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Autore: Dira_    17/07/2012    25 recensioni
Tutti hanno bisogno di sentirsi speciali. Di avere una persona speciale. O semplicemente, di crederlo almeno un po'. Chi ne trova una e si "matrimonia", chi vuole esserlo, chi la trova e chi invece la perde.
Quattro piccoli momenti, quattro piccoli maghi.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Severus Potter, James Sirius Potter, Nuovo personaggio, Scorpius Malfoy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
- Questa storia fa parte della serie 'Doppelgaenger's Saga'
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Tanti auguri Nephtian!
 
 
   
 

Let it shine, till you feel it all around you
And I don't mind if it's me you need to turn to
We'll get by, It's the heart that really matters in the end

(Little Wonders, Rob Thomas)

 


 
Quella persona speciale
(Albus/Thomas)
 
“Che cos’è un matrimonio?”
Hai sei anni Albus, e a malapena arrivi alla credenza di cucina. James ti prende sempre in giro per questo e vorresti prenderlo a calci. Ah, già. I tuoi piedi non ci arrivano.
Teddy non ride mai delle vostre domande, anche se sono stupide. A volte preferisci chiederle a lui, che è alto, forte e va ad Hogwarts ed ha un uniforme, che a mamma e papà.
Sei sicuro, infatti, che questa sia una delle domande cosiddette sceme.
Teddy alza lo sguardo dai compiti – sono molto importanti, non dovresti disturbare, ma vabbeh – e sorride. “Cos’è un matrimonio?”
“Uh-uh.” Confermi allungando il collo per raggiungere il piatto di biscotti che accompagna la tazza di the del tuo Amico Grande. Ne sgranocchi uno assumendo un’aria adulta per fargli capire che la domanda è importante. “Mamma e papà ne hanno uno. Che cos’è?”
Si appoggia sulla sedia e assume un’aria di buffa concentrazione. I capelli gli diventano arancioni. “Beh, è quando due persone decidono di stare assieme per tutta la vita. È un impegno.” Spiega. Ti piace come spiega Teddy. È sempre chiaro e non tratta nessuno da poppante, tu e Lily compresi.
“Perché?”
“Perché si vogliono molto bene.”
Chiaro, ma non del tutto. “Tipo me e la mamma?”

Teddy ride, scuotendo la testa. “No, succede quando due persone che non sono …” Aggrotta le sopracciglia. Aspetti pieno di aspettativa. “Succede quando vuoi bene ad una persona ma in modo speciale. La consideri speciale. Puoi voler bene ad altre persone, e tu vuoi bene sia a papà che a mamma, corretto?”
“Sì!” Okay, fin lì ci arrivi. Tu vuoi bene un po’ a tutti nella famiglia. Chi più, come mamma e papà, chi meno, come quello scemo di Jamie. Ma vuoi bene a tutti. Non è che consideri qualcuno speciale, perché fanno tutti parte dello stesso grande concetto chiamato “famiglia”.
“Bene, questa persona è diversa dalle altre. Ci vuoi passare del tempo da solo. La vuoi solo per te, e quindi le dai un anello.” Si indica l’indice. Arrossisce un po’ quando lo fa, ed è buffissimo perché arrossisce anche sui capelli. “È come dire ‘abbiamo lo stesso anello e staremo assieme per sempre’.”
“È un matrimonio?”
“È un matrimonio. A grandi linee.” Conferma, ma capisci solo la prima frase. “Capito Al?”
Abbastanza, quindi annuisci, lo ringrazi e poi corri via. Rifletti sul concetto dondolandoti sull’altalena dell’albero di melo. Capisci che è un concetto importante, e taaanto complicato.
Pensi che vorresti una persona speciale con cui matrimoniare. Non ti senti speciale Al, neanche un po’, nella tua particolarissima famiglia. C’è chi è un Mago Molto Importante come papà, chi ha giocato a Quidditch in una squadra professionista come mamma. E poi, tutti gli zii  sono Eroi, perché hanno fatto grandi cose prima che tu nascessi.
Anche i tuoi cugini sono tutti speciali. Chi più chi meno.
 
“Dominique  sa ascoltare gli animali.” “Rose è la prima della sua classe.” “Hugo ha fatto funzionare quella vecchia radio in mezz’ora!” “Jamie anche stavolta ha fatto saltare l’impianto elettrico di casa!”Lily riesce a dirti se sei triste o arrabbiato anche se non ti vede.”
 
Tu sei solo Al. Sei un mago, e questo è speciale, certo, ma non dalle tue parti, grazie tante.
Sospiri sconfitto; ti piacerebbe avere quel bell’anello lustro che vedi al dito dei tuoi e degli zii. Sospiri ancora più forte pensando che dev’essere bello, esser speciale per qualcuno.
 
“Che hai da sbuffare?”
 
Ti volti in direzione della voce. A volte Tom sembra imitare gli adulti, con quel tono tutto annoiato. Non gli riesce granché bene, ma ti guardi bene dal dirlo.
Tom è tuo cugino o qualcosa del genere e viene da voi ogni estate per due settimane precise precise, quasi le avessero tagliate con un’accetta. Non assomiglia a nessuno di voi; Rosie dice che è come un pennarello in una scatola di un’altra marca. Forse, ma a te piacciono i suoi occhi blu e la sua pelle super-pallida. A volte ti scopri a volerci premere il dito per vedere se si arrossa, perché sai che lo fa.
(Lo hai fatto una volta, quando dormiva. Eh-eh.)
Da sveglio tanto ti staccherebbe il dito a morsi.
“Niente.” Dici stringendoti le spalle. “Pensavo.”
“Tu pensi?” A volte non è per niente carino, ma ci sei abituato. In realtà il più delle volte neanche capisci le sue prese in giro.

“Certo!” Ti guardi la punta delle scarpe. Ti piacerebbe averle di tela e plastica come lui, invece di quelle di cuoio che nonna Molly si ostina a comprarvi a tutti ad ogni stagione. Ti piacciono i vestiti di Tom, sono fighi. “Tu sai cos’è un matrimonio?”
“Certo che lo so.” Replica con sussiego. Inarca le sopracciglia. “C’è un matrimonio in vista?”
“No!” Replichi. “È solo che mi piacerebbe matrimoniarmi con qualcuno.”
Fa una risatina, sedendosi sulla panchina che tu e papà avete dipinto all’inizio dell’estate. “Si dice sposarsi, stupido.” Guarda corrucciato le proprie gambe. Sai che non gli piace sedersi in posti in cui non riesce a toccare la terra. Quindi si rialza. “Sei troppo piccolo, non ci si sposa a sei anni.”
“Perché?”

“Perché prima devi fare sesso.”
“Cos’è il sesso?”

