri di strada su cui cammina.
Fanculo, pensò il cervello di Naruto, preciso come una stilettata: fanculo, il suo istinto non sbagliava mai.
«Finito il turno?» domandò Tizio Stronzo, quando fu finalmente a portata di orecchio, in un tono non studiatamente casuale, ma casualmente studiato. Qualunque cosa volesse dire nella sua testa ciucca.
«Il turno di che?» si riprese Naruto, decidendo d'uscire dal cono di luce quantomeno per smetterla di sembrare un tutt'uno con la lampadina ed il suo arancione diffuso.
Lui, Tizio Stronzo, si mise a guardare con estremo interesse – e quindi all'unico scopo di mostrare assoluto spregio nei suoi confronti, almeno a sensazione di Naruto – il lampione in fondo alla strada e l'insegna di una macelleria chiusa.
«Il turno di addetto agli asciugamani elettrici» propose, dando l'idea di stare realmente ponderando la questione, tanto che Naruto ci mise due secondi in più del dovuto per capire che, semplicemente, lo stava prendendo per i fondelli.
«Ma sei uno stronzo laureato!» sbottò, davanti alla sua faccia di cazzo; faccia di cazzo da stronzo laureato, e stupido lui, che si faceva abbindolare sempre da questi soggetti impossibili: non a caso, la sua ultima storia semiseria l'aveva avuta con un monolito privo d'ironia, snob e rompicoglioni – il cugino di Hinata, tra l'altro. Ci cascava sempre, con quegli esemplari lì.
«Non ancora» ribatté l'esemplare, criptico come stesse seguendo un ragionamento tutto suo. O più probabilmente cercava solo di mostrarsi in posizione di vantaggio puntando sul metodo io ne so di più. Non si sa di chi o che cosa, ma produceva comunque un qualche effetto sull'interlocutore, tranne su quelli più svegli. E Naruto si sentiva sveglio.
«Okay, come ti pare» si decise infatti, scoraggiato. Non aveva voglia di stare lì a farsi tirare scemo da un perfetto sconosciuto, sinceramente. Anche se il suo intuito ancora scampanellava, tirando nel senso opposto – dopotutto si era fermato, lo Stronzo, a parlare proprio con lui – il buonsenso di cui comunque era provvisto in maniera moderata, gli aveva ricordato che starsene in una strada semideserta in compagnia di un individuo alticcio, a guardare l'insegna di una macelleria in piedi sotto un lampione, non rientrava tra i suoi interessi. Così insaccò le mani nelle tasche della tuta pronto a voltarsi e mollarlo lì, davanti alla sua stupida macelleria a fissare la sua stupida insegna con i suoi stupidi occhi meravigliosamente neri; forse fu proprio a causa di quell'ultima, sconsolata constatazione che l'istinto ebbe nuovamente la meglio, spingendolo almeno a voltarsi di mezzo grado per annunciare: «me ne torno a casa», in un tono spavaldo che invece per qualche ragione gli uscì mogio.
Il Tizio Stronzo, tutto perso nelle sue elucubrazioni, impiegò un secondo intero per girarsi, quando Naruto gli aveva ormai voltato le spalle del tutto, diretto all'incrocio.
«Ma sei completamente imbecille, allora» brontolò, con una vena d'esasperazione. Naruto, piccato, frenò di scatto davanti ad un tombino.
«Ehi, senti un po', te» ringhiò, stizzito, e sollevò le braccia per aiutarsi ad esprimere il concetto; «non so che problema hai, ma...»
«Che problema hai tu, usuratonkachi» ribatté Tizio, ancora impalato alla stessa distanza, le sopracciglia contratte e l'espressione – oh, sì! Anche lui pareva essere dotato di mimica facciale: un vero sollievo – combattuta, quasi di nascosto disagio. Imbarazzo? «Mi fissi come fossi un dannato cono gelato per due ore, mi pedini al cesso e poi “te ne torni a casa”? Sei imbecille» snocciolò, logico e seccato.
Naruto esibì nuovamente la sua collaudata espressione da totano svenuto, stordito.
Eppure, a scapito delle apparenze, il suo cervello non aveva rallentato affatto, tutt'altro: era partito ronzando come una motoretta, raccogliendosi avido il sangue e provocandogli in tal modo un colorito poco sano, alla Hinata nei momenti di timidezza acuta – molti momenti.
Il nostro biondo eroe aveva infatti realizzato ben due cose: primo, faceva schifo a pedinare, spiare o anche solo osservare la gente senza farsi scoprire – un imbranato totale, insomma. Non avrebbe mai potuto fare il ninja, e non solo per colpa della tuta arancione -; secondo, Tizio Stronzo, quello stronzo stronzo, quello che aveva spiato di sottecchi per due ore come fosse una ciotola fumante di ramen – preferiva il ramen, al gelato -, quello che aveva goffamente pedinato in bagno, non voleva denunciarlo per stalking, bensì stava dimostrando d'essere interessato. Certo, nel modo sbagliato, con una goffaggine ruvida da grizzly claudicante, che cozzava terribilmente con la prima impressione che Naruto ne aveva avuto – quella di una persona perfettamente consapevole di sé -, ma ciò non toglieva che fosse interessato, e interessato a lui.
Ora, Uzumaki Naruto - ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale con una botta di colpo di fulmine incomprensibilmente ricambiata dal Tizio Stronzo del tavolo accanto, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen –, si sarà capito, era un sognatore. Uno di quagli esemplari umani che si gettano a capofitto seguendo l'istinto, il cuore o come lo si vuole chiamare – sì, anche il pene, in determinati casi, ma sempre con l'ausilio degli altri due. Il sogno nel cassetto di Uzumaki Naruto era scalare l'Everest, per esempio: era un visionario; anche un po' tocco a detta di alcuni, semplicemente un idiota a detta di molti altri, ma Naruto aveva sempre dato poco credito agli altri. Altri - misteriosa entità dotata di cento occhi e mille bocche - avrebbe senza dubbio disapprovato la sua mossa seguente, per esempio. Ridacchiare, prima d'ogni altra cosa, come uno scemo con le braccia incrociate dietro la nuca, in piedi ad ancora a dieci metri dal Tizio, che gli aveva scoccato un'occhiata a metà tra l'omicida, il truce e forse un vago disagio sospeso d'attesa, incertezza di un rifiuto dopo aver mostrato tanto il fianco – grizzly in zona di caccia.
