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Autore: Elosaliceverso    18/07/2012    4 recensioni
Il dolore dei bambini nati senza padre è come una lunga spina spuntata piantata da qualche parte appena sopra lo stomaco, un dolore ottuso, svuotato, che certe giornate non si avverte nemmeno; ma poi ci sono momenti in cui la ferita si gonfia, pulsa, si stringe attorno alla spina e lo stomaco duole, fa male il cuore.
Ad Hanako quel dolore è un dolore familiare, perché lei non ha ricordo alcuno dell'odore di suo padre, della sua voce, non ha ricordi di giorni passati sulle spalle di qualcun altro. Suo padre era uno sconosciuto per la sua stessa figlia, sua madre non ha avuto il tempo, l'interesse, di tenerla tra le braccia. Hanako vorrebbe che per Shisui quei ricordi ci fossero: vorrebbe dare Itachi a Shisui, ma Itachi non c'è, Itachi è andato dove lei e il bambino non possono raggiungerlo, dall'altra parte del vento.
[...]
Una raccolta di storie sull'infanzia (e forse anche altro) di Itachi, Shisui e Sasuke. Frammenti di giornata e di dettagli di tre vite spezzate raccolte in un caleidoscopio senza pretese di completezza, verità o perfezione. Collegato a Il Giardino dei Mandorli e Cronache dalle Terre di Suna - Tagliavento.
Elos&Salice
Genere: Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Itachi, Nuovo Personaggio, Sasuke Uchiha, Shisui Uchiha
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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Introduzione: Ispirata a Cronache dalle terre di Suna - Tagliavento e a quella bellissima, bellissima, bellissima storia su Kisame che la meravigliosa Salice prima o poi finirà - solo per me.
Se quello di prima era ritardo, questo è... non so bene come definirlo. Transizione temporale? Sfasamento cosmico? Salice ha pazientemente aspettato che venisse prodotta, mentre io tenevo lì questa storia per mesi, mesi, mesi. Forse aspettavo germinasse. Mah.
[Hanako, Shisui, Kisame]



Raccontami di noi


. briciole



Il dolore dei bambini nati senza padre è come una lunga spina spuntata piantata da qualche parte appena sopra lo stomaco, un dolore ottuso, svuotato, che certe giornate non si avverte nemmeno; ma poi ci sono momenti in cui la ferita si gonfia, pulsa, si stringe attorno alla spina e lo stomaco duole, fa male il cuore.
Ad Hanako quel dolore è un dolore familiare, perché lei non ha ricordo alcuno dell'odore di suo padre, della sua voce, non ha ricordi di giorni passati sulle spalle di qualcun altro. Suo padre era uno sconosciuto per la sua stessa figlia, sua madre non ha avuto il tempo, l'interesse, di tenerla tra le braccia. Hanako vorrebbe che per Shisui quei ricordi ci fossero: vorrebbe dare Itachi a Shisui, ma Itachi non c'è, Itachi è andato dove lei e il bambino non possono raggiungerlo, dall'altra parte del vento.
Ma Hanako ricorda che Itachi sapeva d'arancia amara. Lo dice a Shisui, e poi rammenta che la prima volta che l'ha incontrato, nell'Heya, sapeva anche di cuoio e di sangue, ma questo non glielo racconta ancora: più avanti, magari, quando Shisui sarà più grande.
Ricorda che Itachi aveva una voce quieta, mani gentili. Racconta a Shisui che aveva la pelle chiara, come la sua, e gli occhi neri, come i suoi. Decide di dovergli dare cento ragioni e una di più per le quali dovrebbe essere orgoglioso di essere figlio di suo padre, e Itachi era un eroe, la prima, Itachi mi ha salvata tre volte, la seconda, Itachi era una buona persona, Itachi non lo dava a vedere, Itachi era coraggioso, amavo Itachi e Itachi era una persona che si può amare da qui all'altra parte del vento.
Ricostruendo Itachi briciola dopo briciola dopo briciola, Hanako non farà di Shisui un bambino senza padre.