Rimane in silenzio, scrollando le spalle. È ovvio, non lo sa, ma fai finta di non averlo scoperto. Tom quando si arrabbia – e lo fa spesso - sparisce per ore. Non ti piace quando lo fa; anche se ti prende in giro è interessante parlare con lui. Sa molte cose, te le spiega tutte e pare che ti abbia preso in simpatia.
Solo a te.
Ti sovviene un’idea.
“A te ti piacerebbe matri … sposarti con qualcuno?” Dondoli sull’altalena e calci un sasso nella sua direzione. Tom guarda il sasso.
“No.” Decreta. È sempre molto preciso quando deve dare una risposta. Ti piace, odi quando la gente non è chiara. Ti confonde. “Non mi serve e non mi servirà.”
“Perché? È bello avere una persona speciale accanto! I nostri genitori sembrano felici, no? A loro piace!” Vuoi sapere il parere di un tuo coetaneo, ma Rosie è alla Tana, e comunque non hai voglia di confidarti con una ragazza. Hanno idee tutte strane su un sacco di cose, e anche se è la tua Super Miglior Amica, in alcuni pensieri differite molto.
Tom è un ragazzo come te, e poi lui sa tante cose.
Fa una smorfia. “Non mi serve.”
“Vuoi restare solo per sempre?”

Si volta per guardarti in modo strano. Sai di aver detto qualcosa di sbagliato, e vorresti chiedere scusa, ma non sai perché. Rimani quindi in silenzio, ad aspettarti la doverosa, solita rispostaccia.
“ … Non lo so.” Dice invece. È la prima volta che lo vedi confuso, e con quell’aria tutta strana addosso. Ti vien voglia di abbracciarlo, ma sai che di solito chi ci prova si becca una spinta. Se gli va bene.
“Non sei solo, sai!” Esclami saltando giù dall’altalena. Ti senti in colpa perché sembra tutto scombussolato. In fondo quando è qui Tom va d’accordo solo con te e papà. Con gli altri è sempre silenzioso come quel gatto che avete ospitato quando avevi tre anni e che poi è scappato perché non si fidava.
“No?” Chiede.
“Beh, hai i tuoi genitori e i tuoi fratellini, e poi mio papà. E me!” Esclami convinto. “Non puoi mica rimanere solo!”

“La mia famiglia e zio Harry non c’entrano niente con il matrimonio.” Ti fa notare, ed è vero, te l’ha fatto notare anche Teddy. “Stai dicendo cose senza senso.” Fa una smorfia. “Comunque non voglio sposarmi o avere una persona speciale. Mi piace stare solo.” E sembra proprio che dica il contrario.
Non ti piace vederlo triste. Non è che sembri triste. Sembra più che altro molto arrabbiato e che voglia darti un calcio, ma Tom è strano. La cosa buffa è che Rosie dice che è strano e lo intende in un modo brutto. Tu in un modo bello. A te piace Tom, perché lo sai, tu piaci a lui. Altrimenti non ti parlerebbe. E a parte papà, gli piaci solo tu.
Ah! Persona speciale.
“Ti sposo io, Tom!” Offri dandogli una pacca sulla spalla. “Non resterai solo, sta’ tranquillo.”
Inarca le sopracciglia e fa un’espressione proprio buffa. “Mi sposi tu?”
“Certo!” Ti senti arrossire alla sua aria sbalordita. Hai detto una delle tue cretinate che fanno scoppiare a ridere gli adulti e ti fanno sentire stupido? “ … Perché, tipo, potremo andare a caccia di Urchin¹ tutte le volte che ci va, e non solo quando vieni qui, che vieni poco, no? Perché staremo sempre assieme. E poi magari ti insegno ad andare sulla scopa.” La sua espressione si fa sempre più sorpresa e tu vorresti seppellirti. “Tanto lo so che quando sei qui ti piace parlare solo con me e papà!” Ritorci perché no, non vuoi farti dare di nuovo dello stupido.
Tom inaspettatamente ti fa un sorriso. Con sgomento ti accorgi che è la prima volta che ti sorride da … tipo l’estate scorsa? Forse da Natale. Comunque un sacco di tempo.
Sorride molto meglio di quei tipi sulle riviste che Rose sfoglia di nascosto perché è troppo piccola. Tanto meglio. È tanto carino.
(Più dei tipi delle riviste.)
“Va bene.” Dice. “Quindi ti piace quando vengo qui?”
Che domanda scema. Perché non dovrebbe? “Sicuro!”
Tom annuisce sempre con quel sorriso stampato in faccia. “Molto bene.”
“ Posso abbracciarti?”
Si rabbuia di colpo. “No.”
Vabbeh, questo te lo aspettavi. Fai spallucce. “Giochiamo a scacchi allora?”

Si rasserena. “Ti straccerò.”
E anche questo te lo aspetti. Non che voglia dire che accadrà, comunque.
Quella sera a cena, alla Tana, non riesci a capire perché tuo zio Ron si soffochi nel succo di zucca, papà lo sputi, Ted diventi pallido come un lenzuolo e mamma si metta a ridere di cuore quando Tom annuncia che vi sposerete.  
 
 
*
 
La coppa di gelato più grande del mondo
(Scorpius Malfoy, Draco Malfoy)
 