«Dove abiti?» aveva chiesto subito dopo Naruto, brillante di nuova verve nonostante il sano imbarazzo della situazione.
L'altro l'aveva guardato, altezzoso.
«Non è la domanda corretta».
Saccente del cazzo. Naruto si era avvicinato a gran passi per poi fermarglisi davanti, i piedi ben piantati in terra.
«E qual è la domanda corretta, sentiamo?»
Tizio, braccia conserte e aura di inscalfibile superiorità perfettamente riabilitata, non si era scomposto.
«Se ci arrivi da solo, la mia risposta potrebbe essere un sì» suggerì, magnanimo, prima di chiarire: «un aiutino: non è “ti accendo l'asciugamano elettrico?”», con scherno palese.
Il sorriso di Naruto non si incrinò; anzi, crebbe in larghezza e intensità luminosa.
«Io sto a cento metri» cominciò il suo istinto per lui, basso e congestionato. «Ti va di venire a casa mia?»
E Tizio Stronzo lo tenne sospeso, sadico e, appunto, stronzo. Poi regalò alla notte il suo mezzo ghigno storto, con una soddisfazione da maestro elementare davanti ad un pargolo volenteroso ma tardo.
«Questa» sancì pomposo, «è la domanda giusta».
Mezzo secondo dopo, al diavolo la ragionevolezza, Naruto se lo stava tirando dietro fino in fondo alla strada, ruggendo a volo sul lastricato.


Sas'ke. Tizio Stronzo non era Tizio Stronzo, ma Sasuke.
Naruto l'aveva chiesto quando già si erano baciati una volta, rischiando di inciampare in un idrante, e Sasuke gli aveva borbottato la risposta tra i capelli, composto quanto può essere composto qualcuno che, brillo, si sta esibendo in una frettolosa pomiciata dinamica alle due di notte in una strada pubblica in compagnia di un tale d'arancio vestito.
«Naruto Uzumaki» aveva invece decretato Sasuke stesso, quando la performance era proseguita fino al portone del suddetto: il nome svettava inconfondibile sul citofono, proprio accanto alla sua nuca. Era l'unica targhetta arancione acceso, penultimo piano. Sette rampe di scale.
«Niente ascensore» si era scusato Naruto in fretta, dopo essersi chiuso il portone alle spalle con poco garbo per l'ora tarda, le mani impegnate a guadagnarsi centimetri di pelle di Sasuke come se le dita, ubriache, stessero facendo tra loro un qualche genere di gara. Lui, contrariato già al primo gradino, gli aveva arpionato i capelli per sibilargli «lo sapevo che eri una piaga sociale», senza però smettere di salirle, quelle scale, o anche smettere di baciarlo, riuscendo in tal modo nell'impresa di conficcarsi il corrimano nel fianco per quasi tre metri di salita.
Gli intermezzi pomicianti raddoppiarono inevitabilmente il tempo medio del percorso, sicché a metà della quinta rampa la luce li abbandonò di colpo e li costrinse a procedere a tentoni sui gradini.
Naruto si beccò una gomitata e svariati insulti, utilizzati da Sasuke come espressione del suo disappunto per i piedi pestati: purtroppo era un po' instabile sulle ginocchia e tra l'altro il sangue stava cominciando a defluire felicemente dal luogo adibito alla coordinazione alle zone erogene, condizioni che conferivano innegabile complessità anche ad un'operazione semplice come raggiungere l'interruttore della luce. Non a caso, prima di riuscire davvero a premere l'indice sul fioco puntolino luminoso sospeso nel buio, il nostro eroe si occupò di far cadere Sasuke – almeno così sostenne lui, incolpandolo assieme ai suoi avi d'essere un totale mentecatto – e di seguirlo l'istante dopo, inciampandogli sulla schiena. Il risultato fu almeno quello di zittire i rimbrotti di Sasuke stesso, ma di certo non quello di facilitare l'ascesa.
In breve: raggiunsero il pianerottolo giusto in condizioni non esattamente ottimali – due reduci di un pentathlon, praticamente -, tanto che Naruto, a giudicare dallo sguardo torvo dell'altro, temette per un momento che gli sarebbe andata in bianco con contorno di cazzotto. Non che le scale fossero colpa sua, così come non lo era il timer della luce a tempo, ma Sasuke pareva esattamente il genere di persona che, di fronte all'imprevisto, smonta il calendario con metodica furia e scarica i nervi su un raggio d'azione di cento metri a partire dal punto in cui si trova.
Per questo, anche una volta assicuratosi d'essere più o meno sano e salvo davanti al portone, Naruto si fece un attimo prendere dalla foga.
«Chiavi!» berciò e nella furia di svuotare le tasche per poco non si fece sgusciare via dalle dita sia quelle – in compagnia dell'opinabile portachiavi a forma di girino dagli occhi fluorescenti – che il portafogli.
«Non dirlo con la stessa urgenza con cui diresti “preservativo”» brontolò Sasuke, nonostante tutto ancora appiccicato a lui; Naruto per poco non lo stese con una gomitata, mentre armeggiava ostinato sulla vecchia serratura. Sgranò gli occhi insieme al clack sonoro del metallo.
«Oddio, mica lo so dove li ho messi!»
Sasuke soffiò via una ciocca con spregio e superiorità, sfoderandone come se qualcuno gli avesse chiesto in prestito una penna. O anche una spada laser.
«Li tieni in tasca? Sei un sessuomane?»
«Preferisco definirmi previdente».
E forse fu perché lo disse adottando il tono di qualcuno che fosse davvero convinto di sembrare molto più previdente che sessuomane, saldo nella stima di sé; o forse perché semplicemente aveva gli occhi neri lucidi sotto le sopracciglia dritte su quella faccia da testate e schiaffoni, che Naruto decise di non avere voglia di ribattere – oltretutto quello lì, ne era certo, gli avrebbe rigirato la frittata pontificando a pene di segugio solo per dimostrare d'avere ragione, come se qualcuno provasse il minimo interesse al riguardo.
