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Autore: minimelania    16/07/2012    4 recensioni
Quando la notte scivola sui muri e le cortine di damasco del letto, niente è più al sicuro, neppure la più ferma virtù. E se a decidere di infrangere la strana tregua esiziale è il sogno proibito dell'uomo più casto, non c'è delitto che non possa avvenire. Non c'è virtù che non si possa perdere. Non c'è ossessione che non possa avverarsi.
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Claude Frollo, La Esmeralda
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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< Nec diu nec noctu

licet

Iudices quiescant>

*

9.


Il Giudice capì che era spacciato nell'istante in cui fecero il loro ingresso l'Accusa e la Difesa. Alzò la testa, lentamente. Strinse gli occhi. Nella luce abbacinante delle torce vide due figure che entravano accompagnate da una torma di gente. Una era alta, severa, e un sottile sfregio gli attraversava la faccia. Aveva lunghi capelli crespi, corvini, e uno sguardo da fare paura al Demonio. L'altro era pallido, tremante. Vestito di qualcosa che sembrava terribilmente fuori luogo: sotto il mantello, una casacca colorata a grandi strisce, e un paio di brache coi campanelli. Quando fu entrato nella stanza girò nervosamente gli occhi intorno. Un istante, poi si incontrarono con quelli del Giudice. Claude Frollo sentì un pugno artigliarli lo stomaco. Poi lo sconosciuto dell'accusa prese posto su un banco alto, a sinistra del Duca. La difesa invece tremante, andò a raggiungere il Giudice Frollo.
- Cosa ci fate qui, mastro Gringoire? - sibilò il Giudice alla sua difesa. E quello, che tremava e ancora non aveva smesso di farlo, si rattrappì ancor di più sullo scranno che gli avevano assegnato. Era molto più basso di quello del suo collega, e era intagliato in più punti con versi e frasi oscene.
- I ... io? - balbettò l'altro, ritraendosi ancora. Il Giudice alzò gli occhi al cielo. E per un istante ebbe terribilmente voglia di ridere - V... Vi giuro che i-io non c'entro nulla. Passavo ecco ... passavo di qui per caso. Mi hanno preso per questa ... farsa.
Il Giudice fissò con disprezzo il cumulo di stracci variopinti che si contorceva accanto a lui. Lo aveva perso di vista un anno prima, quando Pierre Gringoire, già scadente filosofo, aveva smesso di andare a frequentare anche le sue lezioni di legge.
- E a... adesso che cosa facciamo? - gli chiese, passando la lingua sulle labbra. Gli occhi dei gitani erano tutti su di loro. L'Accusa stava parlottando col Duca. Era evidentemente un processo non troppo equo.
- Chi è quello lassù? - chiese Claude Frollo cercando di non perdere la calma. E indicò lo sfregiato,.
- Que...quello? E... eccellenza, quello è Clopin, il peggiore di tutti i banditi che voi possiate mai aver visto.
- Clopin. Uhm, il suo nome non mi è nuovo.
- E'... stato lui a dare fuoco a quella carovana di cardinali che tornavano da Aix. Il mese scorso, ricordate. E quel furto con ... con scasso e ... violenza carnale, quello alla casa del mugnaio, bene ... fonti certe mi dicono che ...
Il Giudice lo fermò con un gesto.
- Quella era colpa del mugnaio. Ha dato fuoco a metà del mulino per far credere che i gitani ce l'avessero con lui. Era sospettato di stregoneria, e in qualche modo sperava che ...
- E la figlia?
- Quella l'aveva violata lui stesso. Brutta storia.
- Capisco.
- Ma insomma, adesso che dobbiamo fare?
Gringoire lo guardò con occhi smarriti. Il Giudice abbozzò un mezzo sorriso.
- Penso sia meglio che mi difenda io stesso. Tu puoi stare a guardare, Gringoire - si sistemò una manica, poi alzò la voce - Signori e signore della Giuria (sempre di qualche giuria qui si tratti), voglio fare una dichiarazione. Rifiuto il difensore, mi difendo da solo.
Dai palchi esplose una fragorosa risata. Si erano fermati anche il Duca e Clopin, che adesso lo guardavano attentamente.
- E come pensi di fare? Questo è contrario alle Pandette gitane - fece qualcuno, berciando dall'alto.