Non sai se piaci a tuo padre.
Cioè, sai che ti vuole bene, perché è tuo padre, deve far questo per essere tale, ma piacergli … beh, quella è tutta un’altra storia.
Tuo padre si chiama Draco Lucius Malfoy, è un Lord, è un mago ed è … beh, il tuo papà.
Se dovessi descriverlo diresti che è alto, allampanato come una delle statue che hai visto nei bei libri d’arte di tua mamma, quelle gotiche. Ha un bastone con un serpente che però non ama portare in giro, lo porta solo perchè era del nonno. Veste sempre di nero e quando sorride sembra che faccia una smorfia.
Sin da quando eri piccolo – piccolissimo, beninteso, ora con undici anni sei praticamente un uomo adulto dal tuo personalissimo punto di vista – hai sempre avuto l’impressione che tu e lui non foste uguali come tutti invece tutt’ora sostengono.
Certo, vi assomigliate come due gocce d’acqua, ma è così che succede, i Malfoy maschi si somigliano tanto. Non è certo un grande traguardo, è una cosa di cui non hai nessun merito. Sei nato biondo, alto e con gli occhi chiari.
Grande merito, sicuro.
A volte, dopo che Calzino, il tuo Elfo Domestico, ha spento la luce e ti ha augurato la buonanotte, sgusci fuori dal letto e sgattaioli alla porta del suo studio. Lo vedi sempre chino su grossi libroni dall’aria polverosa, a scrivere con la bella penna di sparviero che nonno Lucius ti ha raccontato si tramandi da Malfoy a Malfoy. Ti tocchi il viso, cerchi di imitare le sue espressioni allo specchio il giorno dopo e ogni volta fallisci miseramente.
Pensi che non sarai mai come lui. Hai il nome di una costellazione, ti vesti come si addice ad un membro della vostra illustre Casata … ma niente da fare, cocco.
Non sei silenzioso, non sei imponente. Non sai incutere timore con un solo sguardo. Fai troppo rumore e scoppi a ridere per cose sceme. Ti sporchi i vestiti e a volte ti scordi che non si urla in casa, ma si parla piano come se qualcuno stesse dormendo.
Insomma, sei un disastro. La nonna dice che c’è tempo per imparare ad essere un vero Lord, e ti sorride. Sei abbastanza sicuro che alla nonna piaci un casino. Come alla mamma del resto. Papà ha paura ad arrabbiarsi con te se ci sono loro nei paraggi.
In realtà non ti piace molto quando la nonna bacchetta papà. Odi quando qualcuno se la prende con lui, perché è il tuo papà, anche se ti abbraccia poco e sorride anche meno. Mamma dice che non è bravo a dimostrare che vi vuole bene, ma che non devi mai dubitarne.
Papà è un tipo difficile – sempre la mamma questa. Non sai chi gli piace. In compenso sai che lui alla gente non piace granché.
 Te ne sei accorto la prima volta che ti ha portato a Diagon Alley per comprare il regalo per il tuo ottavo compleanno. Mamma aveva preso un’infreddatura ed era la prima volta che ti portava a Londra. Eri felicissimo. Questo finché non hai visto quanto poco lo fosse lui.
Hai capito, quel giorno, che non sono solo i rimbrotti di nonna Narcissa a farlo diventare serio. Anzi, quelli non sono niente in confronto a quel che dice la gente alle vostre spalle. Hai sentito dei sussurri, hai visto come lo guardavano e come non lo guardavano. Poi hai sentito quanto forte ti stringeva la mano. Hai stretto anche tu.
Avresti avuto voglia di gridare a quelli là – a quella gente, a quei tutti – che li avresti presi a calci se non l’avessero piantata di guardarvi in quel modo schifoso.
Sei stato zitto. Avevi solo otto anni, ma ancora te lo ricordi. Hai chiesto a tua madre e lei ha sorriso appena, e ti è sembrata così triste che ti è quasi venuto da piangere.
 
“Scorpius, tuo padre ha fatto degli sbagli quando era un ragazzo. Era molto giovane, e molto sciocco. La gente purtroppo non sa far di meglio che rimanere ferma a quei ricordi, perché tali sono, null’altro.”
“Ma papà adesso non è giovane, e non è stupido!”
“Lo so, tesoro. Quando sarai più grande capirai… adesso stringigli forte la mano.”
“Ma non basta!”

“Non è vero, tu così papà lo proteggi. Me lo prometti?”
 
L’hai promesso ed hai mantenuto per come hai potuto. Anche oggi gliela stringi mentre entrate al Ghirigoro per acquistare i libri di testo per il tuo primo anno ad Hogwarts. Tutta la felicità e l’eccitazione che ti ha accompagnato scoppia come una bolla di sapone quando la gente davanti a voi si volta, vi guarda, e poi comincia a mormorare a bassa voce. Tanto per cambiare.
“Papà, quando abbiamo finito possiamo andare a vedere i manici di scopa? Eh? Dai!” Dici forte per sovrastare quel brusio. Ti va il sangue alla testa, ti batte forte e il cuore e hai voglia di fare qualcosa di stupido.
“Dopo Ollivander, Scorpius. Non prima.” Dice tuo padre con quel tono che, se non ci sei abituato, sembra voglia dirtene quattro. “Come pensi di andare a scuola senza una bacchetta?”
“Ma quella era sottointesa! Prima da Ollivander, poi dal mio bel nuovo, sicuro, manico di scopa!” Sorridi esageratamente. Se siete in due con la faccia da funerale è troppo deprimente. “C’è questo nuovo modello di Nimbus, te ne ho parlato, no? Che è …”

“Certo Malfoy ha un bel coraggio a farsi vedere in giro con suo figlio. Vuole forse mettergli un’etichetta addosso ancor prima di andare a scuola?”

 
L’ha detto un tipo alto con l’espressione stupida. È davanti a voi e non si è neanche preso la briga di sussurrarlo come gli altri.
Vedi tuo padre diventare livido, lo senti stringere la mano, ma stavolta non gliela stringi di rimando. Stavolta sciogli la presa perché ti senti rombare il sangue nelle orecchie e al diavolo.
Al. Diavolo.
Afferri un libro da una pila e lo tiri addosso allo stupido spilungone. La costola gli si abbatte sulla nuca e lo senti esclamare di dolore. Si volta inferocito e guarda tuo padre che si frappone tra te e lui.
Che idiota. Come se papà potesse tirare libri addosso alla gente.
“Ehi, giraffa, da questa parte!” Urli, e tutti improvvisamente smettono di parlare. Ti sporgi dal mantello ampio di tuo padre. C’è un silenzio di tomba, ma non ti importa, manco lo noti. “Insultaci un’altra volta e giuro che ti tiro la libreria intera addosso!” Il tipo ti guarda come se non credesse ai suoi occhi. Sei alto quanto un suo ginocchio, è abbastanza comprensibile che non creda che tu abbia una mira così perfetta.
Beh, ce l’hai. 
“Adesso non hai il coraggio di parlare, eh?” Lo apostrofi con il tuo miglior ghigno Malfoy. L’hai provato alle specchio troppe volte perché non sia favoloso. “Ripeti davanti a tutti quello che hai detto su mio padre, codardo! Ti sfido!”
C’è davvero un silenzio pazzesco dato che fino a pochi secondi fa c’era un casino da stadio, tra mamme, bambini e padri sfibrati.
Senti la mano di tuo padre sulla spalla e, senza che parli, capisci che ti sta ordinando di seguirlo. Devi abbandonare la scena, e non vorresti, perché quel tipo ha l’aria di volersi seppellire. Vorresti godertelo, perché te lo meriti, diamine.
(Che tiro!)
Uscite dalla libreria e tuo padre ti cammina davanti. Non riesci a vederlo in viso e il panico t’assale; se si fosse arrabbiato per la tua uscita? Possibile, sai quanto odia essere al centro dell’attenzione. Mal sopporta anche sentirti urlare o fare lo scalmanato come un monello di strada.
“Ehi papà, hai visto che tiro? Dritto sulla nuca!” Tenti. Nessuna risposta.
Fantastico. Hai solo peggiorato le cose. Lo segui a testa bassa, ingoiando un singhiozzo e pensando che la scopa te la puoi anche scordare. Per sempre.
Sei quasi pronto a riprendere la Metropolvere quando vedi che tuo padre invece di imboccare l’uscita per il Paiolo Magico svolta a destra. Con tuo sommo stupore entra dentro la gelateria Fortebraccio e con un cenno chiama un cameriere per farsi dare un tavolo.
Devi avere una faccia da scemo totale mentre vi sedete all’interno, nel luogo più riparato. Tuo padre in compenso non ha espressione, tanto per cambiare.
Arriva il cameriere, che con un gran sorriso vi chiede le ordinazioni. Ti casca quasi la mascella sul tavolo quando papà ordina la coppa di gelato più gigante che hanno (lui dice ‘quella più completa che avete’) e un Acquaviola per sé.
“Ma…” Mormori. “… non sei arrabbiato?”
Tuo padre fa un sorriso. È talmente nascosto che devi stargli proprio davanti per vederlo, ma gli occhi hanno un luccichio divertito che è come se ridesse.
“Per esserti comportato come un babbano selvaggio? Naturalmente lo sono.”
“Allora…”
“Dovresti fare il provino per Cacciatore, quando si apriranno le selezioni di Quidditch.” Cambia discorso mentre il cameriere vi porta l’ordinazione. La coppa è la cosa più fantastica che tu abbia visto. È grande come la tua faccia e piena di cose che la nonna ti proibirebbe tassativamente di ingurgitare, pena mal di pancia epico. Riporti a forza l’attenzione su tuo padre, perché hai idea che sia importante.  “Il provino per Cacciatore?” Chiedi confuso.

