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Autore: QueenOfWater    16/07/2012    30 recensioni
STORIA MOMENTANEAMENTE SOSPESA
Ho cercato di immaginare la vita dopo Mockingjay. Vi chiedo di recensire anche perchè è la primissima FanFiction che scrivo quindi mi piacerebbe migliorare anche grazie al vostro contributo.
Dal testo:
"Faccio per andarmene, quando arrivata sulla soglia della porta sussurro un “Grazie” che faccio fatica a sentire io stessa. E mi sorprendo quando Peeta risponde con un “Non c’è di che”.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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CAPITOLO 1

L’ultimo treno di ieri ha riportato Peeta nel Distretto 12.
Il dottor. Aurelius dice che la frequenza con cui i flashback si fanno vivi è diminuita, ma che comunque bisogna evitare ogni forma di stress per farlo restare quanto più possibile aggrappato alla realtà. Un modo carino per dire di non farmi vedere da lui se non voglio ritrovarmi con due mani strette alla gola. Come se poi mi importasse qualcosa. Probabilmente se morissi farei un piacere a tutti.
Peeta potrebbe finalmente vivere una vita normale, Sae la Zozza non sarebbe più costretta a venire a casa mia per assicurarsi che mangi ed Haymitch continuerebbe la sua esistenza di ubriacone alla grande come ha sempre fatto. Forse mia madre piangerebbe all’inizio, ma poi se ne farebbe una ragione. Dopotutto Prim è morta a causa mia. Non sono stata capace di proteggerla. Ha dovuto affrontare tutto quel fuoco da sola. Adesso anch’io mi sento bruciare.
Scosto la testa dalla finestra su cui ero poggiata e mi costringo a camminare velocemente fuori casa, prima che riaffiorino i ricordi.
Prim da piccola. Prim che gioca con nostro padre. Prim che mi abbraccia.
Cammino, al limite della corsa; voglio allontanarmi da quei ricordi felici, perché so che impazzirei.
Eppure non posso credere che la bambina alla quale sistemai la camicetta nella gonna al giorno della Mietitura, ora non ci sia più. E come potrei?
Prim che mi guarda. Prim che si fa leccare la guancia da Lady. Prim che aiuta la mamma in cucina.
Troppi ricordi. Ricordi che urlano il suo nome.
Senza che me ne renda conto, mi trovo con i piedi immersi nell’acqua gelida. Il lago.
Quando sono arrivata qui? Quando ho attraversato la recinzione? Non me lo ricordo. Probabilmente è un gesto così abituale che l’ho fatto senza pensarci. Credo.
Questo posto è identico a come lo ricordavo. Profuma perfino di primavera sebbene sia da poco iniziato l’inverno. Mi piaceva passare le giornate distesa qui. L’aria era calda, dolce. Le nuvole vaporose. Mi correggo subito. Quei pomeriggi piacevano alla vecchia Katniss; quella che non mi appartiene più, ormai.
Catnip. Mi giro di scatto. Non vedo nessuno, eppure sono certa che qualcuno mi abbia chiamata. Catnip. Giro ancora la testa da una parte all’altra, cercando l’unica persona che mi chiama in quel modo. Potremmo farlo sai? Lasciare il distretto. Scappare. Vivere nei boschi. Tu ed io potremmo farcela.
-Bugiardo- sussurro, facendo cautamente dei passi indietro. –Bugiardo- adesso urlo, portandomi le mani alle orecchie e serrando gli occhi.
Non è reale mi dico Gale è nel Distretto 2. Ha ucciso Prim. Mi sembra di essere tornata nell’arena della Terza Edizione della Memoria, quando gli Strateghi mi fecero ascoltare le urla strazianti di Prim. Solo che ora non siamo nell’arena e non ci sono le ghiandaie chiacchierone. Tutto ciò che sento è nella mia testa.
Devo andarmene.