Scelse quindi di tornare a respirargli in bocca e accolse elettrico le sue mani addosso – quelle mani da stronzo faccia di merda che lui s'era asciugato sulla stessa felpa che adesso stava cercando di tirare via. Naruto lo aiutò non appena fu riuscito a chiudersi la porta alle spalle, troppo preso dalle dita fredde e dalla bocca calda di Sasuke per curarsi d'aver probabilmente svegliato la vecchia Chiyo, l'adorabile nonnina moralista dell'appartamento adiacente, che andava a dormire alle otto di sera unicamente per il sadico gusto di destarsi a mezzanotte e lamentarsi dei rumori nel vicinato fino all'alba. E comunque neanche il rugoso pensiero della vecchia Chiyo in vestaglia e ciabatte di feltro riuscì a spegnere le braci accese nel suo stomaco.
«Stanza... da letto» finì a mugugnare, masticando capelli neri e seminando capi di vestiario come molliche di pane. «Non hai pure il lubrificante, in tasca, vero?»
«Sono solo previdente, mica sessuomane» ne approfittò per confutare Sasuke, altrettanto svestito a chiazze, per poi spalmarlo contro un settimino e tirarsi dietro una lampada. Che tra l'altro cadde in terra scatenando le ire del cagnetto idrofobo al piano di sotto.
Raggiunta la camera da letto – situata lì vicino, solo che se ci arrivi rimbalzando a zig zag come una mosca ubriaca il percorso triplica -, non c'era più molto da svestire: stupido e felice come un bambino, Naruto si godette la vista del suo Tizio Stronzo ora congruamente nudo – naturalmente per via della giustizia karmica.
Sasuke pareva persino meno stronzo, da nudo, specialmente distratto com'era ad esplorarlo a sua volta con contenuto interesse quasi scientifico, passata la foga alcolica della scalata al condominio. Quando si ritrovarono ad indugiare un attimo, testa a testa, Sasuke finì per alzare gli occhi al cielo nella riuscita versione d'uno Shikamaru meno bonario e dieci volte più snob.
«Visto che tu hai messo la casa, suppongo di poter offrire...» accennò, vago, maestosamente stravaccato contro il materasso cedevole, troppo in basso perché i polpacci non penzolassero fuori. A Naruto brillarono gli occhi.


Mai fatto tanto sesso tutto insieme. Seriamente: la situazione era a metà tra la peggiore romanticheria da ho incontrato la mia anima gemella, la metà della mia mela, il pezzo mancante del puzzle, la chiave della mia serratura e la serratura della mia chiave, e per una buona, sostanziosa metà, un testa a testa allo scontro finale di tutti i film d'azione, quello col protagonista che fronteggia il suo arcinemico in piedi su una scogliera, col vento tra i capelli e l'aria densa di ideali contrastanti che frizionano l'un sull'altro producendo elettricità bastevole a fornire illuminazione annua per un piccolo centro abitato. Oppure era che Sasuke aveva la testa dura come il marmo, Naruto non era da meno e più che concentrarsi nell'amplesso facevano rissa trattandosi come nemici mortali, piuttosto che come amanti. Di amorevole c'era solo la vicendevole ostinazione a rimanere addossati a tutti i costi con la maggiore porzione possibile d'epidermide a contatto.
Per il secondo round era comparso un giaciglio supplementare sul pavimento - creato quando Naruto aveva cercato di strangolare Sasuke perché la smettesse di prendere in giro la sua sveglia a forma di rospo, ottenendo solo di finire ribaltato giù in compagnia di cuscini e lenzuolo -; al terzo, cui era seguita una pausa durante la quale il fiato era stato finalmente disperso nell'aria, piuttosto che in una bocca, Sasuke aveva avuto la malaugurata idea di alzarsi in piedi per ritornare sul materasso. In felice conseguenza di ciò, Naruto aveva deciso di dimostrare la sua opposizione afferrandogli un piede, e se l'era fatto cadere addosso. Vittime: l'abat-jour disarcionata con un braccio e il muro nel punto in cui Sasuke aveva dato una craniata così forte da far tremare i doppivetri della finestra.
Al che, Naruto era stato in dubbio se portarlo in ospedale – d'accordo, Sasuke, non il muro: il muro nonostante tutto stava bene -, ma l'affettuoso amante aveva ripagato la sua preoccupazione picchiandolo col tubetto del Lasonil e atterrandolo sul pavimento del bagno.
Consumato l'ennesimo coito, forti della loro gioventù – avrebbe detto il buon vecchio insegnante di educazione fisica di Naruto, Gai sensei - avevano cercato di proseguire nell'epopea, incuranti delle interruzioni dovute, di volta in volta, al cane isterico dei vicini e alla voce della vecchia Chiyo, che ogni tot si esibiva in gracchianti segnali orari. Alla fine, quando anche Naruto aveva sbadatamente assestato una capocciata tellurica contro la testiera del letto e Sasuke aveva preso col piede la sveglia sul comodino – che aveva dunque ritenuto opportuno gracidare a squarciagola “sono le tre-e-trentasette-minuti”, mentre si sfracellava in terra - si era presentata la nonnina in persona, dito al campanello: Naruto le aveva aperto in pantaloni, senza mutande – disperse – e con indosso la maglietta di Sasuke alla rovescia. L'anziana, sveglissima e incazzata, i capelli grigi a penzolarle flosci attorno al viso, l'aveva squadrato come si guarderebbe la foto segnaletica di un pluriomicida.
«Mi dispiace moltissimo, Chiyo san» aveva deglutito Naruto – ed era sincero, davvero. Solo che, diavolo, se la vecchia avesse avuto ventiquattro anni ed un Sasuke nudo a disposizione, anche lei avrebbe faticato a contenere gli entusiasmi.