“Sembra tu abbia una mira notevole.”
Scoppi a ridere perché capisci. Non tutto, ma almeno un po’. Realizzi di colpo che tu, a tuo padre, piaci un casino.  

La coppa elefantiaca è un buon indizio.


*
 
Il Canone di Pachelbel
(Michel Zabini)
 
Ti è sempre piaciuta la musica.
Non è una cosa che sbandieri apertamente nel mondo manicheo che è la Casa di Serpeverde. Ai maschi il Quidditch e il Club dei Duellanti, alle ragazze trucchi e delicatezze. Non che sia palese, non che non vi siano eccezioni, ma è una regola non scritta che devi attendere se vuoi essere additato con ammirazione. 
E tu adori essere ammirato, Michel.
Questo detto, non ti vergognerai mai del tuoi lineamenti delicati e delle movenze che qualche detrattore considera femminee. Questo perché sei più alto e robusto della maggior parte dei tuoi coetanei – Loki stesso è più basso di te di una buona spanna e Scorpius non ti raggiunge. Solo Dursley vi riesce, ma è sin troppo magro e allampanato. Hai lottato efficacemente per essere chi sei ed essere considerato comunque un maschio, tanto da poter essere in lizza per la nomina a Capitano del Serpeverde.
Tornando al punto, hai sempre amato la musica nonostante sia passatempo prettamente femminile; in particolar modo, quella da camera.  
Ricordi che da bambino tua nonna ti portava a piccoli concerti organizzati nei salotti di ‘amici’; che fossero tali ne dubiti da come poi lei spariva con loro lasciandoti girovagare in enormi case vuote.
In ogni caso, da bambino amavi passare le estati con tua nonna. Amara Zabini, un nomen omen che incarna ad oggi i colori dell’Africa più profonda.  
Hai sempre amato tua nonna, di un amore viscerale e quasi morboso, dato che tuo padre è stato La figura assente e la tua matrigna … beh, è appunto tale.
Quando eri bambino non ti sei mai sentito abbandonato però; c’era tua nonna, i suoi bei vestiti dai mille colori caldi, le stoffe e i profumi in cui ti lasciava immergere e giocare. Amavi  come può amare un devoto i suoi abbracci e il francese caldo e pastoso che aveva ereditato dalla madre, portata via dall’Africa da Rowland Burke, tuo bisnonno e proprietario terriero nel Sudan orientale.
Tra le varie, ti ha insegnato ad amare la musica con l’orecchio attento di chi non solo la considera parte delle sue giornate, ma la venera.

Ad Hogwarts hai dovuto reprimere buona parte della tua indole, ivi compresa tale passione, che tuo padre ha bollato come ‘infantile’.
Nel Mondo Magico chi fa musica è considerato uno stravagante. Apprezzarla con superficialità, cantare magari nel coro della scuola è piacevole, e per le ragazze Purosangue parte della loro educazione. Ma amarla troppo è quantomeno bizzarro.
Gli hai dato ragione in parte; infatti, quando è sera, e tutti sono presi da tornei di scacchi magici, Mazzi Bum e compiti dell’ultima ora, ti rechi in una piccola saletta interna quasi adiacente al dormitorio. È isolata acusticamente, vi è un pianoforte, spartiti e una nutrita collezione di dischi e registrazioni d’epoca; è perfetta.
È una delle quattro aule di musica, una per ogni Casa, volute dal Preside, melomane convinto. A Serpeverde viene utilizzata di rado, e sai anche con precisione da chi e con quale frequenza. Trovare il tuo spazio senza il rischio di esser scoperto è dunque un gioco da ragazzi.
Quando sei dentro, ti siedi al pianoforte, scegli uno spartito e suoni senza troppi pensieri. Non sei un esecutore di particolare pregio, quindi spesso preferisci mettere un disco sul grammofono, sederti su una delle poltroncine ed ascoltare ad occhi chiusi Bach, Mozart, Beethoven. Compositori babbani, sì, ma tutta la grande musica è babbana, poco da fare.
(C’è anche chi dice che alcuni dei Grandi avessero ascendenze magiche. Sempre che non fossero maghi, dicono altri.)
È una cosa che non vuoi dividere con nessuno, né che vuoi mostrare per elevarti sopra gli altri. È una cosa tua e tua soltanto.
 
Sei dunque seduto sulla tua poltrona preferita ed hai messo un disco - Trio per pianoforte, violino e violoncello in Si Maggiore² di Brahms. Una delizia. Lo ascolti sprofondato nel buon odore del cuoio.
La musica da camera riveste per te il sapore dolce dei ricordi; candele brillanti, riverberi di luce su bicchieri di cristallo e il dolce languore della costiera provenzale dove hai passato le tue migliori estati, prima che tuo padre decidesse che era più opportuno le trascorressi nella residenza estiva degli Zabini, nel Derbyshire. 
(È stata questa decisione a creare una rottura definitiva tra lui e tua nonna. Da quanto non la vedi?)
In realtà, c’è un ricordo in particolare che ti ha fatto amare quella musica sopra ogni altro genere.
 