.liquore



Shisui era cresciuto ascoltando sua madre raccontare.
La casa sulla cima della collina era piena di suoni: c'era il suono delle campane del vento appese alle finestre e alle porte, che tintinnavano ogni volta che le correnti d'aria cambiavano; c'era il suono delle foglie, il loro stormire come monete d'argento oltre i vetri e le tende e le paratie di carta; c'era il sibilo dei campi mossi dalla brezza e c'era il cantare basso di Hanako, la sua voce quieta, lo scrosciare dell'acqua versata nei bacili per lavare i panni, nelle pentole accese a bollire sul fuoco piene di legumi e di zuppe.
Tra i suoni, nel vento, i racconti di sua madre erano divenuti un sottofondo inarrestabile che l'aveva accompagnato mentre cresceva: e prima erano stati racconti dolci, privi di tempo, con bellissime principesse dagli occhi color dell'acqua e guerrieri con spade enormi od occhi rossi, gentili, tutti così gentili, e nessuno moriva o soffriva o si perdeva alla fine di quelle storie. Con il tempo le principesse erano divenute ninja, e i guerrieri con gli occhi rossi, be', anche loro erano ninja, e gli spadaccini dalle colossali lame... in certi racconti sembravano quasi brave persone, quasi, ma in certi altri erano spaventevoli.
Per questo Shisui si era aspettato molte cose, alla fine del suo viaggio verso sud: ma questo, questo no, questo non se l'era aspettato. Non si era aspettato questa bella donna dai capelli striati di grigio, con gli occhi fondi e il sorriso che sembrava nascondere mille pensieri riposti; non si era aspettato questa casa ricca, le serve curiose, né di poter dormire in una camera tanto bella da sembrargli uscita da un sogno: la casa del muschio era fresca e ventosa e piena di ricordi, ma era la casa d'una donna semplice, dai mezzi semplici, con gusti semplici.
Ma quello che più di ogni altra cosa non si era aspettato era l'enorme spadaccino, Kisame Hoshigaki, con il suo ghigno aperto su due file di denti aguzzi e la lama posata di traverso sulle ginocchia e trattata come fosse un'amante, non una spada.
- E così, tua madre se la passa bene... -
- Lei sta bene, sì. -
Kisame afferrò bruscamente una tazzina dai raffinatissimi intarsi, la riempì di sakè e, incurante degli effetti che un atterraggio brusco avrebbe avuto sulla delicata ceramica, la lanciò verso il bambino:
- Prendi. -
Shisui l'afferrò al volo e sgranò gli occhi davanti al liquore.
- Io ho otto anni. - precisò, fissando Kisame.
L'espressione allibita sul viso di Shisui dovette divertire l'uomo, perché, invece che irritarsi, sghignazzò e si riprese la tazzina.
- Tutto tua madre. - Si scolò il sakè in un sorso solo, prima di soggiungere: - Eccetto gli occhi. Hai gli occhi di tuo padre. Non nel colore, più nel senso di ti do fuoco con uno sguardo. -
Shisui sbatté le palpebre, incerto, e Kisame sogghignò ancora:
- Forse... - affermò. - … riusciremo davvero a fare di te qualcosa di divertente. -


.anni



Quando il ragazzo scivola giù dal ramo più alto dell'olmo, alla base della collina, è la la campana del vento appesa davanti all'ingresso ad accorgersene per prima. E' fatta di piccoli bastoncini bianchi legati l'uno all'altro da un filo di seta, che ruotano ad ogni soffio d'aria disegnando sentieri impalpabili sulla soglia.
Le mani che aprono la porta sono mani sottili: il tempo e le storie hanno tracciato un ricamo di rughe sulla pelle, ogni ruga un racconto, ogni ruga un anno, una persona, un ricordo. La testa che si affaccia a guardare di fuori è grigia di cenere, ed anche quella cenere è un racconto. C'è uno spillone di legno a forma di farfalla a trattenere il nodo dei capelli, uno scialle di lana - lana viola - gettato sulle spalle curve.
Il viso della donna è un viso di vecchia dove il tempo non ha scavato strade, ha aperto finestre. Sorride al ragazzo che sale lungo il sentiero, e questi alza una mano, salutandola. E' alto, è bello. Qualche volta lei vede l'ombra di qualcun altro camminargli accanto. Veste di bianco e di nero, ed ha una maschera appesa al collo: oggi è una di quelle giornate, pensa lei, in cui l'ombra non gli è al fianco, gli è dentro. Fa per chiamarlo, Itachi, con tutto quel dolore che neanche il vento si è portato via, ma poi sorride e tende le mani.
- Buongiorno, madre. - le dice il ragazzo, accettandole. Si china: posa la fronte contro quella di lei e per un attimo non fanno altro che guardarsi negli occhi. - L'Hokage... - dice poi Shisui, sorridendo come Itachi non aveva mai sorriso: ed ecco lì, tutto ad un tratto, che il dolore è scomparso. - L'Hokage - dice - ti manda i suoi saluti. -





Note: E di nuovo - oh, cribbio, quanto tempo - qui è Elos che vi parla! Non so neanche come scusarmi con voi e con Salice per il ritardo infinito. Ma c'è ancora qualcuno in attesa per questa raccolta? x°D
300, 500 e ancora 300 parole per tutte le piccole scene che avevo pensato per Hanako e Shisui. Sulla prima, niente da dire - se non che ho un altro pezzo pronto che è stato scritto sul medesimo tono. La seconda è per niente velatamente ispirata a Come tuo padre, di Salice. Con un tocco di Layla Miller, per chi coglie la citazione, perché ci sta sempre bene. La terza nasce da una recensione ricevuta millenni addietro da Gweiddi at Ecate. Mi rimase impressa - ah, chi non vorrebbe ricevere una recensione così? - e perciò ve la trascrivo qui. Speravo tanto di poter rendere l'idea, Gweiddi.
Io non posso sapere cos'abbiano pensato e penseranno le tue lettrici ma per me è stato come vedere il futuro. Ho visto Hanako invecchiata, seduta su una veranda con le campane che tintinnavano e Shisui, vestito da Anbu che andava da lei sorridendo con una pesante spada in mano e gli raccontava di Naruto e del suo largo cappello da Hokage. Ho visto quindi il possibile proseguo di questa storia dove le vite di Hanako, Shisui, Sasuke, Kisame, Naruto e gli altri andavano avanti ed inevitabilmente si intrecciavano ancora, perennemente, di continuo, per sempre. Ed è stato bello.

Fonte immagine: Itachi by kivi1230
  
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