«Sono le quattro, razza di teppista! Le quattro! Si può sapere che accidenti-» ma non aveva avuto il tempo di profondersi nella sua – obiettivamente sensata, giusto un poco logorroica – paternale nonnista sulla corruzione della gioventù odierna, sulla guerra, sulla sua artrite e sul valore del silenzio. E non perché non ne avesse una pronta – ne aveva sempre una pronta, probabilmente teneva i fogli del discorso nella tasca della vestaglia -, ma perché, in quel momento, i suoi occhi si erano spostati dall'espressione contrita di Naruto oltre la sua spalla, all'interno della casa: lì dove era appena spuntato Sasuke, spettinato e fiero della sua nudità drappeggiata dietro al lenzuolo avvoltolato a mo' di toga. Giratosi per seguire gli occhi della donna, Naruto aveva percorso con le pupille le pieghe morbide della stoffa solo affinché il suo cervello, del tutto autonomamente, decidesse che la prima cosa da fare, una volta chiusa la porta, sarebbe stato appallottolare lenzuolo e Sasuke e ributtarli entrambi sul letto – ma anche lì in soggiorno, sul divano arancione – per ricominciare tutto da capo.
«Io» aveva cominciato, la gola secca, senza riuscire a staccare del tutto gli occhi per riportarli sul viso della simpatica vecchina – altrettanto folgorata. «Le prometto che farò, faremo...» e il doveroso, sensato più piano si era perso dietro il battente della porta.
L'istante dopo Naruto, giusto per contraddirsi subito, aveva urlato allegro «Sas'keeeh», planandogli contro a peso morto e costringendo entrambi a ruzzolare al contrario sul divano, gambe all'aria.
Sia l'usuratonkachi di protesta sia la bussata furibonda della vecchia Chiyo erano poi finite felicemente risucchiate in un angolino del cervello di Naruto, innocue e distanti.
Tornarono più tardi, assieme all'effettiva stanchezza e ad una vaga cefalea alcolica, solo dopo la decisione tacita di trascinarsi sul letto ed usarlo per dormire, stavolta.
Ma, sinceramente, anche consapevole di doversi dare una calmata ed evitare così la denuncia per schiamazzi notturni, Naruto era ancora un po' troppo elettrizzato, stanchissimo ma incapace di abbandonarsi davvero al sonno; anche per questo fu contento d'aver dimenticato le imposte aperte, così da potersi godere l'alba che iniziava a violeggiare a sprazzi tra i profili netti dei palazzi ancora ombrosi. Dovevano essere quasi le cinque: i colombi cominciarono a tubare come ossessi, in un modo che gli provocò sincere risate.
«Cazzo ridi?» biascicò Sasuke, pigramente abbandonato contro il suo fianco sghignazzante, indifferente all'aurora e all'avere un piede fuori dal materasso.
«I piccioni, li trovo buffi» spiegò Naruto senza impegno, sospirando in uno sbadiglio ampio; per qualche ragione al suo braccio scattò, illogica, l'irrefrenabile voglia di accarezzare distrattamente la schiena di Sasuke, provvidenzialmente a portata di zampa - si era trascinato uno sconosciuto a casa seguendo tutt'altro che il cervello, sarebbe stato poco democratico da parte sua opporsi al volere imperioso di un arto qualsiasi. Lui, lo sconosciuto, apprezzò calando le palpebre sugli occhi e sbadigliando a sua volta, senza però rinunciare a borbottargli un ruvido «idiota», in un biascichio assonnato. Poi si mise a russare come una motoretta e alle orecchie – perse, si era completamente perso – di Naruto, quel ronzio nasale parve un concerto di melodiose fusa. Scoppiò a ridere da solo, perché se cominciava a concepire pensieri del genere significava proprio essersi rimbecillito del tutto, e Sasuke espresse il suo disappunto – forse il suo accordo con l'ultima considerazione, in verità - tirandogli una dolorosa manata sonnambula, prima di ribaltarsi un paio di volte in cerca di una posizione comoda. Poi anche Naruto si arrese al sonno.


Al diavolo la gloria dell'alba: avrebbe dovuto chiuderle, quelle stupide imposte.
«Ngh» concordò una voce soffocata, dal materasso.
Naruto non si mosse, gli occhi ancora cocciutamente chiusi nonostante fosse chiaro, anche da dietro le palpebre, che il sole fosse sorto da un pezzo e direttamente sulla sua faccia. Trasse un sospiro affaticato e il diaframma gli si incagliò su un peso morbido, annidato tiepido sullo stomaco. Decise di aprire gli occhi.
Sul soffitto, il lampadario spento gli risultò un poco annebbiato, perso tra i fasci luminosi di pulviscolo svolazzante, finché non decise di sollevare un braccio per stropicciarsi la faccia; ci riuscì solo al secondo tentativo, quando finalmente indovinò dei due quello non sepolto vivo da Sasuke, che stava tranquillamente dormendo sul sinistro.
«Quindi non sei scappato» commentò Naruto contento a voce alta, mentre si sforzava di ricostruire i particolari di un sogno nebuloso in cui aveva dovuto inseguire un barile correndo a perdifiato in una foresta, neanche stesse giocando a Donkey Kong; la cosa buffa è che, nell'illogica logica del mondo onirico, per qualche ragione era arcisicuro che dentro il barile ci fosse Sasuke, strisciato via nottetempo dalla finestra di camera sua.
«Non te la squagli mica se vado al bagno, vero?» proseguì secondo lo stesso ordine di pensieri – curandosi pudicamente di emendare la parte sul barile -, mentre cercava un poco a malincuore di liberarsi il torace dal peso di un braccio senza svegliarne il proprietario; Sasuke doveva averglielo schiaffato sopra nel sonno, non si sa se in cerca di calore umano o solo per un impeto di territorialità sul materasso. Dopotutto era un singolo: non è che ci fosse molto spazio.
Naruto risolse ammettendo con pacatezza che, quale che fosse la verità, era contento: non dormiva con qualcuno da diverso tempo e in ogni caso svegliarsi appiccicato ad un Sasuke non era niente male. L'avrebbe dovuto dire a Sakura, a proposito.
Si lasciò scivolare giù rotolando con un cigolio di molle e carambolando direttamente faccia a terra.