Avevi dieci anni ed era un’estate caldissima a Marsiglia. Tu e tua nonna eravate ospiti da un conte decaduto o qualcosa del genere. Era un tipo con dei gran baffi ‘asburgici’ li chiamava ridendo tua nonna, qualunque cosa volesse dire. Era l’amante di allora, e la riempiva di attenzioni e ardore, nonostante fosse più giovane di lei di almeno una ventina d’anni.
Andavate spesso a caccia o a cavallo, quasi foste davvero membri di una casata nobile di secoli prima. Un tipo fuori dal tempo, ma sufficientemente inserito nel bel mondo del Continente per attrarre le attenzioni della vedova Zabini.
Ricordi una sera, uno dei tanti concerti che il marsigliese faceva dare in casa sua per farle piacere. C’erano molte  persone, belle e ben vestite. Le donne sembravano angeli, e gli uomini erano alti, biondi e sorridenti con mantelli sgargianti e pieni di trine ed oro. A casa tua difficilmente avevi la possibilità di avere accesso ad un simile spettacolo. Tuo padre non hai mai voluto farti attendere ai ricevimenti ufficiali, solo quelli di famiglia e quelli inevitabili del Ministero, dove comunque eri e sei tenuto a vestirti nei tipici colori sobri della nobiltà britannica e aprire bocca il minimo indispensabile.
Dopo cena vi eravate tutti accomodati nel ‘salotto della musica’, tu vicino a tua nonna, bello nella tua tunica bianca e azzurra dalla foggia etnica, dello stesso taglio e colore della sua. Allora tenevi i capelli ricci e piuttosto lunghi – entrato in squadra hai cominciato a rasarteli per non rovinarli con le continue docce di pesante acqua scozzese – perché tua nonna amava passarci le dita.
Mon ange, ti annoi?” Tu scuotesti la testa, anche se capitava fosse vero, sempre circondato da adulti e dai loro discorsi incomprensibili. “So che mi dici una bugia per farmi piacere … Voglio farti conoscere una giovane, splendida persona. Sono certa che ti piacerà.”
Aspettasti trepidante il concerto. Da bambino amavi mostrarle apertamente quanto fossi grato delle opportunità che ti concedeva, ben diverse dalle poche della tua grigia esistenza in Inghilterra.
Sono diverso da mio padre. Non sono arido come lui, nonna, come i Burke da cui prende il suo cuore di granito. Sono diverso.
La sorpresa fu veder entrare i musicisti; capitava a volte che si esibissero gli ospiti stessi, cultori di qualche strumento. In Inghilterra era raro vedere uomini suonare, mentre in Francia era cosa del tutto normale.
Certo quella sera fu una novità anche per gli ospiti francesi vedere un bambino avvicinarsi alla pianista reggendo una custodia di marocchino in mano. Un violino, indovinasti immediatamente. Era lui il secondo del duetto.
“Chi è, nonna?”
“Il figlio di un ospite.” Ti spiegò con un sussurro adatto ai momenti precedenti ad un esecuzione. “Dovrebbe chiamarsi Emil.”
Lo studiasti con l’attenzione che un filatelista avrebbe dedicato ad un francobollo. Del resto era la prima volta che vedevi un coetaneo in quegli ambienti oltre a te.
L’altro parve accorgersi della tua analisi perché si voltò proprio nella tua direzione. Abbozzò un sorriso che esprimeva sorpresa e divertimento. Distogliesti lo sguardo e ringraziasti il tuo incarnato scuro e la scarsa luce della stanza. Arrossito, era il caso di dirlo, come un moccioso.
Il padrone di casa fece una breve introduzione dei brani che sarebbero stati eseguiti. Ascoltasti a malapena, concentrato sulle dita del ragazzo che, agili, toglievano il violino dalla custodia. La precisione ed amore con cui se lo posò sulla spalla sinistra ti fecero mancare un battito.  Loki e Scorpius a suo confronto ti sembrarono primitivi, pur essendo Purosangue con un’educazione pari alla tua.  
Avevi trovato un ragazzo che sapeva accarezzare le cose come amavi fare tu.
Fu quando cominciò a suonare che il tuo cuore venne folgorato. La musica era eccellente, probabilmente sopra alla media per un musicista così giovane, ma erano i suoi movimenti che ti mesmerizzavano, quasi fossi stato messo sotto una Maledizione della Volontà. Non impacciati, ma fluidi e adulti. Ascoltasti a malapena i commenti di tua nonna sull’esecuzione della sonata di Pachelbel³ che eseguì il duo, e odiasti la breve pausa per far riposare i musicisti. Non osasti però avvicinarti e presentarti per paura di rompere l’incanto e scoprirlo magari stupido e infantile. Ti avrebbe spezzato il cuore.
Ad ogni buon conto, fu inevitabile doverlo affrontare alla fine del concerto, quando tua nonna ti prese per mano e ti portò a ringraziare i musicisti come faceva sempre. Facendo garbati complimenti alla pianista che conosceva di vista ti lasciò così in balia dello sguardo acuto del piccolo violinista. Aveva gli occhi castani, ma alla luce delle candele sembravano bronzo come quelli di un gatto. I capelli biondissimi brillavano come un’aureola di qualche angelo babbano.
 “È stata un’esecuzione eccellente.” Esordisti imitando i modi di tua nonna e trovandovi rifugio. “I miei vivi complimenti, Vi ho ascoltato con molto piacere.”
Lo vedesti fare una smorfia sconcertata. Incomprensibile, quasi offensiva. Poi realizzasti con orrore di aver parlato inglese. Ripetesti frettolosamente i complimenti in francese, sentendoti un autentico idiota. Sensazione piuttosto spiacevole e poco provata.

Merci beaucoup!” Ti apostrofò con naturalezza, anche se dall’accento tutto sballato francese non doveva esser di sicuro. Anche perché lo parlava in modo scolastico, un po’ meccanico, come di chi l’aveva imparato per dovere, più che per piacere.“Quel morceau avez-vous préféré⁴?
Le Canon de Pachelbel.” Esalasti senza riuscire a distogliere lo sguardo dalle sue mani. Erano dita forti e dall’aria curata. Non erano sporche, né piene di tagli come quelle di Scorpius o Loki. Erano persino più belle delle tue. Le nascondesti dentro la tunica, imbarazzato.
Le mien aussi!” Replicò stupito, prima che vi scambiaste un sorriso d’intesa. Poi fece qualche passo verso di te. “Vous ětes très joli. Je peux vous donner un bisou?” Sembrava che il ‘voi’ francese, da te pronunciato per educazione, in bocca sua fosse un po’ una presa in giro.
Poi realizzasti cosa ti stava chiedendo.
“Eh?” Ti uscì esattamente come qualsiasi rozzo ragazzo britannico. L’altro fece un sorrisetto e poi si sporse, baciandoti la guancia.