Inizio a incespicare tra i rampicanti e le radici, ma continuo a correre tenedo gli occhi chiusi. Nonostante il buio, vedo chiaramente gli alberi trasformarsi in mostruosi ibridi assetati di sangue e il cielo tingersi di rosa. Un tonfo, poi il nulla. L’ultima cosa che ricordo sono due occhi, azzurri.
Ci metto del tempo prima di capire dove sono. La risposta arriva quando l’odore inconfondibile dei panini caldi inizia a solleticarmi il naso, facendomi venire l’acquolina in bocca.
Mi guardo intorno e confermo di essere nella mia stanza. Prima di andare in cucina decido di darmi una ripulita. Così mi libero dalla maglia e dai pantaloni e resto solo in biancheria intima.
Cammino in bagno e mi trascino sotto il getto della doccia.
Sento l’acqua scivolarmi lungo tutto il corpo. E’ una sensazione piacevole ma termino dopo pochi minuti.
Senza preoccuparmi delle gocce che bagnano il pavimento, ritorno in camera e rimetto gli stessi pantaloni di prima ma cambio la maglia troppo sudata.
Appena scendo le scale vedo Peeta occupato tra mestoli e pentole.
Ha un bel aspetto. Se non fosse per la carnagione un po’ più pallida, direi che è lo stesso ragazzo della nostra prima Mietitura.
Mi ritornano in mente le parole del dottor. Aurelius. Bisogna evitare ogni forma di stress. Sono certa che se mi vedesse adesso, così disarmata, non ci penserebbe due volte prima di infilzarmi con uno dei coltelli che si trovano sul tavolo. Faccio per andarmene quando sento la sua voce.
-Ti sei svegliata?- domanda, senza neanche girarsi dalla mia parte.
-A quanto pare- dico, alzando le spalle e buttando un’occhiata alle squisitezza che Peeta sta appena togliendo dal forno. –Come facevi a sapere…-non riesco nemmeno a finire la frase che lui parla.
-Cosa? A sapere che eri nel bosco?- domanda secco. Annuisco.
-Volevo venire a trovarti, ma non eri in casa e Haymitch era ubriaco come al solito per darmi delle informazioni.- dice sommessamente lasciando trasparire  un’aria confusa.
Deve essersi accorto della sua espressione perché lo vedo scuotere la testa.
-Katniss, quello è il tuo mondo. L’unico posto in cui puoi essere la persona che eri prima degli Hunger Games. Prima che io e Haymitch entrassimo nella tua vita. E ti capisco, credimi-.
Queste parole mi costringono ad abbassare lo sguardo. Bene. Se prima mi sentivo in colpa per non avergli nemmeno chiesto come stava, ora sì che mi sento una persona spregevole. Come può pensare Peeta, che io non lo voglia nella mia vita? Forse era così fino a qualche momento fa, ma ora che è qui non so.
C’è sempre stato quando mi svegliavo in piena notte urlando in preda al terrore, quando ero in bilico tra la pazzia e la sanità mentale. E’ lui che mi salvava ogni volta. Che mi salva ancora. Non ne è forse una chiara dimostrazione il fatto di avermi riportata a casa dal bosco?
-Che hai fatto?- chiedo, notando la fasciatura al braccio.
-Diciamo solo che è stata una vera impresa far passare entrambi attraverso la recinzione- dice, alzando lentamente i due angoli della bocca.
-Potevi svegliarmi- dico, con gli occhi bassi a fissare i miei piedi ancora scalzi.
-Ho avuto paura che se ti avessi svegliata, mi avresti tirato un pugno in pieno viso- ammette con facilità. Fin troppa facilità.
E’ questo infatti che mi dice di ritornare in camera. Potrebbe scoppiare da un momento all’altro.
Faccio per andarmene, quando arrivata sulla soglia della porta sussurro un “Grazie” che faccio fatica a sentire io stessa. E mi sorprendo quando Peeta risponde con un “Non c’è di che”.

  
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