«Ahia» respirò, la guancia contro il pavimento freddo – freddissimo se confrontato al corpo caldo che aveva appena lasciato a russare mezzo metro più su. Prima di trovare la forza di alzarsi, cominciò a tastare in giro, ventre a terra come una foca spiaggiata. Beccò un lembo del lenzuolo, una delle sue scarpe, le mutande di Sasuke e la sveglia, così decise che era necessario lasciar perdere i detriti e raccogliere piuttosto la sua forza di volontà: la concentro nelle braccia, per riuscire almeno a mettersi gattoni. Da lì, con un sonoro sbadiglio e scompigliandosi capelli degni di un'esposizione alla GNAM, trascinò i piedi fino al bagno, per svuotare la vescica. Cominciò anche a brontolargli vigorosamente lo stomaco, ma ritenne fosse più opportuno darsi un contegno, prima di andare a svaligiare il frigorifero.
Tornò quindi nella stanza, a passo felpato per non svegliare il Sasuke dormiente – senza di lui, piuttosto che spaparanzarsi come sarebbe stato logico, quello si era accartocciato sghembo come un origami malfatto, impegnato ad arricciare il naso ad ogni respiro per via di capelli ammutinati che gli penzolavano sul viso. Si diresse direttamente al cassetto delle mutande e ci affondò la mano dentro alla disperata ricerca di qualcosa di sobrio; purtroppo il paio più sobrio che avesse vantava spirali arancioni su fondo verde ed era già stato disperso da qualche parte nella stanza, così si rassegnò a indossarne di gialle a fantasia di ranocchie. Era domenica e, ottimisticamente parlando, avrebbe forse avuto l'occasione di togliersele in fretta, sempre che Sasuke non avesse altro da fare.
Naruto ne studiò il profilo mentre pescava dei calzoncini da basket che non ricordava di avere – sovrapporre arancione acceso a giallo e ranocchie avrebbe causato epilessia anche ad una persona perfettamente sana, ma lui non se ne curò – e, complice la buona disposizione d'animo nei confronti del nuovo giorno, si ritrovò a constatare nuovamente, con maggiore intensità della sera prima, quanto Sasuke fosse irrimediabilmente attraente, persino ammucchiato sul materasso a quel modo, non troppo dissimile dal cumulo di lenzuola stropicciate che giaceva invece per metà sul pavimento, in compagnia di un cuscino.
Chissà se l'attraente sarebbe rimasto per colazione: magari aveva davvero cavoli suoi da fare la domenica, magari una famiglia, di quelle che fanno i pranzi collettivi tutti i fine settimana. Naruto aggrottò le sopracciglia, corrucciato.
«Uffa» sbuffò ad alta voce, ad esprimere disappunto per quell'ipotetica famiglia numerosa che lo avrebbe privato del suo Tizio Stronzo pescato al pub. Poteva essere un po' egoista, no? Poteva tenersi un Sasuke per un giorno, visto che ormai l'aveva messo nel carrello: poi l'avrebbe riportato al suo pranzo di famiglia, senza dubbio. Riconsegnato intatto alle cure d'una madre dai bei capelli lunghi e neri e dal viso dolce, ad un padre di quelli che leggono sempre il giornale davanti al tavolo – rigorosamente la pagina economica: Naruto non aveva mai capito bene cosa ci fosse scritto, ma sembrava una roba da padri – e al suo, boh? magari un fratello – o più d'uno: fratelli posati e diligenti dai capelli neri che sorbivano tè con calma e discorrevano pacatamente col padre-giornale sulle ultime oscillazioni della Borsa – ma la borsa di chi, poi? Sakura metteva un sacco di cose, in borsa. Oh, e un nonno! Tutte le famiglie numerose hanno un nonno: magari uno un po' rimbambito che inizia ogni frase con “ai miei tempi...!” finendo per blaterare inascoltato di avvenimenti anacronistici mescolati a vecchie pellicole di guerra.
Non aveva pensato ad alta voce, ne era certo, ma in compenso aveva sbuffato e tamburellato con le dita sulla scrivania, facendo casino – cosa che gli veniva in verità assai bene - ed era stato così preso da quelle elucubrazioni che, anche se non gli aveva staccato un minuto gli occhi di dosso, sussultò quando si accorse che Sasuke si stava muovendo – e non per sonnambulismo.
«Buondì» esordì il nostro sessualmente appagato eroe, grattandosi il naso prima di incrociare le braccia dietro la nuca e sorridere a vanvera. Sasuke parve tentare di inquadrarlo con gli occhi annebbiati e, piuttosto che rispondere al saluto, si prese tempo per sbadigliare, la faccia nascosta sotto il braccio.
L'ospite arancione non se ne crucciò, decidendo piuttosto di sollevare la sveglia e riporla sul comodino: il rospo faceva le tre e trentasette.
«Anche se sarebbe meglio buon pomeriggio, vista l'ora. Fame?» domandò poi, lasciandosi ricadere sul letto. Sasuke rimbalzò un po' sul materasso all'impatto, ma non si mosse per diversi altri secondi. Naruto finì quasi per impensierirsi: tra i capelli scompigliati, sulla nuca, era quasi visibile il grosso bernoccolo della capocciata carpiata. Magari era svenuto.
«Sei vivo... ?» domandò, con qualche grammo d'apprensione aggrovigliata nello stomaco; indeciso, si tirò seduto per guardare Sasuke dall'alto. «Stronzo? Sei in coma?»
«Quanto-» ribatté quello, la voce soffocata dal materasso, senza muoversi d'un millimetro. Naruto ebbe giusto il tempo di sgranare gli occhi tra sollievo e sorpresa, prima di ritrovarsi schiena sul materasso, la testa a penzolare fuori assieme a tutto il collo; «parli, usuratonkachi» sillabarono le labbra di Sasuke ad un palmo dal naso, prima che il loro proprietario gli assestasse una capocciata lieve, ma abbastanza dolorosa per qualcuno col collo sospeso ad un metro da terra.
«Non si sveglia così, la gente» continuò a brontolare lo psicolabile – ecco, stronzo e pure psicolabile. E non si poteva neppure dire che si fosse alzato col piede sbagliato dato che, per gli dei, non aveva ancora messo a terra neanche l'alluce.