Certo, avevi nove anni, nessuna esperienza ed eri decisamente naive, ma avvampare come un gladiolo fu una vera e propria umiliazione. Lo guardasti furibondo, terrorizzato che qualcuno vi avesse visto. 
Sentisti un abbaio improvviso. Scombussolato realizzasti un secondo più tardi che si trattava di suoi padre che lo stava chiamando nella loro lingua – orrenda, peraltro.
Quello si irrigidì, scrollando le spalle come a volersi scusare. Poi trotterellò via, sparendo insieme al suo arcigno congiunto.
 
“Ho visto che tu e il piccolo Von Houten-Meister avete parlato ieri sera.” Ti apostrofò o tua nonna la mattina dopo a colazione. Ci mettesti più di qualche attimo a capire che si trattava del Violinista. “Era simpatico?”
“Mi ha baciato.” Replicasti, incerto se esserne felice o arrabbiato, dato che non ti aveva chiesto il permesso. L’aveva fatto, però poi non aveva atteso la risposta. Non che ti fosse dispiaciuto; era stato un bacio bello, per niente bavoso e molto morbido. Il bacio perfetto, in effetti.
Tua nonna a quella confessione sorrise con l’aria di saperla lunga. “È naturale, mon ange, sei così carino.” Ti accarezzò i capelli. “Dunque, come ti è sembrato il concerto?”
“Meraviglioso...”
 
A vederla a posteriori, con qualche esperienza alle spalle non è tutto questo granché, come episodio. Un bacio sulla guancia, innocente e banale.
È che forse per la prima volta hai intravisto un tuo simile. Qualcuno che non ha richiesto che tu ti comportassi come un ragazzo, tutto battute e pacche sulle spalle.
Ti chiedi – raramente - dove sia ora e cosa stia facendo. Forse è cresciuto, ha abbandonato il violino sotto consiglio dei parenti ed è diventato uguale a tutti gli altri maschi adolescenti che ti circondano.
Però la musica, quella è rimasta. E sarà pure vergognoso, ma anche Michel Zabini, sentendola, può sognare il Principe Azzurro.
 
*
 
Non la persona speciale
(James/Teddy)
 
Teddy è sempre stata la tua persona preferita. Al mondo.
Non hai esattamente memoria di quando l’hai realizzato; probabilmente hai cominciato a pensarlo da quando hai cominciato a pensare.  
Teddy si chiama in realtà Ted Remus, ma non ce lo chiama nessuno e mai ci verrà chiamato; Teddy è un Metamorfomago, che è una cosa fichissima perché può cambiare colore dei capelli e anche cambiare tutto, se vuole.
Teddy è il figlioccio di tuo padre ed è cresciuto con voi, o meglio, ha cresciuto voi come dice sempre tua madre per prenderlo in giro. In effetti, nei tuoi primi ricordi è sempre in mezzo, a toglierti dalle mani cose pericolose che vuoi ficcarti in bocca, ad afferrarti prima che ti sfracelli al suolo in vaghi tentativi di fare qualche passo da solo. La tua prima magia è stata incendiargli i pantaloni.   

È stato il babysitter tuo e dei tuoi fratelli, ma per te è stato molto più di questo; un fratello maggiore, l’amico alto e forte che inventava giochi per non farti annoiare, quello a cui guardare e da cui rifugiarti se mamma e papà erano arrabbiati.
Questo fino ai dodici anni. Perché poi Teddy sparisce di colpo dalle vostre vite. La colpevole?  Tua cugina Victoire e il suo stupido sangue francese.
Nessuno riuscirà mai a convincerti del contrario; nessuno riuscirà mai a convincerti che no, non l’ha portato via da voi, da te. Che Teddy ha scelto tutto da solo di andarsene in Provenza e mollare il corso Auror. E voi. E te.
Ogni settimana Teddy manda tre lettere in Inghilterra; una a sua nonna, una alla Tana e una ad Hogwarts con il tuo nome scritto sopra. Sai che lo fa per lisciarti, sai che lo fa perché si sente in colpa.
‘Fanculo, per inciso.
Rispondi, perché non sei uno stronzo, tu. Gli racconti della vita scolastica, dei tuoi tentativi di entrare nella squadra prima del tempo. Anche delle ragazze che ti muoiono dietro, perché vuoi fargli vedere che, anche senza di lui, continui ad essere il più dritto di tutti. Sei il Re della scuola dopotutto.
Non ha senso che se ne sia andato, e non te ne fai una ragione; Teddy è inglese come il porridge e il the delle cinque. Saperlo in Francia è una bestemmia.
Per questo quando arriva Natale sei il primo ad infilarti sull’Espresso. Sai che verrà a prendere te e Albus al posto di papà. Non riesci a stare fermo sul treno, infastidisci tutti e alla fine Al ti caccia dallo scompartimento per evitare che quel cretino di Tommy ti maledica.
Passi il resto del viaggio nella cabina del macchinista, a masticare Bolle Bollenti e chiacchierare con lui perché proprio non riesci a contenere il grumo di emozioni che ti prende a calci lo stomaco.
Sei il primo a scendere. Scandagli la banchina con lo sguardo, e poi lo vedi. È Teddy, nessun dubbio. Butti il baule sul carrello, sapendo che sarà Al a portartelo a destinazione e gli corri incontro.
Vuoi abbracciarlo, vuoi abbracciarlo, vuoi abbracciarlo.
Inchiodi; non è solo. Con lui c’è Vitro, ancorata al suo braccio come la brutta cozza che è – non è vero, ma qualche difetto glielo devi pur trovare.
“Ehi, Jamie!” Esclama e ti sorride. Ti senti lo stomaco annodato, ed è persino peggio quando un anno fa li hai beccati a masticarsi la faccia. Mostruosamente peggio.
“Ohi…” Borbotti facendo una smorfia. Teddy deve aver notato il tuo brusco cambiamento d’espressione perché aggrotta le sopracciglia.
“Com’è andato il viaggio?” Dice La Stronza e ti sorride. Ma tanto lo sai che è tutta finta. “Accidenti come sei cresciuto!”
“Seh.” Alzi le spalle e per fortuna arriva Al a smuovere la situazione. Le feste che fa alla Coppia d’Oro sono abbastanza rumorose per non far notare quanto ti girano le palle.
Bel Natale di merda – pensi e vai a prendere il carrello con i vostri bauli. Sali in macchina dividendo il posto dietro con Al, come al solito e poi pianti lo sguardo a terra per non vedere Ted e Vic che si tengono per mano; si mollano solo quando Teddy deve mettere in moto la macchina.
Vaffanculo. Vaffanculo. Vaffanculo.
Doveva essere solo. Così l’avresti abbracciato, gli avresti detto qualcosa di assolutamente spiritoso. Lui avrebbe riso e ti avrebbe chiesto della scuola.
E invece…
“Ehi, ma che hai?” Ti chiede Al dandoti di gomito.
“Fatti gli affari tuoi.” Mormori a mezza bocca. Al si volta indispettito e finalmente ti lascia in pace.
Passi tutto il resto del viaggio con un muso che definire epocale è un eufemismo.
 