Il Giudice lo ignorò. Guardava fisso davanti a lui.
- Davvero pensate che io possa sottostare a una stupida sciocchezza di questo genere.
- Attento a come parli, animale! - gridò qualcun altro. Ma il Duca aveva alzato una mano per intimare il silenzio.
- Voglio dire, signor Duca - fece Claude - che se mostrate tutta questa premura, dovete essere ben spaventato.
- E da cosa? - fece il Duca, sporgendosi un poco - Forse dalla vostra Difesa, messer Claude?
- No, proprio, appunto. Se mi avete dato quest'asino come avvocato è proprio perché avete paura di me. Non so se conoscete le sue  doti, io le conosco, come suo professore. E direi che sarebbe assai meglio se mi faceste difendere da un cane, da un cincillà, da un orangotango. Voglio molto bene a Gringoire, ma la Legge non  è proprio il suo campo.
Il povero filosofo abbassò la testa piuttosto mortificato. Tutti ridevano, e adesso rideva anche il Duca.
- Devo ammettere che avete un bello spirito, Mastro Frollo. Chiunque altro, in queste condizioni, se la sarebbe già fatta sotto. Ma voi siete il Giudice Frollo, e noi gitani, gente d'acciaio, non possiamo certo essere perseguiti da un avversario meno degno di voi. Avete del fegato, davvero. Mai pensato di avere sangue gitano?
Di nuovo intorno esplose una risata, ma ora Claude si sentiva più sicuro.
- Probabilmente, se fossi figlio bastardo, qualche domanda me la farei. Ma mia madre, che era una santa donna ...
(Qui partì un fischio dalla platea)
- ... penso che si sarebbe fatta sgozzare piuttosto che aprire le gambe davanti a un essere come voi, messer Duca.
Il Duca rise, anche stavolta. E si batté una mano sulla gamba.
- Il suo nome era Claudine, per caso?
Tutti risero.
- Nossignore.
- No? Allora forse Bernadette? O forse Julia? Me ne ricordo una che aveva un bel paio di tette ...
- Mia madre si chiamava Luz, caro Duca. E penso che se l'aveste incontrata adesso non avreste ancora quella lingua per raccontarlo.
Il Duca fischiò piano, fischiarono tutti. E poi dalla platea si levò un coro di applausi.
- Davvero voi sapete come catturare l'attenzione. Se davvero era così anche vostra madre, che il Diavolo di porti il papà.
Claude Frollo fece un breve inchino.
- Un uomo nobile, ma non formidabile come mia madre.
- Che cosa chiedete, dunque?
- Che mi sia concesso di difendermi da solo.
- Ve l'ho già detto che è contro le regole.
- E allora almeno qualche giorno per preparare come si deve quest'asino a sostenere la mia difesa. O dovrò andare a dire in giro che il Duca d'Egitto non è più pieno d'onore come si dice.
A questo punto il Duca si voltò verso l'alta figura nera che era sempre stata al suo fianco. Il gitano dagli occhi di carbone li sogguardava quietamente, con lo sguardo di un cane che non ha alcuna fretta di saltare la rete e sbranare.
- Che cosa ne dici, Clopin?
Il tizio alto, dalla lunga capigliatura corvina, guardò a lungo dentro gli occhi di Claude. E Claude ricambiò il suo sguardo.
- Di certo non mi farò intimorire da uno zingaro - pensò. Ma c'era qualcosa di strano, nei suoi occhi. Qualcosa di ben più torbido e oscuro di quel che aveva visto in quelli del Duca. Quello che sarebbe stato la sua Accusa lo guardò a lungo, come se volesse leggere ogni segreto della sua anima. Poi, alla fine, parlò.
- Io penso che non si a giusto, mio Duca, lasciare a un prigioniero la scelta di come dev'essere condotto il suo processo. Forse che lui la lascia mai a noi? - dalla folla partì un mormorio basso - Forse che lui lascia mai a noi il diritto di giudicare se possiamo avere una dilazione del tempo, una proroga al processo. Ci lascia forse chiamare a fianco a noi un avvocato? - e qui il mormorio si fece più alto. Con occhi che avevano qualcosa di ipnotico, Clopin lasciò che il suo sguardo vagasse lentamente in cerchio, su tutti loro - Ci lascia forse mai sperare in una vera giustizia?
I gitani ora stavano in silenzio. Claude Frollo poteva sentire il rumore dei loro pensieri. Spostò uno sguardo su Gringoire, e vide il tremore della sua gola, dove il pomo d'Adamo sussultava sotto la pelle mal rasata. E pensò che non sarebbe uscito vivo da lì.