«Ahia, bastardo!» reagì Naruto, rischiando di capitombolare giù di testa. Si agitò arrotolandosi su se stesso, goffo e impacciato, solo per trovare - una volta ripristinata una più comoda posizione coi gomiti puntellati sul materasso - Sasuke che, seduto a gambe incrociate con la fierezza di un capo indiano, lo squadrava con un'espressione terribilmente simile a sprezzante compassione per la sua inettitudine.
«Lo sai cosa?» gli ringhiò Naruto, dopo essersi portato in ginocchio con un ruggito e avergli puntato un dito in mezzo agli occhi. «Io me ne frego del tuo pranzo di famiglia!»
Sasuke ebbe giusto un momento per aggrottare le sopracciglia, ragionevolmente perplesso, che si ritrovò buttato giù dal letto, in un arrovellamento mortale. Fortunatamente per lui, il lubrificante era a portata di mano.


«Adesso ho fame» sentenziò infine Sasuke, e il suo stomaco brontolò. Naruto lo sentì chiaro e forte tremolare nella testa che ci teneva poggiata su, ad impedire diverse funzioni vitali.
«Ti levi» domandò. Ordinò, in verità, data l'assenza di qualunque tono interrogativo.
«Sto comodo» rimbeccò Naruto, assestandogli un colpo di nuca come a volerlo sprimacciare; fece appena in tempo a sbadigliare con soddisfazione, ridacchiando, che dall'alto si vide piombare in faccia la mano dell'altro. Incrociò gli occhi per seguirne le dita che affondavano nei suoi capelli.
«To-gli-ti» sillabò lo psicolabile, e ad ogni sillaba strattonò forte le ciocche bionde per sollevargli tutta la testa.
«Ahia-ahia-stronzo» accusò Naruto, imbronciandosi. «Guarda che fai male, sei una merda!».
«Ho fame» ripeté quello, noncurante, la voce più chiara ora che aveva lo stomaco libero.
Naruto ringhiò al cielo, per poi trarsi in piedi indolenzito.
«Ho capito, ho capito!» si stiracchiò, prima di offrire una mano all'individuo più insopportabile del pianeta, ancora dignitosamente steso in terra.
Lui la studiò per un lungo momento, titubante, e Naruto dovette fare forza su di sé per non utilizzare il vantaggio: fosse stato una persona cattiva, e un judoka, come minimo l'avrebbe ribaltato.
Invece la fame e il suo essere un luminoso amante di tutto il creato – anche dei Tizi Stronzi e Psicolabili Pescati in un Pub la Sera Prima – lo spinsero a sorridere come un ebete e tirarsi dietro dita, mano e tutto l'intero corpo assonnato di Sasuke, che lo seguì incredibilmente docile, opponendosi giusto il tempo di cercare le sue mutande perché mai, mai e poi mai avrebbe accettato di mettersene un paio di Naruto – quando lui fece per proporlo, lo gelò sul posto con un'occhiata da pazzo omicida.
Da lì, raggiunta la cucina, Naruto Uzumaki, ventiquattrenne, biondo, arancione, omosessuale sessualmente appagato e un po' in imbarazzo dall'avere Tizio Stronzo a gironzolare in mutande nel suo appartamento, nuovo fattorino a tempo indeterminato dell'Ichiraku Ramen per la prima volta in vita si rammaricò d'essere un individuo disorganizzato a livelli patologici, abituato a vivere alla giornata come un randagio e privo di creanza, per usare le parole dolci di Sakura.
«Che palle, ero sicuro d'aver fatto la spesa...» brontolò, la testa e un braccio ficcati per intero in uno stipetto. Tastò indeciso con la mano, la fronte corrugata. Schivò il caffè, si fece quasi cadere in testa un pacco di cereali e tirò fuori un barattolo di cetriolini sottolio studiandoselo un momento con espressione allucinata.
«Devo morire di fame?» mugugnò la voce di Sasuke, da dietro. Naruto sollevò lo sguardo dalla data di scadenza dei cetriolini – cetriolini del secolo scorso – e aggrottò le sopracciglia davanti alla figura dell'altro, seduto al tavolo col mento sulle braccia conserte, a guardarlo da sotto in su con espressione contrariata.
«Non è che ti stai proprio rendendo utilissimo, eh» sbottò. Gettò i cetriolini da una parte e arraffò una sedia, per esplorare la credenza da una posizione sopraelevata.
«Non è possibile che non ci sia niente, deve esserci almeno del ramen!» riprese a confabulare tra sé, il suo cervello e la sua mano in modalità esplorativa, impegnato ad ignorare lo sbuffo scocciato del suo ospite. E, siccome l'aveva invocato – lui sapeva sempre quando era in difficoltà – il ramen si palesò in tutto il suo splendore: due confezioni ammaccate spinte sul fondo e risalenti a qualcosa come il decennio passato. Naruto le afferrò con uno strilletto di gioia, voltandosi poi per sventolarle trionfante. Nel processo rischiò anche di capitombolare giù dalla sedia, ma infine scese indenne con un balzello, atterrando agile come uno zoppo e radioso come una giovane sposa.
«Ti piace il ramen? Va bene alla soia?» sorrise, mentre già aveva spinto cavallerescamente la confezione meno ammaccata fin sotto il naso di Sasuke, che ne seguì guardingo il movimento, neanche avesse timore di finire avvelenato da una gattara.
«Non mi fa vomitare» optò per rispondere, fermandosi a guardare Naruto che, forte di una esperienza quasi ventennale, riempiva d'acqua il bollitore misurando ad occhio la quantità necessaria.
«Il ramen è il cibo più buono del mondo! Io lavoro in un chiosco, da ieri. Cioè, da lunedì, ieri mi hanno assunto» proseguì a blaterare contento anche mentre apriva il barattolo. «Sono il ragazzo delle consegne» aggiunse, orgoglioso. Come prova, arraffò un paio dei volantini che aveva ammonticchiato lì vicino al frigo, la sera prima, e gliene lanciò con palese gioia, neanche riguardassero chissà quale meritevole attività filantropica.