Il Natale alla fine non è tanto male. Almeno, i giorni precedenti.
Rivedere Lily dopo mesi è bello, specie perché tua sorella ti è mancata un sacco. Vederla sorridere ed entusiasmarsi per ogni racconto o cosa che hai fatto ti fa passare un po’ il malumore. Rivedere anche mamma e papà è okay. Riesci ad evitarlo quando viene a trovare i tuoi. Appena lo vedi risalire il vialetto corri sul retro, afferri la tua Nimbus 3000 e sfrecci via nel cielo nevoso del Devonshire.
Purtroppo c’è la cena della Vigilia.  
Per fortuna però, per queste ricorrenze, alla Tana c’è talmente tanta gente che puoi tranquillamente ignorare Teddy e Vitro senza destare sospetti. Il problema è che non riesci a non sentirti mostruosamente insoddisfatto ogni volta che incroci il suo sguardo. Speravi di passare del tempo con lui, di fargli vedere quanto sei diventato grandioso sulla scopa o semplicemente stare con lui.
Invece niente. Teddy chiacchiera un po’ con tutti, ma Vitro è sempre presente. È tutto un toccarsi le mani, guardarsi e scambiarsi sorrisi da idioti.
Quando sta per arrivare il Christmas Pudding hai la nausea e una gran voglia di mandare  tutti al diavolo e infilarti al letto. E ‘fanculo i regali.
(Sì. Sul serio.)
Senti la mano di Lily insinuarsi nella tua, e stringere. La guardi confuso e la vedi sorriderti. Non dice niente, ma quella dritta della tua sorellina ha capito tutto. 
“Andiamo a giocare a palle di neve?” Ti chiede.  
Non avete finito il dolce, ma non te ne frega niente. È quello di cui hai bisogno.
Uscite silenziosi come Auror in missione e passate almeno un’ora buona a rotolarvi nella neve e a tentare di infilarvela sotto i maglioni. Poi si aggiungono gli altri e va’ davvero un po’ meglio.
Giochi come se non ci fosse un domani, per spazzare via l’irritazione e la confusione che provi; sei consapevole del fatto che non dovresti prenderlo così, il fidanzamento di Teddy con Vic. Tutti ne sono assolutamente felici, sembra che non aspettassero altro da una vita.
Tu no.
Teddy era vostro, tuo e dei tuoi fratelli, ma soprattutto tuo. Vic era la rottura di scatole che ogni tanto arrivava da Villa Conchiglia e ti bacchettava perché ‘disturbi Teddy mentre fa’ compiti, lascialo in pace!’ ‘Non essere così appiccicoso, sta’ parlando con me!’.
Vic è sempre stata gelosa del vostro rapporto; Ted è un imbranato cronico con le donne, ed è sempre stato se stesso più con te, che con qualsiasi altra persona. Ne sei sicuro.
… Forse.
Forse la realtà è diversa, forse era tutto nella tua testa. Teddy non ti ha mai visto come tu vedi lui, ma solo come il figlio maggiore del suo padrino, quello più rompipalle e problematico. Lo sanno tutti che è troppo buono per non essere gentile anche con i casi disperati come te.
È tua cugina la sua persona speciale, non tu.
Ti arriva una palla di neve in piena faccia e non sai da chi. Ti colpisce forte, sul naso, e cominci a lacrimare come un dannato. Esplodi in un’imprecazione che fa sussultare tutti quelli vicino a te.
“Jamie, stai bene?” Ti chiede Rose, la chioccia di casa. “Mi dispiace tanto!”
Ah, è stata lei. Ma non sei arrabbiato, anche se fingi di esserlo. T’ha dato una buona scusa per metterti a piangere dopotutto. “Va’ al diavolo, fa’ un male cane! No, faccio da solo!” Sbotti quando tenta di venirti vicino con la bacchetta. Non hai più voglia di giocare, e fermi con uno sguardo Lils che cerca di trotterellarti dietro.

Entri dentro tirando un calcio alla porta e sentendo il sapore ferroso del sangue invaderti la bocca. Ti tamponi con la manica del maglione, che tanto è vecchio. In cucina sicuro ci sarà nonna Molly, i suoi rimedi e una tazza di cioccolata calda.
Invece no. In cucina ci sono Teddy. E Vic. Che si baciano.
Rimani bloccato come una stupida statua di granito e non puoi farci niente, guardi; Vic appoggiata al lavello che tiene una mano trai capelli lunghi di Ted e una mano sotto il suo maglione nuovo di zecca che non gli sta bene per niente. Poi vedi una porzione di pelle della schiena di Teddy, bianca e liscia, forte, perché era una mezza sega, ma dopo il Corso Auror è diventato grande e grosso il doppio, quasi avesse stappato i suoi geni da lupo.
Ed è come se un’enorme tifone ti avesse preso in pieno. Ti senti sballottato tra la rabbia, l’imbarazzo, il dolore e una strana emozione che ti fa battere il cuore, scaldare le guance e … beh.
Hai tredici anni, non sei più un bambino, e quella porzione di schiena scoperta ti calamita lo sguardo neanche fosse un Boccino.
Sfortunatamente sei un disastro su due gambe e cercando di rinculare urti con forza lo stipite della porta, facendo un gran baccano dato che c’è attaccato la qualsiasi, vischio compreso.
Vic ti vede e sul viso le si dipinge un’espressione di disappunto. “Jamie, ma non hai niente di meglio da fare che fare il guardone?”
È il momento più umiliante della tua vita, specie quando Teddy si volta e ti guarda sorpreso e imbarazzato. Scappi via con tutta la forza che ti trovi nelle gambe.
“James!” Senti Teddy chiamarti ma col cavolo che ti fermi. Scappi fino in soffitta e ti chiudi dentro. Peccato non ci sia la chiave.
Idiota.
Dopo un tempo che ti pare infinitamente corto o infinitamente lungo senti i passi di qualcuno che sale le scale e poi si ferma sul pianerottolo.
“Jamie, sei qui?”
Dalla padella nella brace. Rimani zitto, serrando gli occhi e tamponandoti lo stupido naso sanguinante. Morirai dissanguato e va benissimo così.
“So che sei qui.” Sospira. “Che ti è successo al naso?”
Ah, quindi se n’è accorto. Strano, sembrava non aver notato neppure la tua presenza stasera.
“Jamie?”
“No!” Sbotti e poi ti mordi la lingua. Sei sicuro che dietro la porta Teddy stia sorridendo.
Entra fregandosene dei tuoi giustissimi paletti e si guarda attorno. “Wow, è ancora più polverosa di come ricordavo!” Considera per rompere il ghiaccio. Poi ti guarda e sorride appena. “Palla di neve?”
“ … Già.” Borbotti tuo malgrado, con la manica saldamente ancorata al tuo povero naso.
“Posso vedere?” Si avvicina, ma tenendo la bacchetta bassa. “Solo se è rotto, okay?”
“Non è rotto.” Hai giocato abbastanza a Quidditch per riconoscere una frattura e non è questo il caso. Ma non lo dici, lasciando che ti abbassi il braccio e fermi il sangue con un colpo di bacchetta. Ti pulisce il viso con il suo fazzoletto e il suo profumo esplode ovunque; the all’arancia e inchiostro.
Ti viene da piangere.
“Eri venuto in cucina per nonna Molly, vero?” Ha un’aria imbarazzata. “Vic non voleva…”
Al diavolo Vic!” Sbotti furioso. “Vic di qua, Vic di là! Parli sempre di lei! Non esiste solo lei!” Gli tiri uno spintone e lo stronzo indietreggia appena, sorpreso. Diventerai mai forte quanto e più di lui?