- Forse che ci ha mai lasciato una scelta su come essere? Lui ci perseguita, ci insegue, ci stana. Fa come un cane con la lepre. Lui non chiede affatto quel che vogliamo essere, non si domanda che cosa deve fare con tutti noi. Lui semplicemente ci acchiappa, ci stringe forte dentro al suo pungo e poi ... non ne rimane più nulla.
Qualcuno tra la folla annuì. Ma gli altri erano muti. Vicino a lui Claude Frollo poté scorgere con la coda dell'occhio una vecchietta che piangeva. Pensò che forse aveva ucciso il figlio, o il marito, di quel cumulo di stracci. E per la prima volta sentì qualcosa chiuderglisi in gola.
Il Duca meditava, con la fronte appoggiata alla mano. Non si sarebbe potuto dire se era un farsa, forse soltanto una messinscena crudele fatta ad uso e consumo di un prigioniero già con il laccio annodato alla gola. Forse si stavano, pensò Claude Frollo, tranquillo, semplicemente prendendo un po' di piacere. Esattamente come se ne prendeva lui quando la sera scendeva le scale delle segrete. E andava calmo a controllare che tutti fossero ancora vivi per le torture dell'indomani.
- Allora, che cosa dite, dobbiamo impiccarlo? - chiese il Duca, alzando la fronte dopo una pausa che parve di un secolo. La faccia di Clopin era di marmo, quella di Pierre Gringoire di cera. Tutti guardavano verso Claude Frollo.
- C'è un altro modo per morire? - chiese lui.
E fu in quell'esatto istante che qualcosa si mosse, dietro di lui. Non lo aveva né visto né sentito. Ma fu un alito come di paradiso, come se un angelo avesse per caso sbattuto le ali su questa terra.
- Duca, faccio richiesta alla corte che il Giudice sia mio prigioniero. Lo custodirò io finché la Corte non avrà preso una decisione.
Clopin guardò verso il Giudice con odio. Alle sue spalle c'era qualcuno, qualcuno la cui voce era risuonata come acqua fresca nel deserto.
- E perché vorresti occupartene tu, Esmeralda? In fin dei conti ti ha tenuto prigioniera. Non ti farebbe piacere vederlo morto, penzolante a una forca?
Esmeralda rise pianissimo. E anche se la sua risata era come mille campanelli d'argento, Claude percepì come una nota di scherno. Era diretta a lui? Nel suo cuore duro e tormentato dall'odio del peccato, sentì nascere qualcosa, una radice che forse era di vergogna. Adesso lei lo vedeva legato. Adesso era incatenato a lei e alla sua gente da una lunga caduta che lo avrebbe condotto alla forca. Forse adesso, finalmente, lei lo aveva in suo potere. Si divertiva a volergli provocare la morte? Si divertiva a vederlo così, agonizzante e difeso da un idiota? Alle sue spalle il trionfo della voce di lei continuava a spargere meraviglia, e Claude non riusciva più ad ascoltare altro che il suono fatato di lei. Non distingueva più le parole, e come una dolce debolezza lo invase. Perché non lo facevano morire senza lasciargli il tempo di smettere di ascoltarla?
- Che cosa chiedi, dunque, Esmeralda?
- Che gli sia concesso quello che desidera. Giorni per preparare sua difesa che ... lo condurrà alla morte.
- E perché mai?
- Perché noi, a differenza sua, siamo civili. Noi non vogliamo che i condannati muoiano senza giusto processo.
Lo disse con una voce dolcissima, ma qualcosa doveva essere andato storto, perché dalla folla si alzarono grida, e urla e risa misteriose. Il Dica rise, anche lui, e Claude Frollo vide negli occhi di Clopin un lampo che poteva essere rabbia. Come a un gatto cui un bambino crudele sottragga il topo solo per avere il piacere di vederlo morire lui stesso, Esmeralda aprì le belle labbra e disse:
- Duca, fallo soltanto per me. Quest'uomo merita di soffrire ancora un poco prima che arrivi una giusta morte. Siete d'accordo con me, amici miei?
Dagli spalti partì un coro di applausi. Esmeralda fece un inchino compito.
Poi si accostò di dietro a Claude.
- Ora sei mio - sibilò mentre lo portavano via.

  
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