Sasuke sollevò un sopracciglio, studiandoli distrattamente all'apparenza all'unico scopo di decidere d'essere infastidito anche solo dalla scritta chiassosa che gridava Ichiraku Ramen – la più grande varietà ai prezzi più piccoli in una gradazione di giallo decisamente troppo giallo – e snobbarli subito dopo, già tutto proiettato verso l'ardua impresa di aprire la confezione di ramen; cercò di mascherare con poca abilità il fatto che praticamente la distrusse, mentre Naruto era riuscito a sollevare l'alluminio e aprire i condimenti come fosse un gioco da ragazzi – e probabilmente lo era.
«Pensavo azionassi asciugamano elettrici» si rivalse Sasuke, mentre si rigirava una bustina tra le mani come contenesse qualche curioso preparato mortale ottenuto in laboratorio.
«Tu invece sei nato stronzo o hai frequentato apposite scuole?» lo canzonò Naruto, senza offendersi. «E comunque è solo un lavoro, il mio sogno in realtà è scalare l'Everest».
Sasuke, ancora in lotta con la sua bustina, sollevò gli occhi e lo guardò come fosse un animale bizzarro.
«Tu vorresti cosa
Naruto non si scompose minimamente.
«Sì, sai, scalare l'Everest. Faccio le arrampicate, ho cominciato arrampicandomi sugli alberi all'asilo» spiegò, le mani sui fianchi e il petto in fuori. «E quando uno si arrampica vorrebbe arrivare sempre il più in alto possibile e il più in alto possibile su questa Terra è proprio l'Everest, no? Per questo mi alleno tutti i giorni!»
«Considerato che non riesci neanche a stare in piedi su una sedia, a momenti, fai bene» ribatté Sasuke, sprezzante.
Naruto scrollò le spalle: lui avrebbe scalato l'Everest, punto. C'era poco da girarci attorno.
«Guarda che puoi usare le forbici» si rivalse, gongolando davanti alle dita di Sasuke, inette di fronte al possente alluminio.
«Ci riesco benissimo».
«Sicuro, sicuro. Si vede» commentò Naruto, scoppiando poi a ridere quando effettivamente la bustina fu divelta e Sasuke starnutì davanti alla nuvoletta di polvere piccante che gli era esplosa sotto il naso.
«Deficiente» mugugnò sdegnato, ma Naruto si era già voltato a recuperare il bollitore.
«Adesso bisogna aspettare tre minuti» spiegò solenne, una volta riempiti i bicchieri.
«Guarda che lo so».
«Io li odio, i tre minuti. Divento impaziente» proseguì quello, incurante, senza togliere gli occhi di dosso al suo ramen, neanche temesse una fuga. Il suo stomaco brontolò a sottolineare il tutto.
«Mh» si degnò di rispondere Sasuke, osservando a sua volta il ramen, ma con decisamente meno trasporto nonostante l'appetito. Naruto lo spiò di sottecchi per almeno centottanta lunghissimi secondi, sentendosi un poco a disagio in compagnia di qualcuno che sapeva stare così zitto tanto a lungo. Decise di allungare un piede e assestargli un mezzo calcio sullo stinco.
«Tu invece che fai?» domandò, ridacchiando mentre si beccava la pedata di reazione.
«Cosa».
«Che fai, sì. Tipo nella vita. Buon appetito!» berciò, impugnando le bacchette manco tenesse in mano delle spade laser. «Lavori?» si ostinò a chiedere, mentre già tirava su un boccone mastodontico e bollente con trasporto quasi amoroso.
Sasuke se lo squadrò per qualche momento con palese disapprovazione, prima di immergere a sua volta le bacchette nel brodo.
«Studio».
«Oh, forte!» si soffocò Naruto – che forse avrebbe dovuto imparare a comportarsi più civilmente a tavola per evitare di rischiare la vita ogni qualvolta assumeva sostanze liquide o solide -; Sasuke lo osservò passivamente mentre tossiva e rideva tutto insieme. «E che studi?»
«Libri» fu la laconica risposta, assieme al risucchio di una generosa dose di tagliolini – che, fanculo, il signor “non mi fanno vomitare” stava fagocitando come un affamato.
«Millegrazie. Intendo, sai... Ho due amiche che fanno medicina, una che fa scienze infermieristiche» elencò Naruto, dopo avergli assestato un'altra pedata – sempre prontamente ricambiata - «Chouji fa filosofia...»
Sasuke non si degnò di chiedere cosa diavolo fosse un Chouji, ma alzò gli occhi al cielo.
«Ingegneria biomedica» enunciò, sintetico.
«E cioè?» masticò Naruto, così interessato da dimenticare d'avere un tagliolino a penzolargli dalle labbra.
Sasuke lo osservò quasi scoraggiato.
«Creo zombie alieni mutanti. Per il governo» rispose, impassibile.
E, dato che nelle ore precedenti non aveva mostrato neanche il più vago barlume di senso dell'umorismo – non che avessero esattamente dialogato molto – Naruto si ritrovò a sgranare per un momento gli occhi, il tagliolino a sbatacchiargli sul mento.
Realizzò subito d'aver appena fatto una cazzata, solo che poi Sasuke stava ridendo. Ridendo davvero dopo ore di amimia - a parte mezzi ghigni di scherno e qualche sussulto di sopracciglia. Okay, non stava davvero ridendo, non come un qualsiasi conoscente di Naruto avrebbe riso; era una cosa più discreta, una risata da disadattato, le spalle a sussultare un poco e la faccia nascosta dai capelli, dietro al bicchierone di ramen utilizzato opportunamente come paratia; e anche se il disadattato in questione stava sicuramente ridendo per lui – o forse proprio per quella ragione – Naruto non riuscì ad arrabbiarsi. O meglio, non quanto avrebbe dovuto: per l'unica volta da che aveva memoria, ignorò gli ultimi rimasugli di brodo – quello più buono sul fondo, salatissimo e pieno di condimento sfuggito alle bacchette – e, prima che Sasuke facesse in tempo a finire di soffiargli contro «sei davvero imbecille», sprezzante ed ilare, lo zittì con un bacio.