Mai. Sarai sempre Jamie, il fratellino scemo.
Teddy aggrotta le sopracciglia, di nuovo. Ti guarda in modo strano, poi sospira, ancora. “Hai ragione. Sono venuto qui per stare con voi, non con lei.”
Ma dai! Cento punti a Tassoscemo!
Fai una smorfia, e capisci che devi piantarla, perché frignare come un poppante che cerca le sue attenzioni è troppo umiliante. Oltre che un po’ tanto strano. Non vuoi che si insospettisca; certo, è un tonto cronico, ma se scoprisse che…
NO.
“Ma va’ … lo so che quando c’è in giro Vitro sei un pesce lesso.”
“Jamie…”
“Ti prendevo in giro, fesso!”  

Vic è una femmina, è bella – evvabeh, lo ammetti – e pure furba e simpatica, anche se non a te. È perfetta per lui. Nonna non fa che guardarli con aria soddisfatta, come se fossero una torta ben riuscita; ha passato tutta la cena a stuzzicarli parlando di matrimonio.
Da vomito.
Sei geloso. Sei geloso di Teddy e realizzarlo ti manda fuori di testa più che tutta la faccenda in sé. 
Tua madre dice sempre che è quando le persone se ne vanno che capisci il loro valore o roba del genere. Esattamente così.
Nessuna ragazza, per quanto carina e con le tette grosse, ti fa lo stesso effetto di Teddy.
Una roba da farti esplodere la testa, se sei un maschio e hai tredici anni.
“Scusami.” Dice. Scusarsi di cosa? Non ha la minima idea di cosa si stia scusando, sicuro. “Scendi adesso? Credo sia rimasta una bella fetta di dolce con il tuo nome sopra. E magari dopo potresti farmi vedere quel lancio ad effetto che hai imparato a scuola.”
Quando sorride ti sembra di tornare bambino, quando eri certo di essere speciale ai suoi occhi. Era con quel sorriso che ti faceva il solletico e ti abbracciava, nonostante fino a cinque minuti prima l’avessi mandato ai pazzi.
Fa. Male.
Ma puoi farcela, puoi fingere che vada tutto alla grande, perché certo non puoi dirgli la verità. A nessuno. Non la dirai mai a nessuno e morirà sepolta nella tua tomba.
“Non ho più cinque anni.” Sbuffi. “E comunque ho da fare, devo rispondere alle lettere di un sacco di ragazze!” Metti su il sorriso più figo che hai, tirandogli una botta sul braccio. “Non ho più bisogno di un babysitter, Teddy, stai sereno!”
Sembra rimanerci male, e una parte di te, quella cattiva, esulta. Poi, tanto per cambiare, ti sorride e arruffa i capelli. “Ricevuto. Ma sbrigati a scendere … i regali non ti interessano?”
Rotei gli occhi al cielo. Che attore, Signori, che attore! “Per favore.” Scrolli le spalle. “Ah, grazie per il naso.”
Lo sai che vuole farti una carezza ma poi si risolve, impacciato, a darti una pacca sulla spalla. Forse ha paura di esser preso in giro.
Quanto sbaglia.
“Ci vediamo giù per i regali.” Dice e poi finalmente se ne va. Finalmente perché ti butti su una vecchia sedia di paglia sfondata e scoppi a piangere.
Le canzoni d’amore, i libri e la gente in generale insegna; l’amore è figo solo quando c’è di mezzo una tipa come Vic e uno come Teddy.
Se ci sei di mezzo tu, fa proprio schifo.
 
*
 
Note:
 
Uh, un sacco!
Prima di tutto, questa storia è stata scritta per augurare un felice compleanno a Nephtian; grazie mille per avermi dato una buona scusa per liberare la mia grafomania! Ancora auguri!

Un ringraziamento speciale va’ poi a Blankette_Girl che, favolosa come sempre, mi ha dato una mano per i dialoghi in francese e nella parte musicale su Michel.
Thanks, fatina! :D
Un ringraziamento a Suni per essere stata così precisa e puntuale sui miei dubbi deficienti sul francese!

Questa la canzone ispiratrice della storia.
Passiamo alle note vere, va’.
 
1.Urchin: Sono creature magiche simili ai ricci.
2. Questo il pezzo. Una parola sulla musica da camera. Per quanto ho letto su Wikipedia si tratta di un genere che prevede meno elementi rispetto all’orchestra ed è dunque adatta per essere suonata in spazi più ridotti di un teatro. Rientra quindi nel filone tutti i pezzi eseguiti per strumento solista (pianoforte, violino e così via).
3.Canone di Pachelbel; è stato scritto nel 1680 in pieno periodo barocco per tre violini e violoncello. Nei secoli è stata arrangiata, diventando un brano orchestrale – l’esecuzione più conosciuta poi. È uno dei brani classici più conosciuti al mondo proprio perché rivisto in chiave pop e rock. I Beatles ammisero apertamente l’ispirazione del canone per Let it Be. Questa versione non sarà perfetta e un bel po’ amatoriale, ma vi dà una buona idea di com’è la scena. ;) Per maggiori informazioni (molto interessanti!) qui
4. “Quale pezzo avete preferito?”; per ‘morceau’ si intende ‘morceau di musique’ termine francese utilizzato per indicare proprio un pezzo eseguito tramite strumento musicale. Per quanto riguarda il ‘Voi’ che si danno, ho pensato che in ambito Purosangue e un po’ formale fosse normale che due bambini imitassero gli adulti. Etichetta. No, Michel non dava del Voi a Loki e Scorpius. Non penso gli sia mai passato per la controcassa del cervello, con due così. xD
  
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