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Autore: Tatan    11/07/2012    1 recensioni
"Peeta sa che non ne uscirà vivo.
Lo sa, e la sua è una consapevolezza lucida, piana, ragionata. Pacata, nella sua oscenità."
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: Un po' di pensieri dal punto di vista di Peeta sugli avvenimenti del primo libro. Troverete probabilmente imprecisioni o elementi che si discostano un poco dalla trama (ad esempio la frase riguardante il destino dei cadaveri dei Tributi), ma essendomi io concentrata essenzialmente sulle emozioni che volevo trasmettere, ho lasciato anche volutamente in secondo piano la fedeltà al testo. Comuque Peeta è rappresentato il più possibile IC :)
Buona lettura!



Parte 1.
Peeta  sa che non ne uscirà vivo.
Lo sa, e la sua è una consapevolezza lucida, piana, ragionata. Pacata, nella sua oscenità.
Morirà Peeta, sotto gli alberi dell’Arena, il corpo tranciato in due da un colpo di spada, e il suo sangue schizzerà in faccia al mondo che, attraverso le telecamere, lo starà guardando.
Oppure a portarselo via sarà la fame, o anche il freddo, e allora il mondo potrà baciare le sue labbra blu, godere della sua pelle livida, e della sua agonia la televisione farà spettacolo.
Non ci sarà gloria per lui, né ricchezze né futuro: le sue ossa marciranno in una delle tante fosse comuni della Capitale assieme a quelle degli altri tributi, niente più casa per Peeta, nemmeno da morto.
I Giochi sono danze di sangue per ballerini crudeli, non certo per fornai.
E Peeta non è altro che un fornaio. Sa fare bene il pane, lui, e ama sentire l’odore della farina sulla sua pelle, ama modellare l’impasto tiepido con le mani, decorare le torte per le grandi feste: cosa ne può saperne, uno come lui, di spade e frecce? Cosa?
Non ne sa niente. E niente ne vuol sapere.
 
Peeta non riesce a pensare ad altro, mentre osserva gli alti tributi allenarsi nell’enorme sala adibita a palestra.
Li guarda scagliare coltelli e scalare pareti, saltare ostacoli e rotolarsi per terra; si chiede se anche loro pensino alle stesse cose, se anche loro stiano provando quello che prova lui, se anche loro abbiano la stessa paura feroce ad inchiodare il loro stomaco, la stessa atroce consapevolezza, la stessa rabbia.
 Un fremito gli percorre la schiena quando il ragazzo enorme e biondo del Distretto 1 schianta con un solo colpo d’accetta uno dei tronchi appesi al muro; le schegge di legno volano da tutte le parti, e Peeta sa che la prossima volta,  al posto dell’albero, sarà la testa di uno qualunque di loro ad andare in frantumi.
Vede la ragazzina appena dodicenne coi capelli scuri correre avanti e  indietro per la palestra, avanti e indietro, la vede abbassarsi ritmicamente come per schivare fendenti immaginari, stringere i denti per la fatica. Subito dopo se la immagina scappare da sola nella foresta buia dell’Arena, inseguita dalla ragazza letale del Distretto 2, se la immagina morta, povera piccola, gli occhi neri spalancati al cielo grigio della Capitale.
Poi si gira, e il suo sguardo è inevitabilmente attratto oltre il ragazzo nero che tira pugni ad un sacco, oltre la bambina con i capelli rossi china su un libro, più in là, verso il poligono di tiro.
E da lì i suoi occhi non si staccano più.
 
La vede prendere la mira attentamente, l’arco saldo nelle mani chiare, la guarda tirare una freccia dopo l’altra, precisa e fredda, senza violenza, tac tac tac, uno ad uno i dardi si conficcano obbedienti nell’obbiettivo.
Katniss ha i capelli raccolti in una treccia disordinata, la fronte aggrottata per la concentrazione, e anche se è troppo lontano per vederla bene in volto Peeta sa che i suoi occhi hanno la stessa espressione dura e inflessibile di sempre. È acciaio, Katniss, una combattente nata. Sa cacciare, sa uccidere, e se c’è un’altra cosa che Peeta sa con certezza, se c’è un’altra cosa di cui Peeta è sicuro, è che sarà lei a sopravvivere.
E che lui deve morire per permetterglielo.
  
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