Quante volte al giorno si può fare sesso? Un sacco, aveva scoperto Naruto. Un sacco proprio un sacco, senza fretta e con pause ludiche, volte a riprendere fiato e a rifocillarsi con rimasugli di cibo – pomodori annidati nei meandri del frigo, una scatoletta di tonno, coca cola cagiona-rutti fortemente disapprovata da Sasuke e sì, anche i cetriolini sott'olio.
Quando il sole era ormai calato da un pezzo, Sasuke aveva avuto il tempo di dire che doveva andarsene almeno una decina di volte – l'indomani doveva svegliarsi presto per vedere un certo Orochimaru o chi sa Dio – e altrettante Naruto l'aveva felicemente ignorato, incontrando tra l'altro notevole collaborazione da parte dell'interessato, che sembrava più che altro interessato a restare.
Da lì, però, Naruto aveva cominciato ad avere l'irrazionale sensazione che, se fossero usciti di casa, si sarebbe spezzato qualcuno di quei fili di ragno che teneva sospesa in un bozzolo quella situazione tanto surreale quanto meravigliosamente irripetibile e, seguendo questa logica, aveva convinto Sasuke ad appoggiargli l'ordine di pizze da asporto – non che ci fosse voluto molto, dato che l'aveva proposto mentre lo stavano facendo.
Erano così finiti a stazionare sul divano, con la pizza e Slither sul canale tre – tanto per restare in tema di zombie alieni mutanti –; peccato che a metà si fossero addormentati spalla a spalla come due cinquenni, proprio mentre l'automobile dei protagonisti finiva circondata da una torma di morti viventi, per di più cannibali, esattamente come Sasuke – in tono perfettamente neutro e mandando giù signorilmente un brano di pizza grosso come la sua faccia - aveva pronosticato sarebbe accaduto fin da quando i quattro erano saliti in macchina. Naruto si era addormentato contento proprio come un marmocchio dopo una gita al mare, rilassato e completamente a suo agio.
La mattina l'aveva sorpreso così: accasciato contro lo schienale, storto e dolorante, la schiena incollata al divano che, caduta la copertura arancione, si mostrava in tutto il suo splendore di rosa stantio scelto a gusto della precedente proprietaria dell'appartamento – un'anziana, bisbetica vecchietta di nome Koharu che se n'era andata perché in continua lite con la dirimpettaia, più bisbetica e ostinata di lei.
Tutto regolare, non era la prima volta che gli capitava di addormentarsi fuori dal suo letto, eppure ancora prima di aprire gli occhi il nostro assonnato, spettinato e un poco incontinente – aveva bevuto davvero tantissima coca cola, la vescica gli stava scoppiando – eroico eroe seppe che c'era qualcosa che non andava. E non si trattava della mozzarella che aveva sotto i piedi, anche se avrebbe aiutato cominciare a liberarsi di quella.
«Gh, che schifo...» biascicò, quando trovò la forza di sollevare le palpebre e inquadrò il suo piede sinistro serenamente steso dentro un cartone, tra gli avanzi di pizza coi pomodori.
«Che pizza vuoi?» gli aveva sbraitato coprendo inutilmente la cornetta del telefono col palmo. Sasuke, già stravaccato a fare zapping, si era stretto nelle spalle.
«Basta ci siano i pomodori».

Ad occhi sgranati, Naruto inquadrò la televisione ancora accesa, realizzando in maniera vaga il fatto che fosse sintonizzata sui Teletubbies.
Con una sensazione di sgomento vacuo, un po' stordito, aggrottò le sopracciglia davanti a Tinky Winky e si tastò il petto, per poi proseguire con le mani a palpare il divano, ritrovandosi tra le dita solo il lembo della copertura di uno sconvolgente arancione fluo, fredda. Si guardò attorno, completamente stralunato: aveva bisogno seriamente d andare al bagno, ma c'era qualcosa che non tornava; alzandosi, fiacchissimo, uno dei volantini di Ichiraku cadde giù dal divano, svolazzò placido e finì a terra; Naruto per poco non ci scivolò su, così lo spinse svogliato sotto il mobile, distratto a cercare di inquadrare tutta la stanza insieme alla situazione. Finché, nel silenzio, non si voltò di nuovo verso la televisione, sconcertato dalla drammatica rivelazione appena risvegliatasi nel suo cervello assopito: sorvolando sui pupazzi parlanti in tv, c'era freddo, c'erano due cartoni di pizza vuoti, lui era in mutande, l'alito gli puzzava di scarpa da ginnastica e il sole era sorto da un pezzo dietro le tende, sul cadente balconcino dell'appartamento.
E Sasuke. Sasuke se n'era andato.





Nda
Prosegue nel capitolo due perché la logorrea è una brutta bestia.
Il titolo è la storpiatura di Tu la conosci Claudia?, di Aldo, Giovanni e Giacomo: al solito, per i titoli c'ho bisogno del supporto tecnico.
Non scrivevo al passato remoto da anni, tipo. La consecutio temporum credo sia morta in diversi punti: se qualcuno notasse verbi che stonano e potesse farmelo presente gliene sarei infinitamente grata (questo vale per qualsiasi altro orrore, ovviamente). E IC sta chiaramente per Ignobile Cazzata, qui dentro.
L'ambientazione è assai indefinita, sì, e faccio presente che la storia è volutamente demenziale: mi diverto così. Nella seconda parte riesce persino a peggiorare, tra l'altro.
Oh, “violeggiare” è un verbo che non esiste, ma secondo me dovrebbe! *schiva gli accademici della Crusca*
Ultima cosa: il rating è arancione più perché la gente è sboccata che altro. Il picco massimo d'erotismo l'abbiamo toccato parlando di ciabatte di feltro e cani dei vicini, spiacente.
(Che note lunghe <_<' chiedo scusa)


Anna! Ho letto la storia di slice XD cosa che rende ancora più indecoroso provare a farti gli auguri con una stupidaggine simile (era indecoroso già da sé, sia chiaro). Ma insomma, basta il pensiero, no? No? *sviene*
Buon compleanno, millemila di questi giorni! Se vivessimo vicine t'avrei portato un gigantesca torta gelato, col caldo che fa XD


Come sempre, non mi appartiene niente a parte la stupidità.


  
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